Schemi di storia del diritto toscano
Sommario:
Schemi di storia
del diritto toscano 1
I. Esordio: il modello del dominato. Ideologia familistica del nascente
assolutismo4
III. Comincia il pendolo delle cacciate e dei ritorni dei Medici in Firenze6
IV. 1513, La congiura di Pietro Paolo Boscoli ed Agostino
Capponi:7
VII. Riforma della Ruota fiorentina del dì 14. maggio 15329
VIII. Ordinazioni sopra la Rota fiorentina del dì 14 maggio 153210
IX. Legge di sua excellentia illustrissima del dì 21 giugno 1532 sopra le
condennationi criminali 10
XI. il sistema giuridico toscano 10
XIV. SENATO
DEI QUARANTOTTO 12
XV. IL SISTEMA DELL’IMPOSIZIONE FISCALE13
XVIII. Ruota civile o Consiglio di giustizia (1502- 1807).16
XIX. jurisdiktionsstaat : per officia gubernare® la l. urbem nostram16
XX. IL SISTEMA DI GIUSTIZIA FIORENTINO17
a) Ordinamento
della Rota florentina
b) La
giurisprudenza della Rota fiorentina :
XXI. Profili costituzionali: La l. Urbem nostram:21
g) Bandi
e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana
l) giurisprudenza soprattutto rotale, rationes jurisprudentiae
m) dottrina,
theoricae doctorum
XXVI. Prima dell’istituzione politica, la struttura geografica: l’Arno e la iurisdictio24
XXVII. diritto
patrio e isttuti di diritto patrio toscano25
XXX. L’editto di Pisa: la costituzione criminale leopoldina35
XXXI. Il problema della legislazione nel Granducato di Toscana38
XXXII. Salvetti e le Antiquitates florentinae40
XXXIII. La Compilazione del Diritto Civile di Luigi Matteucci40
XXXIV. Riforme costituzionali toscane41
XXXV. 1848 – STATUTO DEL GRANDUCATO DI TOSCANA42
XXXVI. Il Codice Penale toscano del 185350
i. «Pregi» del Codice Penale toscano del 1853
iii. «Limiti
e difetti» del Codice Penale toscano del 1853
Il tema politico della pena di morte52
Novembre 1859:
l’abolizionista Francesco Carrara sale in cattedra a Pisa52
I. Tra reversione ed annessione: l’affaire del Ducato di Lucca52
II. Una strategia di accoglienza politica54
IV. Il partito dei Giusdicenti e la politica granducale58
V. La chiamata pisana dell’abolizionista Francesco Carrara60
Estremi cronologici due date simili:
27 aprile 1532: Ordinazioni fatte dalla Repubblica Fiorentina col Duca Alessanro de' Medici dichiarato Capo della medesima sotto il dì 27. Aprile 1533 |
27 aprile 1859: la fine di un regime domestico intimamente assolutistico |
® il princeps come capofamiglia ® modello politico cresciuto in alternativa a quello feudale
® Jurisdiktionsstaat sistema di esercizio legittimo della forza di pubblica coercizione caratterizzato da una molteplicità di ordinamenti giuridici
non esiste un sistema istituzionale egemone ed assoluto, ma appunto una molteplicità di coesistenti e cooperanti ordinamenti giuridici ® un sistema di collegia, una società di società, come si è detto da alcuno
iurisdictio ® potere di organizzazione di una comunità plurisoggettiva: non solo sanzionatorio in sede giurisdizionale, ma anche positivamente produttivo di norme in sede di organizzazione collegiale:
archetipo
originario è la iurisdictio domestica del paterfamilias ® Bodin
tramonto
definitivo del modello di potere feudale – bilaterale, assunzione del modello
amministrativo ®
la familia schema e modello di gestione della res publica
SISTEMA POLITICO DELL’ANTICO REGIME :
il sistema di elaborazione ed imposizione delle decisioni politiche non funzionava per via di elargizione edittale (per autonoma elaborazione ed imposizione istituzionale), bensì per transazione ed elaborazione contenziosa ® per via di decisione politica ottriata ® sistema della comparsa e della supplica, rivolte ad azionare un meccanismo di elaborazione delle decisioni d’amministrazione ® sulla base della elaborazione ed invio di inputs da parte dei governati nei confronti del competete titolare di iurisdictio
logica e sistema della postulazione politica
® non la
titolarità diretta di autonomi poteri e diritti autonomamente riconosciuti ed
esercitati dal soggetto politico
® bensì la
mediata attivazione di procedure decisionali ® routines ISTITUZIONALI : sono consolidazioni
pratiche non preordinate formalizzazioni positive
questo ci porterà a incontrare una molteplicità differenziata di forme, modi e tecniche di normazione, ciascuna identificata non soltanto per differenziazione onomastica, ma per genetica afferenza/provenienza corporativa
sistema di molteplici collegia cui
culmina il princeps
Intenti del corso:
indagare ed esporre gli eventi, le forme, gli strumenti di normazione giuridica e di organizzazione politica che si produssero ed attivarono nel tempo all’interno del sistema istituzionale toscano
se
volessimo dare una formula scolastica ed al tempo stesso sufficientemente
significativa degli intenti del corso, potremmo dire che si tenta un primo
incontro con la Storia del diritto toscano:
Strumenti e programma:
M. Montorzi, Processi istituzionali. Episodi di formalizzazione
giuridica ed evenienze d’aggregazione istituzionale attorno ed oltre il feudo.
Saggi e documenti, Padova: Cedam: Il cruento avvio di un processo di
instaurazione statale e di progressivo superamento del modello consortile del
potere politico. Il ‘partito’ di condanna alla decapitazione di Pietro
Paolo Boscoli ed Agostino Capponi, deliberato dal Magistrato degli Otto, in
Firenze, il 22 febbraio 1512 ab inc.
M. Montorzi, Crepuscoli granducali. Incontri di esperienza e di
cultura giuridica in Toscana sulle soglie dell’età contemporanea, Pisa:
ETS, 2006 (“Incontri di esperienza e di cultura giuridica”, 1)
Legislazione toscana raccolta e illustrata da Lorenzo Cantini ... tomo primo [-trentesimo secondo], Firenze: nella Stamp. Albizziniana da S. Maria in Campo: per Pietro Fantosini e figlio, 1800-8 (dal v. 15 varia l'indicazione di pubblicazione: per Giuseppe Fantosini), XVI, 188-91 (rist. digitale a cura di M. Montorzi, Pisa: ETS, 2006)
Piero II, I. [cede a Carlo VIII
Pietrasanta, Sarzana, Pisa, Livorno, 1494. — Sposa Alfonsina Orsini († 1520)]
8
apr. 1492 - dep. 8 nov. 1494 († 28 dic. 1503) |
|
Cacciata dei Medici da Firenze. - Si
riforma lo Stato, si crea una balìa, un Consiglio generale ed uno minore di
80 cittadini nov. 1494
III.
Comincia il pendolo delle cacciate e dei ritorni dei Medici in
Firenze
Comincia la dialettica tra instaurazione
e transazione istituzionale |
|
Si nomina un Gonfaloniere a
vita, Piero Soderini, f. di Tommaso, avverso al pp. 10 dic. 1502 - dep.
31/12 1512 († 13/6 1522) |
1512. Quando fu ratificata la pace
tra il Viceré e la Repubblica fiorentina, accompagnati dallo Stesso Viceré
tornarono in Firenze il Cardinal Giovanni, Giuliano suo fratello, e Lorenzo de’
Mèdici; figlio di Pietro, affogato nel Garigliano, inquadrato nelle truppe a
fianco dei Francesi nel tempo del suo esilio
Nel loro ingresso in Firenze non
fecero trapelare i loro disegni, comportandosi come privati. Sapendo però
essere impossibile risalire a quel grado di potere a cui erano già assurti
avanti l’esilio, qualora mancasse la presenza del Viceré, Giuliano fece
profitto di una circostanza in cui il palazzo della Signoria era ripieno del
partito mediceo, non escluso il Viceré, ed alzatosi domandò la convocazione del
parlamento, ottenendo l’istituzione di una balìa di 50 cittadini per abrogare
le passate leggi e pubblicarne delle nuove, con facoltà di poter confermare
nella carica sé stessi per l’anno successivo.
In tal modo, con una mossa
risoluta, i Medici tornarono arbitri del Governo-
Card. Giovanni II de’ Medici,
(papa, fr. di Piero II 1513) 14 sett. 1512- mar. 1513 († 1° dic. 1521) |
Giuliano II, fr. (D.a
di Nemours 1515) 4 sett. 1512 - 17 mar. 1516 |
Lorenzo II, f. di Piero II; (Duca
di Urbino 1516-9) mar. 1516- † 4 magg. 1519 |
Giulio, f. nat. di Giuliano I;
Cardinale (Papa 1523), arciv. e gov. di Firenze per il Papa 4 magg. 1519 -
rin. nov. 1523 |
Il Card. di Cortona, Silvio
Passerini, gov. di Firenze per il Papa magg. 1524-16 magg. 1527 |
Ippolito de’ Medici, cardinale,
f. di Giuliano II, governa 30 lugl. 1524 - dep. 16 magg. 1527 († 1535) |
Alessandro, f. nat. di Lorenzo II
(?); (D.a di Civita di Penne) mandato da Clemente VII a Firenze
1525 - dep. 16/5 1527 |
Cacciata dei Medici da Firenze. - II
Consiglio Generale crea i dieci di libertà, gli otto di pratica, il Consigl.
degli ottanta e un Gonfalon. di giustizia 21/6 1527 – |
Alessandro, pred. creato capo
della Repubb. dall’imp. Carlo V (ott. 1530), riconosc. dai Fiorentini 16
luglio 1531, |
eletto Duca 1° magg. 1532 ott.
1530 - † 6 genn. 1537 |
Cosimo I de’ Medici, f. di
Giovanni dalle Bande Nere; el. supremo reggit. di Firenze 9/1 1537, Duca 20/9
1537, Granduca 27/8 1569 9/1 1537- † 21/4 1574 |
Il cruento avvio di un processo di instaurazione statale. Il
‘partito’ di condanna alla decapitazione di Pietro Paolo Boscoli ed Agostino
Capponi, deliberato dal Magistrato degli Otto, in Firenze, il 22 febbraio 1512
ab inc.
1)La Balìa fiorentina del 27 aprile 1532 : problemi e
prospettive d’indagine. Verso il superamento di un modello esclusivamente
consortile del potere politico
2)La congiura oligarchica di Pietro Paolo Boscoli ed Agostino
Capponi : i limiti sociali, l’incidenza politica
3)Dalle testimonianze di cronisti e memorialisti coevi alla
congiura : il Magistrato degli Otto e la gestione politica dell’emergenza
4)Niccolò
Machiavelli nelle vicissitudini della “grande mutazione”, dalla tortura
all’osservanza filo-medicea : alle origini di un capitolo dei Discorsi
sulla prima Deca di Tito Livio?
5)Lettura di un atto giurisdizionale : il ‘Partito’ di
condanna alla decapitazione di Pietro Paolo Boscoli ed Agostino Capponi,
deliberato dal Magistrato degli Otto, in Firenze, il 22 febbraio 1512 ab inc.
Appendice : Archivio di Stato di Firenze, Otto di
Guardia e Balìa (serie vecchia), 155, fo. 36v-37r
Cfr. Cantini, Legisl. tosc., I 32ss.
a) forma di Governo rimessa all’arbitrio dell’Imperatore
b) che
tutto il Dominio e terre già
acquistate dall’esercito imperiale, ritornino formalmente nella disponibilità
della Città di Firenze ® è il presupposto formale delle successive ordinazioni del 1532
Cfr. Cantini, Legisl. tosc., I, 5-38
A)
Proemio
Ordinare ® fermezza e conservazione ® del Governo
B)
§
1
azzera il passato
efficacia innovativa
C)
§
2
D)
§
8 Modello dogale
equivoci giuridici
modelli ideologici
Duca a vita e con trasmissione del
titolo per discendenza maschile diretta
§ 1 diritto transitorio ® rafferma temporanea dei Giudici di Ruota attualmente scaduti
§ 2. onde evitare sovrapposizioni
del medesimo giudice chiamato eventualmente a decidere della medesima causa sia
in primo grado che nel successivo grado di gravame, di fissa in maniera certa e
determinata (§ 3.) l’organizzazione della giustizia nel contado e
l’attribuzione di dipendenza gerarchica dei singoli offici territoriali e
periferici del Contado ai rispettivi Quartieri cittadini della dominante di
dipendenza e riferimento giurisdizionale, in modo da evitare duplicazioni della
giurisdizione del medesimo giudice a gradi differenziati e distinti del
medesimo processo (sovrapposizione e duplicazione tra merito di primo grado e
gravame di secondo, eventualmente celebrati entrambe avanti la persona del
medesimo giudice ®
genesi dell’ordinamento
giudiziario
§ 6 compartimento (= ripartizione)
del peso delle cause trai giudici (genesi della competenza, intesa come concreta quantità della
giurisdizione) ®
dei 6 giudici, 4 deputati ai Quartieri nelle prime «instantie», gli altri 2
deputati alle appellazioni
§ 10 ® in materia di competenza la Ruota decide all’unanimità
§ 13 ® la Rota non sarà tenuta a dare motivi «nelle sententie delle prime e principali instantie»
§ 15 sindacato dei giudici di Rota per tutte le cause avanti di loro agitate
Cantini, Legisl. tosc., 1, 48 ss.
§ 1 termini ai Procuratori per presentare gli atti ® entro le conclusioni di causa ® entro il decretum de concluso o pro
servato, con cui il giudice riservava a sé stesso esclusivamente gli atti di
causa per poter giudicare
§ 2 ® tariffe per la scrittura degli atti
§ 3 ® modo e scrittura degli atti ® volgare e leggibilità ® la scrittura dei notai era in precedenza un fatto criptico ® un fatto corporativo ® il notao produceva per sé e per il proprio archivio gli atti ® prima considerazione normativa della necessaria pubblicità degli atti di causa
§ 4 Notai ed attuarî ® divieto di usar sostituti ingaggiati da loro privatamente ® si introduce un modo pubblico di considerare gli organi processuali
§ 5 conservazione degli atti ® esclusivamente presso l’Archivio del Proconsolo ® si introduce un modo pubblico di considerare gli organi processuali
§ 7 notifica preliminare necessaria della ingiunzione prima delle catture per debiti
§ 8 tariffa delle copie d’atti ® tariffe pubbliche
Duca + senato ® fonte formale del provvedimento
Composizione delle pene criminali
Proporzione delle circostanze del delinquente ® legge geneticamente ineguale
Società di ceti ® società di diversi
sue fonti ® vedi schema a p. 22
la struttura federale del Granducato
la figura del Duca poi Granduca
Prunai,
71-2
MAGISTRATO SUPREMO:
il
4 aprile 1532 fu convocato, per l’ultima volta, il popolo a Parlamento, secondo gli ordini di Clemente VII e in
base ai consigli di Francesco Guicciardini. In tale riunione furono eletti dodici cittadini, i <Riformatori>
(è questa l’ultima Balìa della Repubblica) con incarico di riformare il
reggimento dello Stato e di attuare il passaggio dalla forma repubblicana a
quella del Ducato. Il 27 aprile dello stesso anno, i Riformatori proclamarono
la nuova Costituzione dello Stato fiorentino. I
l
Magistrato Supremo, nel nuovo ordinamento, prese il posto della Signoria e il
Duca quello deI <Gonfaloniere di Giustizia >
La
nuova magistratura fu composta di quattro
Consiglieri, scelti tra i componenti del <Senato dei Quarantotto>
e presieduta dal Duca o da un suo Luogotenente; costituì una specie di Consiglio di Stato del Principe e,
nello stesso tempo, un Consiglio privato
con funzioni consultive; deliberava a maggioranza (tre voti).
Ebbe
notevole importanza amministrativa, ma svolse, quale supremo <Tribunale di
appello>, anche funzioni giudiziarie. Le sue deliberazioni si dividono in
pubbliche e private, di cui le prime di gran lunga più importanti, vanno dal
1532 al 1737.
G.
Prunai, Firenze (secolo XII-1808), 72
CONSIGLIO
DEI DUGENTO: istituito anch’esso con le riforme del 27 aprile 1532, sostituì i Consigli maggiori della Repubblica;
fu competente ad approvare tutti i
provvedimenti relativi alle comunità ed ai privati; gli fu delegata
l’elezione di alcune magistrature, tra cui i Quattordici, gli Undici, gli Otto
e i Provveditori; ebbe la prerogativa di
convalidare gli atti solenni e le leggi per quanto tale convalida sia stata del
tutto formale.
I membri sono eletti a vita
Né il Duca, né i Duegento potevano, però, risolvere alcun affare, senza una decisione del Senato, che rappresentava – almeno in un primo tempo e in linea teorica – l’autorità dello Stato
Gli
atti hanno inizio con il 1532
SENATO
DEI QUARANTOTTO: fu istituito con la Riforma del 27 aprile 1532 e resultò
composto di 48 cittadini, scelti tra gli
appartenenti al <Consiglio dei Duegento>; prese il posto degli
antichi consigli ristretti o minori della Repubblica; ebbe la funzione di <mandare a pattito >.i
cittadini pcr gli uffici della città e del territorio; quelli che
riportavano maggior numero di voti, erano imborsati
per la successiva estrazione da parte dell’< Ufficio delle Tratte>.
Al
Senato fu riserbata l’approvazione di tutti
i provvedimenti finanziari e di ogni
altro provvedimento interessante lo Stato. Dal punto di vista
amministrativo ebbe, però, minore importanza del Magistrato Supremo. La
documentazione è scarsa.
E)
Il
senato dei 48 elegge
-
12
procuratori
-
otto
di pratica ® liti tra comuni e comuni, tra comuni e privati
-
8
di guardia ® campo giudiziario ® vi presiede l’aud. Fiscale ® polizia e giustizia criminale
-
conservatori
di legge[1]
-
magistrato
dei capitani e conservatori delle fortezze
-
offiziali
del monte
-
consoli
del mare
-
Capitani
di Pisa
-
Capitani
di Arezzo
-
Capitani
diPistoia
-
Capitani
diVolterra
-
Capitani
di Cortona
-
Potestà
di Prato
-
Capitano
di Castrocaro e di Fivizzano
catasto spesso identificato con l’estimo
1427
CATASTO FIORENTINO
Prima era stato applicato il principio contributivo del
prestito forzoso, motivato da contingenze e necessità straordinarie
Ora subentra il principio
della obbligazione contributiva ® vedi Legge 14 maggio 1532, Cantini, Legisl. tosc., I, p.
60a, ult. cpv. ® la portata è
obbligatoria
® gravezza fondata sul valsente
® base della valutazione è la produttività in grasce ai valori più basi del mercato
® se ne stimava la rendita
® è probabile che i catasti avessero a loro fondamento originariamente soltanto le PORTATE dei privati, con forti sanzioni ablative pro quota mendacii contro i denunzianti il falso od anche parzialmente omissivi
PORTATE
Due componenti
a) Sustanze: dichiarazione descrittiva dei beni (e dei loro arredi) posseduti e possidendi (che si sperava di possedere in futuro), dentro e fuori del dominio fiorentino, i crediti, sia pubblici che privati, i gudagni percepiti e quelli sperati, le merci, il bestiame
b) Incarichi: debiti privati e pubblici, livelli, canoni e pigioni, bestiame, bocche, mantenimento degli edifizî, spese scolastiche;
c) Defalchi conseguenti e saldo complessivo ed eventuale composizione
d) Anche i giornalieri erano tenuti a fare la portata, ancorché negativa
1532 ® perfezionamento dell’imposizione fiscale ® determinazione più
circostanziata del potere impositivo e dell’obbligo contributivo ® comminatoria erga omnes ® Cantini, Legisl.
tosc., I, p. 70a, legge 20.xi.1532 ab inc., cpv. «Pertanto per virtù …».
Con l’avvento dei Medici si procedette a una revisione generale dei libri della decima e a questa furono preposti quattro cittadini detti ufficiali di decima, nominati dal principe, per sei mesi. Nel 1546 fu istituito il magistrato della decima e vi entrarono a far parte il provveditore del monte, quello dei cinque conservatori del dominio fiorentino, il provveditore delle vendite, ufficio creato il 16 ottobre 1500, e il. provveditore della decima. Infine il 28 febbraio 1552 gli uffici delle decime e delle vendite furono unificati in una sola magistratura, Il magistrato della decima aveva giurisdizione civile e criminale per le materie di sua competenza. Conservò le sue mansioni anche al tempo dell’appalto generale, istituito da Francesco Stefano di Lorena, perché la decima non fu appaltata, Con la riforma municipale di Pietro Leopoldo si affidò alle comunità la riscossione della imposta fondiaria e l’ufficio della decima fu in gran parte smobilitato sino a che fu abolito il 26 febbraio 1782. All’archivio della decima granducale è aggregata impropriamente una raccolta di estimi del distretto, sui quali gravava anche una imposta sulle spese generali riscossa dal magistrato dei Nove (« chiesto dei Nove »).
Estimo E
Lira: |
si ha notizia di tale ufficio sin
dal secolo XI e dai documenti non appartenenti a tale ufficio, ma ad altri
fondi (quali il Diplomatico e il Notarile) si rileva come avvenisse il
calcolo del valore degli immobili e, talvolta, anche dei beni mobili. Dai
così detti <guadagni>, che da tali beni erano originati, si
trovava la rendita più bassa e si capitalizzava in ragione del 5 o del 6 %.
Tale capitale era registrato e da esso si traeva la quota (<lira>,
<estimo>) in base a cui veniva stabilita la tassazione.
Rimangono pochi frammenti dell’Estimo cittadino del secolo XIV, mentre
abbondante è la documentazione per il contado, dal 1350 al I427. |
|
Catasto: |
istituito con Provvisione del 22 maggio 1427
doveva porre contributo, con regole più stabili ed uniformi di quelle vigenti
per l’Estimo non solo i
beni immobili dei cittadini, ma anche quelli mobili e i guadagni di qualsiasi
specie. Con il sistema di capitalizzazione della
rendita, detraendosi i debiti e gli altri carichi, si stabiliva un capitale al netto e su questo si imponeva una tassa
annua di mezzo fiorino per ogni 100 fiorini. Su di esso si
fondarono, nella stessa commisurazione, anche altre imposizioni. Anche i beni degli ecclesiastici e dei luoghi
pii furono descritti < a catasto>, ma non furono soggetti ad
imposizione. Il Catasto fu rinnovato nel 1430, 1433, 1442, 144 1451,
1469, 1470, 1480, 1482, per quanto fosse stato stabilito che la rinnovazione
dovesse avvenire ogni tre anni. Nella denuncia, fatta dai
cittadini, comitatini e distrettuali, dovevano essere indicati anche i beni
mobili, gli utili derivanti dal commercio e dell’industria, i crediti di
monte, ecc. La denuncia (<portata>)
era fatta agli <Ufficiali del Catasto>, che sulla scorta di quanto in
essa contenuto, compilavano speciali registri detti <campioni >.
L’Archivio (deliberazioni, atti varii, portate, campioni, ecc.) è molto vasto
e va dal 1427 al 1487 per la città, mentre per il contado diviene completo
solo a partire dal 1429 |
il Catasto
dal Governo della Repubblica allora ispirato dal Savonarola, |
Decima
RepubblicanA:
abolito, nel 1494, il Catasto dal
Governo della Repubblica, si introdusse la Decima, fondata esclusivamente
sui beni immobili, di cui si calcolavano le rendite nette. Il decimo di tal rendita era dovuto dal
proprietario allo Stato (l’ammontare della imposta subì, via via,
qualche aumento). Tale imposizione dalla città si estese al contado e al
distretto, agli ecclesiastici, ai luoghi pii, con quote alquanto diverse si
ebbero registrazioni speciali per gli abitanti dei sobborghi, che non
raggiungessero una certa rendita (<Libri dei cittadini a parte >). La
documentazione ha inizio con il composta di leggi, deliberazioni, campioni,
arroti, ha inizio con il 1495
Fu istituita col nome di consiglio di giustizia il 15 aprile 1502 in sostituzione del podestà. e del capitano del popolo.
Fu riformata il 6 agosto
1505 e, dopo l’avvento del principato, il 14 maggio 1532. Con questa riforma si
cercava di eliminare alcuni difetti dell’amministrazione della giustizia
civile, fra i quali l’eccessiva durata delle cause e la incertezza della
competenza territoriale in Firenze e nel granducato per un più regolare
svolgimento degli appelli . Ma non si riuscì nello scopo, anzi gli
inconvenienti si esasperarono col passare del tempo, nonostante i tentativi di
riforma, che si susseguirono fino al 1717.
Con l’avvento della casa di
Lorena questo tribunale fu potenziato e riformato soprattutto da Pietro
Leopoldo, che il 13 dicembre 1771, nel quadro della riforma giudiziaria, lo trasformò
in giudice civile di primo, secondo e ulteriore appello, abolendo i giudici di
quartiere che erano scelti fra i giudici di ruota.
1502 ® soppressione da parte aristocratica del Magistrato del Capitano del popolo e riforma della figura del Podestà
- mimesi dei Libri feudorum
- per offitia regi volumus
- latino cancelleresco ® nisi et quatenus
® due membri strutturali:
Il vicario
Il podestà
Il giusdicente provinciale
Contratto di giustizia
Équipe di giustizia
La rappresentanza istituzionale
Se è lecito rivolgersi a Paolo di Castro per trovare nei suoi Commentaria una sorta di interpretazione autentica del sistema giurisdizionale degli Statuti fiorentini del 1415, allora è anche significativo che egli ([2]) guardi al meccanismo dell'imborsazione e della tratta dei cives florentini per la loro investitura degli uffici nel Contado come ad una procedura abilitata a conferire immediatamente la legittimazione soggettiva all'esercizio del ministero di Giustizia nel territorio.
Agli occhi dello statutario fiorentino, infatti, il solo fatto dell'estrazione della polizza con il relativo nominativo legittima formalmente il sorteggiato all'esercizio della carica, senza che siano necessari ulteriori adempimenti rituali, in quanto lo designa alla titolarità di una potestà che è già di per sé autonomamente e direttamente operativa, perché incondizionatamente fondata sulla supremazia politica del Comune fiorentino sul proprio territorio.
Sicché ben si può comprendere come — nell'opinione di Paolo di Castro —, al di là dei tradizionali rituali di insediamento, l'efficacia legittimante della Tratta possa agevolmente considerarsi come operativa in via immediata: perché essa designa il soggetto alla titolarità di un rapporto di supremazia politica che verrà da lui esercitato tanquam civis florentinus in nome della Repubblica stessa, sul fondamento delle varie capitolazioni delle popolazioni del Contado alla Dominante fiorentina.
L'immediatezza del rapporto di rappresentanza che passa tra il singolo Rettore e la Repubblica fiorentina consente infatti una identificazione piuttosto stretta tra la condizione del Rettore e quella del titolare di una dignitas: il civis florentinus arriva in Contado con la propria équipe di Giustizia e vi si insedia essenzialmente per esercitarvi ila funzione giurisdizionale, ai cui proventi sportulari si lega sia il suo particolare interesse, sia quello del personale da lui assoldato.
Ma la prassi introduce al solito dei temperamenti e delle modificazioni; e l'avvento in particolare del complesso di potere mediceo — con la conseguente esigenza funzionale di convogliare sugli Ufficiali locali anche una serie di commissiones politiche esulanti dai contenuti esclusivamente giurisdizionali delle dignitates territoriali — indirizza il sistema nel senso di una più marcata evoluzione istituzionale.
Ed allora perdono di spessore e di rilievo giuridico sia il fatto in sé della Tratta, sia la cerimonia di colore feudale del reciproco giuramento di fedeltà fra Rettore ed abitanti del territorio a lui sottoposto.
In alternativa a simili moduli promissori e contrattuali, le regole dell'Uffizio della Tratta cominciano infatti a valorizzare nella procedura di insediamento del Rettore di Giustizia un duplice requisito formale: la presentazione alla Comunità territoriale delle lettere della Signoria di investitura della carica e, contestualmente, il passaggio delle consegne dalle mani del predecessore in ufficio ([3]).
Sono i momenti di una più complessa vicenda di carattere politico, che vede il Rettore di Giustizia insediarsi sul territorio di sua amministrazione non più in forza di una sua personale dignitas, quanto in osservanza di uno specifico mandato istituzionale che lo pone come controparte immediata non già della popolazione del luogo — come ancóra affettano i rituali feudali rimasti in uso —, bensì del proprio predecessore in ufficio.
Ed anche la riflessione dottrinale sul punto non manca di declassare a mèro requisito formale il fatto dell'estrazione dalla bursa della Tratta, criticando espressamente le tradizionali posizioni espresse al riguardo da Paolo di Castro, per mettere invece in risalto come presupposto sostanziale della assunzione del Ministero di Giustizia sia in realtà la presentazione delle lettere di investitura rilasciate al ministro dal suo superiore gerarchico ([4]).
Dal rapporto privatistico all’istanza istituzionale ® la morte anzitempo del giusdicente e la retribuzione dei membri dell’équipe di giustizia
La l. diem functo ff. de officio
adsessorum
D.1.22.4 Papinianus libro quarto
responsorum
Diem functo legato Caesaris salarium
comitibus residui temporis, quod a legatis praestitutum est, debetur, modo si
non postea comites cum aliis eodem tempore fuerunt. Diversum in eo servatur,
qui successorem ante tempus accepit.
Nel problema del salarium adsessoris
s’adombra il tema della continuità istituzionale
Il podestà fu
sostituito da un nuovo magistrato ® i Consiglio di giustizia ® la
Ruota
5 soggetti
Uno dei quali
doveva essere ogni 6 mesi il Podestà di Firenze mentre gli altri rimanevano contemporaneamente
semplici giudici
Auctoritas
della Rota
Decisiones ® non
sentenze ®
motivazioni
Rationes
normative
Applicazione
pratica di categorie romanistiche
Aggregazione
del dominio fiorentino ai Quartieri della Città e deputazione d’un giudice
della rota a ciascuno dei quartieri della città ® intima natura
territoriale della struttura del Jurisdiktionsstaat ® i
quartieri della città sono strutture dell’ordinamento giudiziario statale ®
STATO TERRITORIALE NEL VERO SENSO DELLA PAROLA
Le ordinazioni
del 1532 ed i provvedimenti successivi mantennero e confermarono l’istituto dei
giudici di quartiere e divisero nuovamente il Dominio Fiorentino in
quattro parti ciascuna aggregata ad un quartiere di Firenze. ® § 3
(vol. I, p. 39 Cantini, Legisl. tosc.).
Giudice di prima e seconda appelazione per le terre del dominio, con competenza e giurisdizione esercitata sulla base dell’aggregazione materiale ai quartieri ® un rapporto in pratica ancóra di mèro e materiale dominio (la aggregazione e concreta subiectio alla singola pars civitatis) veniva assunto come elemento formale determinante la riprtizione delle competenze giurisdizionali e la pratica della prassi processuale.
Due momenti
distinti dell’esercizio giurisdizionale collegati funzionalmente da un elemento
materiale di subiectio:
giustizia delle appellazioni ® giustizia di gravame
giustizia delle motivazioni ® giustizia di razionalità
a) determina nel tempo una romanizzazione dei concetti generali del diritto patrio
b) unifica per via autoritativa i giudicati delle corti territoriali o, quanto meno, li fornisce di un sistema concettuale generale e razionale di riferimento ® dal dominium alla proprietas ® la dottrina unificante dei modi di acquisto della proprietà
c) unifica il quadro costituzionale del Granducato ® la dottrina del diritto sussidiario statutario
d) lo Statuto fiorentino come Diritto Comune del Granducato
Ma è certamente in età seicentesca che il modo di affrontare i termini del problema si orienta nel senso di una soluzione di ordine decisamente costituzionale e pubblicistico, e si congiunge definitivamente ad una regola complessiva di organizzazione dell'intera compagine del potere granducale.
In una decisione rotale di Girolamo Palma nipote, avente ad oggetto la pertinenza giurisdizionale del territorio della Comunità di Palaia, sita nel contiguo Vicariato di Lari ([5]), e ripresa poi da Giovanni Bonaventura Neri Badia in un suo successivo responso su egual tema ([6]), si argomenta infine che le terre ed i castelli dell'antico territorio pisano — per ciò che concerne i loro Statuti successivi all'epoca delle ripetute capitolazioni pisane — non possono più dirsi come facenti parte di quel distretto.
In sostanza, si argomenta poi in particolare dal Neri Badia, in epoca successiva all'instaurazione del dominato mediceo l'esercizio su terrae subiectae della potestà statutaria deve intendersi come avvenuto naturaliter all'interno di un ambiente istituzionale che è radicalmente mutato rispetto al passato.
E l'uso in particolare del termine «districtus», un tempo da riferirsi alla soggezione dei borghi del Contado alla signoria pisana, non può più intendersi come retaggio storico di quell'antico rapporto, ma deve piuttosto reinterpretarsi come naturalmente inserito all'interno di una situazione costituzionale radicalmente mutata rispetto a quella primigenia ([7]).
La c.d. l. Urbem nostram — presente già nella
primitiva redazione degli Statuti fiorentini di Giovanni da Montegranaro del
1409, nel titolo De legibus (Guidi,
75) — compare poi anche nella redazione definitiva degli Statuti del 1415 di
Paolo di Castro:
modelli feudali per uno stato territoriale
«Urbem
nostram florentinam cum toto eius territorio legibus nostris regi, et gubernari
decernimus, nisi, et quatenus loca
nostri territorii propriis militarent legibus, iuris, vel statutis, quae tamen
nostra auctoritate confecta, aut confirmata fuerint. Territorium autem
praedictum, et loca eius decernimus fore civitates,
terras, castra, oppida, et villas, mare, portus, insulas, padules, aquas, valles,
alpes, montaneas, et loca quaecumque, quae per nos quomodolibet, et
nostro nomine reguntur, gubernantur, tenentur, vel possidentur, et in futurum
favente altissimo acquirentur, et nostris legibus legari, uniri et affici omnes
nostrae iurisdictioni potestati, dominioque quomodolibet subiectos, et in
futurum subiiciendos iubemus. Salvis semper specialibus statutis, et iuribus
locorum singularium nostri territorii, quae nostra auctoritate facta, vel
confirmata fuerint, quae tunc suis locis serventur, et salvis in omnibus
praedictis consuetudinibus cuiusque dictorum locorum. Civitatem nostram
florentinam, cuius appellatione ad hoc totum territorium supradictum decernimus
comprehendi, per offitia, de quibus et prout in suis locis disponemus, regi volumus, et gubernari. Offitia autem praedicta et offitiales eis
praesidere debentes creari, deputari, extrahi, vel eligi volumus, ut in suis
locis describitur» (Stat. fior. 1415,
Tractatus I libri quinti, De legibus, rubr.
I, vol. II, p. 479, ed. Friburgi; cfr. Zorzi, L'amministrazione, 17, nt.39).
« Stabiliamo
che la nostra città di Firenze, con tutto il suo territorio, sia retta e
governata con le nostre leggi, eccettuati quei casi e nella misura in cui (“nisi et quatenus”) i luoghi del nostro
territorio non osservino proprie leggi, privilegi e statuti, i quali tuttavia
siano stati redatti o confermati sulla base di una nostra esplicita
autorizzazione. Stabiliamo inoltre che costituiscano il predetto territorio le
città, le terre, le terre murate, i castelli ed i villaggi, le marine, i porti,
le isole, le paludi, gli stagni, le valli, gli alpeggi, le montagne e qualunque
luogo che da noi in qualsiasi modo siano governati, tenuti o posseduti, ed in futuro
siano acquistati con il favore dell’Altissimo, e comandiamo che siano assoggettati
al vigore unitario delle nostre leggi tutti coloro che sono attualmente
sottoposti ed in futuro saranno sottoposti in qualsiasi modo alla nostra iurisdictio, potestà e signoria. Salvi
sempre gli statuti speciali ed i privilegi (‘iura’) dei singoli luoghi del nostro territorio, che saranno stati
confezionati o confermati sulla base di una nostra autorizzazione, che allora
siano osservati nelle rispettive località, e fatte salve in ognuna di esse le
rispettive consuetudini. Vogliamo che la nostra città di Firenze – nella cui denominazione si deve
intendere ricompreso tutto il territorio sopraddetto – sia retta e governata
attraverso un sistema di offici (“per officia”)
nella maniera che determineremo (“de
quibus et prout”) nei luoghi competenti di questi statuti. E vogliamo poi
che i predetti offici e gli officiali che dovranno presiedere ad essi siano
creati, deputati, estratti ed eletti nei modi che sono stabiliti nei luoghi
competenti di questi statuti ».
una formula per il sistema che si sviluppa: un sistema di giurisprudenza e prassi colta
§ 1 termini ai Procuratori per presentare gli atti ® entro le conclusioni di causa ® entro il decretum de concluso o pro
servato, con cui il giudice riservava a sé stesso esclusivamente gli atti di
causa per poter giudicare
§ 2 ® tariffe per la scrittur degli atti
§ 3 ® modo e scrittura degli atti ® volgare e leggibilità ® la scrittura dei notai era in precedenza un fatto criptico ® un fatto corporativo ® il notao produceva per sé e per il proprio archivio gli atti ® prima considerazione normativa della necessaria pubblicità degli atti di causa
§ 4 Notai ed attuarî ® divieto di usar sostituti ingaggiati da loro privatamente ® si introduce un modo pubblico di considerare gli organi processuali
§ 5 conservazione degli atti ® esclusivamente presso l’Archivio del Proconsolo ® si introduce un modo pubblico di considerare gli organi processuali
§ 7 notifica preliminare necessaria della ingiunzione prima delle catture per debiti
§ 8 tariffa delle copie d’atti ® tariffe pubbliche
Duca + senato ® fonte formale del provvedimento
Composizione delle pene criminali
Proporzione delle circostanze del delinquente ® legge geneticamente ineguale
Società di ceti ® società di diversi
Diaz,
Il Granducato di Toscana, I, 52
«I
tratti portanti della nuova costituzione erano così già tracciati. I membri dei
due maggiori Consigli erano nominati a vita e il loro rinnovamento futuro
restava affidato al duca. I ~ consiglieri (scelti ogni tre mesi dal Senato fra
i suoi membri tramite la votazione di dodici accoppiatori, anch’essi dei 48),
riuniti sotto la presidenza del duca o di un suo luogotenente, venivano a
costituire il Magistrato Supremo.
Questo era un organo consultivo del principe, deliberante a maggioranza, con
funzioni prevalentemente amministrative, ma anche giudiziarie di superiore «
tribunale d’appello »; il Senato dei
quarantotto (età minima quarant’anni) ebbe il compito di designare i
cittadini da destinarsi agli uffici della città e del dominio, dopo di che
la imborsazione e la estrazione a sorte di quelli di loro che avevano riportato
maggior numero di voti restavano affidate all’Ufficio
delle Tratte; al Senato inoltre
fu affidata l’approvazione dei provvedimenti finanziari e delle principali
deliberazioni circa gli affari di Stato; il Consiglio dei Duecento (età minima 35 anni) avrebbe dovuto sanzionare
con la sua approvazione ogni legge o atto solenne, e aveva specifica competenza
di approvare i provvedimenti relativi alle comunità e ai privati, nonché di
eleggere alcune magistrature, votando su un certo numero di cittadini
estratti a sorte da diverse borse, ciascuna destinata a una magistratura. Per
la struttura dei principali organi dell’amministrazione poi prevaleva per buona
parte il motivo della continuità. Molte delle principali magistrature vennero
conservate, sia pure con funzioni che, specie negli anni futuri del principato,
saranno sensibilmente modificate. Gli Otto
di Pratica, che in epoca repubblicana si erano alternati, a seconda
delle epoche, con i Dieci di Balìa o di Libertà e pace, con il compito
precipuo di provvedere alla difesa del territorio, assoldare la milizia,
nominare i capitani, dirigere la guerra, mantenere all’interno la quiete
pubblica, furono conservati con la più limitata competenza di decidere le
controversie tra comuni e comuni, tra comuni e privati, e tra i vari uffici,
nonché di provvedere a stanziamenti e affari già di competenza della Signoria,
e di svolgere alcuni incarichi di carattere militare relativi a fortezze e cittadelle.
Questa antica magistratura doveva per l’avvenire essere eletta dal Senato; ma
sarà abolita da Cosimo I nel I~6o. Gli Otto di Guardia e Balìa, la potente
magistratura incaricata nell’età repubblicana delle funzioni di polizia e di
giustizia penale, furono pure mantenuti, ma con competenza ormai ristretta al
campo giudiziario, alla imposizione di bandi ecc.; la loro nomina fu affidata
al Senato. Sempre a questo organo era devoluta la nomina di altre due
magistrature repubblicane, art. 8 della ordinanza
una formula per il sistema che si sviluppa: un sistema di giurisprudenza e prassi colta
Arno:
viabilità ® fondovalle ® Arno unica direttrice
®
argini usati come strade
®
convalli affluenti ® viabilità specializzata sui crinali
guerra delle acque
®
bonifiche ® padule di Bientina ® strisce d’assegnazione
fondiaria
®
colmate
®
deviazione cinquecentesca del corso d’Arno
®
Uffizio dei Fiumi e Fossi di
Pisa
®
canale del trabocco ® ultimo utilizzo nel 1761 ® poi privatizzazione degli
impianti
®
interventi ed incentivi di ripopolamento urbano (Vallini,
Vaglini, Vallesi)
omologia tra conformazione del suolo e forme
dell’esperienza giuridica
®
concentrazione fondiaria a discapito della conduzione diretta
§ nel pisano era inizialmente
documentato e praticato il lavoro servile di colorito feudale
§ diffusione fiorentina della
mezzadria e del Diritto Romano
Realità delle qualità giuridiche
®
la calcinariensis exemptionis per il passo della nave
o Vicario di Pontedera ® soluzione conservatrice ® cives intramurearii
o Rota fiorentina ® soluzione di stampo romanistico e fondata ex causa
publica ® ammessi i contribuenti alle gravezze
®
Carichi di manutenzione dei canali di scolo
®
Boschi
o Proprietà dei pini dei Monti
pisani separata dal suolo: ne è titolare l’Uffizio
dei Fiumi e Fossi di Pisa
o Dibattito
sull’utilità dei boschi
§ Motuproprio 1776: libertà
del taglio dei boschi
Di “diritto comune” si è parlato più negli ultimi settant’anni di
quanto si sia fatto tra Due e Cinquecento.
La prima trasformazione del diritto romano in un diritto omnibus
commune si realizzò nella prassi longobardistica e non, come in genere si
crede, nella scuola romanistica ove approdò solo nel Trecento.
In certe zone d’Europa anzi, come in Inghilterra, l’adozione di un
ius commune giustinianeo non si verificò affatto, il common law essendo
un prodotto di diritto nazionale
in altre zone del continente la legge giustinianea in effetti
operò, ma in forme disparate, o in quanto vigente per antica consuetudine
(Const. Puritatem nel Regnum),
oppure anche ratione Imperii — come ad esempio nell’ex Regnum
Italiae — sia perché l’autorità dell’impero antico s’immaginava perpetuata
dalla Chiesa nei nuovi monarchi, sia per credenze più o meno simulate in un
ideale dominatus mundi; talora venne inventata una recezione o tacita, o
espressa vuoi dell’intero corpus iuris, vuoi di semplici selezioni delle
sue norme.
Col tempo quel corpus iuris assunse la veste di mero
insieme di rationes, magari persino non vincolanti, dal quale scaturì,
al chiudersi del Medioevo, un diritto giurisprudenziale coniato insieme da
scuole e tribunali.
Mezzadria: due iurisdictiones che si fronteggiano: il padrone ed il capoccia
La famiglia mezzadrile come azienda
Dominio della consuetudine
Veicolo di diffusione del Diritto Romano
Ma sono forti nel rapporto i coloriti feudali
Già nel lessico, pur se stravolto ® le c.d. «regalie» ® feudali prima che nel nome nel nesso causale, che le addice ad un titolo di «estorsione» non commerciale di dazoioni reali e d’opera a vantaggio del padrone;
potestas padronale sui coloni ® autorizzazione al matrimonio, controllo sulla moralità e sulla modestia etc.
non è un rapporto per c.d. «commerciale»
o di semplice locazione d’opera, ma il conferimento della disponibilità di un
bene (il fondo poderale) ai fini della sua lavorazione, del suo arricchimento,
della sua gestione ®
a ben vedere, è il conferimento della Gewere
contro il servitium della prestazione della medietas fructuum
dominio della consuetudine
non c’è sostanzialmente giurisprudenza
La stessa, ben nota
posizione di rottura che Vincenzo
Salvagnoli – all’inizio degli anni ’30 dell’Ottocento –
assunse risolutamente contro l’istituto della mezzadria[8] a favore della diffusione
in alternativa del contratto d’affitto, non può essere ricostruita alla stregua di una diatriba
meramente scientifica e dottrinale, ma deve oggi piuttosto considerarsi come il
primo, effettivo frammento dell’avviarsi di un vivace ed agguerrito dibattito costituzionale:
Salvagnoli non mirava allora, in
realtà, a porre in discussione la ormai consolidata configurazione dottrinale
di quel contratto[9], ma intendeva soprattutto
aggredire i connotati pesantemente feudali, che ancora ne continuavano a
marcare la struttura di rapporto giuridico, sia sotto il profilo del suo
contenuto regolativo, sia sotto quello della sua complessiva efficienza giuridica[10].
D’altronde, in tale
occasione, Salvagnoli agiva evidentemente
dietro un lontano stimolo di ordine politico – piuttosto che scientifico –, il
quale seguiva al concorso bandito già nel
1821 dall’Accademia dei Georgofili sulla maggiore o
minore produttività ed utilità economica del rapporto mezzadrile rispetto all’affitto.
Fu poi soltanto tra il 1833
ed il 1834, quando sembrò per un attimo che andassero definitivamente sanandosi
i motivi di dissidio, che avevano opposto il ceto dirigente toscano al Governo
granducale, che si sviluppò sulle colonne del «Giornale Agrario Toscano» un approfondito, generale
esame del problema della povertà del Contado toscano, nel cui
contesto soprattutto si pose sotto osservazione critica il contratto mezzadrile.
Al contrario del Marchese
Gino Capponi, il quale aveva soprattutto apologeticamente
sostenuto che la mezzadria aveva le sue
più lontane origini nella libertà[11], il Salvagnoli sarebbe entrato nel
dibattito con un intento all’opposto prevalentemente critico; egli avrebbe,
infatti, preso posizione con una lettera sull’argomento mezzadrile, indirizzata espressamente allo stesso Capponi il 20 novembre 1833, e tesa ad introdurre un
diverso sistema di valori nella trattazione della materia mezzadrile: giacché – a détta del Salvagnoli stesso –
«l’errore più grande fu quello, non già di credere la terra fonte esclusiva di
ogni ricchezza, ma di crederla proprietà per eccellenza, e di non vedere mai
l’uomo»[12].
Quella in tal modo affermata
dal giureconsulto empolese era un’effettiva e consapevole istanza di smantellamento della centralità politica del
contratto mezzadrile[13], soprattutto perché di esso si scoprivano da lui
impietosamente elementi ancora visibilmente servili[14]: la terra – esclamava risentito il borghese Salvagnoli – non è bene
politico, causa materiale e necessaria di dominio quasi personale («proprietà per eccellenza»), ma è soltanto
economica occasione di ricchezza, che non influenza e non coinvolge i
rapporti politici che passano tra gli uomini[15].
Dentro all’idea del
passaggio dal sistema rigidamente mezzadrile a quello della mobilità sociale di tipo capitalistico[16], allora affermata da Vincenzo Salvagnoli con la sua opzione a favore dell’affitto[17], stava già in realtà
l’intento di arrivare ad un sostanziale riassetto costituzionale dei rapporti politici e
sociali, che definitivamente superasse la gerarchia cetuale del passato Stato di polizia granducale[18].
Salvagnoli attaccava la mezzadria, argomentando appunto dal radicale difetto di razionalità
storica che ne affliggeva la struttura giuridica: essa – nonostante la sua
natura innegabilmente privatistica – si atteggiava infatti come un contratto
collativo di status a forte connotazione pubblica; sia il
mezzadro, sia il padrone parevano essere in primo luogo piuttosto delle parti
sociali[19], che non delle mère comparse
contrattuali a rilevanza esclusivamente privata[20].
Grazie alla rete mezzadrile che serrava
strettamente tutto il territorio toscano,
infatti, l’intera struttura sociale del Granducato era fondata su un paralizzante dispositivo di tipo consortile[21], in virtù del quale le
famiglie e le situazioni di comunione tacita da esse individuate – sia
quelle di parte mezzadrile, sia quelle di parte gentilizia e padronale – erano
considerate come momento centrale e portante nella costruzione dell’intero
tessuto sociale[22].
L’avvocato empolese, quando in
tale occasione polemizza contro la mezzeria, in realtà, pensa già allo Stato di diritto, che si deve
necessariamente ed esclusivamente costruire tra soggetti giuridici individuali
ed eguali tra loro[23], e al connesso, definitivo superamento degli status intermedi fra
formazioni naturali e organizzazione statale, che fino ad allora erano stati
identificati da situazioni contrattuali a forte contenuto associativo come
quella mezzadrile.
Entratura
(dal Rezasco):
Diritto concesso dalla Legge agli artefici, onde l’artefice
pigionale non poteva essere rimosso dalla bottega prima d’un certo numero di
anni che trascorrevano dopo compiuto il termine dell’allogazione, o non poteva
mai avere accrescimento di pigione per la bottega e per la casa di abitazione
da lui condotta; e l’altro Diritto, anch’ esso dell’artefice, acquistato per l’
avviamento della sua bottega, stimabile di prezzo dinanzi al padrone di quella,
perpetuo, e trasferibile in altrui, sì che il padrone doveva ristorarne il
conduttore, qualora il diritto di stanziare fosse per qualunque causa cessato,
ed egli se ne fosse valuto contro all’artefice per accomiatarlo.
Dec. Xii, to. Xi, Ombrosi, Flor. Intr.
® del 1671, in volg., cor. Caresecch
® ratio
®summarium ® importanza delle massime ® dànno regole e definizioni ® hanno tono latamente precettivo
® argumentum ® caso di specie ® in questo caso, società di grossiere, orefice secializzato in macro-oreficeria
nr. 3 – 7 ® rimanda e ricollega l’entratura al Diritto Comune statutario
avviamento
Si definisce
avviamento l'attitudine di un'azienda a produrre utili in misura superiore a
quella ordinaria, che derivi o da fattori specifici che, pur concorrendo
positivamente alla produzione del reddito ed essendosi formati nel tempo in
modo oneroso, non hanno un valore autonomo, ovvero da incrementi di valore che
il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei
singoli beni, in virtù dell'organizzazione dei beni in un sistema efficiente ed
idoneo a produrre utili.
quello che già nell’Ottocento, con acuta e densa espressione, Vincenzo Salvagnoli (in Pietro Verri, Scritti vari di Pietro Verri, ordinati da Giulio Carcano ; e preceduti da un saggio civile sopra l'autore per Vincenzo Salvagnoli, Firenze : Le Monnier, 1854, XXI ss.) definì come «il senno pratico» dei giuristi impegnati nel fòro.
nella cultura del diritto forense si approntarono e definirono quegli strumenti testuali e normativi si rivolsero a rendere più efficiente e concettualmente omogenea l’attività dei pratici del diritto.
Verso l’imputabilità ® la
critica del Cantini nella sua Illustrazione alle Provvisioni intorno
all'Offizio delli Capitani, Podestà, e Vicari, e altri Ministri di Giustizia
dello Stato Senese, del dì 1. Maggio 1590. ab Inc. (Cantini, Legisl. tosc., xiii, 132 ss.).
p.135b cpv. «Li podestà. E
Vicari …» ®
Lorenzo Cantini
critica il disposto provvisionale (Cantini,
Legisl. tosc., xiii, 137a, Illustrazione: così l’arresto avviene ex
mero arbitrio iudicis, non avviene ex providentia legis.
Lo schema feudale ® dazione reale causa liberalitatis della Gewere su una res con prestazione gratulatoria di ritorno
Denominazione del rapporto secondo
la specifica causa dationis
Denominazione varia dei titoli e dei rapporti
L’interpretazione delle singole situazioni reali comincia necessariamente da una disamina storica del titolo costitutivo
Prova critica e prova storica ® logica razionale e logica storica e fattuale
Non la proprietà come istituto razionale, perfetto ed astratto, ma la legittimazione concreta e reale, sulla base di un titolo positivo(scritto ® scritto = libello = livello
In una società di ordini e di ceti come quella medicea il sistema della molteplicità dei titoli reali ® delle differenti legittimazioni reali ® è consentaneo al sistema cetuale stesso
Ma la logica assolutista importata dai Lorena comincia a guardare alla massa dei sudditi come ad una massa di sudditi indifferenziatamente eguali di fronte al Principe
Si pongono le premesse per una unificazione dei titoli reali, almeno nei desiderata di sistemazione dottrinale e di certificazione istituzionale (modelli pandettarî)
Legge che proibisce il
passaggio de' Beni nelle Mani Morte del dì 11. Febbraio 1751.
Cantini, Legisl. tosc., xxvi,
314 ss., ill.®
Richecourt ®Francesco
Stefano d'Asburgo Lorena
Cantini, Legisl. tosc., xxix, 220 ss., Legge sopra le Mani Morte del dì 2. Marzo 1769 ® .Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena
Al § 24 ® affrancazione
Archivio Storico Italiano, V.a.serie, XXVIII – 1901
Pompeo Neri nel 1745 incaricato di fare una «rifusione generale» delle leggi di tutto lo Stato in un «codice simile a quello dei Savoia».
Joannis
Bonaventurae Neri Badia ... Decisiones
et responsa juris tomus primus (-secundus) - Florentiae : ex typographia Josephi Allegrini,
& soc., 1769-1776 - 2 v. ; fol.
® vol.
II, 498 ss. Discoso primo tenuto ai deputati alla compilazione di un nuovo
codice di leggi municipali della Toscana
® ibid.,515
ss. Discorso secondo tenuto nell’adunanza dei deputati alla compilazione di
un nuovo codice di leggi municipali della Toscana
p. 500b «Le leggi che presentemente vegliano in Toscana altre sono proprie, altre sono straniere, e dall’uso e consenso tacito ricevute.
Le leggi proprie della Toscana sono quelle che in differenti tempi sono state fatte dai Sovrani di Toscana per regolamento dei loro proprj Territorj e Governi».
La raccolta della normazione come «sistema delle divergenze parallele», per c.d.: fasci di precetti originanti da un centro di erogazione posto costantemente al vertice del sistema gerarchico dello Stato territoriale, ma ciascuno distintamente indirizzato nella propria peculiarità normativa
ibid. Analisi dello statuto fiorentino
gli statuti
delle comunità appendice dello statuto fiorentino
p. 501 descrizione degli Stati che compongono il Granducato
p. 511 ® perpetuità e universalità del Diritto Romano LEGGERE IL BRANO
«…le leggi di tutti gli altri popoli … consistono per lo più di una raccolta sterile di ordini particolari ..»
P. 537 Prospetto
della compilazione di un nuovo codice delle leggi municipali della Toscana
Il modello
è quello di una consolidazione
compilatoria e riordinatrice del sistema molteplice ed eterogenerato
nel tempo dei diversi complessi normativi aggregatisi ed instauratisi in
Toscana
Uno schema
che ritornerà nel tempo
La
dialettica costante sarà quella che opporrà Diritto Comune toscano ó
Codificazione
La posizione conservatrice di Pompeo Neri
sarà quella di un antirazionalismo (contrario a Leibniz e Domat, ad es.)
pufendorfiano ed imperativista ® la « legislazione frutto dei successivi
arbitri di legislatori occasionali, non … facilmente riconducibile ad ordine
razionale» (Tarello, 214).
Circa un secolo dopo
Prodromo del Gius civile del’avvocato Lorenzo Collini
Compilazione
del diritto civile di Luigi
Matteucci
Il governo
della restaurazione abroga il codice napoleonico
Solo Collini dimostra di pensare ad un modello codificatorio non eterointegrabile
Matteucci
pare ancora ricollegarsi a quei testi che nei casi omessi rinviavano ad altre
fonti
1808-1814 ® la Toscana, con
l’abolizione degli Statuti, diviene Stato monoterritoriale nazionale
1847 ®
motuproprio istitutivo della commissione per la realizzazione di un cod. civ. toscano
®
IL Cod. Civ. espressione dello «Stato di civiltà» della Toscana e
delle sue «condizioni sociali, morali ed economiche».
Ma anche
valeva l’alternativa romantica e storica della risistemazione del patrimonio
dei monumenti del diritto già esistente
L’intervento
riformatore di maggior rilievo ebbe ad oggetto l’ordine giudiziario e gli
status soggettivi del processo penale ®
vocazione giudiziaria del diritto toscano
nel 1786 il giovane sovrano della Toscana (Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena era nato nel 1747 ed aveva allora soltanto 39 anni), ammirato e celebrato da tutta l’Europa illuminista (ce ne ha parlato lungamente Franco Venturi), abolì proprio il 30 novembre e proprio in Pisa con suo provvedimento unilaterale e sovrano la tortura per uso di giustizia e la pena di morte:
tradizione civile della Toscana leopoldina e lorenese.
La tradizione di un «modo» d’esercizio del potere che non è prettamente toscana, ma peculiarmente illuministica, segnatamente lorenese e leopoldina.
La storia della Toscana è in realtà sanguinaria e crudele, fatta
® di vere e proprie faide (gli Statuti comunali che disciplinano l’istituto della vendetta tra famiglie),
® di congiure sedate nel sangue,
® di famiglie disperse
® e di brutali supplizi
i.
si pensi
® alla saga crudele della torre della Muda a Pisa [Ugolino della Gherardesca († 1289), Dante, Inf., XXXIII;
® all’esito sanguinoso della congiura dei Pazzi, con l’Arcivescovo fiorentino impiccato alla finestra del suo palazzo; il 26 aprile del 1478, quando l'arcivescovo Salviati, Iacopo e Franceschino dei Pazzi, che avevano congiurato contro Lorenzo dei Medici, furono impiccati pubblicamente ed a furor di popolo, il Salviati alla finestra stessa del palazzo vescovile;
® al supplizio di Pietro Paolo Boscoli, giustiziato nel giro di pochi minuti e senza processo nel 1513 insieme ad Agostino Capponi per aver ordito una congiura d’ispirazione repubblicana contro Giuliano, Giovanni e Giulio Medici;
® alle notizie secentesche degli «squarti» e dei supplizi a suon d’attanagliamenti roventi con piombo fuso nelle ferite, irrogati in territorio pisano come ultimi supplizi di delitti particolarmente esecrati
® al supplizio, l’ultimo in età settecentesca, inflitto nel Vicariato di Vico Pisano il 6 febbraio 1751, con “squarto, forca e confiscazione dei beni” per il delitto di stupro ed omicidio
Ed anche la vicina Lucchesia è stata una terra in cui la ghigliottina ‑ nelle piazze cittadine o sui terrapieni delle mura ‑ ha funzionato fino a poco prima del 1847, data dell’annessione lorenese.
Legge:
un’attività deliberativa di carattere unilaterale e sovrano, le leggi sono
sistemi di parole che vengoo immessi contemporaneamente sul mercato delle idee
e dei comportamenti ® questo interessa allo storico
che supera la trama
corporativa e consociativa delle deliberazioni concertate tra differenziati organi
giurisdizionali che era stata tipica del Jurisdiktionsstaat
mediceo:
il quadro di riferimento e la logica d’intervento
sono quelle del c.d. «Dispotismo illuminato» .
Il 1779 Progetto di costituzione non per classi ma basata sull’eguaglianza di tutti i sudditi-cittadini di fronte al sovrano
Analisi della leopoldina
14444442444443
esame e riforma della legislazione criminale
144444444444444444444444244444444443
ê
legislazione crudele ó anarchia dei bassi tempi
Il
Senso Implicito È Che La Crudeltà Delle Pene Svolge In Realtà Una Funzione
Compensatoria Dell’assenza, Dell’inefficienza, D’Un’adeguata Struttura
Istituzionale Di Coercizione Politica = il terrore supplisce soltanto al
difetto di autorità, all’assenza di Stato.
i°
PUNTO PROBLEMATICO:
La leopoldina è in realtà il segmento criminalistico di una più
complessa operazione di riconfigurazione del rapporto d’obbligazione politica
in Toscana
PIETRO LEOPOLDO STA RICONFIGURANDO LA PROPRIA SOVRANITÀ
· PROEMIO: LA PENA DI MORTE «NON NECESSARIA» PER IL FINE DELLA SOCIETÀ: IL FINE DELLA SOCIETÀ DIVIENE OGGETTO DELLE CURE ESCLUSIVE DEL SOVRANO : DAL BONUM COMMUNE CORPORATIVO AL BONUM PUBLICUM STATALE
·
§ 51:
«avendo considerato che l’oggetto della pena deve essere
la soddisfazione al privato ed al pubblico danno,
la correzione del reo, figlio anche esso della società e dello Stato, della di
cui emenda non può mai disperarsi,
la sicurezza, nei rei dei più gravi ed atroci delitti, che non restino in
libertà di commetterne altri,
e finalmente il pubblico esempio che il governo nella punizione dei delitti, e
nel servire agli oggetti ai quali questa è unicamente diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più
efficaci col minor male possibile al reo, che tale efficacia e moderazione
insieme si ottiene più che con la pena di morte, con la pena dei
lavori pubblici, i quali servono di un esempio continuato, e non di un momentaneo terrore che
spesso degenera in compassione, e tolgono la possibilità di
commettere nuovi delitti, e non la possibile speranza di veder tornare un
cittadino utile e corretto …».
· § 118 ®LACUNE, COLMABILI CON LE ALTRE LEGGI TOSCANE, MA SOLO SE COMPATIBILI
· § 119 ® IL GRANDUCA SI AVOCA, AVVERSO LE PREESISTENTI REALTÀ E PRIVILEGI CORPORATIVI, IL MONOPOLIO DELLA GRAZIA E DELLA GIUSTIZIA
SALMONOWICZ
PADOVANI ® CODICE DI PROCEDURA AL MODO DI UN’EMANAZIONE DI NORMATIVA COSTITUZIONALE
IO, NELLA LINEA DI
PADOVANI, DIREI CHE SI TRATTA DI UN REGOLAMENTO DI POLIZIA, RIVOLTO AL PARTITO DEL GRANDUCA, CIOè AI SUOI FUNZIONARI: NON CI SONO ANCÓRA
PARTITI POLITICI IN SENSO IDEOLOGICO, MA BLOCCHI DI SOSTEGNO DINASTICO
IL QUADRO STORICO POLITICO NON È QUELLO DI UNO STATO DI
DIRITTO , MA ANCÓRA QUELLO DEL JURISDIKTIONSSTAAT
Poi, il grande mutamento :
Il mutamento storico : 1789 Riv. Francese
Il mutamento dinastico : 1790 Pietro
Leopoldo d'Asburgo Lorena diviene imperatore d’Austria per la morte del
fratello Giuseppe II.
il mutamento del costume civile : 1790
fame e fede a livorno;
†
1792 Pietro Leopoldo muore.
concludendo: La questione della pena di morte
non è questione di folclore umanitario; ogni volta che essa viene agitata è
perché dietro di essa si muove il simulacro di un nuovo e diverso modello di
obbligazione politica.
Pompeo Neri nel 1745 incaricato di fare una «rifusione generale» delle leggi di tutto lo Stato in un «codice simile a quello dei Savoia».
Joannis Bonaventurae Neri Badia ... Decisiones et responsa juris tomus primus (-secundus) - Florentiae : ex typographia Josephi Allegrini, & soc., 1769-1776 - 2 v. ; fol.
® vol.
II, 498 ss. Discoso primo tenuto ai deputati alla compilazione di un nuovo
codice di leggi municipali della Toscana
® ibid.,515
ss. Discorso secondo tenuto nell’adunanza dei deputati alla compilazione di
un nuovo codice di leggi municipali della Toscana
p. 500b «Le leggi che presentemente vegliano in Toscana altre sono proprie, altre sono straniere, e dall’uso e consenso tacito ricevute.
Le leggi proprie della Toscana sono quelle che in differenti tempi sono state fatte dai Sovrani di Toscana per regolamento dei loro proprj Territorj e Governi».
La raccolta della normazione come «sistema delle divergenze parallele», per c.d.: fasci di precetti originanti da un centro di erogazione posto costantemente al vertice del sistema gerarchico dello Stato territoriale, ma ciascuno distintamente indirizzato nella propria peculiarità normativa
ibid. Analisi dello statuto fiorentino
gli
statuti delle comunità appendice dello statuto fiorentino
p. 501 descrizione degli Stati che compongono il Granducato
p. 511 ® perpetuità e universalità del Diritto Romano LEGGERE IL BRANO
«…le leggi di tutti gli altri popoli … consistono per lo più di una raccolta sterile di ordini particolari ..»
P.
537 Prospetto della compilazione di un nuovo codice delle leggi municipali
della Toscana
Il
modello è quello di una consolidazione compilatoria e riordinatrice del
sistema molteplice ed eterogenerato nel tempo dei diversi complessi normativi
aggregatisi ed instauratisi in Toscana
Uno
schema che ritornerà nel tempo
La
dialettica costante sarà quella che opporrà Diritto Comune toscano ó Codificazione
La posizione conservatrice di Pompeo Neri sarà quella di un
antirazionalismo (contrario a Leibniz e Domat, ad es.) pufendorfiano ed
imperativista ® la « legislazione frutto dei successivi arbitri di
legislatori occasionali, non … facilmente riconducibile ad ordine razionale»
(Tarello, 214).
Circa un secolo dopo
Prodromo del Gius civile del’avvocato Lorenzo Collini
Compilazione
del diritto civile di Luigi Matteucci
Il
governo della restaurazione abroga il codice napoleonico
Solo
Collini dimostra di pensare ad un modello codificatorio non eterointegrabile
Matteucci
pare ancora ricollegarsi a quei testi che nei casi omessi rinviavano ad altre
fonti
1808-1814
®
la Toscana, con l’abolizione degli Statuti, diviene Stato monoterritoriale nazionale
1847
®
motuproprio istitutivo della commissione per la realizzazione di un cod. civ.
toscano ®
IL Cod. Civ. espressione dello «Stato di civiltà» della Toscana e delle sue
«condizioni sociali, mrali ed economiche».
Ma
anche valeva l’alternativa romantica e storica della risistemazione del
patrimonio dei monumenti del diritto già esistente
L’intervento
riformatore di maggior rilievo ebbe ad oggetto l’ordine giudiziarioe gli status
soggettivi del processo penale ® vocazione giudiziaria del
diritto toscano
L'appendix di Nicolò Salvetti, nel mentre rileva le mutazioni di quadro istituzionale indotte rispetto koll quadro statutario dalla normazione riformatrice pietroleopoldina, dà anche conto - di fatto - di come tali mutazioni inducessero una vera e propria riforma di stampo costituzionale
® non è una codificazione nel vero
senso della parola, perché si propone come testo eterointegrabile.
Il governo della Restaurazione abrogò immediatamente il Codice Napoleonico.
Ma si ha, comunque,una unificazione del territorio nazionale con l’acquisita,definitiva abolizione degli Statuti cittadini.
Il quadro era ancora quello delle leggi civili leopoldine.
Colao ® «la codificazione non è stata pensata in Toscana come strumento di “progresso civile”» (p.3).
Il Codice Napoleonico, del resto, come si è visto, venne in un primo tempo almeno considerato dalla giurisprudenza di merito della Corte d’Appello fiorentina (ex Rota), conme una sorta di Diritto Comune dell’Impero francese.
Ruolo tradizionalmente centrale in
Toscana dell’interpretatio
6 maggio 1847 ® legge sulla stampa ® resta la censura preventiva, ma si autorizza la pubblicazione di giornali anche a carattere politico.
24 agosto 1847 ® si ampliano i poteri della Consulta di Stato ® funzioni latamente costituzionali
4 settembre 1847 ® concessa la Guardia civica
31 gennaio 1848 ® nominata commissione ® Niccolò Lami, Gino Capponi, Leonida Landucci, Pietro Capei e Leopoldo Galeotti ® «al nobile E giusto fine di dotare gradatamente il paese di istituzioni che per il loro carattere eminentemente pratico e nazionale contribuir potranno alla causa generale dell’unione e indipendenza italiana».
9 Schema di massima:
9 ® senato di nomina regia
9 ® consiglio generale elettivo biennale
9 ® ambedue investiti di funzioni sia consultive che deliberative
11 febbraio 1848 ® manifestazioni polari a Pisa ® MP granducale con l’impegno a concedere istituzioni rappresentative ® Rappresentanza nazionale
12 febbraio 1848 ® Bettino Ricasoli, a capo ed a nome della Magistratura civica fiorentina, chiede in un pubblico indirizzo al Granduca l’emanazione di un statuto costituzionale;
® il potere legislativo sia collettivamente esercitato dal Principe e dalle due Camere ® introduzione del sistema rappresentativo.
Statuto ispirato alla Charte francese del 1830 ® promulgato il 15 febbraio 1848
15 giugno 1848 ® elezioni
26 giugno si apre il nuovo Parlamento toscano
3 novembre 1848 ® il ministero Montanelli scioglie il Parlamento appena eletto
23 novembre 1848 ® nuove elezioni
10 gennaio 1849 ® si riunisce in Firenze il secondo Parlamento costituzionale
22 gennaio 1849 Montanelli presenta al Parlamento toscano presenta un progetto di legge per la convocazione di una costituente italiana
7 febbraio 1849 ® Leopoldo II fugge a Porto Santo Stefano e poi a Gaeta
8 febbraio 1849 proclamazione a Firenze del Governo provvisorio
10 febbraio 1849 ® abolito il Senato
® unica assemblea costituente di 120 membri
L’assemblea costituente avrebbe tentato di riunirsi ma, dopo la sconfitta di Novara e lp’invasione di Firenze da parte di masse di contadini inneggianti al Granduca, l’esperimento costituzionale si interrompeva e si costituiva un nuovo Governo provvisorio legittimista
28 luglio 1849 rientro del Granduca a Firenze e suo Governo costituzionale
ma:
21 settembre 1850 ® disciolto il consiglio generale ed assunzione di tutti i poteri da parte del Granduca
6 maggio 1852 ® abolizione dello statuto
«Noi Leopoldo II
Ec. Ec.
Dal giorno in cui piacque alla Divina Provvidenza che
Noi fossimo chiamati a governare uno Stato distinto per tanta civiltà, e
illustrato da tante glorie, la concordia non mai smentita e la fiducia che in
Noi posero i Nostri amatissimi popoli formarono sempre la gioia del Nostro
cuore e la felicità della comune patria.
Intesi Noi a promuovere ogni prosperità dello Stato
per via di quelle riforme economiche e civili alle quali attendemmo con zelo indefesso
per tutto il corso del governo nostro, il Cielo benedisse le nostre cure in tal
modo che ne fosse dato di giungere a questo per noi faustissimo giorno, senza
che alcuna perturbazione togliendo la possibilità di operare il bene pubblico,
rendesse necessario il ricorrere alla istituzione di nuove forme politiche.
Alle quali ora muove l'animo nostro il desiderio di
adempiere con ferma, costante, e deliberata volontà quel proposito che fu da
noi annunziato precedentemente ai nostri sudditi amatissimi, e di procurare ad
essi, ora che il tempo ne è giunto, quella maggiore ampiezza di vita civile e
politica alla quale è chiamata l'Italia, in questa solenne inaugurazione del
nazionale risorgimento.
Né tale pensiero sorge nuovo nel petto nostro, siccome
non fu ignoto a quello del padre nostro e dell'avo, dei quali il governo ebbe
gloria dal procedere sempre coi tempi o antivenirli: né le istituzioni novelle
che a noi piace il concedere tali sono, che non si conformino alle abitudini di
tutta la vita nostra o alle tradizioni della Toscana, cultrice antica di ogni
sapere.
Il compiuto sistema di governo rappresentativo che noi
veniamo in questo giorno a fondare, è prova della fiducia da Noi posta nel
senno e nella compiuta maturità dei Popoli Nostri a dividere con Noi il peso di
quei doveri, dei quali possiamo con intiera sicurezza confidare che sia tanto
vivo il sentimento nel cuore de' nostri popoli, quanto è e fu sempre nella
coscienza del loro principe e padre.
Questo preghiamo da Dio, rafforzando la preghiera
nostra di quella benedizione che il Pontefice della Cristianità, spandeva
poc'anzi sull'Italia tutta, e nella fiducia del Nostro voto promulghiamo il
seguente statuto fondamentale, col quale veniamo a dare nuova forma al governo
dello Stato ed a formare la sorte della diletta nostra Toscana.
Titolo I
DIRITTO PUBBLICO DEI TOSCANI
art. 1 - La religione cattolica, apostolica e
romana è la sola dello Stato.
Gli altri culti ora esistenti sono permessi
conformemente alle leggi.
art. 2 - I Toscani, qualunque sia il culto che
esercitano, sono tutti eguali al cospetto della legge, contribuiscono
indistintamente agli aggravi dello Stato in proporzione degli averi, e sono
tutti egualmente ammissibili agl'impieghi civili e militari.
art. 3 - Niuno impedimento alla libertà personale
può essere posto, se non nei casi e colle forme prescritte dalla legge.
art. 4 - Nessuno potrà essere chiamato ad altro
foro, che a quello espressamente determinato dalla legge. Non potranno perciò
esistere Commissioni o Tribunali straordinari sotto qualsivoglia denominazione
o per qualunque titolo.
art. 5 - La stampa è libera, ma soggetta ad una
legge repressiva.
Le opere per altro che trattano ex
professo di materie religiose saranno soggette a censura preventiva.
art. 6 - La libertà del commercio e
dell'industria sono principii fondamentali del diritto economico dello Stato.
Le leggi delle manimorte sono conservate ed estese a
tutto il Granducato.
art. 7 - I principi fondamentali dell'ordinamento
Municipale sono mantenuti nella loro piena integrità.
art. 8 - Tutte le proprietà sono inviolabili,
salvo il caso di espropriazione per causa di utilità pubblica comprovata
legalmente, e previa indennità.
art. 9 - Anche la proprietà, letteraria è
mantenuta e guarentita.
art. 10 - La Guardia civica è mantenuta
istituzione dello Stato a norma della legge organica.
Titolo II
PRINCIPI FONDAMENTALI
DEL GOVERNO TOSCANO
art. 11 - Le leggi dell'arruolamento militare
sono obbligatorie per tutti i cittadini.
art. 12 - La persona del Granduca è inviolabile e
sacra.
art. 13 - Al solo Granduca appartiene il potere
esecutivo: Egli è il capo supremo dello Stato. Egli comanda tutte le forze di
terra e di mare, dichiara la guerra, fa i trattati di pace, di alleanza e di
commercio; nomina a tutti gl'impieghi giudiziari, governativi, amministrativi e
militari; mantiene col mezzo de' suoi rappresentanti le relazioni colle potenze
estere, e provvede con Motupropri e Regolamenti alla esecuzione delle leggi,
senza mai sospenderle o dispensare dall'osservanza di esse.
art. 14 - Nessuna truppa straniera potrà essere
chiamata al servizio dello Stato, se non in virtù di una legge.
art. 15 - Il solo Granduca sanziona le leggi e le
promulga.
art. 16 - Le leggi e gli atti del Governo non
hanno vigore, se non sono muniti della firma di uno dei Ministri.
I ministri sono risponsabili.
art. 17 - Il potere legislativo sarà
collettivamente esercitato dal Granduca e da due Assemblee deliberanti, che
sono il Senato, ed il Consiglio generale.
Il Granduca può sciogliere il Consiglio generale: convoca
il nuovo Consiglio dentro tre mesi.
art. 18 - La proposta delle leggi appartiene al
Granduca, ed a ciascuna delle due assemblee.
art. 19 - La giustizia deriva dal Granduca, ed è
amministrata da giudici ch'egli nomina ed istituisce.
Egli può far grazia e commutar le pene.
art. 20 - I giudici nominati dal Granduca,
eccetto quelli dei tribunali minori sono inamovibili dopo che avranno
esercitate le loro funzioni per lo spazio di tre anni.
art. 21 - La pubblicità dei giudizii è mantenuta.
L'ordinamento dei tribunali non può essere alterato,
fuorché per legge.
art. 22 - L'integrità del territorio Toscano è
mantenuta. Lo Stato conserva la sua bandiera e i suoi colori.
Titolo III
DELLE ASSEMBLEE LEGISLATIVE
art. 23 - Le due Assemblee legislative si
radunano in Firenze ciascun anno.
1. - Del Senato
art. 24 - Il Senato è composto di senatori
nominati a vita dal Granduca. Il loro ufficio è gratuito. Il loro numero non è
limitato. Dovranno essi avere l'età di trent'anni compiti.
art. 25 - I Principi Toscani della famiglia
regnante giunti all'età di anni 25 compiti siedono di diritto nel Senato. Danno
voto all'età di 25 anni compiti.
art. 26 - Il Granduca nomina i senatori tra
gl'individui compresi nelle seguenti categorie:
Gli Arcivescovi e Vescovi della Toscana, il Presidente
e il Vicepresidente del Consiglio generale e i Deputati al medesimo dopo che vi
abbiano risieduto sei anni;
Il Presidente, i Vicepresidenti e i Giudici della
Corte di cassazione e delle Corti regie, e i Procuratori e Avvocati generali
presso le medesime;
I Professori delle Università toscane;Le persone che
occupano o hanno occupato gradi eminenti nell'ordine governativo e militare;
I grandi proprietari di suolo, ed i principali
commercianti, capitalisti ed industriali;
E finalmente coloro che per servigi resi alla patria
sieno d'essa benemeriti; o che l'abbian illustrata.
art. 27 - L'atto di nomina di ciascun Senatore fa
menzione dei servigi e dei titoli sui quali è fondata.
2. - Del Consiglio generale
art. 28 - Il Consiglio generale si compone di
ottantasei Deputati eletti dai Collegi che saranno determinati per distretto
dalla legge elettorale, la quale farà parte integrante del presente Statuto
fondamentale.
art. 29 - L'ufficio dei Deputati è gratuito,
salvo una modica indennità che dai Comuni del distretto elettorale venga
commessa ai Deputati non residenti nella capitale, e per il solo tempo della
sessione.
art. 30 - Il possesso, la capacità, il commercio,
l'industria conferiscono al cittadino toscano il diritto di essere elettore ai
termini e coi requisiti della legge elettorale sopra indicata.
art. 31 - Ogni elettore al Consiglio generale è
eleggibile al medesimo, purché abbia l'età di 50 anni compiti, e possesso o
dimora stabile nel distretto elettorale.
art. 32 - I Deputati sono eletti per quattro
anni: usciti di uffizio potranno essere rieletti.
art. 33 - I Collegi elettorali si radunano per
convocazione fatta dal Granduca.
Il Gonfaloniere del capoluogo nel distretto elettorale
presiede di diritto il Collegio elettorale.
art. 34 - Il Consiglio generale è la sola
autorità competente a giudicare intorno alla validità, della elezione dei
Deputati eletti a comporlo.
3. - Dei membri delle due Assemblee
art. 35 - Nessuno dei membri delle due Assemblee
durante la sessione, e tre settimane avanti e tre dopo, può essere catturato
per debiti; non può essere arrestato o tradotto in giudizio criminale durante
la sessione, se non previo l'assenso dell'Assemblea cui fa parte: si eccettua
il caso di delitto flagrante.
art. 36 - I Senatori ed i Deputati sono
inviolabili per le opinioni emesse e per i voti dati nelle Assemblee.
art. 37 - Allorché un deputato al Consiglio
generale durante il tempo del suo ufficio perde le qualità che lo rendevano
eleggibile, l'Assemblea, udite le sue deduzioni lo decreta decaduto.
art. 38 - Il Senato nel caso stesso e nello
stesso modo deferisce al Granduca la cognizione del fatto, provoca il decreto
di esclusione.
art. 39 - Se il Deputato rinunzia o cessa
l'uffizio per morte, per decadenza, per avere ottato ad altra rappresentanza, o
se accetta dal Governo qualche uffizio salariato, il Collegio ch'egli
rappresentava sarà, immediatamente convocato per fare nuova elezione.
La cessazione per causa di accettato uffizio non fa
divieto alla rielezione.
Titolo IV
CONVOCAZIONE, APERTURA DELLE
DUE ASSEMBLEE E FORMA DELLE ADUNANZE
art. 40 - La convocazione delle due Assemblee è
fatta dal Granduca. Le sessioni loro cominciano e finiscono nel tempo stesso.
art. 41 - Nessuna delle due assemblee potrà
separatamente radunarsi, né validamente deliberare per qualsivoglia motivo,
fuori del tempo della sessione, salvo quanto al Senato il disposto
dell'art. 62.
art. 42 - Il Granduca apre in persona, o per
mezzo d'un commissario la sessione delle due assemblee in quella sola occasione
riunite.
art. 43 - Il Granduca ha diritto d'interrompere
la durata della sessione, e può convocare straordinariamente in due assemblee.
art. 44 - Le adunanze delle due assemblee sono
pubbliche. Ma sulla domanda di 3 membri potranno costituirsi in adunanza
segreta.
Gli atti delle assemblee saranno pubblicati a cura di
ciascuna di esse.
art. 45 - Il Granduca nomina il presidente e il
vice-presidente del Senato.
Il Consiglio generale elegge per ogni sessione il suo
presidente e vice-presidente a schede segrete ed a maggiorità assoluta di
suffragi.
art. 46 - I Senatori ed i Deputati, innanzi di
sedere la prima volta nell'assemblea cui sono ammessi, prestano nelle mani del
rispettivo presidente il giuramento con questa formula:
‹‹Giuro di osservare inviolabilmente lo Statuto
fondamentale e tutte le leggi dello Stato, e prometto di adempiere l'ufficio
mio con verità, e giustizia, provvedendo in ogni cosa al bene inseparabile
della Patria e del Principe. Così Dio mi aiuti››.
art. 47 - Le adunanze delle due assemblee sono
legali, e le deliberazioni valide, colla presenza e col voto della metà più uno
dei membri, che le compongono.
art. 48 - Le deliberazioni delle due assemblee
sono a maggiorità di suffragi.
Le due assemblee compileranno ciascuna il proprio
regolamento.
Titolo V
POTERI DELLE DUE ASSEMBLEE
art. 49 - Il Senato ed il Consiglio generale
concorrono insieme col Granduca alla formazione delle leggi, ed
all'interpretazione autentica di esse.
Le leggi non hanno autorità, quando non sieno state
discusse e votate liberamente da ognuna delle due assemblee.
art. 50 - Le proposte di leggi possono dal
ministro venire trasmesse indistintamente all'una o all'altra assemblea, salvo
il disposto dell'art. 52.
art. 51 - Nessun tributo potrà essere imposto o
riscosso, se non consentito dalle due assemblee e sanzionato dal Granduca.
art. 52 - Saranno presentati alla deliberazione e
al voto del Consiglio generale prima che al voto del Senato :
1° Il bilancio preventivo e consuntivo d'ogni anno.
2° Le leggi statuenti creazione, liquidazione e
pagamento dei debiti dello Stato.
3° Le leggi statuenti accrescimento d'imposta,
alienazione di beni e rendite dello Stato.
art. 53 - L'imposta diretta è consentita per un
anno; le imposte indirette potranno essere stabilite per più anni.
art. 54 - Ogni proposta di legge deve essere
prima esaminata nelle sessioni in cui si divideranno le assemblee per i lavori
preparatorii: discussa e approvata da un'assemblea, sarà trasmessa alla
discussione e approvazione dell'altra, e quando sia vinta in ambedue sarà presentata
alla sanzione del Granduca.
art. 55 - Quelle proposte che sieno rigettate da
una delle due assemblee, o alle quali il Granduca nieghi sanzione, non potranno
essere riprodotte nel corso della sessione.
art. 56 - Le proposte del governo saranno prima
di ogni altra discusse ed approvate dalle assemblee.
art. 57 - Ogni cittadino giunto all'età di 21
anni ha il diritto e facoltà libera d'inviare all'una e all'altra assemblea
petizioni e rimostranze.
L'assemblea, dietro l'esame e rapporti di una Commissione
tratta dal suo seno, discute se debba accogliere le anzidette petizioni e
rimostranze, e quando sembri opportuno ne decreta il rinvio al ministero cui
riguardano.
Le petizioni e rimostranze però non potranno essere
mai presentate personalmente alle assemblee.
art. 58 - Le assemblee non ricevono deputazioni,
né ascoltano, fuori dei loro propri membri, altro che i ministri o commissarii
che il governo inviasse loro per la discussione delle leggi.
art. 59 - Inviano al principe deputazioni nei
casi e colle forme prescritte dal regolamento. Corrispondono tra loro e col
ministero per via di messaggio.
Titolo VI
DEI MINISTRI
art. 60 - I ministri possono essere membri del
Senato e del Consiglio generale.
art. 61 - I ministri, o commissarii che ne
tengono le veci, hanno libero accesso in ambedue le assemblee, hanno diritto di
esservi ascoltati ad ogni richiesta loro: hanno l'obbligo, quando sieno
invitati, a dare gli schiarimenti, che all'assemblea sembrassero opportuni.
art. 62 - Il diritto di accusare i ministri
appartiene al Consiglio generale; quello di giudicarli, al Senato. Una legge
determinerà i casi delle responsabilità dei ministri, le pene, le forme
dell'accusa e del giudizio.
Titolo VII
LISTA CIVILE
art. 63 - La dotazione della corona è fissata per
tutta la durata del regno dalla prima assemblea del Senato e del Consiglio
generale dopo l'avvenimento al trono del Granduca.
art. 64 - Durante il regno del Granduca attuale è
mantenuta alla regia corte l'annua assegnazione della quale è ora dotata,
nonostante la caduta deversione di Lucca al Granducato e la conseguente perdita
delle signorie di Boemia.
art. 65 - Oltre questa assegnazione continuerà
alla Real Corte l'uso dei regii palazzi, ville e giardini annessi. Il loro
mantenimento e miglioramento rimarrà a carico dello Stato, che vi provvederà,
con gli assegnamenti da portarsi annualmente nei bilanci preventivi, se pure
non venga in seguito stabilito fra lo Stato e la Real Corte l'affrancazione di
quest'onere.
art. 66 - Quando il R. Principe ereditario toccherà
l'età maggiore, gli sarà assegnata a carico dello Stato un'annua rendita, colla
quale sia provvisto al dignitoso di lui mantenimento.
art. 67 - Oltre i beni che il Granduca
attualmente possiede in proprio, formeranno il privato suo patrimonio ancora quelli
che potesse in seguito acquistare a titolo oneroso o gratuito durante il suo
regno.
art. 68 - Il Granduca può disporre del suo
patrimonio privato sia per atti fra i vivi, sia per testamento, senza essere
tenuto alle regole delle leggi civili dello Stato che limitano la quantità,
disponibile.
art. 69 - I possessi che costituiscono il
patrimonio privato del Granduca sono, salvo la premessa eccezione, sottomessi a
tutte le leggi che regolano le altre proprietà.
TITOLO VIII
DISPOSIZIONI GENERALI
art. 70 - La nobiltà toscana è conservata colle
sue onorificenze.
La creazione di nuovi nobili appartiene al Granduca.
art. 71 - È conservato l'ordine sacro e militare
di Santo Stefano Papa e martire colle sue prerogative, dotazioni e statuti.
art. 72 - L'ordine del merito sotto il titolo di
S. Giuseppe è pure conservato col suo statuto.
art. 73 - Il Granduca ha il diritto d'istituire
nuovi ordini, e ne decreta gli statuti.
art. 74 - La collazione di tutti i benefizii di
patronati regii, o pertinenti al patrimonio della corona, e l'esercizio dei
diritti che ne dipendono, spettano al Granduca.
art. 75 - Ogni nuovo regno s'inizia col
giuramento di mantenere lo Statuto fondamentale. Questo giuramento si presta
davanti alle due Assemblee riunite.
art. 76 - I debiti dello Stato sono guarentiti;
rimangono ferme le obbligazioni contratte a favore dei terzi, non escluse le
pensioni già stabilite.
art. 77 - Tutte le leggi e regolamenti che non
sieno contrarii al presente Statuto fondamentale ritengono sempre il loro pieno
vigore.
art. 78 - Il presente Statuto fondamentale, e
tutti i diritti e poteri da esso sanciti, sono affidati alla lealtà, al
patriottismo, al coraggio della guardia civica, e di tutt'i cittadini toscani.
Titolo IX
DISPOSIZIONI TRANSITORIE
art. 79 - Il Granduca mentre istituisce fin d'ora
un Consiglio di Stato, del quale saranno in breve stabilite le attribuzioni, e
mentre provvederà anche alla regolare distribuzione degli Uffizii ministeriali,
si riserva a promulgare le leggi necessarie a costituire il potere esecutivo in
conformità, dei principii stabiliti nel titolo primo, non meno che alla pronta
e sollecita esecuzione del presente Statuto fondamentale e più specialmente:
1° La legge elettorale che sarà parte integrante del
presente statuto;
2° La legge sulla stampa;
3° La legge organica dei governi ed amministrazioni
compartimentali, e delle loro attribuzioni;
4° La legge preordinata ad estendere al territorio
lucchese la legislazione vegliante nel granducato.
art. 80 - Saranno presentate alla deliberazione
delle Assemblee legislative:
1° La proposta di legge sulle istituzioni municipali e
compartimentali fondate sopra il sistema elettivo;
2° La proposta di legge sulla istruzione publica;
3° Le proposte di legge sulla responsabilità dei
ministri;
4° La proposta di legge sui publici funzionarii;
5° La proposta di legge sulla espropriazione forzata
per causa di publica utilità.
art. 81 - Alla prima sessione legislativa saranno
presentati il bilancio preventivo del 1849 ed il bilancio consuntivo del 1849.
art. 82 - Il presente Statuto fondamentale sarà
messo in vigore alla prima convocazione delle assemblee legislative, che avrà
luogo appena compiute le elezioni.
art. 83 - I ministri sono incaricati e
responsabili della esecuzione e della piena osservanza delle presenti
disposizioni sovrane.
Dato il 15 febbraio 1848
Leopoldo
Visto : Il Consigliere segretario di stato, primo
direttore delle R.R. segreterie
F. Cempini
Visto : Il consigliere direttore del dipartimento di
stato
C. Ridolfi
Visto : Il consigliere direttore del dipartimento di
grazia e giustizia
B. Bartalini
Visto : Il Consigliere ministro degli affari esteri, e
direttore del dipartimento della guerra
L. Serristori
Visto : Il consigliere direttore del dipartimento
delle regie finanze
G. Baldasseroni»
®
razionalizzazione del ius puniendi
® principio di legalità ® in triplice articolazione
1. riserva di legge
2. tassatività
3. retroattività (art. 1)
® predeterminazione delle pene, sia nella specie, sia nella durata
® evidente sforzo di tipizzazione delle fattispecie nella parte speciale ® sono assenti concetti vaghi ® art. 98: attentato: sono necessarî «atti esecutivi prossimi» (materialmente e storicamente contigui al delitto), non bastando quei semplici atti «diretti» (teleologicamente indirizzati), cui più genericamente accenna ancora la normativa vigente del Codice Rocco
® è accolto il principio della materialità del fatto («nullum crimen, nulla poena, sine actione») ® art. 1 ® dominio dei fatti e non dell’etica (non vale la cogitatio) ® azione ed anche omissione
principio di offensività del fatto ® si considera reato solo ciò che offende o lede il bene giuridico ® tentativo punibile e delitti di attentato ® ancorati ad una concezione oggettivistica del reato come offesa
Accoglimento del principio di imputabilità-colpevolezza ® si richiede il dolo come regola e la colpa come eccezione
è contemplata
ma dopo la cacciata dei Lorena, come primo provvedimento del governo provvisorio viene pubblicato un decreto che abolisce puramente e semplicemente la pena di morte
sicché, sotto questo peculiare profilo del sistema delle pene, esistono in realtà due codici penali toscani ® quello lorenese, e quello italiano, pre-unitario
1)
DIFESA SOCIALE ® sistema a binario unico, ove l’ ® imputabilità
[cioè la condizione soggettiva personale, lo status in una parola, alla
cui sussistenza è subordinata la punibilità dell’autore di un reato: è una sorta
di condizione soggettiva fissata dall’ordinamento, a che abbiano vigore le sue
comminatorie punitive] si lega immediatamente e necessariamente alla ®colpevolezza ed
all’irrogazione della ® pena;
la società
resta in tal modo indifesa contro i delinquenti pericolosi imputabili: ad es.,
non prevede alcuna misura di sicurezza nei confronti dei maggiorenni infermi di
mente (art. 34 ss.)
2)
Pena ® funzione retributiva o, al più, generalpreventiva ® la pena è commisurata solo
alla colpevolezza
(circostanze del fatto, gravità dell’offesa, malvagità e forza della volontà) e
non anche alla capacità di delinquere,
concetto ancora ignorato
3)
la stessa recidiva
è considerata in funzione retrospettiva, quale espressione e
retribuzione di una più intensa colpevolezza, accresciuta ed aggravata dal
fatto della reiterazione nel tempo del medesimo reato, anziché essere
considerata in funzione prognostico-preventiva, cioè come sanzione della
propensione a reiterare in futuro una condotta già tenuta in svariate occasioni
in passato.
4)
inderogabilità dela pena ® il Codice Penale toscano non conosce misure quali la SOSPENSIONE
CONDIZIONALE DELLA PENA
5)
profilo politico-sociale ® è abbandonato l’afflato
individualistico delle normative illuministiche ®il codice si apre con i Delitti
contro lo Stato , seguiti dai Delitti contro la collettività e poi
dai Delitti contro la persona.
I fatti sono
ben noti: il 5 ottobre 1847, per anticipata rinunzia alla sovranità sul piccolo
Ducato di Lucca da parte del dissipato e neghittoso Duca Carlo Lodovico di
Borbone[24] –
sulla base degli accordi a suo tempo intercorsi nel quadro del Congresso di
Vienna del 1815[25]
–, quell’antico dominio cittadino veniva definitivamente devoluto alla corona
granducale toscana[26].
Era la fine
di uno Stato di secolare ed illustre tradizione[27], che
interveniva nell’allora agitato quadro politico toscano, a proporre per il
Granducato lorenese temi non solo di semplice espansione territoriale e di
conseguente riorganizzazione amministrativa[28], ma
anche di complessiva strategia costituzionale e politica.
S’intuiva,
infatti, nel quadro complessivo dell’affaire lucchese, un manifesto e preordinato moto dei circoli
riformatori liberali, che ora s’indirizzavano consapevolmente a caricare di
significati politici l’opportunità loro fornita da quella vicenda in apparenza
soltanto occasionale, che a prima vista sembrava essere esclusivamente di mèro
adempimento contrattuale, e di semplice esecuzione del particolare capitolato lucchese degli accordi del Congresso
di Vienna.
Un moto che
vedeva in primo luogo attivo il fiorentino avvocato liberale Vincenzo
Salvagnoli[29],
il quale per tempo si era pubblicamente e consapevolmente impegnato a favore
dell’annessione di Lucca al Granducato lorenese.
In tale
circostanza egli, infatti, era entrato risolutamente nel dibattito in corso con
un suo breve libello Sulla Monarchia nel Ducato di Lucca[30],
confezionato quasi al modo di una memoria giudiziale: ove avrebbe esposto e
dimostrato, con circostanziati argomenti giuridici, «la natura temperata della
Monarchia lucchese»[31], in
espressa contraddizione politica con le pretese ed i moti assolutisti del Duca
Carlo Lodovico, il quale aveva invece a sé rivendicato, in quanto «Sovrano e
Padre» dei suoi sudditi, il diritto, a lui solo competente, «di custodire … la
pubblica tranquillità» nel dominio di Lucca [32].
Degli
innegabili costi sociali e dei rischi politici connessi all’intera operazione
della reversione del Ducato lucchese
s’avvedeva poi, con costernata lucidità, un altro avvocato, che allora si stava
velocemente affermando in Lucca, sia a livello professionale che scientifico,
il quale era legato al Salvagnoli anche da significativi ed intensi rapporti
professionali[33]:
il criminalista lucchese
Francesco Carrara[34], il
quale in quel momento giocava anche l’importante ruolo di referente politico di
Salvagnoli in Lucca.
Appunto in
tale veste – in un accorato e vivace carteggio da lui scambiato, tra Lucca e
Firenze, con lo stesso Vincenzo Salvagnoli – Francesco Carrara dipingeva
all’amico fiorentino il complicato e sostanzialmente deteriorato quadro sociale
dell’annettenda provincia lucchese, tratteggiando i contorni, a tratti persino
inquietanti, di una popolazione potenzialmente irrequieta e bisognosa,
comunque, di uno stretto e continuo controllo politico.
Era, perciò,
assolutamente necessario, sosteneva il Carrara, che da parte toscana si avesse
l’accortezza tattica di non mortificare platealmente ed immediatamente
l’identità civile di quelle antiche popolazioni, in modo che non fosse enfatizzato – agli
occhi soprattutto del «contadiname»[35]
lucchese -– il declassamento territoriale e cittadino che Lucca inevitabilmente
avrebbe subìto con la sua riduzione a provincia dello Stato granducale
lorenese.
Occorreva
infine, che nemmeno si provasse ad usare, per quei nuovi territori granducali,
l’infelice termine appunto di provincia:
«perché il popolo ignaro
attacca talvolta più importanza alla parola che alla cosa – sosteneva in particolare
il Carrara[36] –. Perché
tra noi la parola provincia rammenta una pagina di dolore nella storia
nostra; rammenta il 1816 e 1817, due anni di dominazione tedesca[37];
rammenta quelle bianche uniformi che andavano a manomettere i casolari dei
nostri contadini; rammenta la fame per cui un terzo dei poveri ne morirono;
rammenta le petecchie e la peste per cui i genitori infermi si strappavano ai
figli per sotterrarli vivi (autentica) nei cimiterj dei lazzaretti;
rammenta infine una serie di guai, i quali V.S. ed io sappiamo bene che non
hanno nulla che fare con quella parola, ma che pel contadiname nostro (mezzo
secolo indietro di quello toscano) si presentano come la conseguenza immediata
di quella malaugurata denominazione. Ora dico io: Lucca è provincia, deve
esserlo, è bene che lo sia, e lo sarà eternamente: ma che bisogno vi è pel
Governo Toscano di dirlo tondo tondo, e affiggerlo sui canti? Al Governo deve
interessare la sostanza, e non il linguaggio; e se una parola sa che suscita
nei nuovi sudditi delle tristi idee, gli mancano sinonimi nel dizionario? Ciò
sia detto in proposito delle idee pregiudicate del volgo nostro …»[38].
La sostanza
era, in definitiva, che Lucca diveniva adesso, insieme a tutto il suo Contado,
parte di uno Stato superiore: cessava di essere territorio nel senso
tradizionale del Diritto Comune[39], e
diveniva parte (provincia, appunto) di un territorio unico nazionale: non più ente
giurisdizionale individuo ed infungibile, ma parte strutturalmente integrata
di un complesso politico statale.
In effetti,
fu proprio così.
La reversione,
per anticipata che fosse, non si caratterizzò soltanto come una mera questione
di semplice agrandissement territoriale; ovvero, così come l’aveva
configurata formalmente il Trattato di Vienna – usando espressamente il
termine «reversione»[40] per
qualificare il titolo di tale trasferimento territoriale –, come un acquisto di
natura quasi feudale e personale del Granduca di Toscana stesso[41]: il
frutto, insomma, di una sorta di diplomatica e privata partita di giro,
condotta esclusivamente tra Principi.
In realtà,
essa non fu mai intesa come un accadimento soltanto personale, ma divenne da
subito – agli occhi di tutti – una vicenda a rilevanza in primo luogo politica
e statale: l’occasione di un complessivo mutamento strutturale e qualitativo
dell’intero quadro costituzionale del Granducato.
Bisognava,
dunque, mettere a punto e portare ad effetto una strategia di accoglienza
politica delle nuove popolazioni in seno alla cittadinanza dello Stato
granducale, che ne sarebbe poi risultato esso stesso politicamente e
giuridicamente trasformato.
Di simili,
originari ed evidenti intendimenti politici granducali si sarebbe poi
ricordato, quasi venti anni più tardi, lo stesso Francesco Carrara, negli
scritti che egli avrebbe allora dedicato, dalle pagine della «Nuova
Antologia», alla memoria di Giuseppe Puccioni, l’illustre criminalista
toscano, già Magistrato della Corte di Cassazione granducale, e docente nello
Studio fiorentino[42]:
perché, avrebbe detto il Carrara appunto in quella occasione,
«quando Carlo Lodovico …
faceva vendita[43] dei suoi
diritti a Leopoldo II, questi nell’attuare l’annessione alla Toscana della provincia
lucchese studiavasi a cercare ogni modo onde si temperasse nell’animo
dei lucchesi il dolore della perduta autonomia»[44].
La
preoccupazione (lo «studio») granducale doveva, insomma, manifestarsi
con provvidenze e benefici di inequivoco significato politico, che fossero
espressamente indirizzate dal sovrano fiorentino ai nuovi sudditi lucchesi.
E da ultimo,
poi, quando i giochi politici vennero a loro definitivo compimento e, con il Motuproprio
dell’11 ottobre 1847[45],
Leopoldo II assunse definitivamente la sovranità su Lucca, il Granduca si
sarebbe studiatamente rivolto ai suoi nuovi sudditi, per assicurare e proclamare, al cospetto di costoro, la paterna,
affidabile benevolenza dell’incipiente loro nuova dominazione politica.
Quasi a garanzia delle sue parole, il Granduca avrebbe allora fatto in
realtà assai di più, perché contestualmente egli avrebbe anche abrogato per gli
stati lucchesi la già vigente (ed ivi ampiamente comminata e praticata[46])
pena di morte.
Leopoldo II sarebbe state estremamente chiaro, nella sua manifestazione
d’intenti politici:
«volendo per altro – avrebbe,
infatti, egli allora affermato – che sia consacrato sin d'ora uno dei principj
più normali del Nostro Governo anco[47] a
riguardo dei Nostri buoni Lucchesi, ai quali vogliamo dare con ciò una prima
prova di quella rigorosa imparzialità che Ci fa debito, ordiniamo l'abolizione
della pena di morte, alla quale dovrà essere sostituita la pena che
immediatamente le succede nella scala penale del Codice provvisoriamente
conservato»[48].
S’aprivano,
di conseguenza, notevoli problemi interpretativi, conseguenti all’inserzione di
quella provvidenza abrogativa nel complessivo ordinamento statale del
Granducato di Toscana.
A ben
vedere, il dilemma decisorio era poi rappresentato dalla questione se quella
paterna concessione abolitiva della pena di morte fosse tecnicamente ed
esclusivamente concepibile come un privilegio territoriale dell’ex
Ducato di Lucca, destinato ad acquistar vigore dopo la sua additio allo
Stato Granducale, ovvero dovesse essere piuttosto intesa come una norma
generale, comunicatasi per naturale, istituzionale principio d’eguaglianza
all’intero ordinamento giuridico statale toscano[49].
La questione
era giuridica e politica al tempo stesso, e come tale fu senza indugio
dibattuta: talché se ne fece immediato carico la stessa Corte di Cassazione toscana
che, in una sua specifica decisione del 25 febbraio 1848, emessa sotto la
Presidenza di Giuseppe Puccioni ed essendone Pubblico Ministero Luigi Fornaciari[50],
riaffermò la d’altronde scontata caratteristica di lex generalis per
tutto il Granducato dell’indicato provvedimento, al punto che esso doveva
intendersi essere anche modificativo della precedente legge toscana del 14
giugno 1816, che aveva introdotto la pena di morte per i furti violenti in
unione di persone[51].
In realtà,
con simile decisione, pur in assenza di un esplicito e formale provvedimento
sovrano d’abrogazione generale per tutto il Granducato della pena di morte, la
Cassazione ne induceva nondimeno implicitamente l’avvenuta abrogazione,
argomentando dal tenore formale del citato provvedimento, sul fondamento che è
evidente che
«l'abolizione della pena capitale di fronte ai nuovi
Sudditi toscani, abitanti nel cessato Ducato di Lucca, ammette il presupposto
necessario ed incavillabile, che questa pena avesse precedentemente cessato per
volontà sovrana di fronte all'antica famiglia toscana; ciò rilevandosi
dall'intero contesto del §. 6.° della preallegata legge delli 14. ottobre 1847.
Imperocché le parole di quel paragrafo, che mirano ad
estendere ai lucchesi uno dei più normali principii professati dal mite, e
paterno governo del Legislatore, l'abolizione cioè della pena capitale; ed a
trattare così con rigorosa imparzialità tanto gli antichi quanto i nuovi
sudditi, palesa con palmare evidenza, che quando l'enunziato favore accordavasi
a questi ultimi, di esso erano già in possesso i primi»[52].
Di fatto, la
Cassazione granducale realizzò quella che si può veramente definire una vera e
propria abrogazione giurisprudenziale della pena di morte in Toscana[53];
pena che era, peraltro, già ampiamente e sicuramente desueta, perché in
concreto costantemente disapplicata dai Tribunali in sede giudiziale da quasi
vent’anni[54].
La certa statalità
dell’ente accogliente le nuove popolazioni (il Granducato di Toscana) aveva
dunque fornito lo strumento e l’argomento giuridico per comunicare quella
provvidenza apparentemente occasionale e particolare all’intera universitas
dei sudditi granducali.
Ed invero,
che le motivazioni politiche della sentenza fossero animate allora da un
intento esplicitamente ed universalmente abrogatorio lo si capisce nettamente,
sol che si legga quanto di lì a poco avrebbe scritto lo stesso presidente
estensore della citata sentenza, il giurista Giuseppe Puccioni: egli non solo avrebbe
infatti dato per scontato l’effetto generalmente abolitivo del Motuproprio
granducale, nonostante esso fosse stato apparentemente indirizzato ai soli
sudditi novelli dell’ex Ducato di Lucca; ma avrebbe anche fermamente ribadito
con le proprie parole ed il proprio insegnamento il tradizionale atteggiamento
di mite, illuminato e liberale esercizio della giurisdizione e del potere di
sanzione penale, che da sempre aveva animato la classe dei magistrati toscani.
Sicché il
Puccioni stesso, in epoca quasi coeva alla stesura di quella sentenza della
Cassazione fiorentina, si sarebbe pubblicamente dichiarato avverso «per intima
convinzione»[55]
alla pena di morte, ed avrebbe al contempo fatto
« … voti che presto sieno per
cessare le circostanze eccezionali che l'hanno fatta fra di noi rivivere,
perché l'esperienza di non tenue spazio di tempo, durante il quale i magistrati
nostri non l'hanno pronunziata, ci è garante che la tutela pubblica potrà
ottenersi senza di essa: ed anche perché una recente esperienza ci ha insegnato
che ripugna al modo di sentire della quasi universalità dei Toscani»[56].
Esponente di
quel ceto di giudici e giusdicenti[57] che
fin dai tempi delle riforme leopoldine si era dimostrato in partecipata e
consapevole sintonia con le ideologie illuminate della Policeywissenschaft
di tradizione asburgo-lorenese, il presidente Puccioni rappresentava
evidentemente un’opzione deliberatamente liberale in seno all’amministrazione
granducale: né c’era da stupirsene, se lo stesso ministro degli Interni, il
conservatore Leonida Landucci[58], in
una sua comunicazione al Granduca Leopoldo II del giugno 1850[59],
avrebbe di lì a poco ammesso con grande franchezza che in Toscana la
Magistratura era tradizionalmente ed attivamente dislocata su posizioni
liberali.
Sicché il
Landucci poteva ben sostenere che, nel quadro delle forze politiche presenti
nel Granducato,
« … l'alta e la media Magistratura è per
convinzione e per teoria geniale della pubblica libertà tanto, che alcuni di
questa hanno confessato di ritenere, che avevano in questo momento la missione
di spingere il Governo all'attivazione dello Statuto, e le decisioni che hanno
emesso, e le discussioni che hanno tollerato, tutte han servito piuttosto ad
indebolire che a rafforzare l'ordine costituito. La bassa Magistratura poi ha
mostrato d'avere tendenze ancora più pronunziate.
La Magistratura dei Pretori, e non pochi Delegati
stando in contatto con i più esaltati e pregiudicati hanno mostrato di non aver
ribrezzo per coloro che sono immischiati nelle sètte segrete, alle quali non
pochi di questi funzionarj, se non appartengono più attualmente, vi hanno al
certo appartenuto, mentre erano nelle università, o negli studj degli avvocati».
Se, dunque,
nella posizione di Puccioni paiono confluire sia la tradizionale,
«pietro-leopoldina» ostilità del Magistrato toscano per gli attrezzi del
carnefice, sia l’attitudine – anch’essa, in qualche modo professionale – ad
ancorare saldamente l’argomentazione giuridica al dato positivo della normazione
scritta, in Francesco Carrara la ricostruzione dei fondamenti ideali del suo
abolizionismo spinge verso sentieri ben discosti dai prodotti dell’analisi
normativa.
In lui,
infatti, il tessuto dell’argomentazione abolizionista si colora quasi subito,
piuttosto che di schematismi logici, di salde determinazioni etiche, e la pena
di morte è da lui combattuta per un dichiarato condizionamento pregiudiziale di
carattere intimamente religioso[60].
Anche se il filo che tende e sollecita queste linee di
sensibilità è poi, nondimeno, essenzialmente professionale e forense.
È infatti senz’altro evidente e sensibile un debito
complessivo di Francesco Carrara avvocato verso la tradizione della
Cameralistica austro-tedesca e della Scienza del Buongoverno, soprattutto
laddove la cultura del carrariano Programma del corso di diritto criminale[61]s’atteggia
come scienza della previsione razionale (a fini anche di prevenzione criminale)
dei comportamenti umani[62], nel solco evidente della lezione
del Giovanni Carmignani della Teoria delle leggi e della
sicurezza sociale[63], e lungo una genealogia
intellettuale che Carrara stesso espressamente tratteggia in
un suo brano del 1862[64], evocando i «potenti ingegni che
sintetizzarono le invettive di Beccaria …[: ] Sonnenfels, e Feuerbach in Germania, Romagnosi e Carmignani in Italia».
Non è l’eco del pedante alterco delle scuole, quella che in tal modo perviene
alla pagina carrariana, ma il documento convincente e vivace di un’investigazione
bibliografica agguerrita e tenace, che il giurista lucchese non seppe mai
interrompere, ma alimentò anzi costantemente con una robusta sensibilità
forense, continuamente sollecitata ed arricchita dalla sua assidua
frequentazione della letteratura e della prassi professionale.
Sicché anche l’impegno scientifico e
didattico di Francesco Carrara si sarebbe saldato consapevolmente e
deliberatamente ad una simile prospettiva intimamente pratica: «pratica» al
modo di una formula critica[65] che,
elaborata preliminarmente dal giurista nel vivo della sua esperienza
professionale e forense e della conseguente sua riflessione e sistemazione
speculativa, veniva poi da lui proiettata nelle categorie della previsione
codificatoria, nel quadro d’intervento d’un sistema interpretativo che era
regolativo e punitivo al tempo stesso.
Lo dicono abbastanza espressamente le
vicende dell’assunzione da parte di Francesco Carrara stesso dell’insegnamento
pisano di Diritto Penale, e le
pagine prefatorie del Programma che di tale avvenimento recano documento
e traccia[66].
Quando il criminalista lucchese, nel 1859[67], viene, infatti, chiamato sulla
cattedra pisana, egli ha già ampiamente maturato i contenuti della sua
riflessione penalistica lungo il percorso di ben 12 anni di insegnamento – come
egli dice[68] – «da più umile cattedra», quella
del Liceo Universitario lucchese[69], e lungo il parallelo ed
appassionato evolversi di un fervido[70], ancorché proficuo[71], impegno professionale e forense.
È subito evidente che la sua nomina
pisana non è affatto scevra di colori ed intenti politici: non solo è il
Governo provvisorio toscano stesso ad effettuarla,
all’indomani del definitivo tramonto del potere granducale degli Asburgo Lorena, ma essa matura anche all’interno
del circolo più risolutamente annessionista e dichiaratamente filo-sabaudo dei
liberali toscani, riscotendo l’appoggio di Giuseppe
Puccioni e, soprattutto, di Vincenzo Salvagnoli[72], che s’intuisce essersi speso con
impegno personale nel rendere possibile e promuovere la chiamata di Francesco
Carrara a Pisa.
Ce lo fa capire, in particolare, un
caldo biglietto gratulatorio che nel novembre 1859 l’avvocato lucchese
indirizzava al collega empolese, in cui Francesco Carrara faceva espresso riferimento alla
decisa presa di posizione (una «concisa parola») che il Salvagnoli in tale circostanza spese per
promuovere la chiamata dell’avvocato lucchese: tra i due si era già da tempo
consolidato un saldo rapporto professionale – ben presto trasformatosi anche in
amicizia[73] – in cui, indubbiamente, occupava
anche qualificato e rilevante spazio la dimensione politica dell’impegno civile
del liberale Francesco Carrara, ed in particolare la sua risoluta
intransigenza nella polemica abolizionista contro la pena di morte[74].
Non per caso, trai primi
provvedimenti politici presi dalla giunta provvisoria del Governo
toscano nel 1859, all’indomani della fuga granducale, sta quel decreto
abolitivo[75]
della pena di morte già prevista e comminata dal Codice Penale toscano
del 1853[76]:
un provvedimento di radicale e decisiva efficacia giuridica che, in realtà,
muta completamente la scala penale[77]
di quel codice stesso, ridisegnandone ab imis l’architettura punitiva[78].
La sentenza della Cassazione, in
definitiva, trasforma la codificazione penale lorenese in un nuovo e diverso
Codice Penale, fornito di un’autonoma e distinta identità giuridica,
talmente avanzata e moderna, che quel Codice, dopo quella rimodulazione della
sua scala penale, si rivelerà più moderno e liberale dello stesso Codice
Penale sardo.
Sicché – come attestano anche le
pagine ed i documenti recati dalle Memorie storiche del Governo della
Toscana nel 1859-60 d’Enrico Poggi, stampate a Pisa dalla Tipografia
Nistri, nel 1867 – sarebbe mancato il cuore politico di abrogarlo, ed esso sarebbe
rimasto in vigore nei territori ex granducali – come una vera e propria enclave
normativa negli ordinamenti del nascente stato unitario nazionale – fino
all’emanazione del liberale Codice Penale Zanardelli del 1889.
Dei profili politici che poi la
chiamata di Francesco Carrara assumeva narrano anche i caldi
accenti di consonanza ideologica che suonano in un indirizzo a stampa che nel
giugno 1860 gli «Studenti in diritto criminale» pisani indirizzano a Francesco
Carrara al compimento del suo primo corso
pisano, all’atto di congedarsi dalle sue lezioni, per salutare allietati
l’«ordine di raziocinio e novità di concetto» con cui il giurista lucchese
aveva illustrato i contenuti del proprio magistero[79].
Nel protocollo del rituale di
commiato a conclusione del corso, le parole degli studenti tradiscono le
emozioni dell’anno accademico appena trascorso, in cui l’esordio pisano del
magistero criminalistico del Carrara si era non casualmente cumulato alle
ansie e alle distrazioni politiche conseguenti alle vicende della Guerra
d’Indipendenza e ed alle collegate tensioni annessionistiche, ormai vincenti in
seno ai circoli liberali toscani.
Il Programma, di cui Francesco Carrara aveva sperimentato la concezione già
durante gli anni dell’insegnamento lucchese, poteva ora vedere finalmente la
luce, e indirizzarsi agli scolari pisani per facilitarne «lo studio delle
criminali discipline»[80] ed esprimere al modo di una formula
complessiva e preliminare una tavola di compendio e sistemazione delle «grandi
verità che il diritto penale dei popoli culti aveva ormai riconosciuto e
proclamato nelle cattedre, nelle accademie, e nel fòro»[81].
y [pag. 1]
All’Avvocato
Francesco Carrara
Professore di Diritto Criminale
nella R. Università di Pisa
y [pag. 2]
Le Vostre parole ci hanno grandemente commosso, e noi
non possiamo ristare dal farvi osservare come regni fra noi corrispondenza d’affetto,
e prenda in noi forza l’affetto
dalla gratitudine e dall’estimazione in cui Vi teniamo. Estimazione che era in
noi già grande sin da quando udivamo quanta mostravate virtù di dottrina e
d’ingegno nel Liceo di Lucca: sicché oltre dire accetta giugnesse
fra noi la novella che il provvido Governo Vi aveva prescelto a insegnare le
criminali dottrine nella pisana Università. E grande fu l’aspettazione in
tutti, e per grande che fosse fu da Voi superata quando le teoriche del delitto
e della pena con tale ordine di raziocinio e novità di concetto esponeste, che
la grave e dolorosa materia tornar ne sembrò lieve e dilettosa.
Ma noi non abbiamo in animo di porger qui le lodi
Vostre, ché mal potrebbero recare onore a Voi che ne aveste quelle dei sommi
della scienza, e che siete a buon diritto salutato fra i primi che con saggio
consiglio l’immutabilità della giustizia si studiano ottemperare
con l’avanzar della scienza e dei tempi.
Vi direm non però quelli ch’essi non hanno potuto
dirvi, e che vorrà forse esservi più accetto, come cioè sia a noi potuta tornar
fruttuosa l’opera Vostra ed abbiamo saputo apprender da Voi quello che più
importa nella vita, il retto giudicio delle umane azioni. E certamente il
nostro ricolto sarebbe stato di gran lunga maggiore, se l’animo
inebbriato dalle felici e meglio augurate fortune d’Italia, non si fosse quasi senza nostra
saputa distratto da questi studi che amano il quieto vivere, e vorrebbero fosse
lo spirito da tutt’altra cura sequestrato.
Questo noi sentiamo bisogno di andarvi significando e
come non senza dolore restiamo privi della parola Vostra. Ma rimane con noi la
ricordanza dell’ingegno e dell’affetto Vostro e ci conforta il pensiero che Voi
vorrete serbar memoria di noi, non come di giovani che ben corrisposero alle
cure Vostre, ma come di figli che Vi salutano padre.
Orgogliosi di avervi per i primi ascoltato in questo
glorioso Ateneo degl’Italici studi, Vi avremo per padre e nel foro e nella
famiglia: e se i discepoli che succederanno potranno superarci in ingegno e in istudio,
niuno potrà mai nella riconoscenza e nell’affetto esser pari a noi, che seguaci
delle Vostre dottrine, non abbiamo altro intendimento se non quello di ritrarre
a viso aperto da Voi, nell’amore segnatamente del vero, dei buoni studi – e di
questa comune patria, che siamo così prossimi a chiamare ITALIA.
Viva
l’Italia – e vivete lungamente Voi a suo onore e a
nostro profitto.
Pisa dalla Regia Università 16 Giugno 1860
GLI STUDENTI IN DIRITTO CRIMINALE
– Lucca, Tipografia Giusti –
[1] C o
n s e r v a t o r i d i l e g g i , regg. e filze 2.805 (1532-1777). Inventario seconda metà sec.
X1X. Furono istituiti il 10 febbraio 1429. Avevano il compito di punire con
procedimento sommario le violazioni delle leggi che regolavano l’accesso alle
cariche pubbliche. Le ordinazioni del 27 apr. 1532, che istituivano il
principato, affidavano a questa magistratura la cognizione delle cause dei
poveri e di quelle fra parenti. Inoltre ad esso fu demandata la cognizione dei reati
minori in seguito a violazioni di varie leggi contro l’usura, contro i
contratti illeciti, contro il taglio dei boschi e contro i pubblici ufficiali
che avevano compiuto lievi reati nell’esercizio delle loro funzioni. Quelli più
gravi, per cui erano previste pene afflittive, erano giudicati dal tribunale
degli Otto di guardia e balla o dall’auditore fiscale. 1 conservatori
esercitavano in Firenze il sindacato su tutti i pubblici ufficiali. Durante il
principato mediceo e sotto Francesco Stefano di Lorena questo tribunale non fu
sottoposto a riforme, ma Pietro Leopoldo ne modificò la giurisdizione; poi il
26 maggio 1777 lo soppresse. Si segnalano : x Deliberazioni > 1549-1652,
regg. e filze 62. < Decreti, atti e sentenze civili > 1540- 1777, regg. e
filze 1.500. x Atti criminali > 1557-1777, regg. e filze 165. x Suppliche
> 1549-1777, regg. e filze 164. < Lettere e copialettere > 1532- 1777,
regg. e filze 210. Del periodo repubblicano è rimasto solo un registro di
provvisioni e varie disposizioni, conservato nella Miscellanea repubblicana
(vedi p. 171). 1 pezzi danneggiati dall’alluvione del 1966 sono 592. BIBL. : G.
PANSINI, I conservatori di leggi e la difesa dei poveri nelle cause
civili durante il principato mediceo, in Studi di storia medievale e
moderna per E. Sestan, Firenze 1980, pp. 529-570.
([2]) In l. Publius, ff de condicionibus et
demonstrationibus, nr. 4, D. 35. 1.
36, fo. 81rb, ed. Venetiis 1513.
([4]) Sul punto
paiono molto sensibili alcuni autori che operano nell'àmbito di ordinamenti
monarchici.
Così il francese
Nicholas Bohier che, riferendo la posizione di Paolo di Castro, denunzia anche
di trarre ispirazione anche dall'italiano Giovanni Piazza: «et dicitur secundum
Pau. … designatus quando extraditur de bursa secundum communem usum: vel dic
quod est titulus, quia sine literis principis vel domini concedentis et
donantis officium obtiner non potest» (Nicholas Bohier, Decisio 149, nn. 6-11, 14 e 25, fo. 226 ab, ed. Lugduni 1593).
In Giovanni Piazza la
considerazione dell'officiale rivela in particolare significative analogie con
quella del legato (in l. Probatorias, C.
de diversis officiis, C. 12. 59 (60). 9, nrr. 3-4, fo. 211 ra: «Dic quod
legatus in quo vertitur magnum periculum non admittitur sine literis, supra de
man. princip. l. unica, supra de episcopis et cle. l. si qua per calumniam»).
??? rivedere e risistemare il testo.
Ed anche il meridionale
Gian Francesco De Leonardis, autore di una Praxis
officialium di vasta diffusione (cap. 6, nr. 3, pag. 79 ab, ed.
Neapoli 1595) ribadisce che « … ad iurisdictionis exercitium acquirendum
requiritur praesentatio literarum» .
([5]) Girolamo
Palma nipote, Dec. 248, Pallariensis
successionis ab intestato, die 30. iunii 1650, nrr. 16 e 35 in particolare,
pp. 127-9 ed. Venetiis 1718 (sul Palma, cfr. Ascheri, Tribunali, Giuristi e Istituzioni, 230, 252, 254):
«Sub die 25. Octobris 1406. multa
Communia, et inter alia Commune Pontis Sacchi, Castri, Pallariae, Solariae, Capannolis
et S. Petri subiicierunt se Communi Florentiae, quod declaravit dicta Communia
et loca, cum eorum hominibus et personis, in perpetuum esse sub dominio,
obedientia [sic], regimine, imperio
et gubernatione (sic enim cantant verba Capitulationum) dicti Communis
Florentiae … .
Item conventum, quod nulla persona
presumat in aliquo ex dictis et infra<scrip>tis Communibus et locis, vel
in eorum aut alicuius eorum homines et personas exercere quoquomodo aliquam
iurisdictionem, nisi illam quam haeret in Communi Florentiae.
Pariter
in 12. capitulo sic ad literam conventum et dictum fuit; item quo dicta
Communia, et loca, et eorum quilibet simul vel separatim possint pro eorum
regimine et gubernatione facere semel et pluries quties voluerint statuta et
ordinamenta quae, postea quam fuerint approvata in Civitate Florentiae, , et
non prius valeant, et executioni mandentur prout in Communi Florentiae
observatur.
Quo ad Commune Pontis Sacchi sciendum
est, quod ante infeudationem factam ab anno 1637 de eo in Dominum Marchionem
Philippum Nicolinum regebatur, prout etiam de praesenti regitur Statutis Pontis
Erae, quibus cavetur, quod in casibus omissis recurratur ad Statuta florentina
… ».
???
([6]) Giovanni
Bonaventura Neri Badia, Dec. Flor. 49,
Pisana iurisdictionis, nrr. 10-12, pp. 448b-9a, in id. Decisiones et responsa iuris, Florentiae 1759, vol. I.
([7]) «Quia
respondetur quod, cum agatur de legibus et Statutis conditis post ultimam
Pisarum subiectionem, dum princeps utitur verbo ‘districtus’, non eo utitur
civiliter, sed naturaliter, secundum usum communem loquendi ad text. in cap. ex litteris 7. de sponsal. [X.4.1.7],
et prout utilitatis et commoditatis causa observatur in pluribus ordinationibus
Magistratuum Pisanorum, quibus data est iurisdictio ad certos effectus per
antiquum districtum Pisanum, cum unum et idem territorium diversis respectibus
diversis iuridictionibus possit esse subiectum … et iudicari a iudicibus
pisanis secundum Statuta florentina ad formam subiectionis cuiusvis castri …»
(Giovanni Bonaventura Neri Badia, Dec. Flor. 49, Pisana iurisdictionis, nrr. 10-12, pp. 448
-9, in Decisiones, to. 1).
[8] Cfr. Salvagnoli, Sulla mezzeria memorie di
Vincenzo Salvagnoli; precedute da una lettera al marchese Gino Capponi, Firenze: Cellini, 1876, (estr. da: Atti dei Georgofili, vol. IV), 14 ss. in particolare: «io ho sempre
sospettato scriveva Salvagnoli – venir la
colonìa da servitù, e non da libertà; serbare ancóra i segni della primitiva
natura …». Sulle origini epistolari della disputa tra Salvagnoli e Capponi, vedi poi: R. Ciampini, Vincenzo Salvagnoli cent’anni dopo
la sua morte, in «Bullettino storico
empolese».V (1961), 177-90.
[9] Sui toni alti della fiera polemica sociale del
Salvagnoli, in cui l’accento romanticamente democratico
s’accompagnava tuttavia ad una rigorosa individuazione dell’essenziale ruolo
politico ed economico della classe dei possidenti terrieri, cfr. Coppini, Vincenzo Salvagnoli dalla
democrazia (cit. per esteso,
sopra, alla nt. Errore.
Il segnalibro non è definito.), 8 ss.
[10] Sull’antico patto medievale s’erano, infatti,
innestati nel tempo obblighi colonici sempre più particolari e pesanti, sia per
corvées in opere, sia per prestazioni in prodotti [G. Giorgetti, Contadini e proprietari nell'Italia moderna.:
Rapporti di produzione e contratti dal secolo XVI a oggi, Torino: G. Einaudi, 1974, 278 ss., 286 in particolare, (Piccola
biblioteca Einaudi; 234)].
[11] L’antica oleografia della libertà comunale veniva in
realtà mobilitata dal Capponi per legittimare
l’asserita moderna convenienza economica del contratto mezzadrile: ® «A me chiaro apparisce – sosteneva egli infatti – la origine del
nostro sistema colonico venire da libertà, non da servitù; essere dei tempi ne’
quali fu maggiore in Toscana l’equalità dei
diritti trai cittadini …. Disparvero dal contado i conti, rimasero i contadini;
il nome, a malgrado la sua feudale origine, divenne parola ribattezzata a
libertà, dappoiché il contado era terra libera. Di case sparse, notate ciò
bene, non di villaggi, l’industria artigiana vuole stare unita in brigate,
perché gli uomini vicini, partendo i lavori, l’un l’altro s’aiutino; ma
l’industria campagnola vuol dimorare sul proprio suolo, materia immobile de’
suoi prodotti e del suo amore» (G. Capponi, Cinque letture di economia toscana: lette
nell'Accademia dei Georgofili dal socio
ordinario Gino Capponi, Firenze: G. P. Vieusseux, 1845, 33-4 in particolare). Ma, forse, tale enfasi
letteraria valeva soltanto a mettere in evidenza la speciosità del ragionamento
storico in tal modo fornito, e sottolineava anche l’infortunio argomentativo in
cui incappava infine il Capponi stesso, quando
egli non poteva fare a meno di qualificare «l’industria campagnola» (il sistema
mezzadrile, cioè) come «materia immobile
de’ suoi prodotti e del suo amore»; perché proprio tale sostanziale immobilità
sociale era il prodotto politico della mezzadria, che i novatori liberali e liberisti
avrebbero adesso inteso rimuovere.
[12] Salvagnoli, Della mezzeria, 23 ss., 34 ss.
[13] Salvagnoli, Della mezzeria, 26: «Non è dunque il sistema colonico esclusivamente, ma l’intiero
sistema economico che invoca il medico».
[14] Salvagnoli, Della mezzeria, 19 ss.
[15] Perché, nell’ottica rigorosamente liberistica che dal
Salvagnoli consapevolmente
si praticava, la ricchezza aveva anche una naturale ed irrefrenabile capacità
di redenzione sociale e di affrancazione giuridica (vedi anche alla nt. Errore.
Il segnalibro non è definito.).
[16] Salvagnoli, Della mezzeria, 40 ss. Che fosse fermo convincimento del Salvagnoli che «la libertà
economica si trae dietro, prima o poi, le altre libertà tuttequante …» emerge
poi in maniera circostanziata nei tratti di consapevolezza ideologica formulati
in Salvagnoli, Saggio civile (cit. per esteso alla nt. Errore.
Il segnalibro non è definito.), XXI ss.
[17] Salvagnoli, Della mezzeria, 47 ss. Per un passaggio organico ed economicamente efficiente alla
pratica dell’affitto ostavano in Toscana soprattutto
motivi economici (Salvagnoli, Della mezzeria, 68 ss., 83 ss.), legati alla sostanziale povertà di
capitali e di accumuli in denaro disponibili presso i contadini; e, nella
classe proprietaria, s’aggiungeva la tendenza complessiva ad una sostanziale
ostilità padronale allo smantellamento del ceto mezzadrile, che era dai più considerato come il principale
alleato della classe proprietaria stessa e come un vero e proprio intermediario
politico nella conduzione e nel controllo delle popolazioni rurali. Le vicende
dell’insorgenza aretina del
Viva Maria!, d'altronde, con i contadini inviati e mantenuti dai
proprietari a proprie spese nelle bande sanfediste (cfr., ad esempio, ASFi, Suprema Deputazione Gov. Provv. Arezzo, 8, fo. 1041 rv: nota di proprietari che tengono
guardie pagate «del proprio» nella piazza di Arezzo) avevano adeguatamente illustrato le indubbie risorse
politiche – di conservazione sociale, di legittimazione istituzionale, di
fedeltà religiosa – abbondantemente disponibili entro la «riserva» mezzadrile e contadina.
[18] Salvagnoli, Saggio civile (cit. per esteso alla nt. Errore.
Il segnalibro non è definito.), XXIX.
[19] Cfr. P. Grossi, Stile fiorentino: gli studi giuridici nella
Firenze italiana, 1859-1950, Milano: Giuffrè, stampa 1986, 20 ss. in particolare (Per la storia del pensiero
giuridico moderno; 23).
[20] Salvagnoli, Della mezzeria, 23 ss.
[21] Non a caso notava non senza enfasi il Capponi che «la colonìa
oggimai è un fatto, un fatto costitutivo della società toscana …» [Capponi, Cinque letture di economia toscana (cit. per
esteso alla nt. 11), 41; il corsivo è aggiunto]. Come gli interessi dei
vari consorzi colonici potessero poi legarsi in sistema era già emerso nella
fortunata monografia giuridica di Gregorio Fierli, dedicata al tema Della divisione dei beni dei
contadini e di altre simili persone … (Firenze: nella stamper. Bonducciana, 1794, Macerata: dalla tip. di Alessandro Mancini, 1841; Fermo: coi tipi dei fratelli Paccasassi, 1841), ove forse per la prima volta s’era gettato lo
sguardo dell’interprete giuridico sul sistema consortile delle società
domestiche in cui s’organizzava allora la campagna mezzadrile toscana (§§
i-ii), e s’era anche tracciato, in qualche modo, il primo abbozzo di uno studio
(critico e storico al tempo stesso) sulla famiglia mezzadrile nei domini
granducali.
[22] Salvagnoli, Della mezzeria, 40 ss. (la centralità della mezzadria nel sistema
economico toscano: rilievi statistici e dati quantitativi): «La mezzeria ha partito la
Toscana in piccole
tenute dette poderi: il numero loro è circa 50000 …».
[23] Ne deriva un catalogo dei capitoli di garanzia che debbono essere acquisiti al futuro diritto costituzionale, giacché rientrano tra «le sudate conquiste della civiltà, laicità dello Stato, ugualità delle condizioni civili e politiche, anche differendo la fede religiosa, libertà di coscienza e d’insegnamento, diritto civile della famiglia, sicurezza de’ patrimoni» (Salvagnoli, Della indipendenza, 25; il corsivo è aggiunto).
[24] Una succinta esposizione dei fatti di quella convulsa
estate, che portò alla reversione, in: Esposizione dei fatti di Lucca
dal 29 maggio al 28 luglio 1847, Bastia: dalla stamperia di C. Fabiani,
1847, 12 ss., 24 ss., 32 ss. (si mossero allora, nelle strade e nelle piazze di
Lucca, gli esponenti di un’opinione soprattutto giobertiana, caldamente
solidale con le attese di novità politica che prendevano a coagularsi attorno
alla figura di Pio IX); vedi anche, riassuntivamente, A. Mancini, Storia di
Lucca, introd. di F. Possenti, Lucca: M. Pacini Fazzi, 1975 [facs.
dell'ed.: Firenze, 1950], 314 ss. Un tentativo, conservatore ed assolutista, di
riannodare il dialogo tra il Principe e l’opinione pubblica lucchese in chiave di patriottismo
cittadino e monarchico è da leggersi invece nell’opuscolo Lettera di
uno da Lucca ad un amico giornalista, occasionato dallo scioglimento,
disposto dal Principe, del corpo dei Carabinieri, per sostituirvi un più
affidabile (e, soprattutto, meno inviso al pubblico) contingente di Dragoni (Livorno:
Stamperia Fabbreschi Pergola e C., 1847, 8 in particolare).
[25] Secondo gli accordi intervenuti al Congresso di Vienna
nel 1815 (art. 101-2 del Traité), alla morte di Maria Luisa di Borbone,
Carlo Ludovico (che era suo figlio e, pro tempore, era anche Duca di
Lucca) avrebbe dovuto ottenere la signoria di Parma, mentre quella di Lucca
sarebbe dovuta passare in reversione («sera reversible», diceva
testualmente il Traité) al Granduca di Toscana (Nouveau
recueil de traités d'alliance, de paix, de trêve … et de plusieurs autres actes
servant à la connaissance des relations étrangères des puissances et états de
l'Europe ... depuis 1808 jusqu'à présent, ... par G. Fr. de Martens, à
Gottingue, dans la librairie de Dieterich, 1818, Tome II, 425; Artt. CI-CII).
In realtà, Carlo Ludovico avrebbe cominciato quasi da subito ad intavolare con
il Granduca lorenese contatti riservati per «l’anticipato rilascio di Lucca»
(G. Montanelli, Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al
1850, Torino: Soc. ed. italiana, 1853, II, 40).
[26] Storia d'Italia UTET XIII/3: R. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli anni francesi all'Unità, Torino:
UTET, 1993, 371 ss.; ibid., VII/2,
Torino: UTET, 1992, G. Arnaldi, J. Vigueur, M. Claude, Comuni e signorie
nell'Italia nordorientale e centrale: Lazio, Umbria, Marche, Lucca, 727-31.
[27] Si veda la ricchissima documentazione fornita nei
volumi – che disegnano un preciso ed accorato panorama di Lucca ai tempi della reversione
– del convegno: Fine di uno stato: il ducato di Lucca, 1817-1847: convegno,
Lucca, villa Bottini, 9-14 ottobre 1997 - Lucca: Istituto storico lucchese,
1997-2000.
[28] Che si sarebbe ottenuta con la produzione di una sorta
di testo unico dell’annessione, ricco di due ponderosi tomi di raccolta
normativa, che correva per più di 1500 pagine complessive. Con esso, l’autorità
granducale, «volendo provvedere ai modi d'introdurre nel Territorio di Lucca il
sistema giudiciario vigente nel Granducato, mediante la istallazione della
Corte Regia, e del Tribunale di Prima Istanza già ordinata col Motuproprio
de' 12. Dicembre 1847, e volendo in pari tempo estendere al Territorio stesso
la Legislazione generale del Granducato in quelle parti nelle quali non sarebbe
compatibile alla unità dello Stato mantenere una differenza fino al tempo in
cui la pubblicazione dei Codici verrà a stabilire una totale ed assoluta
uniformità, sentita la R. Consulta di Stato sul parere del suo Consiglio», ordinava
la soppressione nella Città di Lucca deI Supremo Tribunale di Giustizia, della
Ruota Civile, della Ruota Criminale, e dei Giudici Istruttori che vi sono
addetti, oltre che del Tribunale di Commercio, del Tribunale del Giudice
Ordinario di Prima Istanza e dell'Uffizio del R. Procuratore Generale, colle
rispettive loro Cancellerie (Raccolta delle leggi toscane delle quali fu
ordinata la pubblicazione nella città e territorio di Lucca col R. decreto del
26 febbraio 1848: Firenze: Stamperia Granducale, 1848, nr. 1, Motuproprio
2 febbraio 1848, in prooemio e art. 1).
[29] M. Montorzi, Crepuscoli granducali: incontri di
esperienza e di cultura giuridica in Toscana sulle soglie dell'età
contemporanea, Pisa: ETS, 2006 (“Incontri di esperienza e di cultura giuridica”,
1) 227 ss.
[30] Se ne pubblica il testo in Esposizione dei fatti di
Lucca, cit., 42 ss.
[31] Ivi, 44.
[32] Esposizione dei fatti di Lucca, cit., 38-9, Editto
21 luglio 1847 (dato dalla Pieve di S. Stefano).
[33] Montorzi, Crepuscoli
granducali, cit., 271 ss. in particolare.
[34] Cfr. Montorzi, Crepuscoli granducali, cit., 227 ss.
[35] L’espressione è di Francesco Carrara medesimo, vedi
Montorzi, Crepuscoli
granducali, cit., 233, nt. 10.
[36] Da ultimo pubblicato in Montorzi, Crepuscoli granducali, cit.,
268-70.
[37] Su tale periodo d’occupazione una prima informazione
in A. Mancini, Storia di Lucca, 314 ss.
[38] In Montorzi, Crepuscoli
granducali:, cit., 273 ss.
[39] Cioè una peculiare e individua universitas agrorum, autonoma sede di un’altrettanto peculiare iurisdictio.
[40] Al di là di ogni più particolare determinazione nel
merito specifico, l’uso del termine «reversione», con il suo innegabile color
feudale e contrattuale, accennava implicitamente al fatto che la devoluzione
del Ducato lucchese sarebbe avvenuta sulla base di un titolo precostituito
e specifico, da individuarsi nel protocollo normativo e convenzionale
costituito dal Traité del Congresso di Vienna.
[41] Traité cit., Martens, Tome II, 425, art. CII : «Le Duché de Lucques sera reversible
au Grand-Duc de Toscane … » ; il corsivo è aggiunto.
[42] F. Carrara, Giuseppe Puccioni e la scienza penale,
«Nuova Antologia», IV (1866), 64-82; IV (1866), 683-700; V (1867), 723-40; è
anche in F. Carrara, Opuscoli di diritto criminale, Prato: Giochetti,
1878, 3.a ed. sulla seconda riveduta e corretta, I, 3 ss., Giuseppe Puccioni
ed il giure penale.
[43] In effetti l’acquisto, conseguente all’anticipata devoluzione del Ducato lucchese, implicava per il Granducato lorenese anche un’innegabile profilo oneroso, vale a dire l’accollo della situazione debitoria delle disastrate finanze lucchesi. La vicenda del lento, ma inesorabile processo di consolidazione e confusione fra patrimonio del Principe e patrimonio dello Stato (p. 52), fra debiti del Principe e debito pubblico, in assenza «di ogni «struttura finanziaria e creditizia nello Stato, con una circolazione monetaria quasi totalmente metallica» (p. 40), fino al coinvolgimento diretto del Granducato di Toscana nella garanzia dei debiti lucchesi, quale futuro assegnatario del Ducato lucchese stesso (p. 47), e fino al precipitoso, forzato anticipo dell’effettuazione della reversione stessa, è accuratamente e puntualmente descritta in: R.P. Coppini, Alle origini della reversione del ducato lucchese: debito pubblico, prestiti e finanza internazionale», in Fine di uno Stato , cit., II, L’economia, «Actum Luce. Rivista di Studi Lucchesi», XXVII, 1-2 (1998), 39-57..
[44] Id., ibid.; il corsivo è aggiunto.
[45] Il 4. ottobre 1847, a seguito di un accordo riservato
intervenuto fra i due Governi lucchese
e fiorentino, il Ducato di Lucca si annetteva al Granducato di Toscana;
Leopoldo II. d'Asburgo Lorena, quindi, ne prendeva ufficialmente possesso,
dichiarando l’annessione con detto Motuproprio 11. ottobre. [cfr.
Atti della Reale Consulta di Stato del Granducato di Toscana: (settembre
1847-aprile 1848), a cura di F. De Feo, Milano: Giuffré, 1967, 154 ss., 245
ss., 247 e 256 in particolare (“Acta italica”, 13)]; vedi anche, oltre, alla
nt. 25, il testo del dispositivo del Motuproprio cit.
[46] Cfr. C. Sardi, Esecuzioni capitali a Lucca nel sec.
XIX: studio di documenti e ricordi; introd. di M. Seghieri, rist. an.,
Lucca: M. Pacini Fazzi, 1972 (Nuova grafica lucchese) [ripr. facs. dell'ed.:
Lucca: Giusti, 1911]; F. Carrara, La cessata procedura lucchese, in: Opuscoli di diritto, cit., vol. II, 49, nt.
1: «Si ebbero in Lucca dal 1817 al 1847 (periodo del Governo borbonico) nove
decapitati. Ramaciotti, di anni 18, per omicidio premeditato commesso con arme
a fuoco – Pagano, per tentato latrocinio – Dini, per ussoricidio [sic] mediante annegamento – Petroni, per
fratricidio – Alessandri, Prosperi, Bartolomei, Nardi, Giuliani, per furti
violenti. La opinione degli eruditi poté credere che in sette di questi casi la
pena fosse sproporzionata, sia al titolo del delitto, sia alle condizioni del delinquente».
[47] Il corsivo è aggiunto.
[48] Motuproprio 11 ottobre 1847, Leopoldo II d'Asburgo
Lorena, Granduca di Toscana, in: Raccolta delle leggi toscane delle
quali fu ordinata la pubblicazione nella città e territorio di Lucca col R.
Decreto del 26 Febbrajo 1848, Firenze: Stamperia Granducale, 1848, 547-50,
nr. LX.
[49] L’inserzione della particella additiva «anco»
nel corpo del discorso normativo particolare riservato al territorio lucchese lasciava intendere ch’essa
presupponesse logicamente che fosse stata rilasciata analoga concessione
abolitiva anche
nel corpo generale delle norme e delle comminatorie penali dell’intero
Granducato: laddove, invece, una simile declaratoria non era mai stata espressamente
formulata in sede generale.
[50] Il quale, tuttavia, non produsse alcuna attività
processuale di autonomo rilievo, nemmeno in sede di formulazione delle proprie
conclusioni. Il
Fornaciari, illustre magistrato lucchese (aveva il titolo di Consigliere di
Stato onorario), già dimesso dalla sua carica dal Principe Carlo Lodovico
di Borbone perché da lui ritenuto «immischiato nelle cose del popolo» (cfr. Esposizione
dei fatti di Lucca, cit., 27), avrebbe diffuso il 16 giugno 1847 un proprio
personale manifesto politico, di ispirazione giobertiana ed acclamante a Pio
IX, con l’intento di condurre «il mondo omai stanco di tanta discordia di
credenze, di fazioni, di dottrine, d’interessi, … ad unità e a concordia» (cfr.
ancora Esposizione dei fatti di Lucca, cit., 36-7).
[51] F. Ambrosoli, Studi sul codice penale toscano
confrontato specialmente coll'austriaco, Mantova: Negretti e comp., 1857,
16-7.
[52] «Raccolta di decisioni
della Corte Suprema di Cassazione della Corte Regia e dei Tribunali di Prima
Istanza per opera di una società di giureconsulti toscani», X (1848), I, 148.
[53] Una breve ricostruzione della vicenda della pena di
morte in Toscana, dopo la prima abrogazione disposta con l’Editto di Pisa del
30 novembre 1786, in F. Ambrosoli, Studi sul codice
penale toscano confrontato specialmente coll'austriaco, 15 ss., Mantova:
Negretti e comp., 1857; più circostanziato e dettagliato è però G. Puccioni, Saggio di diritto penale teorico-pratico,
Firenze: Tip. di Luigi Niccolai, 1858, 150.
[54] L’ultima esecuzione capitale in Toscana rimontava al
1830, e per un delitto particolarmente efferato: cfr. G. Panattoni, Sulla
questione della pena di morte, in «La Temi: giornale di legislazione e
giurisprudenza»., I (1847), Firenze: Tip. Mariani, 1847, 334-44, 343 in
particolare.
[55] Puccioni, Saggio di diritto penale, ibid.
[56] Puccioni, 151.
[57] In passato, si è da me avanzata [in Montorzi, Qualche scheda d'archivio e qualche spunto
problematico, per contribuire allo studio del «giacobinismo» toscano (il
«partito» dei giusdicenti), «Bollettino
Storico Pisano», LI (1982), 328 ss. (=id., Giustizia in Contado.
Studi sull’esercizio della giurisdizione nel territorio pontederese e pisano in
età moderna, Pisa: Pacini, 1997, 301 ss.)] l’ipotesi dell’esistenza –
durante la stagione delle riforme leopoldine in particolare – di un vero e
proprio ‘partito dei giusdicenti’, che avrebbe spontaneamente sostenuto il
processo riformatore dall’interno dell’amministrazione giudiziaria, stringendo
un’immediata alleanza operativa con il gabinetto granducale. Per ulteriori
approfondimenti della questione, alla luce anche di alcuni interventi critici
in particolare di Carlo Mangio, cfr. ancora Montorzi, Crepuscoli granducali, cit., 249, nt. 25..
[58] M. Pignotti, in: Istituto della Enciclopedia Italiana, «Dizionario biografico degli
italiani», 63: Labroca-Laterza, Roma: Istituto della Enciclopedia
Italiana, 2004, ad vocem, 542-3.
[59] A. Gennarelli, Epistolario politico toscano ed atti
diversi da servire di illustrazione e di complemento alla storia della
restaurazione granducale e al volume delle sventure italiane durante il
pontificato di Pio Nono pubblicato dall’Avv. Achille Gennarelli, Firenze,
pei tipi di G. Mariani, 1863, ep. nr. LXVIII, 128-86.
[60] Vedi F. Carrara, Opuscoli di diritto
criminale, vol. VII, Progresso e regresso del giure penale nel nuovo
regno d'Italia, vol. IV, Lucca : Tip. B. Canovetti, 1877, 466.
[61] F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale
dettato nella R. Università di Pisa, Parte generale, Ediz. 5 con aggiunte, Lucca: Tip. Giusti, 1877; ed. F. Bricola, Bologna: Il mulino, 1993.
[62] F. Carrara, Programma, cit., § 178, nt. 1, ed.
Giusti, 146; ed. Bricola,, 145 (Francesco Carrara cita in tal caso espressamente Sonnenfels).
[63] G. Carmignani, Teoria delle leggi della sicurezza sociale,
Pisa: F.lli Nistri e C., 1831-2; mi si consenta sul punto un rinvio
complessivo a Giovanni Carmignani (1768-1847): maestro di scienze criminali
e pratico del foro, sulle soglie del diritto penale contemporaneo, a cura
di M. Montorzi, Pisa: ETS, 2003 (“Memorie e atti di convegni”; 20).
[64] F. Carrara, Varietà della idea fondamentale del giure punitivo
(1862), in Opuscoli di diritto
criminale, terza edizione; Prato: Tip. Giachetti, Figlio e C., 1887; I, 86
ss., 100 ss. in particolare I, 178-9.
[65]
F. Carrara, Programma, Prefazione, ed. Giusti, 5; ed. Bricola, 32.; cfr. Montorzi, Crepuscoli
granducali, cit., 233, nt. 20.
[66] Programma, ed. Giusti, I, 3 ss.; ed. Bricola, 31 ss.
[67] Storia dell’Università di Pisa, a cura della Commissione rettorale per la Storia
dell’Università di Pisa, 1737-1861, II/1, 2.a
ed., Pisa: Edizioni Plus, 2000, 564 ss.; A. Mazzacane, Carrara, Francesco,
in «Dizionario biografico degli italiani», 20, 664 ss., 667 in particolare.
[68] Cfr. F. Carrara, Programma, ed. Giusti, I, 3
ss.; ed. Bricola, 31 ss.
[69] Sul Liceo Universitario lucchese, che sarebbe poi stato
progressivamente smantellato a tutto beneficio dell’Università pisana, cfr. L.
Busti, L’Università lucchese, in Fine di uno Stato
(cit. alla nt. 4), II/2, 155-204, 187 in particolare.
[70] Notizie in C. Paladini, Francesco Carrara, cittadino lucchese e
plebeo, Firenze: R. Bemporad e Figlio, 1920 (Tip. L'arte Della Stampa, Succ. Landi), 54 ss. Ma vedi soprattutto, ora, l’importante volume
di F. Colao, Avvocati del Risorgimento nella Toscana della Restaurazione, Bologna: Il mulino, 2006 (Storia dell'avvocatura in Italia), 331 ss. in particolare.
[71] Cfr. G. Pera, Lettere di Francesco Carrara, in «Rassegna lucchese», 1970, nr. 50, 137 ss.: il carteggio domestico di
Francesco Carrara con il figlio Battista (“Tista”, nel lessico
familiare) reca sovente traccia delle preoccupazioni del giurista per il
patrimonio fondiario da lui messo assieme con i proventi professionali.
[72] Mazzacane, cit., 667.
[73] Mi si consenta un rinvio a M. Montorzi, Vincenzo
Salvagnoli, i suoi colleghi avvocati e il disegno di una nuova razionalità costituzionale (Con inediti di Giovanni Carmignani e Francesco Carrara), comparso
nel volume: Il Risorgimento nazionale di Vincenzo
Salvagnoli: politica, cultura giuridica
ed economica nella Toscana dell'Ottocento, atti del
Convegno, Empoli Convento degli Agostiniani,
Firenze Gabinetto G. Vieusseux, 29-30 novembre 2002: atti
della giornata di presentazione dell'Inventario dell'Archivio Salvagnoli Marchetti, Empoli Convento degli Agostiniani, 5
marzo 2002,
Ospedaletto, Pisa: Pacini, 2004, 303-48 (poi in: Montorzi, Crepuscoli
granducali, cit., a 245 ss.).
[74] Si veda M. P. Geri, Un giurista e i libri: Carrara recensore, editore, annotatore, «L'indice penale», nuova serie, anno IX, n. 2 (Maggio-Agosto,2006),
905-38, § 4.
[75] Atti e Documenti editi e inediti del Governo della Toscana
dal 27 aprile in poi, Firenze: Stamperia sopra le logge del grano, 1860; I,
26 ss.: «Abolizione della pena di morte. Il Governo Provvisorio Toscano,
considerando che fu la Toscana la prima ad abolire in Europa la pena di morte,
considerando che, se questa venne in seguito ristabilita, fu solamente quando
le passioni politiche prevalsero alla maturità dei tempi e alla mitezza degli
animi. Considerando però che, quantunque per tal modo ripristinata, non venne
applicata giammai, perché fra noi la civiltà fu sempre più forte della scure
del carnefice, ha decretato e decreta: Articolo unico. La pena di morte
è abolita. Dato in Firenze li trenta Aprile milleottocento cinquantanove. Cav.
Ubaldino Peruzzi, Avv. Vincenzo Malenchini, Mag. Alessandro Danzini».
[76] Codice penale pel Granducato di Toscana (1853),
presentazione di S. Vinciguerra e M. Da Passano; rist. anastatica, Padova : CEDAM,
1993.
[77] La rimodulazione della scala penale sarebbe seguita in
brevissimo lasso di tempo, con il decreto, di soli quattro giorni successivo a
quello abolitivo della pena di morte, che, in data 4 maggio 1859, sostituì
l’ergastolo alla pena di morte stessa (Atti e Documenti editi e inediti del Governo
della Toscana, cit., I, 39): «L' Ergastolo sostituito alla pena di morte pel
Codice Penale Comune. Il Governo Provvisorio Toscano ha decretato
e decreta: Art. 1. Alla pena di morte per tutti i delitti pei quali è irrogata
dal vigente Codice Penale Comune, e abolita col precedente
Decreto del dì 30 Aprile 1859, viene sostituita quella dell'Ergastolo,
rimanendo ferme per ora, e fino a nuove disposizioni, le altre penalità. Art.
2. Col citato Decreto non si intenderà derogato minimamente alle penalità
statuite dal vegliante Codice Penale Militare. Dato li quattro
Maggio milleottocentocinquantanove. Cav. Ubaldino Peruzzi Avv. Vincenzo Malenchini
Mag. Alessandeo Danzini».
[78] Sulle comminatorie di morte contenute nel Codice Penale toscano del
1853, cfr. ancora Ambrosoli, 17; più in generale, si veda l’ottima
ricostruzione di M. Da Passano, La storia esterna del codice penale toscano
(1814-1853), in Istituzioni e società in Toscana nell'età moderna. Atti
delle Giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini, Firenze, 4-5 dicembre 1992, Roma, 1994, vol. II,
564-89.
[79] Dell’indirizzo a Francesco Carrara degli studenti
pisani del corso di Diritto Criminale si fornì già una trascrizione in
Montorzi, Crepuscoli
granducali, cit., 240-1; sviste ed inconvenienti nella revisione delle bozze
(dovute, forse, anche all’attività notoriamente subdola del correttore
automatico) vi lasciarono, purtroppo, gravi errori ed imprecisioni di
scrittura. Se ne fornisce, perciò, in appendice, una nuova edizione emendata.
[80] Carrara, Programma, ed. Giusti, I, 1 (ed. Bricola, 30).
[81] Carrara, Programma, ed. Giusti, I, 5 (ed. Bricola, 32).
[82] Sono indicate in corsivo le correzioni ed integrazioni
da apporre alla mendosa trascrizione fornita in Montorzi, Crepuscoli granducali, cit., 240-1. Nella
trascrizione si è poi seguito l’uso oggi corrente, e nell’originale invece non
rispettato, di osservare la distinzione tra accenti acuti e gravi nella grafia
delle parole tronche.