(aggiornato il 6.1.98)

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G. CHIODI, Scelte normative degli statuti di Spoleto del 1296, in Gli statuti comunali umbri, Atti del Convegno di studi svoltosi in occasione del VII°; centenario della promulgazione dello Statuto comunale di Spoleto (1296-1996), Spoleto, 8-9 novembre 1996, a cura di E. MENESTÒ, Spoleto 1997 (Quaderni del "Centro per il collegamento degli studi medievali e umanistici nell'Umbria", Collana diretta da C. LEONARDI ed E. MENESTÒ, 39), pp. 123-305

 Panorama di Spoleto

 

GIOVANNI CHIODI

 

SCELTE NORMATIVE

DEGLI STATUTI DI SPOLETO DEL 1296

 

 

1. Lo "ius proprium" spoletino nel Duecento. - 2. Gli statuti del 1296: struttura e contenuto. - 3. Istituzioni politiche e organi della giustizia. - 4. Il rapporto con la giustizia pontificia. - 5. La giustizia nel contado - 6. I reati. - 7. Le pene e la responsabilità penale. - 8. L' "arbitrium" del podestà. - 9. Gli istituti civilistici. - 10. Il processo penale. Accusa e inquisizione. La prova. La pace privata. L'appello. - 11. Il processo civile. Citazione, contumacia, "preceptum de solvendo". La prova. La sentenza ed il "consilium sapientis". - 12. Rilievi conclusivi.

 

 

1. LO "IUS PROPRIUM" SPOLETINO NEL DUECENTO

 

Quando a Spoleto, nel 1296, si procedette alla riforma del materiale statutario vigente, questo si trovava ormai consolidato in tre testi distinti: lo statuto del comune, il breve del popolo, il costituto. La rielaborazione attuata in quell'anno, conservata in un unico manoscritto presso l'Archivio di Stato di Spoleto e pubblicata qualche decennio fa(1), rappresenta la più antica testimonianza di ius proprium spoletino a noi pervenuta e la quarta per antichità tra gli statuti umbri completi superstiti(2). La stesura del 1296, giunta a noi frammentaria, è destinata a costituire la base dell'opera di aggiornamento fino al 1347, data di promulgazione di un nuovo statuto(3).

Sullo svolgersi dell'attività normativa del comune, sicuramente operativo, con i suoi consoli, nei primi anni del XII secolo e forse già anteriormente, disponiamo, per il periodo anteriore al 1296, di pochi punti d'appoggio. A scorrere i documenti pubblicati più di un secolo fa da Achille Sansi(4), ausilio ancor oggi prezioso per chi si interessa della storia di Spoleto, due sono i fatti importanti da registrare: la fugace menzione del breve comunale, in un atto dei più antichi, risalente al 1178(5), ed in un altro del 1228(6), ed il riferimento compiuto, in una serie di documenti, ad una vera e propria raccolta statutaria, denominata constitutum, già esistente nel 1218. Non mi è stato invece possibile ritrovare, nelle fonti prese in esame, testé ricordate, anche singole deliberazioni statutarie.

Su questa prima ricognizione, ritengo opportuno svolgere qualche considerazione ulteriore. Innanzitutto, i richiami al constitutum mi sembrano di tre tipi. Da un lato, vi sono atti che lo citano, perché in esso, a maggior garanzia, sia inserito il testo di impegni politici appena stipulati: così avviene nel 1218(7), nel 1259(8), nel 1277, quando i rappresentanti di Perugia, Orvieto e Spoleto costituiscono una lega tra i loro comuni ed ordinano "quod quolibet anno ponatur in constituto cuiuslibet civitatis predictarum civitatum, quod dicta societas firmiter observetur"(9).

In altri documenti, invece, il constitutum viene in considerazione per una particolare disciplina in esso già contenuta, che purtroppo non viene precisata: così apprendiamo che nel 1230 vi era un capitolo sulle rappresaglie(10) e nel 1247 un capitolo sulla competenza in materia d'appello(11).

In una terza serie di atti, che mi sembra assai significativa per mostrare l'incidenza e la rilevanza raggiunta dallo ius proprium comunale agli inizi del Duecento, il constitutum appare invece l'oggetto di una specifica clausola di rinunzia ai diritti da esso derivanti. Se non ho contato male, si tratta precisamente di tre atti che siglano importanti risoluzioni relative al contado spoletino: la sottomissione dei signori di Arrone del 1229(12), la donazione di Castel Ritaldi del 1254(13) e la vendità della metà dei castelli di Mevale, Giove e Belvedere stipulata da Offreduccio d'Alviano nel 1258(14). Con questi documenti i signori cedono al comune di Spoleto determinati territori, con i diritti ad essi collegati, e si preoccupano di farlo, o sono spinti a farlo, nel modo più stabile ed irrevocabile possibile e quindi rinunciando ad ogni rimedio o beneficio loro spettante in base alla normativa vigente: ed è così che si pensa non solo alle leggi romane ed al diritto canonico, ma anche alle regole del constitutum. Una di queste clausole contiene appunto la rinuncia "omni auxilio legum et constituti et decretalium" ed un'altra ancora suona così: "renuntio... omni... auxilio et beneficio iuris civilis et canonici et constituti". Sono, questi, frammenti preziosi anche sotto un diverso profilo, che è quello del ruolo assolto a Spoleto dal diritto romano, la cui presenza traspare dalla sostanza di molti capitoli degli statuti del 1296, ma che non è mai invocato espressamente tra le fonti che le autorità giudicanti sono chiamati ad applicare: un problema del quale si dirà più avanti.

Vi sono invece documenti nei quali non si parla di un constitutum, bensì di uno statutum. Così lo "statuto" e gli ordinamenti del consiglio generale di Spoleto sono citati in una lettera a Lucca del 1274(15) ed un altro accenno allo "statuto" si ha in una delibera consiliare del 1277(16). Non si può essere sicuri che, con tale denominazione, si sia voluto designare un complesso normativo diverso dal constitutum: nella stessa compilazione del 1296, i termini statutum e constitutum sono usati più di una volta come sinonimi(17). E' anche possibile che si volesse semplicemente operare un rinvìo generico alla raccolta statutaria in vigore, chiamata constitutum o statutum. Certo è soltanto che, nel 1296, gli statuti sono due, mentre la questione della loro formazione resta aperta: come si vedrà, neanche dal loro contenuto si possono trarre illazioni al riguardo.

Le testimonianze appena riportate provano inoltre che l'attività statutaria del comune di Spoleto doveva essere in corso già da tempo, se nel primo decennio del Duecento le fonti ci parlano, come sembra, di un insieme di statuti (constitutum-statutum) e non di deliberazioni isolate. Ed è rimasta traccia, come pure si è notato, del breve comunale. Nel 1247, pertanto, il privilegio del cardinale Ranieri Capocci, riconoscendo a Spoleto la "libera potestas con[ce]dendi(18) statuta more solito, sicut actenus faciebant", giunse a conferire la necessaria legittimazione ad un potere già da tempo esercitato di fatto, come del resto si affermava nello stesso documento(19). Di esso Spoleto avrebbe ricevuto conferma anche nel 1294, quando Bonifacio VIII, nell'attribuire al podestà comunale il merum e mistum imperium, insieme con la plena iurisdictio, lo autorizzerà a "procedere et iudicare secundum ordinationes ac statuta dicte civitatis iam edita et in posterum edenda"(20).

Quando nel 1296, in pieno regime popolare, si compì l'opera di rielaborazione statutaria i cui risultati ci sono pervenuti, essa coinvolse anche il breve del popolo: di questo testo, nei documenti pubblicati dal Sansi, non si trovano riscontri più antichi. Quanto ai prodotti normativi degli altri organi popolari, la principale fonte d'informazione è rappresentata dagli stessi corpi revisionati nel 1296, che sul punto non sono per nulla eloquenti. Il breve del popolo si limita infatti a ricordare i brevi delle arti e delle nuove società, e le riforme che queste ultime possono realizzare (non si dice da quali organi)(21). Il costituto accenna a "riforme" del Consiglio dei capitani delle arti, delle società e dei quattro "aggiunti" per ogni arte e società e dice che esse prevalgono su quelle del Consiglio generale del comune(22). Le disposizioni anti-ereticali inserite nel costituto parlano di "riforme" del priore delle nuove società e del suo ufficio(23). Purtroppo gli statuti ed il breve del popolo del 1296 non forniscono ulteriori precisazioni sui "consigli" appena menzionati, o sulla genesi e l'aggiornamento dei brevi, sia del popolo che delle arti e delle nuove società. Essi dicono qualcosa soltanto sulla correzione del breve del popolo, alla quale è prestata attenzione in un capitolo dello stesso breve. Essa segue alla correzione dello statuto comunale. Entro 8 giorni da quel momento, il capitano del popolo deve convocare il consiglio dei capitani delle arti, delle nuove società e dei quattro aggiunti per nominare i correttori e fissare le modalità dell'opera(24). Il priore delle nuove società è membro di diritto del collegio dei correttori del breve populi, all'interno del quale la sua opinione vale tanto quanto quella di uno degli altri correttori(25). In effetti, nella formula di sottoscrizione del breve populi si fa notare che il breve è stato corretto "de mandato prioris novarum societatum". Anche l'inquisitore, per far inserire nel breve del popolo il capitolo sull'obbligo di osservare le costituzioni pontificie e le leggi imperiali contro l'eresia, si rivolge a lui ed ai correttori del breve(26). La correzione del breve del popolo non può essere impedita e neanche il lavoro del notaio: chi compie una protestatio a questo riguardo viene severamente punito e con lui il notaio che l'ha messa per iscritto ed i testimoni presenti all'atto: sono anche considerati traditori del comune e interdetti in perpetuo dagli uffici(27).

Il quadro fin qui tracciato delle fonti dello ius proprium spoletino vigente nel 1296 comprende dunque lo statuto, il costituto ed il breve populi, con il contorno delle ulteriori normazioni delle organizzazioni popolari. Nulla induce inoltre a ritenere che, tra le fonti locali, non vi fosse ancora spazio per la consuetudine(28), la quale, a Spoleto come altrove(29), era stata d'altronde molte volte espressamente recepita negli stessi testi statutari, con una frequenza probabilmente più alta di quanto non sia oggi possibile accertare(30).

Esaminate dal punto di vista della loro concreta applicazione, le fonti menzionate non possono essere collocate tutte sullo stesso piano. Ad un certo momento, che non siamo oggi in grado di precisare, anche a Spoleto si sentì l'esigenza di sancire la supremazia della normativa popolare su quella di provenienza comunale. Si è già avuto modo di notare come il costituto sancisse la prevalenza delle norme dei brevi delle arti su ogni capitolo contrario del costituto medesimo. In modo non dissimile erano concepiti anche i rapporti tra breve del popolo e statuto-costituto. Vengono in esame a questo riguardo essenzialmente tre disposizioni. Lo statuto, nella rubrica del giuramento del podestà, non contempla alcuna gerarchia tra le norme: il podestà deve semplicemente giurare di osservare e far osservare "omnia et singula capitula statutorum, ordinamenta et reformationes comunis et brevis populi"(31). Il costituto, viceversa, con una norma che trova riscontro anche altrove in Umbria(32), non soltanto impone a tutti gli officiali comunali l'osservanza dello statuto e del breve del popolo, ma dispone pure che, in caso di contrasto, "et potestas et capitaneus et alii officiales teneantur bleve populi integraliter observare"(33). Del breve del popolo, inoltre, il podestà è tenuto, entro 8 giorni dall'assunzione dell'ufficio, a far eseguire due copie da due "boni scriptores" nominati dal priore, dai consoli e dagli anziani: una la tiene presso di sé e l'altra la fa rilegare insieme con lo statuto nel palzzo del comune, affinché chiunque possa estrarne copia(34).

Le norme più rigide, però, sono contenute nel breve del popolo, il quale stabilisce la nullità di qualsiasi capitolo del costituto o dello statuto che sia non solo pregiudizievole al comune di Spoleto, ad un suo cittadino o ad un abitante del distretto, ma anche contrario al breve(35). Inoltre, dispone la protezione penale del medesimo breve e del breve delle nuove società(36).

Al di là delle disposizioni fin qui esaminate doveva essere ammessa anche una forma d'intervento più efficace, consistente nell'abrogazione o nella modificazione diretta dei capitoli statutari. Lo si desume dall'atto del 1274, scoperto e pubblicato dal Sansi, nel quale si trova menzionata per la prima volta la carica del capitano del popolo e si descrivono le sue funzioni. In questo documento, dopo aver detto che il capitano, gli anziani e i capitani delle arti e delle nuove società hanno tutti insieme un potere deliberativo che non può essere loro tolto dallo statuto e dagli ordinamenti del consiglio generale ("non obstante capitula statuti et ordinamento concilii generalis"(37)), si afferma infatti che gli stessi soggetti hanno anche il potere di "nova capitula facere et vetita tollere et mutare pro utilitate comunis, sicut sibi et predictis videbitur expedire": sembra qui configurato un potere integrativo e abrogativo dello statuto. Che i capitani delle arti e delle nuove società avessero quanto meno poteri abrogativi emerge poi anche dalla normativa del 1296, dato che alcuni capitoli del breve e del costituto vengono esclusi da modifiche in questo senso(38). Risulta inoltre che i suddetti capitani potevano deliberare, insieme con i quattro aggiunti, l'annullamento dell'eventuale capitolo contrastante con il divieto assoluto di dare denaro o cose del comune ad alcuna persona o università(39).

Gli statuti ed il breve, ad altro proposito, sono messi sullo stesso piano. Questo avviene in due casi: ai fini del rapporto con il diritto divino, la fede cattolica, l'inquisizione, che vede entrambi i corpi normativi in posizione subordinata(40), ed ai fini della qualifica espressa d'inderogabilità conferita ad uno dei loro capitoli, che generalmente è valida nei confronti di norme contrarie sia dello statuto che del breve(41).

Quanto appena riferito consente un rapido cenno anche al problema dell'estensione del potere normativo del comune nei confronti di altre fonti. A questo riguardo, si può affermare in primo luogo che gli statuti già emessi sono senz'altro riformabili(42), a meno che non siano espressamente dichiarati precisi, inderogabili o ultrattivi(43), ciò che puntualmente avviene in moltissimi casi anche a Spoleto. Inoltre, è fatta espressa proibizione generale di emanare statuti lesivi del comune o dei diritti di singole persone, oppure di favorire singoli individui(44) ed in particolare quelli sottoposti a bando(45). Del resto, qualora rechino danno al comune o a qualche persona di Spoleto, sono nulli anche eventuali capitoli già esistenti nel costituto(46). E' vietato inoltre disporre la concessione di denaro o beni del comune a persone o a comunità(47).

Altri divieti sostanziali possono provenire dalla legislazione pontificia. Ne è una significativa manifestazione il divieto di emanare statuti contra libertatem ecclesie, che valeva non soltanto nelle terre pontificie(48): a Spoleto tale regime trova conferma nel giuramento del podestà, che deve infatti impegnarsi a non osservare e a non far osservare siffatti statuti(49). Accanto agli obblighi negativi, vi possono essere pure doveri positivi, come quello di rispettare la normativa anti-ereticale, sia pontificia che imperiale, la cui applicazione, almeno dal punto di vista formale, viene garantita, nel 1296, sia da un impegno giurato del podestà, sia, come in altri luoghi d'Italia(50), dalla sua inserzione materiale nel corpo degli statuti, in virtù di un ordine specifico. Un limite all'attività statutaria, in questa prospettiva, può provenire anche dalla legislazione provinciale(51): si pensi, ad esempio, a certe prescrizioni delle costituzioni di Foligno del 1324(52) o di Spello del 1333(53).

Poiché Spoleto faceva parte di un'entità politica più ampia, lo Stato della Chiesa, è naturale chiedersi se ciò comportasse dei limiti alla sua attività statutaria. Riguardo alla liceità di quest'ultima, non sembra che, nel 1296, esistessero più problemi, dal momento che il comune aveva ricevuto ufficialmente nel 1247 la potestas condendi statuta. Quanto all'obbligo di approvazione degli statuti autonomamente deliberati in sede locale da parte dell'autorità provinciale(54), esso venne espressamente sancito nelle costituzioni emanate a Spello da Pierre de Castanet nel 1336(55) ed in quelle promulgate a Montefalco nel 1336 da Bertrand de Deaux(56), normative entrambe direttamente rivolte alle terre del ducato di Spoleto. Gli statuti di Montefalco affermano di rifarsi ad antiche costituzioni, disapplicate o male applicate sia dai controllori (i giudici provinciali) che dai controllati. All'infuori di questa testimonianza, non sappiamo se effettivamente Spoleto portasse o meno i suoi statuti alla curia rettorale per la conferma. Nel 1357, le Costituzioni Egidiane avrebbero esteso quel dovere a tutte le città dello stato pontificio(57).

 

 

2. GLI STATUTI DEL 1296: STRUTTURA E CONTENUTO

 

E' venuto il momento di dedicare qualche cenno alla struttura ed al contenuto(58) dei testi statutari emanati nel 1296(59). Il dato forse più rilevante da mettere preliminarmente in evidenza, a questo riguardo, è l'incompletezza dell'opera a noi giunta. L'insieme dei tre testi normativi riformati (statuto-breve del popolo-costituto) si componeva, stando ai dati in nostro possesso(60), di oltre 600 capitoli: una cifra considerevole, che consentiva alla raccolta spoletina di superare, almeno nel numero delle singole previsioni normative, non soltanto lo statuto di Todi del 1275 (139 capitoli), ma anche il ben più corposo statuto di Perugia del 1279 (509 capitoli). Di questo ricco complesso normativo l'unico manoscritto rimasto non ci restituisce che 288 capitoli. Mancano quindi più di 300 capitoli, cioè circa la metà dello statuto originario: rispettivamente tre quarti dello statuto del comune e metà del breve populi.

Più precisamente, come risulta da un indice manoscritto che si è conservato ed è stato opportunamente pubblicato(61), lo statuto del comune era diviso in quattro quaternioni: il primo constava di 71 capitoli, il secondo ed il terzo di 72 ciascuno, il quarto di 68, per un totale di 283 capitoli. Attualmente ne sopravvivono soltanto alcuni di quelli del primo quaternione: i primi 59, un frammento del sessantesimo e del settantesimo, il settantunesimo; quindi, poco più di 60. Sono perduti 9 capitoli interi, due frammenti del primo quaternione e tutti gli altri capitoli dello statuto riferiti nell'indice (212). Il breve del popolo, d'altro canto, era contenuto in 16 carte, di cui la metà risulta perduta: restano pertanto solo 70 capitoli su 140 circa. Il constitutum(62) sembra l'unica componente della riforma del 1296 ad essersi tramandata integra: è formato da 148 capitoli divisi in due libri, di 86 e 62 capitoli ciascuno.

Il dato che appare a prima vista è lo stato ancora imperfetto della sistemazione della materia. Abbiamo di fronte tre complessi normativi distinti, uno di provenienza popolare (il breve populi) e due di origine comunale, lo statuto ed il costituto, ancora tenuti separati, frutto probabilmente di una formazione in tempi diversi, che gli atti non hanno consentito di chiarire. Una rudimentale divisione è abbozzata, come si è detto, nello statuto e soprattutto nel costituto, che è formato per l'appunto da due libri. Non si tratta, peraltro, di un'organizzazione dei capitoli per materia. Le rubriche si succedono quindi ancora senza un ordine preciso. Da questo punto di vista, Spoleto è sicuramente meno avanzata di altri comuni: basti pensare al costituto senese del 1262.

Procediamo ora ad una breve ricognizione del contenuto delle rubriche. Lo statuto vero e proprio è preceduto dalle disposizioni antiereticali, che l'inquisitore Matteo, fratello dell'ordine dei minori, aveva ordinato alla commissione degli statutari di inserire nello statuto riformato. Dei 71 capitoli del primo quaternione, la sezione iniziale (1-25) riguarda l'elezione degli organi del comune: del podestà (1-2); dei giudici e dei notai delle cause civili (3); dei podestà e dei notai delle vaite (4); dei membri del Consiglio generale (5); dei baiuli del comune (7) e delle ville (10); degli estimatori (8-9); del camerario (13); del capitano del popolo (18); del giudice sulle questioni civili; del notaio viario; dei notai delle riforme; dei banditori. Lo statuto comprende poi una serie di capitoli dedicati alla procedura civile (26-37; 40-42; 49-51; 60), alcuni capitoli di diritto civile (38-39; 52-53; 56, 58) ed ancora disposizioni sul salario dei notai delle vaite (43, 46), dei consulenti (44), del camerario (45); sul sindacato degli officiali (55), sulla custodia dei libri del comune (70) e sulle acque (71).

Il breve populi, dopo la perdita già accennata di metà delle carte sulle quali era stato trascritto, consta ora di soli 70 capitoli. Questi introducono 26 nuove figure criminose(63), ma complessivamente si contano più di 44 capitoli penali, cioè più della metà del breve che ci è rimasto, se si considerano anche le norme volte a reprimere la violazione di doveri specifici imposti ad ufficiali del comune, come il podestà, che sono non meno di 18(64). La procedura criminale, quando non costituisca un profilo già trattato nelle citate norme incriminatrici, è disciplinata in alcuni suoi aspetti da 6 capitoli(65). Un solo capitolo concerne un istituto di procedura civile(66); tre capitoli possono considerarsi di portata generale, con valore pertanto sia per il processo civile che per quello penale(67). Il diritto privato è assai meno rappresentato, con tre capitoli in tutto(68). Al rapporto tra fonti normative locali è dedicato un capitolo dal netto significato politico, dato che sancisce la prevalenza del breve su altre fonti concorrenti(69): sul punto si dovrà ritornare.

Sta senz'altro più a cuore alla normativa fondamentale del popolo, oltre alla repressione di determinate ipotesi criminose, l'organizzazione interna del comune. Il breve non trascura infatti di introdurre divieti e doveri a carico del podestà(70), nonché di ribadire i suoi poteri giurisdizionali(71), come del resto di delineare alcuni compiti(72) e riaffermare la funzione giurisdizionale del capitano del popolo(73). Esso interviene anche in merito all'elezione di questi due organi(74). Vi sono poi disposizioni sulle arti(75), sul priore delle nuove società(76), sul capitano del popolo(77), sul priore, i consoli e gli anziani(78), sul priore e i capitani delle nuove società(79), sul priore ed il capitano del popolo(80), sul capitano e gli anziani(81), sul priore e gli anziani(82), sul vicario del podestà(83), sulle arti e le nuove società(84) e sui loro capitani(85), sui brevi delle arti e delle società(86), sui notai(87), sul sindaco(88). I rapporti con il contado, infine, sono presi in considerazione da sei capitoli(89).

Sono poche le norme che non rientrano nelle categorie indicate. Tra queste non si possono passare sotto silenzio la disposizione sulla libertà di circolazione delle derrate alimentari(90) e le norme anti-ereticali(91).

Anche il costituto, dal punto di vista del contenuto, non presenta, ad eccezione della divisione in due libri, una struttura organica. Sono senz'altro prevalenti su tutte le disposizioni penali, che non di rado disciplinano pure profili processuali, in ispecie di carattere probatorio: si tratta di non meno di 63 capitoli(92) e, se si calcolano anche le omissioni e le negligenze degli ufficiali, come il podestà (non meno di 34(93)), il numero sale a circa un centinaio (96).

Poco più di una decina sono i capitoli che trattano autonomamente problemi di procedura, validi in generale(94) o con particolare riferimento al processo penale(95). C'è anche un capitolo sulle rappresaglie(96). Le norme di diritto privato sono soltanto sei(97).

Vari capitoli sono dedicati alla struttura istituzionale interna del comune. A questo riguardo si possono distinguere, innanzitutto, quelli che impongono specifici doveri al podestà, di solito prevedendo una sanzione in caso d'inadempienza(98). Ve ne sono quindi altri dedicati ad ulteriori aspetti dell'ufficio podestarile(99), nonché ad altri organi del comune: il consiglio generale(100), il capitano del popolo(101), il viario(102), il camerario(103), i partiserii(104), i giudici(105), i notai(106), i banditori(107), ed anche agli ufficiali in generale(108). C'è anche un capitolo sulle modalità di voto(109). Di particolare importanza sono le disposizioni sul priore delle nuove società(110), sul priore, i consoli e gli anziani(111), sulle arti(112), sui capitani delle arti e delle nuove società(113), sul capitano dei notai(114), sul vicario del podestà(115), sul consiglio del popolo(116). Numerose sono le norme che regolano i rapporti del comune con i centri del contado: non meno di 27(117). Il rapporto tra il constitutum ed altre fonti normative è trattato in un capitolo(118); quello che il constitutum non può prevedere, a parte le clausole d'inderogabilità inserite nei capitoli precisi(119), è fissato in due norme che vietano rispettivamente di ledere i diritti del comune e di abolire, diminuire od aumentare i diritti di un soggetto del comune(120), e di stabilire alcunché in favore di qualche bandito(121).

C'è infine una serie di norme dai contenuti più disparati: sui danni dati(122); sulla vendemmia(123); sull'esportazione di olio(124); sui pedaggi(125); sulla duana per olio, noci, mandorle, vino ecc.(126); sul trasporto di vino nei barili(127); sulla vigilanza dei baiuli delle ville su chi produce olio, noci, ecc.(128); sulla libertà di venire in città cum grassia(129); sulle misure(130); sull'obbligo di tenere una bilancia nei mulini per pesare il frumento e la farina(131). Vi sono poi norme di edilizia pubblica(132), d'igiene pubblica(133); sulle porte(134); sulle vie(135); sulle mura(136); sulle spese per l'edificazione di un castello, una torre, un palazzo, una domus(137); sulla rete idrica e sulle acque(138); sulla registrazione delle spese del comune(139); sul divieto di concedere a privato o a comunità pecunia o cose del comune(140); sul catasto(141); sulle collette(142); sulla stima dei beni dei defunti(143); sull'obbligo di prestare servizio nell'esercito(144); un provvedimento speciale di revoca di una sentenza(145), un bando(146) ed altri precetti(147). Il costituto si chiude con quattro precetti anti-ereticali(148).

 

 

3. ISTITUZIONI POLITICHE E ORGANI DELLA GIUSTIZIA

 

Alla fine del Duecento, il comune di Spoleto, come altri in Umbria(149) e in Italia, si regge con una forma di governo popolare, che pone al vertice un podestà(150) ed un capitano del popolo(151), entrambi forestieri, in carica per sei mesi, non immediatamente rieleggibili(152), affiancati nella loro azione dai due Consigli del comune (generale e speciale), dal Consiglio del popolo, dalle arti, dalle nuove società e dai loro vertici direttivi (capitani delle arti e delle nuove società), dai consules militum.

La ricostruzione dell'evoluzione istituzionale del comune di Spoleto soffre di una situazione documentaria infelice. I consoli sono attestati abbastanza tardi, e precisamente nel 1173(153): ma vi sono elementi per ritenere che la loro istituzione risalga agli anni '30 del XII secolo e probabilmente anche più indietro nel tempo(154). Il loro numero è variabile: sono 14 nel 1190, 16 nel 1201. Si può supporre che, come altrove in Umbria, nelle Marche e nel Lazio, appartenessero al ceto aristocratico: come rileva Maire-Vigueur(155), "quasi dappertutto il collegio dei consoli è saldamente tenuto in mano dai milites della città", anche se i pedites non sono del tutto esclusi dal governo. A Spoleto, ad esempio, fa riflettere la composizione del consolato che ci mostra un documento del 1190: l'atto è compiuto da 3 consoli "maiores" e 3 consoli "negotiatorum"(156).

Il podestà viene menzionato nelle fonti a partire dal 1201(157). All'inizio, come altrove in Italia centrale, fino al decennio 1220-1230, si trattava di un magistrato forestiero che si alternava con i consoli. Delle altre istituzioni comunali, si possono menzionare i Consigli, generale e speciale, con competenza, tra l'altro, in materia statutaria.

Tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo lo sviluppo del commerci porta alla nascita delle prime associazioni di mestiere: a Spoleto il collegio dei mercanti esiste almeno dal 1190(158). Il popolo si organizza non solo nelle arti, ma anche nei quartieri e nelle società armate. Non in tutte le città è possibile seguire con precisione le fasi di progressiva conquista del potere da parte del popolo. Un caso privilegiato è quello di Perugia, che dalla seconda metà del Duecento alla seconda metà del Trecento sperimenta diverse forme di governo popolare(159). Delle lotte tra nobili e popolari all'interno del comune di Spoleto si sa invece molto poco. Che la città fosse divisa in due fazioni lo apprendiamo da un atto del 28 novembre 1251, già messo in luce dal Sansi e dal Sestan. E' il punto di arrivo di un conflitto che aveva visto coinvolti due partiti, rispettivamente chiamati "pars baronie" e "pars zaganie"(160). Non sembra che possa essere fatta risalire a quella data l'istituzione del capitano del popolo, una carica menzionata per la prima volta solo nel 1274, con il titolo di "consul et exgravator", in una lettera del comune di Spoleto a quello di Lucca, già pubblicata dal Sansi e discussa anche dal Sestan(161), nella quale sono precisate le sue funzioni. Il documento in questione dice che egli deve agire "cum antianis et capitaneis artium et societatum"(162). Si ha qui una prova del fatto che, a fianco del capitano del popolo, esistevano altre magistrature popolari(163).

Ulteriori notizie si possono derivare dagli statuti del 1296, che menzionano da un lato le arti, le nuove società, i loro capitani ed i rispettivi brevi e d'altro lato, il priore delle nuove società. Esistono inoltre un Consiglio del capitano del popolo(164) ed un Consiglio del popolo(165).

Arti e società, come afferma il breve, hanno una matrice consuetudinaria(166). Sono istituzioni protette all'interno del comune: conservare e difendere le arti, afferma infatti lo stesso testo, è un preciso dovere del podestà e del capitano del popolo. Lo stesso è disposto con riferimento alle nuove società(167). Ciascuna corporazione o società deve contare almeno 30 membri: quelle di minore entità si possono unire tra di loro(168). Non si possono istituire nuove società senza il consenso del capitano del popolo e del priore delle nuove società. Il capitano, con il consiglio del priore e degli anziani, è obbligato a far compilare entro il primo mese del suo regime un libro nel quale siano trascritte tutte le arti e le società esistenti, così che non se ne possano aggiungere altre(169). Il breve accenna anche alla iurisdictio delle arti e delle società, ma il punto non è ulteriormente approfondito(170).

I capitani delle arti e delle società sono eletti nel numero e nei modi consueti dagli iscritti all'arte od alla società(171). L'impulso alla loro nomina proviene dal capitano del popolo, il quale deve far eleggere i capitani delle arti e delle società ed i quattro aggiunti 15 giorni prima della fine del suo mandato ed iscrivere i loro nomi in un libro da consegnare al suo successore. Durano in carica tanto quanto il capitano del popolo e non possono essere rieletti per un anno.

I capitani delle arti e delle società fanno parte del Consiglio del capitano del popolo, del Consiglio generale e del Consiglio del popolo, insieme con quattro persone per ogni arte o società (quattro aggiunti) da loro elette(172).

Hanno poteri, innanzitutto, sugli iscritti alle arti: ma i loro compiti non sono specificati dal breve. Per adempierli, devono essere aiutati dal podestà e dal capitano del popolo a farsi obbedire dagli iscritti(173).

Essi devono a loro volta aiutare ("dare fortiam") il capitano del popolo ad eseguire determinate condanne(174). Consigliano inoltre lo stesso capitano sulla correzione del breve del popolo(175). Possono infine abrogare capitoli del breve o del costituto(176).

Delle singole arti, sono menzionati, oltre ai giudici ed ai notai, i calzolai(177), i banchieri(178), i mercanti(179).

Accanto ai capitani sono poi citati una sola volta anche i consoli delle arti e delle società, sui quali non è dato sapere di più(180). Non sono invece rammentati i consoli dei mercanti, della cui esistenza c'informa un atto del 1190(181).

Le arti, come sappiamo, hanno un potere normativo che si esplica nei rispettivi brevi. Essi devono essere esaminati dal podestà, entro due mesi dall'entrata in carica, dal capitano del popolo e dal priore delle nuove società, al fine di controllare che non contengano disposizioni "contra breve populi et comunis" o "contra breve novarum societatum et omnium et singulorum reformationum factarum et faciendarum per predictas novas societates(182)".

Sestan ha definito il priore delle nuove società una sorta di alter ego del capitano del popolo ed ha ipotizzato, come già Sansi, che queste ultime fossero associazioni armate(183). Il breve e il costituto gli attribuiscono diversi poteri e doveri: modificare il breve(184); sospendere pene statutarie(185); approvare e confermare i brevi delle arti e delle società, insieme con il podestà ed il capitano del popolo(186); nominare i dieci "homines bonos et legales pro qualibet vaita, qui sint de artibus et societatibus civitatis Spoleti", che vanno a far parte del Consiglio generale(187); nominare notai ad un determinato ufficio(188); punire in casi determinati(189); far osservare le disposizioni antiereticali pontificie ed imperiali(190); autorizzare una conventicula, una conspiratio o un giuramento(191). Il priore, inoltre, ma solo insieme con i consoli e gli anziani, ha il potere di applicare pene(192); di scegliere gli scrittori del breve(193); di deliberare prestiti(194); di far giurare fedeltà agli uomini di Spoleto(195); di scegliere il "bonus homo" addetto all'adeguamento dei barili di vino o di mosto (196); di autorizzare il taglio della legna in Monteluco(197); di scegliere il luogo della contrada di S. Paolo dove devono abitare le dodici famiglie fatte venire dal podestà per risiedervi; di ordinare l'elezione del notaio viario; di decidere le modalità di costruzione del palazzo del popolo(198).

Il priore, i consoli e gli anziani possono inoltre spendere L. 25 al mese di denaro del comune senza delibera del Consiglio (del comune)(199).

Il costituto accenna infine all'esistenza del Consiglio del popolo(200) e ad anziani del popolo(201).

Titolare della giurisdizione civile e penale, come negli altri ordinamenti comunali dell'epoca, è in primo luogo il podestà. In merito alla sua elezione, dev'essere ricordato che Spoleto nel 1247 aveva ottenuto il privilegio di eleggere il podestà e gli altri officiali del comune "sicut tunc temporis faciabant (sic) et sicut ipsi comuni placuerit"(202). L'atto avvicinava la situazione spoletina a quella di altri comuni umbri, come Perugia, Todi(203), Assisi(204), che avevano già ricevuto espressa licenza al riguardo(205). Nel 1294, tuttavia, la politica del pontefice mutò e Spoleto perse, almeno parzialmente, il potere di scegliersi liberamente il podestà, potendo intervenire solo nella fase propositiva. Secondo quanto si legge nel breve di Bonifacio VIII del 2 giugno 1294, il comune infatti otteneva solo la facoltà di eleggere una terna di candidati, i cui nomi avrebbero dovuto poi essere presentati al pontefice al quale sarebbe spettata la scelta, da farsi entro un mese(206). E' significativo, tuttavia, il fatto che lo statuto di Spoleto del 1296, a due anni di distanza, non faccia alcun accenno alla procedura imposta dal pontefice: siamo di fronte quindi ad una netta affermazione da parte del comune delle proprie consuetudini e della propria autonomia(207). Lo statuto stabilisce infatti che il podestà deve essere eletto 8 giorni dopo la correzione dello statuto e del breve del popolo(208). E' il Consiglio generale a dover decidere circa la provincia di provenienza del podestà(209), il salario, il suo seguito, i cavalli da mettere a sua disposizione; deve fissare in un secondo tempo lo stesso Consiglio fissi modo, forma e tempo della sua elezione, e quindi procedere all'elezione di una sola persona oppure di tre, in modo che, se il primo non accetta, subentri il successivo candidato. L'eletto deve accettare o rinunziare entro due giorni dalla presentazione, altrimenti "eius elettio et presentatio sibi fatta sit nullius valoris et per ipsam elettionem nullum ius acquiratur"(210). Il mandato dura sei mesi(211). Era forse lecita la nomina di un vicario(212).

Lo statuto stabilisce che la familia del podestà sia composta da tre giudici(213), un socius e sei notai esperti incaricati di redigere gli atti processuali(214). Dei tre giudici uno è competente "ad maleficia"; uno "ad deposita et ad alia civilia" ed uno "ad executiones et exattiones condenpnationum et colletarum et aliorum proventium pertinentium ad comune", nonché "ad omnia alia et singula exercenda que sibi commissa fuerint per potestatem et conscilia comunis Spoleti"(215). Non sono previste particolari qualità(216). Ciascuno di essi è assistito da due notai. Una norma del costituto assicura a ciascun cittadino il diritto, che non può essere escluso neanche in futuro, di entrare nel palazzo comunale e di rivolgersi al podestà o ai suoi officiali "pro suis factis dicendis et iuribus proponendis"(217). Il podestà ed i suoi giudici sono obbligati ad esercitare la funzione giurisdizionale, stando "ad bancum ad ius reddendum" nelle ore consuete(218). Le sentenze criminali devono essere pronunciate in Consiglio(219). Il podestà forestiero, come gli altri ufficiali del comune, compresi i podestà dei castelli ed i baiuli delle ville, è sottoposto a sindacato alla scadenza del suo mandato: quest'operazione fondamentale di controllo è di competenza del capitano del popolo(220).

Il podestà è il garante della giurisdizione del comune(221). Il suo potere decisionale, nell'ottica degli statuti del 1296, è tale da abbracciare ogni genere di controversia, civile e penale(222). Già dal 1247 la curia cittadina (quindi non soltanto quella podestarile) detiene legittimamente la competenza esclusiva in primo grado(223). Per quanto più propriamente concerne le attribuzioni del podestà, il privilegio di Bonifacio VIII del 1294 gli riconosce il "merum et mistum imperium ac plenam iurisdictionem in temporalibus" e deve "de quibusvis causis cognoscere ac in eis procedere et iudicare secundum ordinationes ac statuta dicte civitatis iam edita et in posterum edenda"(224). Per quanto concerne la giurisdizione penale, il principio viene costantemente mantenuto vivo dagli statuti anche nei decenni successivi, malgrado i tentativi di limitazione che si registrano a livello della curia pontificia(225).

Le sentenze del podestà e dei giudici della sua curia sono appellabili, tanto le civili quanto le criminali. Il costituto stabilisce che il podestà ed i giudici della curia civile sono tenuti a non ostacolare la domanda d'appello loro proposta(226). Il podestà deve inoltre difendere tutte le sentenze appellate davanti al capitano del popolo, pronunciate da lui o dai suoi giudici(227).

Se l'esercizio della giustizia penale in primo grado è interamente nelle mani del podestà, in materia civile la sua competenza non è esclusiva. Per le cause superiori alle L. 10 (o anche inferiori, se vi è accordo delle parti) si può infatti ricorrere ai tre giudici della "curia civilium causarum", scelti ogni sei mesi dagli stessi elettori del podestà(228). Ciascuno di essi ha un notaio (il cui salario è fissato dallo statuto(229)) e risiede in un luogo del palazzo comunale, dove decide le cause(230).

Vi è anche un'articolazione giurisdizionale a livello di vaite (le circoscrizioni urbane)(231): i notai delle vaite possono infatti decidere cause civili di valore inferiore a L. 10 e, su accordo delle parti, anche oltre(232). La loro giustizia vale però soltanto nei confronti dei soggetti residenti nella rispettiva vaita e dei beni ivi esistenti(233). Essi non possono percepire un salario superiore a quello stabilito dallo statuto: in caso contrario incorrono in un banno di 10 L. cortonesi e gli atti da loro compiuti sono nulli(234).

Vi sono poi due organi speciali: il notaio viario ed i partiserii. Il notaio viario, forestiero, eletto dal Consiglio generale per un anno, è addetto alla conservazione, riparazione e pulizia delle strade della città e delle ville del contado. Per farsi obbedire è autorizzato ad imporre pene: può emettere sentenze di condanna fino a L. 10 nei confronti di soggetti individuali e fino a 35 L. cortonesi nei confronti di universitates(235).

I partiserii sono ufficiali deputati a determinare i confini ed a risolvere le relative questioni(236), con facoltà di imporre pene, che poi devono essere eseguite a cura del podestà(237). Essi procedono con rito sommario entro 8 giorni dalla domanda, per la quale non c'è necessità del libello(238).

Al di sopra di tutti i giudici appena indicati sta il capitano del popolo, detto anche "defensor"(239). Come il podestà, deve essere persona devota alla Chiesa e non provenire da Spoleto(240) o dal ducato(241). La sua elezione, secondo il privilegio di Bonifacio VIII del 1294, sarebbe dovuta avvenire nelle stesse forme stabilite per quella del podestà: libera elezione di una terna di candidati, da sottoporre al vaglio del pontefice o dei suoi rappresentanti ("presentatio"), che avrebbero poi deciso quale sarebbe stata la persona da nominare ("assumi et deputari")(242). Lo statuto invece si limita a stabilire che egli sia eletto in base alle modalità sancite dal Consiglio(243): sull'intenzione di non applicare le prescrizioni pontificie in sede locale si è già detto con riferimento al podestà.

Il capitano del popolo esercita una fondamentale funzione di controllo, in qualità di giudice d'appello, delle sentenze emesse dal podestà e dagli altri officiali della città e del distretto. Tale competenza è così enunciata nella già citata lettera del 1274 ai Lucchesi: "offitium exgravatoris est intendere gravatos per potestatem et alios offitiales civitatis et districtus et eorum sententiis appellantes et gravamina et appellationes sine debito terminare"(244).

Questi poteri vengono confermati ufficialmente da Bonifacio VIII nel 1294, dopo che il pontefice, più precisamente, prende atto che in Spoleto "antiquitus esse consueverat unus iudex appellationum qui capitaneus vocabatur, ad quem cives et incole ac habitatores civitatis ac districtus predictorum a potestate et aliis officialibus civitatis eiusdem appellare ac ab arbitris et arbitratoribus recursum habere poterant"(245).

Al capitano del popolo lo statuto conferma innanzitutto le funzioni di giudice d'appello, tanto nel civile quanto nel penale(246). Esso precisa inoltre che le sentenze d'appello in materia criminale devono essere inserite in un apposito registro presso il Consiglio maggiore e che devono essere motivate(247). Non deve passare inosservata questa formalizzazione dell'obbligo di indicare i fondamenti della decisione, che trova riscontro, nel penale, anche in autorevoli voci dottrinali ed in qualche statuto(248). E' ben possibile che fossero attribuite funzioni diverse, di garanzia per l'imputato oltre che di controllo politico sull'operato del giudice. Analogo dovere non è sancito, peraltro, con riferimento alle sentenze del podestà.

Il privilegio pontificio e lo statuto non fissano limiti di valore per le cause d'appello. Su questo punto si deve registrare un'evoluzione rispetto al passato. Nel 1247-1248, infatti, il papa aveva riservato alla curia Spoleti soltanto le cause d'appello di valore inferiore alle 100 lire lucchesi(249). Nel giro di qualche decennio si verificano due fenomeni: da un lato l'appello diventa funzione specifica del capitano del popolo; d'altro lato, cade il limite di valore. Ciò non significa, come vedremo, che la Chiesa avesse rinunciato al potere di decidere in appello, attraverso i suoi organi provinciali.

Lo statuto menziona una seconda funzione giurisdizionale del capitano del popolo, quella di giudice sindacatore sugli ufficiali comunali(250). Non è possibile sapere quando questa ulteriore prerogativa abbia preso corpo. Nei documenti citati del 1274 e del 1294 non se ne parla. Potrebbe dunque essere un'acquisizione recente, tanto più che il capitolo 55 dello statuto, nell'attribuire al capitano del popolo il ruolo di sindacatore menziona dei rationatores e precisa che "omnis potestas et faccultas (sic) rationatoribus super ratiocinii ex forma capituli attributa ad capitaneum seu exgravatorem devolvatur". La funzione in oggetto comportava senz'altro il potere di emanare condanne: in molti capitoli statutari viene infatti demandato ai sindacatori (e quindi al capitano del popolo, se il controllo verte sull'operato del podestà) la facoltà di applicare la pena corrispondente alla violazione di un preciso obbligo statutario a lui rivolto(251).

Va ricordato che il capitano del popolo è parimenti soggetto a sindacato: nulla sappiamo però sul collegio dei sindacatori che devono giudicarne l'operato(252).

Negli statuti del 1296 si opera un'altra significativa innovazione circa il potere di esaminare in appello i lodi arbitrali, al quale aveva fatto chiaro riferimento il privilegio di Bonifacio VIII del 1294. In quell'occasione, si era trattato niente meno che di riconoscere la legittimità del ricorso in appello contro le sentenze arbitrali, un principio non accolto dal diritto romano e, in linea di massima, dalla scuola della glossa(253), e che tuttavia a Spoleto, come attesta il documento pontificio, era osservato per consuetudine. Nel 1296, però, si volle introdurre una norma differente, forse, come afferma un capitolo del costituto, per reagire al moltiplicarsi dei ricorsi: si statuì pertanto che le sentenze arbitrali non potessero più essere sottoposte a correzione(254), una scelta alla quale altri comuni dichiararono di volersi attenere(255).

Degli altri organi del popolo, sappiamo che il priore ha il potere di condannare il podestà o il capitano del popolo in certe ipotesi(256); che deve far osservare le disposizioni antiereticali pontificie ed imperiali, come gli altri ufficiali del comune(257); che, insieme con i consoli e gli anziani, ha anche il potere di togliere pene(258).

I capitani delle arti e delle società, dal canto loro, devono aiutare ("dare fortiam") il capitano del popolo ad eseguire determinate condanne(259).

Organi ausiliari di quelli giurisdizionali sono i notai, incaricati di ricevere numerosi atti processuali(260); i baiuli (60, eletti dal Consiglio speciale, non più di 5 per vaita, della città o del comitato), delegati a "facere citationes et relationes et alia que ad baiulorum officia pertinere noscuntur"(261); i banditori (2 cittadini spoletini, eletti dal Consiglio generale, che ne fissa anche il salario(262)).

 

 

4. IL RAPPORTO CON LA GIUSTIZIA PONTIFICIA

 

L'argomento esaminato non può dirsi esaurito con l'esame delle norme statutarie relative agli organi cittadini. Occorre indagare anche in un'altra direzione, quella del rapporto tra la giustizia amministrata in sede locale dai soggetti istituzionali scelti dal comune e quella offerta a livello provinciale, dalla curia del rettore del ducato.

Sono noti i problemi che la Chiesa dovette affrontare per imporre la propria autorità sui territori che facevano parte del suo Patrimonium e la parte fondamentale che, nella difficile opera di riconquista del potere, ebbero figure di grande spicco, a cominciare da Innocenzo III. Le iniziative dei pontefici nei confronti dei comuni, che facevano parte delle terre immediate subiectae(263) e lottavano per conservare la propria indipendenza; la politica ora di compromesso ora di ferma rivendicazione delle prerogative sovrane portata avanti dalla Chiesa anche nei confronti degli altri centri di potere esistenti nel Patrimonium; la creazione di una struttura di governo e di giustizia a livello provinciale, affidata a rettori temporali e spirituali; l'intreccio tra giustizia cittadina e giustizia sovracittadina, sono temi sui quali la storiografia si è soffermata a più riprese(264). Su punti, quali la nomina dei rettori locali, la potestas condendi statuta, l'amministrazione della giustizia, le prestazioni militari e finanziarie, non si poté instaurare, malgrado qualche sforzo in tale direzione, un modello di relazioni uniforme, per il diverso peso che avevano i singoli comuni. In linea di massima, per il punto che qui rileva, i comuni miravano ad esercitare la giustizia in modo esclusivo, sia nel civile che nel penale, in primo grado e in appello(265). I pontefici, al contrario, pur se concedevano (od erano costretti a cedere) la giurisdizione di primo grado, non eliminavano la possibilità d'instaurare o avocare il giudizio in questo grado davanti alla curia provinciale e mantenevano, oltre a conservare l'appello(266). Anche quando riconoscevano un privilegio esclusivo in primo grado, insistevano nel mantenere il controllo delle cause d'appello(267). Infine quando una città si vedeva attribuito il potere di decidere in secondo grado(268), si trattava solo del primo appello: era sempre garantita, cioè, la facoltà di ricorrere ulteriormente alla curia rettorale provinciale e al pontefice(269). Al di là delle concessioni che riuscivano ad ottenere dalla Chiesa, i comuni escogitavano ogni mezzo per amministrare la giustizia in modo pieno: uno di questi era l'emanazione di statuti contro chi proponesse il giudizio di primo o secondo grado fuori dal comune, con pene severissime nei confronti dei colpevoli e perfino dei loro congiunti. Questa situazione costrinse pontefici e rettori provinciali ad intervenire più volte per difendere il proprio ruolo giudiziario e far cessare l'ostruzionismo delle città, ma per lo più, sembra, con scarso successo(270). A questo proposito assume un valore quasi paradigmatico la risposta, più volte richiamata dalla storiografia, data dal comune di Bologna al rettore della Romagna, in merito al problema dell'appello: "et cognoscatis quod nullam scimus rem quam commune et populus Bononiensis tam orribiliter detestarent quam dicere quod de processibus potestatis Bononie debet appellatio aliqua interponi(271)". Al di là di questi episodi, sarebbe essenziale poter conoscere i ritmi effettivi ed i contenuti della giustizia provinciale: ma la documentazione, da questo punto di vista, viene meno(272).

Come si è detto, la questione era di frequente regolata con privilegi speciali. Spoleto, nel 1247, conquistò il diritto di giurisdizione esclusiva nelle cause di primo grado e la giurisdizione d'appello per le cause di valore inferiore alle 100 L. lucchesi(273). Il problema della concorrenza con la curia rettorale era stato allora definito con il riservare alla curia rettorale le cause d'appello superiori a L. 100.

Alcuni decenni più tardi, nel 1294, Bonifacio VIII, un pontefice di cui non a torto è stato sottolineato lo spiccato realismo(274), concesse a Spoleto un privilegio giurisdizionale ancor più ampio: che si potesse ricorrere in appello contro tutte le sentenze emesse dal podestà e dagli altri ufficiali comunali, ed anche contro i lodi arbitrali, al capitano del popolo, in qualità di iudex appellationum, come avveniva ormai per consuetudine(275). Si deve aggiungere che il citato privilegio precisava inoltre che nessun cittadino o comitatino "in primis causis civilibus vel criminalibus extra curiam predictam potestatis trahi possit seu etiam conveniri"(276). Era pertanto vietato citare un cittadino in primo grado davanti ad un tribunale diverso da quello di Spoleto, mentre la curia del rettore era ancora competente in secondo appello: un regime, questo, che valeva anche per altri comuni(277).

A livello statutario, Spoleto mise in atto una politica di strenua difesa delle proprie consuetudini giurisdizionali, anche al di là dei termini stabiliti dal privilegio pontificio. E' già sintomatico in primo luogo, come osservato da Waley(278), il silenzio serbato sulla concorrente giurisdizione papale e sulla parte dei proventi della giustizia spettanti alla Chiesa(279), delle quali non si fa parola in nessuno dei capitoli a noi pervenuti. All'opposto, vengono attentamente considerate e punite, nel breve populi, diverse fattispecie di violazione della giurisdizione del comune(280):

1) la richiesta di lettere ("impetratio licterarum") "in principali causa vel in causa appellationis, contra formam privilegii, statuti et ordinamentorum populi et comunis Spoleti", punita dal cap. 37;

2) la citazione di una persona dinnanzi ad una curia diversa da quella comunale, presa in esame da tre norme:

a) dal cap. 37, che vieta la citazione di una persona "in principali causa extra districtum et curiam Spoleti, si de ipsa questione in civitate Spoleti poterit ius habere", nonché la citazione di un officiale comunale o la richiesta di lettere nei suoi confronti, "quod officialis suum officium non exserceant secundum formam statuti et dicti brevis vel impedimentum in suo officio prestare possit";

b) dal cap. 38, che vieta, "ad hoc ut comune Spoleti conservetur inlesum", di citare ("vocare") il comune o altra "specialis persona", "in prima causa vel alia contra privilegia et antiquam consuetudinem et iurisdictionem obtentam in civtatem Spoleti". E' disposizione più completa della precedente (vieta anche di proporre appello fuori Spoleto) ed è sanzionata più gravemente;

c) dal cap. 39, che punisce colui che "extrahet vel extrai faciat principalem causam extra formam et iurisdictionem comunis Spoleti ultra vel preter formam privilegiorum concessorum comuni Spoleti".

Nel primo e nel terzo caso, si vuole difendere la giurisdizione esclusiva di primo grado. Nel secondo caso, invece, è ricompresa anche la giurisdizione d'appello.

Non è chiaro come le tre disposizioni debbano essere coordinate. Le sanzioni sono diverse. Nel primo caso, il podestà può innanzitutto procedere sine accusa con rito inquisitorio. Il colpevole è condannato ad una multa o ad un bando (se assente) di L. 50. Il podestà può inoltre costringere i congiunti del reo fino al secondo grado a riportare la controversia dinnanzi agli organi comunali. Questo regime è senz'altro applicabile al reato di "impetratio litterarum in principali causa vel causa appellationum", di cui si è detto.

Viceversa, per la citazione vera e propria fuori dal distretto di Spoleto, in primo e, a quanto sembra (in base al cap. 38), anche in secondo grado, abbiamo un concorso di norme. Il cap. 38 equipara la citazione al tradimento. Le sanzioni previste sono la distruzione dei beni del reo; la facoltà che il reo "possit ab omnibus impune offendi in avere et persona"; la privazione degli uffici, l'incapacità di assumere cariche comunali e la perdita dell'elettorato ("et non possit de cetero in aliquo officio vel electione in civitate vel districtu Spoleti"): a questo riguardo, è prevista la registrazione del nome del colpevole "in libro comunis Spoleti", affinché il podestà lo possa leggere in consiglio o in arenga nel momento in cui vengono assegnati gli uffici; l'incapacità di stare in giudizio e di far valere i propri diritti ("et non debeat audiri perpetuo ab aliquo officiali comunis Spoleti"). Il convenuto in violazione dei privilegi di giurisdizione deve essere difeso a spese del comune, che ha diritto di rivalsa nei confronti dell'attore.

Il cap. 39, che si occupa di chi "extrahet vel extrai faciat principalem causam" fuori Spoleto, stabilisce una sanzione meno grave: una multa corrispondente alla somma chiesta dall'attore nella citazione, oltre al risarcimento delle spese affrontate dal convenuto, per il cui ammontare ci si attiene al giuramento dello stesso. Il podestà, una volta ricevuta la petitio della parte offesa, è tenuto a "per se inquirere et invenire summarie". Il suo comportamento, inoltre, non è soggetto a sindacato. In caso d'insolvenza del colpevole, sono responsabili i suoi parenti fino al terzo grado. Il reo è anche privato del diritto di assumere uffici nel comune(281).

Il cap. 40, infine, detta un'ulteriore disciplina per l'ipotesi dell'appello "ab aliqua sententia vel processu facta et facto... per aliquem officialem Spoleti per privilegia papalia"(282): il colpevole deve pagare una somma corrispondente a quella da lui richiesta in appello ed in più deve sottostare ad una pena stabilita arbitrariamente dal podestà "in persona et rebus". La condanna è inappellabile. Il podestà, se vuole, può procedere anche contro i parenti del reo. Il comportamento del podestà e dei suoi officiali è ancora una volta sottratto al sindacato(283).

Il gruppo di norme appena descritto, come dice il cap. 41 del breve populi, dev'essere letto di mese in mese dal podestà in Consiglio generale(284).

Queste disposizioni non sono caratteristiche del solo comune di Spoleto: anche gli statuti duecenteschi di Todi, Perugia, Città di Castello si mostrarono assai rigidi nel vietare ricorsi giurisdizionali ad autorità diverse da quelle comunali(285).

L'appello, tuttavia, fu una prerogativa che il papa ed i rettori intesero mantenere il più possibile, difendendola contro gli attacchi dei comuni. In alcuni casi, il pontefice giunse a nominare un proprio giudice degli appelli all'interno del comune. E' ciò che avvenne a Spoleto nel 1325-1326(286). I rettori provinciali del Trecento si diedero inoltre da fare per porre un freno al fenomeno. Un esempio significativo di questi tentativi di difesa possono considerarsi le severe e meticolose costituzioni emanate da Jean Amiel nel parlamento di Foligno del 1324(287).

I comuni, dal canto loro, persistevano nel rivendicare l'esercizio pieno ed esclusivo della giustizia, anche attraverso gli statuti, che continuavano a comminare aspre sanzioni al cittadino che avesse osato rivolgersi a tribunali diversi da quelli cittadini, senza distinzioni di sorta: valga l'esempio spoletino di metà Trecento. Nello statuto del 1347, la reazione del comune è riassunta in un solo capitolo del libro dei malefici, che tratta genericamente della citazione extracomunale e conferma la volontà del comune di difendere la propria giurisdizione civile e criminale, anche in grado d'appello. La sanzione pecuniaria è salita a L. 100, di cui la metà è destinata al convenuto; la responsabilità viene estesa ai parenti del colpevole soltanto se questi sia uno straniero. Sono previste altre misure severe: il reo potrà essere offeso impunemente, se non desisterà dalla molestia. Se è straniero e possiede dei beni nel comune, rischia di perderli: il podestà o il giudice dei malefici, su istanza della parte offesa, può infatti ordinare a chi li detiene di lasciarli o di non coltivarli più, e chiunque ha comunque facoltà di danneggiarli senza incorrere in alcuna pena. Nei confronti di tutti vale poi il divieto di patrocinio legale in giudizio, nonché l'incapacità processuale civile e penale: Infine, per quelli che non desistono, c'è l'iscrizione, a cura dei priori del popolo, su un registro speciale: da quel momento "quilibet possit eos et quemlibet ipsorum impune offendere in persona et rebus".

 

 

5. LA GIUSTIZIA NEL CONTADO

 

Un altro aspetto rilevante della giustizia spoletina di fine Duecento riguarda il rapporto tra la città ed il suo contado(288). Gli statuti del 1296, ed in particolare il costituto, come si è già avuto occasione di dire, non mancano di dettare disposizioni sull'assetto istituzionale del contado. La normativa fa riferimento, per i castelli, a podestà, giudici e notai, consiglieri, sindaci; per le ville, ad un rettore, a baiuli e valdari.

Nelle ville, baiuli e valdari sono eletti dagli abitanti del luogo, convocati dai baiuli e dai valdari precedenti, al termine del loro mandato(289). Devono provenire dalla villa ed esservi residenti(290). Sui loro compiti gli statuti non dicono molto(291). Il rettore delle ville deve invece essere eletto o confermato da Spoleto, come viene espressamente sottolineato da una norma che vale anche per i castelli(292).

Per quanto concerne l'amministrazione dei castelli, il punto cardine è che essi sono governati da podestà, eletti nell'arenga o nella concio di Spoleto, alla quale partecipano tutte le vaite della città. Possono aspirare alla carica soltanto abitanti della città: "solum ex civibus habitantibus et collettam solventibus comuni Spoleti"(293). Lo statuto riassume in questo caso un principio fondamentale più volte sancito negli anni passati dai patti di soggezione con i diversi centri del contado e non sempre rispettato dalle comunità soggette, come tra breve si dirà. Anche giudici e notai di un castello soggetto alla giurisdizione di Spoleto devono provenire dalla città o dal distretto di Spoleto (ad eccezione del castello di Cerreto) ed aver versato la colletta(294). In ogni castello ogni anno dev'essere inoltre nominato un sindaco, che prometta al camerario di versare un banno di L. 1000 qualora il rettore del castello sia ingiuriato "in dicto vel facto"(295). I podestà dei castelli devono comunicare per iscritto al podestà di Spoleto il numero dei fuochi, il salario percepito dagli stessi, quelli che versano le collette e trascrivere tutto ciò in un apposito libro(296). Non si possono imporre o raccogliere collette "in castris vel villis vel comunantiis" del comune di Spoleto senza licenza del podestà e del capitano del popolo(297). Podestà e capitano hanno il dovere di difendere tutti gli uomini dei castelli(298). Nelle ville il podestà deve ordinare il catasto(299) e far definire i confini ("senaite")(300). Dei consigli vi è solo una notazione marginale(301).

Il profilo che qui specialmente interessa è quello che concerne il potere giudiziario nelle comunità controllate da Spoleto. Dagli statuti risulta che i podestà dei castelli hanno giurisdizione civile e criminale: ad essi si estende infatti il capitolo del breve del popolo sulla piena capacità processuale penale dei figli di famiglia(302) ed il capitolo che autorizza il podestà a ricevere testimoni sia prima che dopo l'esame dell'imputato, indipendentemente dalla sua citazione(303). Inoltre, il cap. I, 23 del costituto impone il versamento al comune di Spoleto della parte dei salari del podestà, delle condanne e degli altri salari ad esso dovuti, facendo obbligo al podestà di costringere il camerario del castello ad adempiere il debito nelle mani del camerario di Spoleto. Il camerario del castello è anche tenuto, su impulso del podestà di Spoleto, a verificare le condanne pronunciate nel castello. Tutte le condanne già pronunciate e non riscosse nei 2 anni precedenti dovranno essere eseguite (metà della parte spettante a Spoleto sarà in tal caso dei podestà dei castelli). Le disposizioni più importanti riguardano l'amministrazione della giustizia per il futuro. Il podestà del castello deve emettere sentenza criminale entro 2 mesi; in caso contrario, è soggetto alla stessa pena da lui determinata nella condanna (salvo che si tratti di una pena personale)(304). I podestà dei castelli sono anche tenuti a dare copia al camerario del comune di Spoleto di tutte le condanne ed i bandi emessi entro 8 giorni dalla sentenza(305). E' importante notare che, in ogni caso, non viene meno la giurisdizione del podestà di Spoleto: "et nichilominus de tali malleficio congnoscere possit et debeat potestas comunis Spoleti". Il principio è riaffermato dal costituto, con riferimento alla legislazione statutaria dei castelli, che non può proibire il ricorso a Spoleto in primo e secondo grado: "nec potest in aliquo capitulo predictorum quod questiones non perveniant ad comune Spoleti in prima et secunda causa"(306). In ogni caso, il podestà di Spoleto ha il dovere di controllare gli statuti dei castelli e di cassare i capitoli "contra libertatem ipsius civitatis et contra capitula et ordinamenta ipsius"(307).

Il quadro dei diritti di Spoleto sui centri del contado, quale emerge dagli statuti del 1296, va integrato con l'esame delle clausole contenute nei singoli patti di soggezione. Le conclusioni che se ne possono trarre sono le seguenti:

L'obbligo di accettare il podestà nominato da Spoleto trova ampia applicazione: lo contemplano i patti con Cerreto(308), spesso destinati a rimanere lettera morta; quelli con Sellano(309), con particolare riferimento al trattato di soggezione del 1281; quelli con Cammoro(310) e Pizzoli(311), entrambi del 1239; quelli con Collestatte(312), gli uomini della terra dei Tiberti(313) e gli uomini di Acquafranca(314). Alcuni però, come gli abitanti del castello di Bufone, chiedono e ottengono di eleggersi da soli il podestà, impegnandosi solo a scegliere uno spoletino(315).

Gli abitanti del castello s'impegnano talvolta espressamente a costruire una casa per il podestà, a giurargli fedeltà, a corrispondergli un certo salario e/o una quota dei banni.

Alcuni castelli promettono anche di ricevere un giudice ed un notaio da Spoleto, ma solo nell'eventualità che decidano di non ricorrere a persone del luogo(316).

L'estensione dei poteri giurisdizionali dei podestà può variare. Spoleto può infatti riservarsi espressamente la giurisdizione sui rapporti contrattuali misti, nei quali cioè una delle parti provenga dal castello e l'altra sia cittadino spoletino(317). In altri casi, sono gli appelli ad essere sottratti alla cognizione del giudice locale(318).

Quanto alle norme da applicare, talvolta è detto espressamente che il podestà del castello ha il potere di assolvere o di condannare alla pena stabilita nello statuto locale(319). A questo proposito, sarebbe interessante verificare se, nella documentazione trecentesca, si possa reperire un precedente per quel capitolo dello statuto del 1347 che, in mancanza di una norma penale locale, impone al podestà del castello medesimo di giudicare secondo la pena espressa negli statuti ed ordinamenti di Spoleto(320).

Già nei patti del XIII secolo si trova invece affermato il principio che gli statuti del castello non possono contenere capitoli pregiudizievoli per Spoleto(321) o capitoli contrari ai patti intercorsi: un divieto, quest'ultimo, che a livello generale e con riferimento esclusivo ai centri del contado, verrà poi codificato nello statuto del 1347(322).

Alcuni patti del Duecento riguardano signori del contado. Non tutti sono disposti ad accettare l'autorità giurisdizionale di Spoleto: valga l'esempio dei cattani lombardi di Trevi(323). Ma vi è anche chi, come i signori di Arrone ed i loro vassalli, s'impegna a far decidere in città le controversie civili di valore superiore ai 20 soldi e tutte le controversie penali(324).

 

 

6. I REATI

 

Il diritto penale è sempre stato uno dei maggiori settori di intervento dei legislatori comunali, soprattutto dei più antichi, preoccupati di acquisire il controllo della giustizia penale, superando le concorrenti forme privatistiche di composizione dei conflitti(325) ed eliminando la vendetta(326), peraltro assai difficile da estirpare in quanto connaturata al ceto dei milites. Anche gli statuti spoletini dedicano un largo spazio alla repressione dei reati. Le norme di diritto penale erano contenute in tutte e tre le parti che costituivano gli statuti di Spoleto (statuto, breve del popolo, costituto). Quasi tutte le norme superstiti si possono però leggere soltanto nel breve del popolo e nel costituto. Lo statuto conta infatti un solo capitolo penale, dei poco più di 60 superstiti(327). Erano molti di più, e precisamente 97, come risulta dalle rubriche. Se si calcolano anche le omissioni e le negligenze degli ufficiali comunali, non sempre indicate nelle rubriche, il numero doveva superare il centinaio(328).

Più grave ancora è la perdita di certi capitoli di carattere processuale, in particolare di quelli sugli effetti della pace privata(329) e della confessione(330), sulle conseguenze della contumacia dell'imputato(331), sulla discrezionalità del podestà nella determinazione della pena(332), sul modo di procedere tra parenti(333), sulle rappresaglie(334), sulla punizione dei minori(335), sui rapporti con il vescovo(336).

Per altre questioni, le rubriche sono almeno in grado di fornire un'indicazione sommaria: così, ad esempio, per quanto concerne la competenza generale del podestà e dei giudici dei malefici in materia penale(337), la facoltà del podestà di procedere de similibus ad similia(338) e di ricorrere alla tortura trattandosi di malefici commessi di notte(339), le funzioni di giudice d'appello del capitano del popolo(340), il divieto di appello contro le sentenze interlocutorie e la possibilità di appello anche in materia penale(341), la facoltà del podestà di giudicare i malefici commessi a partire dai due mesi antecedenti l'entrata in carica(342).

Il breve populi comprende non meno di 44 capitoli di rilevanza penale (dei 70 superstiti), di cui 18 sono reati degli ufficiali, ed in particolare del podestà. Sono introdotte nuove figure di reato contro la persona, contro il patrimonio, contro l'ordine pubblico, contro la retta amministrazione del comune o della giustizia, contro la giurisdizione del comune.

Nel campo dei reati contro la persona, due sono le peculiarità da registrare. La previsione autonoma del mandato ad offendere è la prima: ne discende, in caso di consumazione del reato, la punizione sia del mandante che dell'autore, con una pena corrispondente al quadruplo di quella stabilita per il fatto commesso e con un ulteriore aggravamento se ne deriva la morte della vittima(343). La seconda novità è rappresentata dall'aggiunta del guasto dei beni contro l'autore o il mandante di un maleficio (espressione da limitarsi, forse, ai reati più gravi, quando non solo all'omicidio)(344).

Nell'ambito dei reati conto il patrimonio, vengono incriminati l'ingresso notturno di homines delle villae nei possedimenti di cives o burgenses in città(345), l' appropriazione di colombe domestiche(346) e soprattutto la depredazione per homminitium e la rivendicazione di una persona come proprio homo senza prove(347).

A tutela dell'ordine pubblico, sono introdotte nuove pene per chi si reca in una taverna dopo la terza(348) e per chi circola in una villa dopo la stessa ora(349); e soprattutto per chi forma una conventicula, una conspiratio, una coniuratio "sine speciali licentia" del podestà, del capitano del popolo o dei consiglieri del comune(350). Si vuole inoltre che il priore ed i capitani delle nuove società, i consoli e gli anziani o la maior pars di essi con il priore, il capitano e gli anziani o la maior pars di essi possano, quando vogliono e come vogliono, riunire e far giurare gli uomini della città, nel numero da essi determinato; il capitolo è preciso e derogatorio. Un'additio non datata introduce due novità: si rende obbligatoria, in caso di concessione fatta dal podestà o dal capitano del popolo, l'autorizzazione anche del priore delle nuove società, che in caso d'inadempienza ha il potere di condannarli ad una multa di L. 200. La stessa multa viene applicata non solo a chi abbia effettivamente pronunciato il giuramento o istituito una conspiratio, ma anche a quelli "qui ausi actentare tantum fuerint supradicta".

Un'altra fattispecie punita è quella dell'ingiuria o delle offese ad un popolare fatte o dette da un milite o dal figlio o nipote di un milite(351). La funzione della norma in questo caso non è tanto quella di aumentare la pena già stabilita dallo statuto o dal breve del popolo per il maleficio commesso, che viene confermata, quanto quella di introdurre un'agevolazione probatoria, elevando il giuramento della vittima al rango di prova piena(352).

Il breve si distingue peraltro soprattutto per la repressione di abusi commessi da pubblici ufficiali e per la difesa dei privilegi giurisdizionali del comune, dei quali si è già parlato(353).

Nella prima serie di norme, una si rivolge agli ambasciatori, vietando loro di chiedere benefici o grazie durante le loro missioni(354). Un'altra ha per destinatario il sindaco del comune, che per negligenza abbia perduto una causa presso la curia pontificia o ducale(355). Al podestà ed al capitano del popolo si rivolge la norma che impone loro di prestare aiuto ai capitani delle arti: l'inadempienza è punita con una multa di L. 25(356). Di ancor maggiore rilevanza è la disposizione che punisce il podestà ed i suoi ufficiali per aver ricevuto un salario maggiore di quello dovuto "per capitulum constituti", nella misura rispettivamente di L. 200 e di L. 100(357). L'interesse per l'osservanza di questa regola di buona amministrazione è dimostrata dalla cura con la quale si tenta di assicurarne l'applicazione, coinvolgendo il capitano del popolo ed altri organi popolari. Si dichiara infatti che nessuna persona, né il Consiglio generale né quello speciale o l'arengo possono dare al podestà più di quanto gli spetta "ex forma capituli constituti" per ambasciate, esercito ecc., sotto pena di L. 100 e dell'interdizione perpetua dagli uffici come traditore del comune. Il potere di condannare, in tutte le ipotesi configurate, spetta al capitano del popolo, "omni appellatione remota". Il capitolo è inderogabile ed il capitano stesso deve farlo leggere prima dell'elezione del podestà in consiglio o in arengo. I sindacatori devono condannare il capitano del popolo a L. 50 di banno in caso di negligenza. Non solo: i consoli delle arti e delle società, i capitani delle stesse e tutti i membri devono aiutare il capitano a riscuotere le condanne. Anche il podestà è obbligato a far leggere il capitolo in Consiglio generale ogni mese. Ci si vuole infine cautelare anche contro la corruzione del capitano del popolo e del suo seguito, ai quali pure è esteso il regime descritto.

Illecito gravissimo è considerato la violazione del divieto di rielezione o di conferma del podestà o del capitano del popolo prima che siano trascorsi tre anni: i rei sono puniti con una multa di L. 200 e con il bando perpetuo. Il capitolo è inderogabile, ultrattivo ed anche il solo "poni ad consilium de causa rumpendi" comporta l'applicazione delle pene predette, a cura del priore delle nuove società(358).

Il breve introduce poi una regola sulla quale si dovrà ritornare: si tratta della disposizione che vieta al podestà di chiedere l'arbitrium(359). La richiesta è punita con una multa di L. 100 den. a carico del podestà e di L. 50 a carico di chi ha concesso l'arbitrio o "rascionatus fuerit dare". Anche in questo caso, la condanna spetta al capitano del popolo: il sindaco non ha nessuna possibilità di assoluzione; il capitolo è ancora una volta "preciso".

Sempre nell'ambito dell'amministrazione della giustizia si rinforza la sanzione del bando prevedendo pene per chi riceve, ospita od intrattiene altri rapporti con banditi per maleficio (L. 25 se individuo, L. 50 se universitas). La stessa pena è stabilita per chi coltivi le terre dei banditi, con responsabilità oggettiva della villa o del castello in cui si trovano le terre dei banditi che risultino coltivate "absque alia probatione", salvo denuncia al podestà o al capitano del responsabile(360).

Prima di chiudere questa succinta panoramica sulle norme penali del breve, è opportuno segnalare due ulteriori particolarità. La prima è già stata rilevata: si tratta dell'inderogabilità della disciplina, sostanziale e processuale, stabilita in molti capitoli, espressamente definiti precisi(361). Ad esse si può aggiungere la previsione di particolari procedure atte a rafforzare l'efficacia di certe statuizioni: lettura mensile in consiglio generale (percezione di un salario maggiore del dovuto(362); reati contro la giurisdizione del comune(363)); trascrizione periodica nel breve (percezione indebita di salario(364)).

La seconda peculiarità riguarda le consistenti deroghe alle regole processuali. In materia di prova, si assiste all'elevazione al rango di piena prova della fama(365); del giuramento della persona offesa (da solo(366) o congiunto ad altri mezzi di prova(367)); del giuramento del danneggiato(368) o dell'accusatore(369). In un caso si accredita anche un'ipotesi di condanna senza bisogno di prove, "absque alia probatione"(370). In materia di responsabilità, è attuata l'estensione della stessa anche a soggetti diversi dall'autore del reato(371). In materia di rito, viene conferita al podestà l'autorizzazione a procedere anche senza accusa, in virtù di poteri inquisitori(372). In materia di appello, certe sentenze di condanna sono dichiarate inappellabili(373).

Veniamo al constitutum. Esso contempla ben 97 capitoli di rilevanza penale, dei quali almeno 34 sono rivolti a punire le trasgressioni degli ufficiali, in ispecie il podestà, che non esegua od esegua male gli obblighi statutari(374). In altri casi, si tratta di violazioni di divieti particolari relativi all'igiene ed allo stato di fonti, strade, piazze(375), di divieti di esportazione(376), di usi non consentiti o di danni ai condotti idrici(377), di disposizioni relative al commercio(378), o di reati fiscali(379). Vi sono però anche ipotesi molto rilevanti di reati contro l'ordine pubblico, come la vendetta sia diretta che trasversale(380), nonché il lancio di frecce ed i giochi d'azzardo, nei quali l'accusa è libera e la prova è facilitata, bastando, a seconda dei casi, la dichiarazione od il giuramento dell'accusatore; la metà del banno è destinata all'accusatore stesso(381).

Si prevedono altresì alcune ipotesi di tradimento, come l'assunzione di uffici in luoghi nemici e l'invio di lettere o di nunzi senza licenza(382), e reati contro la retta amministrazione del comune: le dichiarazioni contro il breve del popolo o delle nuove società e la richiesta di non giurare il breve del popolo(383); la disobbedienza dei baiuli e dei banditori del comune agli ordini impartiti dal capitano del popolo e da altri ufficiali del comune(384). Il reato punito più severamente è il primo: comporta infatti non solo l'applicazione di una pena pecuniaria, come negli altri casi, ma anche l'interdizione dagli uffici ed il bando, con possibilità di offendere il reo "in avere et persona sine pena", in quanto traditore. Di notevole asprezza è anche la pena stabilita per la corruzione o il tentativo di corruzione della curia: il quadruplo della sanzione stabilita per il maleficio oggetto del giudizio(385). Si tratta inoltre dell'unico caso nel quale il costituto precisa che sono ammesse sia l'accusa che la denuncia e l'inquisizione(386). Il costituto contempla solo un capitolo penale inderogabile (precisum): è quello che punisce sia il venditore che il compratore di una res aliena o litigiosa. Si tratta anche di un capitolo che deve essere trascritto nelle successive redazioni del breve, come quello che punisce determinati attentati contro il breve del popolo.

 

 

7. LE PENE E LA RESPONSABILITÀ PENALE

 

La pena maggiormente inflitta è quella pecuniaria: una somma di danaro, in soldi o in libbre di denari a seconda dei casi, che il reo deve versare al comune. Di regola, è stabilito che una parte della somma spetti all'accusatore(387).

La misura del prelievo è generalmente la stessa per tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche; solo in un caso è differenziata, a seconda della condizione sociale del reo(388).

La sanzione in soldi va da un minimo di 5 ad un massimo di 100 soldi, con tre gradi intermedi (10, 20, 40). La sanzione in lire parte da 10 lire e può giungere fino ad un massimo di 1000 in un caso eccezionale(389), altrimenti (quando non è un multiplo di una pena già stabilita) non va oltre le 200 lire(390), con tre gradi intermedi (25, 50, 100 lire).

La somma di 200 lire, anche al di là dell'eccezione già rammentata, non è tuttavia l'ammontare più alto che può essere raggiunto da una sanzione pecuniaria. La riduzione del salario, una pena che lo statuto di Spoleto commina con grande frequenza agli ufficiali comunali, in primo luogo al podestà ed al capitano del popolo, i quali trascurino di compiere loro specifici doveri, può arrivare fino alla metà dello stesso.

Inoltre, si deve tener conto delle ipotesi criminose per le quali è previsto il pagamento del quadruplo della pena corrispondente al maleficio commesso: il mandato ad offendere e l'offesa compiuta in esecuzione di un tale mandato(391); la vendetta trasversale(392); la corruzione o il tentativo di corruzione della curia che debba giudicare di un maleficio(393).

Poiché non possediamo i capitoli dello statuto relativi all'omicidio - un maleficio che, nel Duecento, non era ancora punito con la pena capitale dalla maggioranza degli statuti dell'Italia settentrionale(394) - non siamo in grado di precisare il tetto raggiunto dalla sanzione pecuniaria in questo caso.

Si consideri poi che in certe ipotesi la sanzione pecuniaria non è per sua natura determinabile: si ponga mente, ad esempio, alla pena corrispondente al petitum a carico di chi ha trasferito una causa fuori Spoleto (oltre all'interdizione dai pubblici uffici); oppure alla pena pecuniaria pari alla somma richiesta per chi abbia appellato contro una sentenza emessa "per privilegia papalia" (oltre alla pena arbitraria "in persona et rebus" stabilita dal podestà).

Altre sanzioni previste sono la riduzione del salario(395) e la perdita del carico e dell'animale(396); la rimozione dall'ufficio(397), l'interdizione dagli uffici comunali(398), la perdita dell'elettorato attivo(399), l'infamia(400); lo scioglimento dal vincolo di obbedienza(401); la perdita del diritto di agire in giudizio(402).

Il bando perpetuo(403), che comporta la perdita del diritto alla vita ed all'integrità fisica (facoltà di offesa "in avere et persona"), è stabilito per alcuni reati contro la retta amministrazione o la giurisidizione del comune, solitamente come pena accessoria ad una sanzione pecuniaria(404). Ad esso si possono aggiungere, nei casi più gravi, la rimozione dall'ufficio ricoperto e/o l'esclusione da ogni ufficio del comune(405) oppure la distruzione dei beni(406), che è pure pena accessoria dell'omicidio e dei malefici più gravi(407). In un caso è prevista la pena del confino(408).

Pene corporali sono stabilite(409) solo per il caso d'insolvenza. E' una conseguenza accessoria di certi reati la nullità degli atti compiuti in violazione del precetto statutario(410).

La pena di morte, in base ai capitoli a noi giunti, è sancita solo per l'esecutore di un reato su commissione, se dal fatto commesso derivi la morte della vittima(411).

Gli statuti suscitano qualche considerazione in materia di responsabilità penale. A questo riguardo, si può constatare come anche a Spoleto l'esigenza di un'efficace repressione dei reati porti spesso a colpire soggetti diversi dagli autori materiali del reato. E' possibile cioè riscontrare ipotesi di responsabilità non personale, nelle consuete forme della responsabilità collettiva, dei parenti o delle comunità sul cui territorio si consuma il fatto criminoso o dannoso.

La prima si traduce nella facoltà di procedere anche contro i familiari del colpevole e di emettere una condanna nei loro confronti: non sempre viene espresso il limite della sussidiarietà, cioè della legittimità della condanna solo nel caso in cui l'autore del reato non possa essere perseguito o sia insolvente(412). A volte i parenti non sono responsabili con il loro patrimonio, ma viene loro imposto un obbligo di fare legato alla condanna pronunciata, un mezzo di coazione finalizzato all'eliminazionedelle conseguenze di un reato. Ad esempio, la conclusione, in ragione di una posizione di supremazia, di un contratto illecito oppure svantaggioso per un minore o per altri è annullabile su istanza di parte ed i contraenti in malafede sono obbligati a cassarlo (probabilmente a dichiararne la nullità o l'inefficacia). Se ciò non può avvenire, sono i congiunti (fino al terzo grado precisa una successiva additio) a dover agire nel modo prescritto(413). Un'altra ipotesi nella quale si ricorre a questo espediente è quella dell'usurpazione della giurisdizione comunale: i congiunti del reo fino al secondo grado sono tenuti a far sì che la controversia sia restituita ai giudici comunali(414).

In materia civile non vi sono esempi di responsabilità per i danni: solo in un caso sorge a carico dei parenti un'obbligazione sussidiaria di garanzia(415).

Più numerose, in questo campo, sono le ipotesi di responsabilità delle comunità del contado. In materia di danni dati, al fine di spingere le ville o gli uomini di un determinato luogo, nei quali si è verificato un fatto dannoso, a ricercare il colpevole ed a consegnarlo nelle mani della giustizia spoletina, si trova spesso stabilito che, se il danneggiante non si trova, saranno condannate le ville o gli uomini del luogo in cui si è verificato il danno(416).

E' anche prevista un'obbligazione sussidiaria di garanzia, a carico dei castelli e delle ville, per il pagamento delle condanne penali, in caso d'insolvenza del fideiussore(417).

In materia penale, si registra un solo caso di responsabilità non personale di una comunità: una villa, infatti, può essere senz'altro condannata per ricettazione di banditi, "absque probatione", qualora non riesca a denunciare alle autorità spoletine il soggetto colpevole di aver coltivato i poderi di un bandito, esistenti nel proprio territorio(418).

Il costituto di Spoleto esclude invece la responsabilità patrimoniale del padre/avo per i reati del figlio/nipote(419), aderendo così al diritto comune(420), in contrasto con una ricca serie di legislazioni statutarie che, per assicurare l'effettiva applicazione della pena, autorizzano l'esecuzione anche sui beni del pater, gravati peraltro di frequente soltanto nei limiti della legittima dovuta al figlio iure naturali, quella pars filii(421) destinata a sollevare molteplici discussioni dottrinali(422). Se il padre da un lato si avvantaggia per il mancato coinvolgimento nelle colpe del figlio, perde d'altro lato la possibilità di influire sull'esito del processo, negando il suo consenso, che una norma del breve considera infatti superfluo: i figli puberi in criminalibus possono stare in giudizio anche senza l'autorizzazione del padre e del curatore, e la sentenza emanata non può essere annullata per mancanza del consenso(423). Emerge qui la volontà di sottrarre il processo penale alla disponibilità delle famiglie comunali.

Non sfugge alla punizione, talora, anche il mandante di un reato: così, per fare qualche esempio, chi ha ordinato ad un assassino o ad un suo famulo o vassallo di offendere qualcuno è punito insieme con l'offensore materiale quattro volte più di quanto previsto dallo statuto, dal breve del popolo o dalle riforme consiliari per il reato commesso. In questo caso, la pena è aumentata anche per il soggetto attivo del reato. Se l'offesa causa la morte della vittima, l'offensore è punito con la pena capitale, mentre il mandante è punito con il quadruplo della pena prevista per l'omicidio(424). Più in generale, il mandante di un maleficio o di un omicidio è punito con la pena statutaria corrispondente al reato commesso ed inoltre la sua casa ed i suoi possedimenti devono essere distrutti, i suoi alberi tagliati(425).

 

 

8. L' "ARBITRIUM" DEL PODESTÀ

 

Le fonti del diritto penale nominate dagli statuti spoletini del 1296 sono lo statuto, il breve del popolo, le riforme consiliari(426) e, nei casi non previsti, l'analogia(427). Nessun rilievo viene espressamente assegnato al diritto comune. Il problema delle lacune dell'ordinamento penale non è inoltre risolto facendo ricorso all'arbitrio del podestà. Un capitolo del breve populi vieta infatti al podestà di chiedere l'arbitrio per sé o per altri in Consiglio, in arenga o in altro luogo, decretando che l'arbitrio eventualmente concesso non sia valido ipso iure(428). Si tratta di una norma vincolante tanto per il podestà quanto per il Consiglio, in linea con quanto disponevano altri comuni, ad esempio Todi nel 1275(429) e Perugia nel 1279(430), per restare in territorio umbro, ma anche, per fare altri esempi, Siena già nei primi decenni del '200(431), Pistoia nel 1284 e nel 1296(432), Novara nel 1277(433), Alessandria nel 1297(434) (non allo stesso modo, come pure si sa, era stabilito dal Liber iuris di Verona del 1228(435), dallo statuto di Bologna del 1250(436), da quello di Viterbo del 1251-1252(437), dallo statuto del podestà di Firenze del 1284(438), dal Breve Communis di Pisa del 1286(439)).

La semplice richiesta di arbitrium (non limitata al solo caso di lacuna), a Spoleto, è considerata reato e determina l'irrogazione di una sanzione pecuniaria. E' una forma di garanzia nei confronti della magistratura. Solo in casi specifici gli statuti autorizzano il podestà ad applicare una pena arbitraria(440). Si tratta di ipotesi criminose per le quali si vuole essere sicuri che la reazione sia forte ed efficace e si preferisce dunque delegare al podestà il compito di scegliere la punizione più adatta a seconda delle circostanze: così avviene per il delitto di appello extracomunale, per il quale il podestà è legittimato a fissare una pena arbitraria che si cumuli con la pena pecuniaria stabilita(441) e di disobbedienza agli ordini del podestà (442). Anche questo tipo di scelta trova un parallelo in altri luoghi d'Italia, come ad esempio ancora a Perugia, ai termini dello statuto del 1279(443). Tale orientamento verrà confermato, a Spoleto, nel 1347, in un ordinamento che ha assunto una struttura ancor più marcatamente popolare(444).

La rubrica di un capitolo dello statuto di Spoleto del 1296, il cui testo non si è conservato, autorizza il podestà a procedere de similibus ad similia - ad applicare cioè il trattamento stabilito dagli statuti stessi per un'analoga ipotesi criminosa - qualora per una determinata fattispecie non sia espressamente contemplata una pena negli statuti. In questo caso è previsto un arbitrio generale meno forte, perché parzialmente vincolato a disposizioni statutarie esistenti: ma si tratta pur sempre di un potere integrativo demandato alla valutazione dell'organo giurisdizionale, che altri comuni, come ad esempio Perugia(445), consideravano non meno pericoloso dell'arbitrio generale tout court e che pertanto vietavano. A Spoleto, invece, la concessione del potere di colmare le lacune dello statuto in base all'analogia sarà confermata nel 1347, anche se al podestà s'imporrà di richiedere consilium al proprio giudice dei malefici(446).

 

 

9. GLI ISTITUTI CIVILISTICI

 

L'incompletezza delle normative statutarie medievali sul piano del diritto civile è fenomeno da tempo rilevato dagli storici del diritto. Anche a Spoleto gli interventi degli statuti in materia di diritto privato sono pochi e frammentari, e vanno ad incidere su quei settori di rilevanza economica o politica, come la famiglia, le successioni, alcuni profili del diritto delle persone e delle obbligazioni, nei quali soluzioni diverse da quelle prospettate dal diritto comune erano generalmente richieste con maggiore urgenza.

Nel campo del diritto successorio(447), un capitolo degli statuti è dedicato a risolvere il problema dei diritti della figlia o della sorella dotata nei confronti di colui dal quale ebbe la dote (padre, madre, fratello, sorella o chiunque altro): si adotta la consueta soluzione di privare la donna di ogni pretesa sull'eredità in presenza di figli maschi legittimi, nipoti, pronipoti o altri (discendenti) del dotante(448). Il principio, volto a conservare il patrimonio unito nelle mani degli eredi maschi ed agnati del testatore(449), i soli veri continuatori del casato e protagonisti della vita politica comunale, ad evitare controversie interpretative, si applica a Spoleto, per espressa estensione, anche alle figlie ed alle discendenti di colei che ricevette la dote(450).

La regola dell'esclusione delle figlie femmine dotate dalla successione al loro padre è una costante delle legislazioni statutarie, dal XII secolo in poi(451). La si ritrova anche ad Assisi(452), a Todi nel 1275(453), a Perugia nel 1279(454) e a Spoleto nel 1347(455).

Un capitolo del breve stabilisce inoltre, per analogia, che neanche i figli (o gli ulteriori discendenti) potranno succedere al loro avo materno, salva disposictione defunti(456).

Lo statuto spoletino del 1296, a differenza di quello perugino del 1279, contiene poi due capitoli dedicati al problema, anch'esso di rilevanza politica nella società comunale, della restituzione della dote alla morte della moglie o del marito(457).

Nel primo caso (premorienza della moglie) per la dottrina dei secoli XII-XIII non vi era dubbio che, in mancanza di figli, i beni dotali dovessero essere restituiti al suocero o agli eredi della moglie(458). Erano pochi tuttavia gli statuti che rispettavano il diritto comune: quasi tutti prevedevano invece che il vedovo avesse il diritto di conservare i beni dotali, in una misura che solitamente coincideva con una quota degli stessi, ma che in certi luoghi, come a Parma, corrispondeva addirittura all'intera dote(459). Spoleto si pone decisamente nell'ottica di non privare del tutto la famiglia del marito dei beni dotali, la quarta parte dei quali gli viene infatti riservata(460). La regola è confermata nella successiva compilazione del 1347(461).

In presenza di figli, il diritto comune, attraverso i suoi interpreti, non offriva una soluzione certa. Due tesi, principalmente, si contendevano il campo: quella di Martino, per il quale i beni dotali appartenevano ai figli in via ereditaria, e quella di Bulgaro, che li assegnava invece al suocero(462). La consuetudine e la maggioranza degli statuti aderivano al pensiero di Martino, assecondando così gli interessi della famiglia del marito(463). L'ipotesi non è regolata espressamente dagli statuti del 1296: si può pensare che anche a Spoleto, come nel caso precedente, vigesse una consuetudine favorevole al marito.

Veniamo all'ipotesi di premorienza del marito. E' noto che, secondo il diritto comune, in questo caso, gli eredi del marito dovevano restituire i beni dotali alla vedova(464). La regola era accolta dalla maggior parte degli statuti del XIII-XIV secolo, che così facendo bilanciavano le opposte disposizioni introdotte per evitare la restituzione dei beni dotali alla famiglia della donna, nel caso della sua premorienza(465). Senonché, come sembra di poter rilevare già dal fatto che la norma era espressamente e quasi con insistenza confermata negli statuti(466), gli eredi del marito, in primo luogo i suoi figli, tentavano in genere con ogni mezzo di evitare la restituzione dei beni dotali, per continuare a disporne secondo le esigenze familiari(467). In questo contesto, avveniva che alcune consuetudini e taluni statuti, dando per scontata la ritardata o mancata restituzione, riconoscessero nel frattempo alla vedova alcuni diritti, fissando eventualmente il termine, a volte finale, a volte addirittura iniziale, entro il quale gli eredi del marito dovevano provvedere all'adempimento. La soluzione più diffusa era quella di attribuire alla vedova il diritto di abitare nella casa dei figli o degli eredi e di percepire gli alimenti, di solito in proporzione al patrimonio ereditario e fino a restituzione avvenuta(468). Il sacrificio delle ragioni della vedova, com'è stato osservato, passava in secondo piano rispetto all'interesse che le famiglie comunali avevano di continuare a servirsi dei beni dotali per la realizzazione dei propri programmi politici(469).

Se, dopo questa premessa, si passa all'esame delle norme contenute negli statuti spoletini del 1296, si può notare come gli stessi siano da annoverare tra quelli più favorevoli alla famiglia del marito. Essi non prevedono infatti alcun termine per la restituzione dei beni dotali alla vedova senza figli, la quale peraltro ha il diritto di ricevere, da chi è in possesso dei beni dotali, alimenti condecentia, in proporzione alla dote ed al patrimonio del marito, fino a quando abiterà nella casa maritale e non le sarà restituita la dote(470).

Per la vedova con figli o figlie si stabilisce invece che ella non può chiedere la restituzione dei beni dotali finché convive con i figli, ma solo qualora decida di risposarsi. Non è detto espressamente se ella, nel frattempo, abbia diritto agli alimenti. Si dice però che dopo la restituzione della dote non potrà fondare una richiesta di alimenti sul fatto di essere stata nominata domina et massaria nel testamento del marito, e che tutto ciò vale solo se i figli siano anche eredi del marito(471). A Spoleto, evidentemente, la clausola domina et massaria era interpretata in modo restrittivo, come insegnava la consuetudine sorta in curia Bulgari, che ne faceva discendere l'assegnazione di un mero diritto agli alimenti e non dell'usufrutto dei beni del defunto(472). Era accolta pure l'opinione, sostenuta da una parte della dottrina, che questo risultato fosse giustificato solo in presenza di figli che risultassero effettivamente eredi (legittimi o testamentari) del padre(473). La disposizione sarà riprodotta negli statuti del 1347(474).

A parte la previsione della regola dell'exclusio propter dotem e l'accenno al significato della clausola domina et ususfructuaria(475), gli statuti spoletini non dedicano attenzione alla materia successoria. In particolare, a differenza di quanto è possibile riscontrare altrove, anche in Umbria, gli statuti tacciono su problemi come il numero dei testimoni necessari per la prova e la validità dei testamenti(476), la capacità di disporre con testamento a favore della donna; la capacità dispositiva della donna(477), l'esecuzione dei legati(478), la successione legittima della madre nei confronti dei figli(479).

Il breve del popolo, riguardo ai beni che il marito abbia ricevuto dalla moglie premorta, o la donna dal marito, contiene un'interessante precisazione: se non vi fu congiunzione carnale oppure il marito non condusse la moglie in casa, i beni ricevuti dovranno essere restituiti, agli eredi della moglie o, rispettivamente del marito(480).

Il successivo capitolo 21 del breve populi prevede un'identica garanzia in relazione alla quarta, poiché stabilisce che, se non vi fu congiunzione oppure la moglie non fu condotta alla casa del marito, "quarta peti non possit nec a viro nec a muliere"(481). La norma presenta due motivi d'interesse. Il primo è che essa subordina il conseguimento della "quarta" all'avvenuta unione carnale (copula) oppure all'avvenuta traduzione della donna nella casa maritale: sembra quindi che almeno uno di questi due elementi, attinti rispettivamente dalla dottrina e dal diritto canonico(482) e dal diritto longobardo(483), fosse ritenuto necessario ai fini della perfezione del vincolo matrimoniale, come è dato di riscontrare in altri statuti(484).

Il secondo motivo d'interesse di questo capitolo sta nella menzione della "quarta", che apre uno spiraglio su un istituto di grande rilievo nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi(485). Il significato di questa terminologia non è chiarito espressamente. Per il marito, si può pensare al lucro legale della quarta parte della dote, di cui parla, come si è detto, una disposizione del costituto ed anche un capitolo dello statuto(486). Quest'interpretazione trova conforto anche in un passo dello statuto del 1347, laddove al marito viene riconfermato il lucro dotale, nella quota predetta, con la precisazione "postquam eam duxerit in uxorem ad domum suam vel sue habitationis": ad eccezione del riferimento alla congiunzione carnale, che è scomparso, il testo sembra riproporre la regola codificata cinquant'anni prima. Anche per la donna, l'uso del verbo peti sembra rinviare ad un credito, più che ad un diritto reale, com'era per l'antica quarta longobarda. Il costituto, peraltro, omette di specificare se si tratti della quarta parte dei beni del marito oppure della dote: si potrebbe pensare al lucro della quarta parte dei beni dotali, com'era per il lucro maritale(487) e come stabilirà poi espressamente un'additio statutaria del 1348(488).

Quanto alla capacità di agire di diritto privato (la capacità di diritto pubblico non è determinata in modo generale né costante(489)), gli statuti non fissano alcun termine generale(490). Essi dispongono tuttavia che i minori di venticinque anni non possono vendere, alienare o essere parti di un instrumentum senza l'autorizzazione e la presenza del capitano del popolo e di due loro consanguinei per parte di padre, pena l'invalidità della vendita e dell'obbligazione(491). Si nota qui un uso, diffuso pure altrove(492), che esige, per la validità del negozio o dell'obbligazione assunta dal minore, il consenso preventivo dei parenti e dell'autorità comunale (il compito spetta, a Spoleto, al solo capitano del popolo). Il negozio non autorizzato è nullo ipso iure. Di lì a qualche decennio, nello statuto del 1347, la disciplina subisce qualche mutamento: da un lato è richiesto soltanto il consenso di due parenti, mentre l'autorità (nella fattispecie il priore della bolletta, del collegio dei dodici priori del popolo) interviene solo se questi non vi siano; d'altro lato, la soglia della capacità di agire viene abbassata a 20 anni. Lo statuto statuisce inoltre sul punto cruciale dell'efficacia dei negozi dei minori corroborati da giuramento, che viene privato di valore: un intervento protettivo, in relazione ad una questione agitata fin dai primi glossatori(493). Non hanno invece bisogno di assistenza i maggiori di 18 anni che esercitino la mercatura. Inoltre, per porre in essere determinati negozi (ultime volontà, emancipazioni, tutele, cure) i minori di 20 anni non hanno bisogno di assistenza(494).

A Perugia, nel 1279, vige una regola diversa. I figli di qualunque età possono stipulare contratti, rilasciare confessioni, essere parti di un instrumentum soltanto con l'autorizzazione espressa del padre o del tutore o del curatore. In caso contrario, il contratto, la confessione, l'instrumentum o l'obbligazione possono essere annullati dal capitano del popolo e dal podestà su istanza del padre o del tutore, del curatore, di un consanguinei. Fanno eccezione i figli che esercitino pubblicamente la mercatura(495), i quali possono validamente contrarre obbligazioni anche senza l'assistenza del padre, a meno che non sia stato loro pubblicamente vietato dallo stesso e tale interdetto sia stato reso pubblico per la città e per i borghi attraverso dei nunzi, su mandato del podestà o del capitano del popolo(496).

Per connessione, sarà opportuno notare che la materia della tutela dei minori, a differenza di altri statuti del Duecento(497), non trova adeguata trattazione a livello statutario. Le uniche disposizioni a ciò dedicate si trovano l'una nello statuto e l'altra nel costituto.

Lo statuto consente al tutore o al curatore, senza bisogno di ulteriore autorizzazione, di entrare in possesso "curatorio nomine" dei beni del padre o della madre del pupillo, alla morte di costoro, ad eccezione di quelli venduti o posseduti "iudicis auctoritate vel alio iusto et legitimo titolo"(498). Il costituto introduce invece una particolare ipotesi d'incapacità ad assumere l'ufficio tutelare non prevista dal diritto comune, vietando da un lato a militi e figli di militi, d'altro lato a giudici e notai di essere tutori o curatori di un minore, con l'eccezione dei loro congiunti entro il quarto grado. L'inosservanza del precetto è penalmente sanzionata con una multa di L. 50(499). Se il capitolo, per quanto concerne l'esclusione dei militi dall'ufficio tutelare, assume i caratteri di un provvedimento antimagnatizio, per quanto concerne l'incapacità dei giudici e dei notai, si può pensare all'intenzione di prevenire possibili conflitti tra i doveri tutori e quelli delle menzionate cariche pubbliche(500). Va infine ricordato che i giudici del podestà, a Spoleto, era abilitati a pronunciarsi in merito alla ricusazione dei tutori(501).

Il costituto spoletino del 1296, con riguardo più generale alle obbligazioni contratte dai filiifamilias, intende limitare la responsabilità civile del padre e dell'avo per i debiti dei figli o dei nipoti ex filio: nel senso che essi non possono essere costretti ad assegnare una parte dei loro beni al figlio, al nipote o al comune(502). La norma è formulata in modo indeterminato, senza distinguere a seconda dell'atteggiamento più o meno consapevole del padre in relazione all'attività negoziale del figlio. Questo orientamento riceve espressa conferma anche nello statuto del 1347(503). Il principio, peraltro, non è applicato nel 1296 ai negozi posti in essere dal figlio maggiore di 18 anni, impegnato "ad tabulam vel hypothecam", a meno che il padre non faccia annunciare pubblicamente che non intende rispondere per il figlio(504).

Il medesimo costituto contiene una significativa norma generale sui contratti conclusi "contra ius" o "in fraudem, ratione potentie seu potentis, ut iura minorum vel aliorum pereant, succumbant vel defectum patiantur": essi devono essere annullati dal capitano del popolo o dal vicario, su domanda della parte interessata. La stessa autorità deve costringere i contraenti, oppure i loro consanguinei fino al terzo grado, a dichiarare nullo il contratto(505). La stipulazione di un siffatto contratto costituisce anche un reato, punito con pena pecuniaria. Ancora più in generale il costituto assicura che nessuno può essere privato di ciò che possiede in base ad un giusto titolo(506).

Nulla dicono gli statuti spoletini del 1296 sulla capacità di agire della donna. Un ampio capitolo dello statuto del 1347(507), che traduce forse un principio più risalente nel tempo, fissa invece una disciplina piuttosto rigorosa. Vi si afferma infatti che la donna non può stipulare contratti, donare o fare testamento, codicillo od altra ultima volontà senza l'assistenza del marito, del padre e dei figli maggiori di 14 anni, oppure, in luogo di costoro, dei due parenti più prossimi in linea paterna fino al terzo grado o almeno uno di essi, ed in mancanza dei due parenti più prossini sempre entro il terzo grado della linea materna. E' previsto tuttavia che la donna possa contrarre da sola, se i soggetti indicati, ai quali sia stata notificata l'intenzione della donna di contrarre, i nomi delle parti, l'oggetto del negozio, non si presentino. L'assistenza dei parenti non è necessaria solo per le religiose e per le donne tessitirici, che vendono panni o esercitino la mercatura, oppure quando si tratti di disporre lasciti pii, per i quali sono stabiliti dei limiti di valore, o di costituire un procuratore alle liti oppure alla citazione dei parenti(508).

Pochissime sono le integrazioni del diritto comune sul terreno dei singoli contratti. In materia di vendita, il costituto spoletino, come molti altri statuti, non accetta il principio romano della validità della vendita della res aliena o della res litigiosa: infatti, le vendite nelle quali il dante causa non possiede o non possedeva al tempo della vendita il possedimento venduto sono nulle e sia il venditore che il compratore sono assoggettati ad una medesima pena pecuniaria di cinquanta lire. Lo stesso accade a chi venda o acquisti una res litigiosa(509).

In materia di fideiussione, l'indirizzo seguito a Spoleto, anche in questo caso in modo non dissimile da altri statuti coevi(510), è quello della protezione dei diritti dei fideiussori che abbiano adempiuto il debito principale. Un importante capitolo dello statuto(511) attribuisce infatti al fideiussore, che abbia pagato o sia stato condannato a pagare, il diritto di regresso contro il debitore principale, senza che vi sia necessità di una cessione espressa delle relative azioni da parte del creditore(512); inoltre il debitore principale, qualora il fideiussore sia stato solamente citato in giudizio, è obbligato a difenderlo e se necessario il giudice può costringerlo ad intervenire(513). Il giudizio, in questi casi, è sommario ("sine strepitu iudicii") ed il debitore è tenuto a conservare indenne il fideiussore(514). Se il debitore è insolvente, il fideiussore può farlo bandire(515).

Più in generale, lo statuto impone che chiunque abbia sofferto un danno in relazione ad un debito da altri contratto, ricevendo del denaro o altre cose oppure obbligandosi verso qualcuno, debba essere risarcito dal debitore, che non sia in grado di "se iuste defendere pro debito quod fecerat" (cioè di opporre delle eccezioni legittime al creditore): il podestà ed il giudice sono autorizzati per questo ad agire sulla persona(516) e sui beni del debitore su domanda del danneggiato(517).

In conformità all'orientamento della maggior parte degli statuti(518), con la rilevante eccezione, in Umbria, di Todi nel 1275(519) e Perugia nel 1279(520), anche a Spoleto il creditore di uno straniero che non riesca ad ottenere il soddisfacimento del proprio credito può chiedere la concessione della rappresaglia sui beni degli stranieri esistenti nel territorio del comune. Questa pratica è ammessa dal costituto in modo fermo e solenne: "quoniam dignum est quod cives a comuni suo iuventur et manutenentur et defendantur viriliter"(521). Il cittadino che sia stato autorizzato alla rappresaglia ha la facoltà di eseguirla sulle persone e le cose per le quali è stata permessa senza ulteriore licenza del podestà e del capitano del popolo, i quali sono inoltre responsabili penalmente se tollerano che la rappresaglia non abbia luogo. Il costituto non regola, nel 1296, né i presupposti né la procedura di concessione(522): scopo del capitolo citato è infatti quello di rassicurare il titolare sui suoi poteri ("illi cui date sunt per se et alios possint et possit capere et capi facere homines et res contra quos date sunt et quidquid sine requisitione alia potestatis et capitanei libere uti possit") e sull'irrevocabilità della concessione, garantita con apposite pene. Da un atto di autorizzazione della rappresaglia del 1230(523), apprendiamo che a quel tempo il costituto in vigore conteneva invece un capitolo con delle prescrizioni al riguardo, che il podestà concedente afferma di aver rispettato. La competenza, evidentemente, spettava al solo podestà: questi doveva prima chiedere al podestà del comune di appartenenza del debitore straniero di costringere quest'ultimo a pagare il suo debito, indicandone le fonti di prova. In un secondo momento, a fronte di un rifiuto, doveva autorizzare il creditore a soddisfarsi sui beni dei concittadini del debitore, ovunque essi si trovassero, esonerandolo da pena. Nello statuto del 1347 il diritto di rappresaglia viene confermato: poiché si è consapevoli tuttavia che esso contrasta con il diritto divino e civile, lo si regola con maggiore attenzione(524). L'intera materia è posta sotto il controllo del consiglio del popolo, che è ora l'organo competente a deliberare sull'opportunità del provvedimento, su proposta dei priori del popolo. I presupposti sono due: l'essere stati derubati o privati della libertà ("captus seu derobatus aliquibus suis rebus") "extra territorium spoletanum", oppure l'inadempimento di un'obbligazione, quando il debitore è di un altro foro, nel quale il cittadino non riesce ad ottenere giustizia(525). L'esecuzione è reale o personale(526).

Infine, merita un cenno anche quella disposizione del costituto che decreta l'inapplicabilità della prescrizione dei cent'anni per l'acquisto di determinati beni di proprietà del comune ("in plateis, turribus et senatis"): il principio viene accantonato, come si afferma, "pro bono statu et utilitate comunis Spoleti"(527).

 

 

10. IL PROCESSO PENALE

 

ACCUSA E INQUISIZIONE

 

La dicotomia tra procedimento inquisitorio e accusatorio(528) è presente anche nella Spoleto di fine Duecento, la cui legislazione accoglie contemporaneamente sia il modello accusatorio, proveniente dalla tradizione altomedievale e sorretto dall'autorità del diritto romano, sia il modello inquisitorio, di matrice romanistica e canonistica, al quale viene concedendo spazio, anche se soltanto in casi specifici(529).

Lo svolgimento del processo, negli statuti, è peraltro trascurato: la fase introduttiva e la fase dibattimentale non sono infatti regolate da norme apposite, neanche in modo incompiuto(530). Eventuali indicazioni sono per lo più fornite caso per caso, nell'ambito delle norme incriminatrici.

Per quanto concerne il procedimento accusatorio, la direttiva più ricorrente è quella che estende a chiunque la facoltà di accusare ("quilibet possit accusare") chi abbia compiuto determinati reati contro l'ordine pubblico (lancio di frecce(531); gioco dei dadi(532); gioco d'azzardo(533)), contro l'amministrazione del comune (imposizione o raccolta di dazi, collette o prestazioni nei castelli e nelle ville del contado(534); percezione di utilità oltre al salario dovuto(535); corruzione della curia comunale(536)); chi abbia trasgredito prescrizioni riguardanti l'igiene pubblica (aver lavato panni nelle fontane del comune(537)), il regime idrico urbano (aver estratto acqua dalle fontane del comune senza licenza del podestà(538)), il commercio (aver venduto noci, mandorle ed altri generi che si vendono "ad coppam, ad coppam culmam e non rasam"(539)), il pascolo(540) e di altro genere(541); oppure abbia causato danni(542).

La parola o il giuramento dell'accusatore(543) oppure della persona offesa(544) sono talvolta considerati sufficienti per condannare: ciò che del resto può avvenire anche in materia di responsabilità per danni, con riferimento al danneggiato(545).

L'accusatore privato riceve ogni volta una quota del bannum(546).

Esistono poi soggetti istituzionalmente investiti di compiti di polizia e di controllo: oltre ai berrovieri (le cui relazioni hanno valore probatorio pieno)(547) ed ai valdari delle ville, si possono menzionare i custodi di determinate fonti della città(548) e di altri luoghi, urbani(549) o extra-urbani(550).

Come già detto, a Spoleto, mancano, o non sono pervenute, norme che, nel 1296, concedano al podestà poteri inquisitori per tutti i reati, o almeno per i malefici più gravi(551). Sono invece specificati volta a volta i reati per i quali il podestà o i suoi giudici possono procedere per inquisizione, cioè ex officio, senza necessità di denuncia o di accusa(552): la riunione, la coniuratio, la cospirazione senza autorizzazione specifica del podestà, dal capitano del popolo, dai consiglieri del comune(553); l'usurpazione della giurisdizione del comune di Spoleto mediante richiesta di lettere alla curia oppure citazione del convenuto in tribunali extracomunali(554); l'imposizione o la raccolta non autorizzata di dazi, collette e prestazioni nei castelli e nelle ville del comune(555); la nomina di un giudice o di un notaio non spoletini nei castelli(556); la corruzione della curia comunale(557); l'occupazione della platea fori(558); l'ostruzione di una delle cinque porte della città(559) ed altre ipotesi(560).

La situazione sembra invece mutata nel 1347, poiché si afferma che "tam ipse potestas quam eius iudex malleficiorum de omnibus et singulis maleficiis que in civitate, comitatu et districtu Spoleti commicterentur tempore sui regiminis... procedere et congnoscere debeat per accusationem, denumptiationem et inquisitionem..."(561).

 

 

LA PROVA

 

Come già detto, le varie fasi del processo penale nei frammenti rimasti sono lasciate nell'ombra. Nulla si ritrova, ad esempio, sulla capacità processuale dei figli di famiglia in materia criminale(562), come sulle prove, almeno in generale, dal momento che nelle singole norme incriminatrici non sono rare disposizioni in materia(563).

La contumacia penale(564) era disciplinata nel II quaternione dello statuto, che non ci è pervenuto, probabilmente al cap. 2 ("de banno mictendo in causis criminalibus ad allegandum") e al cap. 5 ("qualiter procedatur si pro aliquo malefactore absentia allegetur"). E' invece regolata nello statuto del 1347, insieme con l'ordo criminale. Si possono eseguire due citazioni(565), di cui la seconda prevede la consegna di una cedola sottoscritta da un notaio e contenente il titolo di reato. Sono indicate inoltre forme speciali di citazione per chi non risieda nella città o nel distretto di Spoleto. Se colui che è stato citato non si presenta, viene messo al bando, che diventa definitivo dopo tre, cinque od otto giorni, a seconda che il destinatario risieda in città, nel comitato o fuori di esso. Trascorsi questi termini, l'imputato viene considerato contumace e legitime convictus: il podestà o i suoi giudici devono pertanto condannarlo(566).

Sull'istruzione probatoria vera e propria, gli statuti intervengono poco, come si è già accennato, e quasi mai in modo autonomo. Un'eccezione è costituita dalla norma che autorizza il podestà ed i suoi giudici, quando procedono con rito inquisitorio, ad assumere testimoni sia prima che l'imputato sia interrogato, che dopo. In entrambi i casi la citazione dell'imputato è possibile, ma non necessaria(567).

Nelle singole norme incriminatrici non mancano peraltro notazioni processuali di un certo interesse, come quelle volte ad attribuire piena rilevanza alla pubblica fama o al giuramento dell'accusatore, ai fini della condanna penale. Sono abbozzi di un sistema di prova legale non compiutamente delineato negli statuti e destinato ad essere integrato con probabilità dal diritto comune(568).

Quanto alla pubblica fama(569), essa, provata con 10 testimoni "bone oppinionis et fame" costituisce piena prova dell'assassinio compiuto da un famulo o da un vassallo(570); provata con tre testimoni è sufficiente per condannare in caso di gioco ad taxillos(571). La portata di queste norme risulterà più chiara se confrontata, ad esempio, con la posizione restrittiva di altri statuti, come quello di Todi del 1275(572).

Il giuramento della persona offesa non accompagnato da altre prove è invece considerato sufficiente in caso di usurpazione della giurisdizione comunale(573).

Il giuramento dell'accusatore basta invece se si tratta di pascolo di animali in Monteluco(574) o di estrazione abusiva di acqua dalle fontale comunali(575). Addirittura la semplice parola dell'accusatore(576), eventualmente confortata da un testimone "de civitate, bone oppinionis"(577). La semplice parola della familia del podestà, purché nessun componente della stessa riceva una quota del bannum, vale come prova in materia di gioco d'azzardo(578).

Il giuramento della persona offesa accompagnato dalla testimonianza di un soggetto idoneo a testimoniare oppure dalla pubblica fama provata con due testimoni idonei è infine dichiarato sufficiente per la condanna nelle depredazioni compiute da hominicii(579).

E' prevista anche un'ipotesi di condanna senza prove: la condanna della villa o del castrum dove si trova il possedimento di un bandito, che risulti essere stato coltivato, è automatica, "ab<s>que alia probatione"(580).

Occorre, da ultimo, accennare alla sopravvivenza a Spoleto del duello, come mezzo fondamentale di definizione della lite secondo il diritto longobardo. E' ben noto che in molte città, nel XIII secolo, era ancora una consuetudine approvata dagli statuti, almeno per determinati reati(581). Così era, per fare solo qualche esempio, in Lombardia, a Milano, a Bergamo, a Brescia, a Como, a Novara(582), e nelle stesse terre della Chiesa, a Benevento(583) e a Viterbo(584), ed in Umbria si pensi allo statuto perugino del 1279, che dichiara espressamente lecito il ricorso alla pugna in una serie di ipotesi delittuose (malefici notturni(585), falsa testimonianza(586), omicidio(587), furto(588); danni(589)). E del duello sono rimaste tracce anche a Città di Castello(590), a Todi(591), ad Orvieto(592).

La sopravvivenza del duello a Spoleto, allo stato delle fonti, è ardua da verificare. Gli statuti del 1296, nei capitoli a noi pervenuti, non ne fanno menzione. Della pugna tace a maggior ragione la compilazione del 1347. L'unica fonte che si può citare è una decretale di Innocenzo III del 22 marzo 1203(593), dalla quale si apprende che i consoli di Spoleto avevano imposto il duello ad alcuni soggetti accusati di furto; avendo perso il combattimento, essi erano stati spogliati dei loro beni; perciò erano ricorsi in appello al papa, il quale non ebbe difficoltà ad ordinare ai consoli di restituire quanto confiscato, anche perché nel frattempo si erano scoperti i veri autori del reato. La decretale in esame contiene un'interessante precisazione: dice, cioè, che gli accusati furono costretti ad esperire il duello "praeter terrae consuetudinem"(594). Sembra pertanto che la consuetudine non prevedesse il ricorso al duello nelle controversie di furto(595).

 

 

LA PACE PRIVATA

 

Nel Duecento e ancora nel Trecento numerosi statuti attestano l'efficacia attribuita nei sistemi giudiziari dell'epoca alla pace privata, cioè all'accordo tra l'autore di un delitto e la parte offesa (l'offeso o i suoi eredi), in base al quale quest'ultimo, in cambio di un corrispettivo economico in denaro od anche in natura, rinuncia all'accusa e al diritto di accusare in futuro l'offensore, concedendogli il perdono(596). Le consuetudini e gli statuti locali del XII-XIII secolo di regola attribuiscono alla pace l'effetto di eliminare del tutto o di diminuire la pena prevista per il reato commesso e di estinguere nel contempo il procedimento penale già iniziato. Riconoscono cioè ad un accordo di natura privata, intervenuto senza la mediazione del giudice, l'effetto di attenuare o di escludere la pena e, sul piano processuale, di estinguere un procedimento penale in corso. La pace era quindi un mezzo per rimettere, in tutto o in parte, la pena, e questa veniva esclusa o diminuita indipendentemente dal fatto che, secondo le regole ordinarie, la responsabilità dell'imputato potesse considerarsi provata. Il perdono della vittima o della sua famiglia era sufficiente a far venir meno l'interesse a punire: il comune era disposto a rinunciare all'esecuzione della pena, purché l'ordine sociale violato fosse ristabilito e si evitasse il ricorso alla vendetta(597). Col tempo, secondo un'evoluzione che si attua già nel corso del Duecento, gli effetti della pace privata vengono ridotti a seconda dei reati(598) o delle pene per essi sancite. Se uno sconto della pena si considera ancora ammissibile, quando si tratti di reati puniti con una sanzione pecuniaria, l'atteggiamento nei confronti della pena capitale è più severo: la pace non vale ad eliminarla(599), anche se l'obbiettivo della concordia non per questo viene a cadere; in alcuni casi, infatti, come a Spoleto nel 1347, il comune obbliga comunque la famiglia dell'offensore e quella della vittima a pacificarsi, dopo l'esecuzione della pena. Resta inoltre sempre severamente punita la rottura dell'accordo di pace stipulato(600).

Non possiamo sapere entro quali limiti, nel diritto spoletino del 1296, siano riconosciuti effetti a tale accordo, perché il testo del relativo capitolo dello statuto, di cui possediamo solo la rubrica, è perduto. Risulta soltanto che l'istituto, sorto in via consuetudinaria, è ancora in vigore, come del resto avviene nella più tarda compilazione del 1347. A metà del Trecento, l'accordo tra famiglie rivali non è idoneo ad evitare la pena capitale stabilita per l'omicidio, mentre si rivela ancora un elemento utile nei malefici puniti con la pena pecuniaria, comportando la riduzione della sanzione nella misura della metà(601).

A Spoleto, nel 1296, l'ipotesi di una soluzione violenta dei conflitti penali è tutt'altro che tramontata, se ci si preoccupa di proclamare che la vendetta privata è vietata, sia quella contro l'offensore che quella contro persone diverse dall'offensore. La prima è punita quattro volte più della pena edittale per il reato commesso; la seconda è punita con la stessa pena prevista per il reato subìto(602). Tuttavia, si lascia che chi è insultato "ad domum in qua habitaverit vel in palatio vel in convicinato ubi posita est dicta domus" si difenda da solo oppure che sia difeso dalla sua famiglia e dai suoi vicini, senza pericolo d'incorrere in una pena o nel bannum(603).

 

 

L'APPELLO

 

E' noto che molti statuti - ad esempio, quelli lombardi(604) - accolgono il principio del divieto d'appello della sentenza penale(605), che riceve avallo anche in sede dottrinale(606).

L'appello contro la sentenza penale sembra invece consentito, a Spoleto, per tutti i malefici: lo si ricava indirettamente dalla rubrica di un capitolo perduto dello statuto, che sancisce il divieto di appello avverso le sentenze interlocutorie, sia nel civile che nel penale(607). Lo si deduce inoltre dal fatto che, in alcuni casi, la decisione del podestà o del capitano del popolo è dichiarata inappellabile, mediante l'inserzione della clausola appellatione remota: la condanna del podestà per aver percepito un salario più alto di quello fissato dallo statuto(608); l'ostruzione delle cinque porte della città(609); l'esecuzione della condanna pecuniaria contro la quale sia stato interposto appello ad un'autorità non comunale(610); la condanna della comunità o della persona che abbia imposto o raccolto dazi o prestazioni abusive(611). Il regime non cambia nello statuto del 1347(612), a norma del quale l'appello continua a proporsi dinnanzi al capitano del popolo.

L'appellabilità della sentenza penale era ammessa in via generale anche a Perugia, dallo statuto del 1279. Competenti a giudicare in secondo grado erano i sindaci del comune(613), salvo i casi nei quali l'appello era espressamente escluso(614). Nel 1285, tuttavia, il comune decise di vietare l'appello contro qualsiasi condanna in materia penale(615). Si trattò di una scelta di ordine pubblico, mossa dall'intento di assicurare una maggiore efficacia alle sentenze penali, garantendone in ogni caso la stabilità. L'esigenza di giustizia cedeva alle ragioni contingenti della repressione.

Sul giudizio d'appello, gli statuti del 1296 dicono pochissimo. Il giudice civile è tenuto a non impedire la proposizione del gravame(616), che va fatta per iscritto dinnanzi a tre testimoni idonei(617). Il podestà ha il dovere di difendere le sentenze del suo tribunale davanti al giudice d'appello(618). L'appello è inammissibile, se risulta che la parte soccombente non ha pagato le spese del primo grado al vincitore(619).

 

 

11. IL PROCESSO CIVILE

 

CITAZIONE, CONTUMACIA, "PRECEPTUM DE SOLVENDO"

 

La disciplina del processo civile, negli statuti del 1296, è assai lacunosa. Gli statutari regolano solo alcuni aspetti: la citazione; la contumacia; la capacità processuale del filius familias; la ricezione dei testimoni e qualche incapacità testimoniale; l'effetto delle positiones; il termine di definizione del processo di I grado; la restituzione delle spese; la ricezione dell'appello; la forma e gli effetti del precetto de solvendo. Altri istituti sono soltanto nominati: il libello, il giuramento di calunnia; la litis contestatio.

Il libello è ricordato incidentalmente, per dire che esso deve essere integrato dalla stima del camerario per i crediti non certi e che il versamento del salario è condizione di procedibilità(620).

Un certo interesse sollevano le modalità di citazione del convenuto, che può essere personale o al domicilio e deve effettuarsi tre volte o almeno due, di cui la prima a spese dell'attore, la seconda e la terza a spese del convenuto(621).

Lo statuto disciplina l'immissione nel possesso dovuta sia a contumacia del convenuto che ad emissione di un preceptum de solvendo, per i debiti liquidi risultanti da strumento pubblico.

La contumacia del convenuto(622) comporta la missio in possessionem già dopo la prima citazione: nella res petita se si tratta di rivendicazione, azione ipotecaria o altra azione reale; nei beni mobili per un valore corrispondente al doppio del debito e negli immobili fino al triplo, se si tratta di azione personale(623). Nelle cause personali aventi per oggetto beni mobili, per ottenere la missio in possessionem, in mancanza di instrumentum publicum è sufficiente il giuramento del creditore(624). L'attore, comunque, dopo la prima chiamata, può anche far citare il convenuto per bando ed il giudice in questo caso deve fissare a suo arbitrio una pena fino a 100 s., tenuto conto conto della quantità del debito. Se entro il termine fissato compare qualcuno a giustificare l'assenza del convenuto viene dato un termine fino a 15 giorni affinché il convenuto od un suo procuratore possa comparire. Se non compare, il giudice attribuisce all'attore il possesso dei beni del debitore, nella misura già riferita(625). Riguardo al presupposto dell'immissione nel possesso, si deve peraltro tenere presente che il breve populi fissa una regola generale diversa: esso esige infatti, per la liceità dell'atto, che il debitore sia citato due volte, in giorni diversi(626). Circa la prova del debito, un capitolo successivo dello statuto dichiara sufficiente il giuramento, in mancanza di istrumento(627).

Il preceptum de solvendo, un istituto consuetudinario di cui si sono reperite tracce soprattutto in Lombardia(628), è regolato in un altro capitolo dello statuto. Il presupposto è che il credito risulti da un publicum instrumentum. Il giudice emette allora intimazione di pagare entro 3 giorni. Il debitore, nel termine indicato, ha il diritto di opporre eccezioni e le deve poi provare per testimoni o istrumenti entro 8 giorni. Se non si oppone o non riesce a provare le eccezioni, il giudice può costringerlo all'adempimento "in persona et rebus ad voluntatem creditoris, dando tenutam contra eum vel constringendo eum ubi voluerit creditor..."(629).

Sono da ricordare, infine, due altri importanti capitoli statutari. Uno di essi riguarda la prova del debito da parte dell'attore per essere immesso nel possesso in contumacia del convenuto con azione relativa a cose mobili: "si instrumentum publicum non apparet" è sufficiente giurare sull'esistenza del debito(630).

L'altro concerne la procedura d'esecuzione sui beni del debitore e dispone che il creditore pignoratizio o il creditore che abbia la tenuta dei beni del debitore hanno il diritto di vendere i beni, "factis bandimentis duobus" e, in caso di impossibilità di vendere, possono farseli assegnare in pagamento (datio in solutum). La procedura vale, si dice espressamente, anche "in tenutis datis in contumacibus et tenutis datis in debitis confessis et diffinitivis sententiis", se il debito risulta provato(631).

La contumacia dell'attore è presa in considerazione solo per le cause di competenza dei notai: se l'attore non si presenta, il notaio deve licenziare il convenuto e non fissargli un altro termine di comparizione, salvo diversa volontà delle parti.

Al convenuto che si presenti è garantito il diritto di ricusazione nei confronti dei tre giudici della curia delle cause civili(632) e dei notai delle vaite(633).

L'unica disposizione in materia di capacità processuale riguarda il filiusfamilias che può stare in giudizio anche senza il consenso del padre: se infatti egli non dichiara il suo stato prima della litis contestatio, il consenso è superfluo; se lo dichiara, il padre è costretto comunque ad acconsentire(634). Questa disciplina è riprodotta anche dallo statuto del 1347(635).

 

 

LA PROVA

 

Delle successive fasi dell'ordo iudiciarius lo statuto nomina, come si è detto, la litis contestatio(636) ed il giuramento di calunnia(637), che dunque a Spoleto sembrerebbe un istituto in vigore. Un ruolo notevole ottengono le positiones: il silenzio del convenuto che per tre volte non risponda alla positio equivale infatti alla confessione(638).

In materia probatoria, gli statuti regolano alcuni aspetti della testimonianza, dei documenti, del giuramento, della pubblica fama.

I testimoni devono essere presentati entro 20 giorni dal giuramento di calunnia; i controtestimoni vanno presentati entro otto giorni dalla testium apertura. I giudici sono tenuti a curare che i testimoni si presentino(639). E' previsto un caso d'incapacità: gli homines alieni, gli uomini o i vassalli da 20 anni, i famuli non possono infatti testimoniare nelle cause civili e penali a favore dei loro domini(640).

Successivamente allo scadere dei termini predetti, il giudice deve fissare un termine di 8 giorni per la produzione degli instrumenta, trascorsi i quali non è ammissibile ulteriore produzione se non si prova con giuramento di aver avuto un legittimo impedimento(641).

Un principio notevole riguarda la prova dell'estinzione di un debito: l'instrumentum debiti cancellato costituisce piena prova del pagamento, senza che occorra un'espressa quietanza, in ossequio, dice il costituto, alle antichi consuetudini(642). Per l'adempimento del debito, invece, il giudice, sulla scorta dell'instrumentum debiti, può emettere il preceptum de solvendo: se dopo tre giorni il debitore non prova di aver già pagato, il giudice procede all'esecuzione, con la missio in possessionem(643).

Anche le scritture autografe dei tabularii e dei campsores fanno piena fede di quanto in esse affermato come se fossero un publicum instrumentum(644). Un successivo capitolo precisa tuttavia che esse hanno valore probatorio fino L. 10, purché siano però approvate dal capitano dei tabularii(645). I banchieri, i mercanti ed i loro eredi sono tenuti a fornire copie o estratti dei loro libri a chi ne abbia interesse: il podestà ed i giudici "ex suo officio sine strepitu iudicii" curano che questo obbligo sia eseguito(646).

La rilevanza probatoria del giuramento in materia civile è ammessa con grande larghezza: la causa può essere infatti decisa con giuramento ogni qual volta l'attore o il convenuto lo richiedano, ed al giudice, in questo caso, non spetta alcun salario(647). Sul giuramento è basata inoltre la missio in possessionem in mancanza di instrumentum publicum(648).

Della pubblica fama invece si dice soltanto che essa da sola, come la testimonianza di un proprio vassallo o di un familiare, non è sufficiente al recupero di una tenuta o possessio(649).

 

 

LA SENTENZA E IL "CONSILIUM SAPIENTIS"

 

Quanto alle sentenze, quelle interlocutorie sono semplicemente menzionate(650), mentre la sentenza civile definitiva, salvo diverso accordo delle parti, deve essere pronunciata entro due mesi dal giuramento di calunnia(651).

Lo statuto obbliga il podestà, il capitano del popolo ed i loro giudici a decidere le cause "per se et sine consilio alterius iudicis quam suorum". Se però le parti in causa o di almeno una di esse lo richiedono, essi sono tenuti a chiedere il consilium sapientis(652). Sono dunque le parti che devono assumere l'iniziativa di chiedere il consilium(653), mentre di norma i giudici sono tenuti a deliberare indipendentemente dallo stesso, secondo una linea seguìta anche da altri statuti del XIII secolo(654). A Spoleto, nel 1296, il consilium sapientis poteva essere richiesto dalle parti sia nel civile che nel penale. Nel 1347, al contrario, le parti possono fare richiesta del consilium solo nelle cause civili. L'emanazione del consilium produce inoltre due conseguenze di rilievo: in primo luogo, il giudice è obbligato a pronunciare la decisione "secundum ipsius consilii formam"; in secondo luogo, la pronuncia così ottenuta risulta inappellabile(655). Le parti possono far decidere in base a consilium sapientis anche le cause d'appello, che nel 1347 spettano ancora al capitano del popolo(656).

 

 

12. RILIEVI CONCLUSIVI

 

Tentiamo di fare il punto sullo stato e le peculiarità del diritto statutario spoletino in quello scorcio del secolo XIII, quando si mise mano ad un'opera di rielaborazione del materiale fino a quel momento accumulatosi.

Si tratta di una legislazione non ancora organizzata sistematicamente e distinta in tre corpi normativi con differenti dimensioni, contenuti ed età. Essa comprende indubbiamente testi stratificati, formatisi cioè mediante successivi aggiornamenti di un nucleo iniziale, molti dei quali sono denominati additiones. Risulta però assai problematico oggi discernere gli strati e datarli. Del pari arduo è l'individuare i tempi di formazione del costituto e dello statuto, mentre vi sono indizi dell'esistenza di una raccolta statutaria, che ci portano agli inizi del XIII secolo.

Vi sono poi altre due circostanze che impongono una certa prudenza nel valutare la portata della riforma attuata in quel 1296. Da un lato, la frammentarietà del manoscritto che ci tramanda i testi statutari: essa, a quanto è dato di arguire da un indice che ci informa sul contenuto dei libri mancanti, va a colpire settori nevralgici dell'attività normativa comunale, quali il diritto penale e processuale, impedendoci così di conoscere, su molti istituti - si pensi all'omicidio, al furto, alla tortura, alla pace privata - l'orientamento degli organi legislativi. D'altro canto, un ostacolo alla ricostruzione fedele dei contenuti del diritto spoletino è costituito anche dalla mancanza di una precisa regolamentazione del ricorso ad altre fonti sussidiarie, salvo forse il settore del diritto penale sostanziale, in una normativa che, al di là delle lacune materiali già segnalate, mostra vistose carenze di disciplina in settori come il processo o il diritto privato. Ma anche nella stessa parte istituzionale, non sono poche le omissioni ed i dubbi sollevati dalla sola lettura dei testi statutari, che costringono ad entrare nel campo delle ipotesi: si pensi alla configurazione delle magistrature popolari.

Tenuto conto dei limiti appena indicati, si può passare comunque a richiamare l'attenzione su alcuni degli orientamenti di fondo, che emergono dalle fonti esaminate, per ciascuno dei campi che nelle pagine precedenti si è voluto passare in rassegna.

Sul versante delle istituzioni politiche, l'immagine che ci restituiscono gli antichi frammenti è quella di un comune popolare, nel quale il podestà vede limitata la sua azione dal concorrere di altre forze, quali il capitano del popolo, le arti, le nuove società, i loro capitani e soprattutto il priore delle arti e delle nuove società. Siamo ancora in un periodo di sperimentazione, di definizione di compiti, che sfocierà, nello statuto del 1347, nella decisiva affermazione del priorato. Quasi nulla peraltro si riesce a ricavare dai frammenti del 1296 intorno al funzionamento dei consigli del comune e del popolo.Gli organi popolari sono titolari di una serie di diritti: mi sono soffermato in particolare su quelli giurisdizionali. Richiamo alcuni dati che ho già presentato sopra. Podestà e capitano del popolo sono, a Spoleto, organi giurisdizionali rispettivamente di primo e secondo grado, tanto nel civile quanto nel penale. La definizione delle cause civili può essere commessa anche ad organi diversi dal podestà e dai suoi giudici: nell'ambito delle rispettive competenze sono operativi anche giudici comunali, notai delle vaite, partiserii. Il capitano del popolo aveva anche funzioni di giudice sindacatore degli ufficiali del comune ed era egli stesso soggetto a controllo, una volta scaduto il suo mandato, semestrale, come quello del podestà.

La sfera giurisdizionale del comune è, nel 1296, piena: la giustizia penale e civile anche in appello. A questo rispetto, Spoleto, come altri comuni umbri, si era dotata di un giudice d'appello, il già nominato capitano del popolo, detto anche "consul et exgravator", ben prima che tale potere gli fosse espressamente riconosciuto dalla Chiesa, con il privilegio di Bonifacio VIII del 1294, che venne a sanare il divario che si era creato tra la consuetudine e la legislazione pontificia e provinciale, che in teoria Spoleto avrebbe dovuto osservare.

Il rapporto tra consuetudini o statuti locali ed il superiore livello normativo pontificio e provinciale è una peculiarità della realtà politica delle terre della Chiesa. Il rispetto delle regole stabilite dalla superiore autorità ecclesiastica non era costante. I comuni non accettavano di buon grado lesioni alla loro autonomia decisionale e giurisdizionale. Di fronte ad imposizioni non desiderate, potevano crearsi situazioni di aperto rifiuto o di ambigua indifferenza. Due esempi per Spoleto mi sembra che debbano essere messi in risalto: la reazione del comune nei confronti delle norme sull'elezione del podestà e del capitano del popolo e nei confronti del diritto di secondo appello, riservato come di consueto dal pontefice ai propri organi provinciali. Nel primo caso abbiamo un esempio di indifferenza fonte di ambiguità: lo statuto infatti, a due anni di distanza dal privilegio di Bonifacio VIII, che aveva introdotto il sistema elettivo della terna, prevede una differente procedura di nomina del podestà e del capitano del popolo, che, ignorando il dettato pontificio, vuole presentare una ben diversa immagine di autonomia, quale, forse, si realizzava nella prassi: ma l'ambigutà rimane.

Con riguardo al problema dell'estensione della giurisdizione spoletina, le cose vanno diversamente. Qui il comune affronta la questione di petto, negando qualsivoglia interferenza, a qualsiasi grado, con pene di rilevante asprezza, che trovano accoglienza nel breve del popolo. La reazione dovette essere efficace, a giudicare almeno dalle contromisure prese nel Trecento da Pierre de Castanet e Jean Amiel.

Spoleto afferma la pienezza della propria sfera giurisdizionale non solo nei confronti dell'ordinamento del ducato, ma anche nei confronti di quegli ordinamenti minori nei cui confronti è riuscita a mantenere o tenta di mantenere un rapporto di dominio. La conclusione che emerge dalla lettura delle norme programmatiche introdotte negli statuti e dei privilegi che si sono potuti consultare mostra peraltro la tendenza del comune al decentramento, se così si può chiamare, della funzione giurisdizionale, lasciata nelle mani dei podestà dei castelli, che sono tuttavia cittadini spoletini scelti da Spoleto. Qui Spoleto, da dominante, si comporta come la Chiesa avrebbe voluto fare nei suoi confronti: concede, ma non abdica alle proprie prerogative giurisdizionali. E' sempre possibile e lecita l'avocazione delle cause; è escluso che la normativa statutaria locale possa cagionare una diminuzione di tali poteri; gli statuti locali devono essere controllati e non possono cagionare danno ai diritti della dominante.

Fissata sommariamente la cornice entro la quale gli organi giudiziari erano chiamati ad operare, passiamo a gettare un rapido sguardo sui contenuti della normativa locale oggetto di applicazione. L'area di maggiore intervento, a giudicare sempre nei limiti di quanto ci è pervenuto, sembra essere stata senz'altro quella penale. Purtroppo, la perdita di tre quaternioni o libri dello statuto ci priva della possibilità di avere un riscontro sulla disciplina di reati come l'omicidio, gli insulti, il furto, la falsa testimonianza, la falsità degli instrumenta, la rottura della pace. In una normativa tutto sommato ancora fluida e dispersa mi sembra azzardato pretendere di individuare delle linee d'intervento unitarie: sia sufficiente pertanto constatare l'interesse dimostrato sia dal breve populi che dal constitutum per la conservazione dell'ordine pubblico, la salvaguardia dell'ordinamento in vigore e dei suoi privilegi, la repressione degli abusi dei pubblici ufficiali. Vengono in considerazione, sotto il primo punto di vista, la punizione di varie forme di riunione e cospirazione non autorizzate, della vendetta sia diretta che trasversale, della ricezione dei banditi; per il secondo profilo, la punizione della rielezione del podestà e del capitano del popolo, del rifiuto di aiutare gli organi delle arti e delle nuove società; sotto il terzo profilo, la lotta contro la corruzione, il tradimento, la disobbedienza dei pubblici ufficiali, la concessione di poteri arbitrari generali al podestà.

Quanto al sistema delle pene, le nostre attuali possibilità di pervenire ad una visione esauriente della gamma di sanzioni impiegate è purtroppo compromessa dalla perdita dei capitoli dello statuto. Questo influisce soprattutto su due problemi: il ricorso alla pena di morte ed alle pene corporali, come sanzioni principali o surrogatorie di una oena pecuniaria. Ritengo invece che per altri aspetti sia possibile fornire indicazioni più sicure, anche se non complete: mi riferisco all'uso frequentissimo della sanzione pecuniaria, attuata nella forma sia del prelievo diretto - a vantaggio sia del comune che dell'accusatore, quando c'è - sia della riduzione del salario dei pubblici ufficiali, ed alla confisca dei beni, nonché all'impiego di tecniche punitive, ben note anche in altre esperienze statutarie coeve, quali la rimozione o l'interdizione dagli uffici comunali, l'infamia, la perdita di diritti politici o civili. Un altro punto di contatto con orientamenti messi in atto in differenti realtà statutarie è anche il ricorso a forme di responsabilità non personale, sia familiare che collettiva. Un importante punto di distacco è costituito invece dall'esonero di responsabilità del padre e dell'avo in criminalibus, anche nei limiti della pars filii, che altri statuti avevano invece ammesso per consentire una più efficace esecuzione delle sentenze penali di condanna.

Sul versante dell'applicazione della pena e dell'integrazione dello statuto da parte del podestà, problemi risolti, questi, in modo non omogeneo dagli statuti dell'epoca, Spoleto assume una posizione negativa nei confronti della concessione allo stesso di un potere di arbitrio generale, mentre è favorevole a che egli faccia uso dell'argomento analogico: un sistema più rigoroso rispetto allo statuto di Todi del 1275, meno garantistico però di quello programmato a Perugia nel 1279.

Il processo penale, nella Spoleto del 1296, oscilla ancora, da quel che appare, tra accusa e inquisizione, procedimenti entrambi menzionati ma non regolati nelle rispettive fasi. Si nota, in particolare, nei frammenti conservati, l'assenza di una norma che conferisca poteri inquisitori generali al podestà, che è autorizzato peraltro più volte ad agire d'ufficio in gravi ipotesi criminose. Purtroppo va segnalata la perdita dei capitoli sulla pace privata e sulla rottura della pace: così non è possibile sapere quanto peso fosse ancora attribuito ad una soluzione concordata dei conflitti penali. Da un altro punto di vista, risultano ancora in vigore forme violente di giustizia privata, come la vendetta, nettamente riprovata dal comune, tanto la trasversale quanto la diretta. Gli statuti intervengono in modo assai episodico sulle prove criminali, soprattutto là dove si tratta di premunirsi contro il rischio dell'insufficienza di prova, conferendo valore probatorio pieno al giuramento dell'accusatore o della persona offesa, oppure alla pubblica fama. I frammenti statutari non fanno cenno alcuno al duello: poiché tuttavia la normativa processuale confluisce molte volte, come accadeva di regola nel Duecento, nelle disposizioni sostanziali, resta il dubbio che la sua liceità fosse ancora ammessa, in determinati casi, così come avveniva a Città di Castello, a Todi, ad Orvieto, a Perugia. Punto qualificante della procedura penale spoletina è infine il principio dell'appellabilità della sentenza penale: forse il mantenimento di questa regola, assai spesso derogata da altri statuti e dalla dottrina della glossa, era dovuto non solo ad un'esigenza di giustizia nei confronti delle parti, ma anche alla necessità di sottoporre a controllo l'operato del podestà. L'appello, la cui procedura peraltro non viene specificata, era infatti particolarmente protetto di fronte all'eventuale ostruzionismo dei giudici di primo grado ed il relativo giudizio era affidato al capitano del popolo. A mio avviso, si deve comprendere in quest'ottica di verifica del comportamento del podestà anche l'obbligo espresso di motivazione della sentenza di appello emessa dal capitano del popolo. Si tenga presente, inoltre, che le sentenze criminali erano pronunciate in Consiglio.

E' opportuno dedicare qualche cenno conclusivo anche al diritto civile ed alla relativa procedura. Quanto alla disciplina sostanziale, non sembra che Spoleto si discosti dalla generale tendenza ad incidere soltanto su determinati settori, lasciando per il resto spazio al diritto comune. Le aree d'intervento, a Spoleto, riguardano, alcuni aspetti di diritto di famiglia, delle successioni e delle persone, con lacune tuttavia, anche a tal rispetto, più ampie che altrove. Trova accoglimento l'istituto dell'exclusio propter dotem, che annulla le aspettative successorie delle femmine rispetto ai maschi: occorre osservare che la norma, quale si legge nel costituto, ha un apparato sanzionatorio particolarmente curato ed è frutto di evidente stratificazione. Della famiglia interessa il regime patrimoniale, còlto nel momento dello scioglimento del matrimonio: le soluzioni proposte risultano favorevoli al marito o alla sua famiglia: se muore la donna, infatti, in mancanza di figli, il coniuge ha diritto di ritenere la quarta parte della dote; mentre se muore il marito, la restituzione della dote alla vedova non è negata, ma neanche celermente garantita: se la donna non lascia figli ha diritto ad alimenti proporzionati, ma non si fissa alcun termine per la restituzione; se lascia dei figli e decide di convivere con essi, la restituzione è senz'altro ritardata fino al momento in cui deciderà di risposarsi. Fin qui, se si tratta della dote. Sarebbe interessante sapere qualcosa di più dei donativi maritali, anche per la questione della eventuale sopravvivenza consuetudinaria della tradizione longobarda: purtroppo gli statuti offrono un solo aggancio, quella norma, già messa in risalto, che tratta incidentalmente di una "quarta" che la donna può pretendere alla fine del matrimonio, che sembra far riferimento ad un lucro vedovile, come in altri luoghi d'Italia. Su questo punto è indispensabile però un'indagine sulle fonti documentarie. Mi sembra comunque che dai pochi accenni che vi dedicano gli statuti, l'intento sia quello di rafforzare il patrimonio del marito e della sua famiglia, per i noti motivi di natura politica. All'interno del nucleo familiare, la solidarietà è del resto spesso affermata: basti pensare all'estensione della responsabilità penale, realizzata in alcuni casi già segnalati. Non si vuole, con una norma assai significativa, che il padre o il nonno possano essere chiamati a rispondere per le obbligazioni non solo penali ma anche civili del figlio o del nipote. Coerentemente, il consenso del padre è superfluo in sede processuale. Quanto ai minori di 25 anni, Spoleto opta per un intervento limitativo della loro autonomia negoziale nella fase costitutiva, decretando la necessaria assistenza di due parenti e del capitano del popolo. La tutela è riconosciuta, ma scarsamente disciplinata. Nulla si dice della capacità di agire della donna. Pochi sono anche i contratti disciplinati: non manca una norma sulla fideiussione ma c'è da registrare la vistosa lacuna dei contratti agrari, altrove ben altrimenti considerati.

Anche le disposizioni relative al processo civile non hanno la pretesa di offrire un quadro completo dell'ordo iudiciarius: ad interessare sono la citazione, la procedura per decreto in seguito a contumacia e pochi altri punti. Devono essere peraltro sottolineati la previsione del precetto de solvendo e diversi importanti princìpi in materia di prova, tra i quali emerge la possibilità di definire la causa con giuramento, su richiesta di una delle parti. L'iniziativa dei contendenti si rivela essenziale anche con riferimento alla decisione di ricorrere al "consilium sapientis": le autorità giudicanti non possono infatti assumere un consulente d'ufficio, mentre sono obbligate a soddisfare un'eventuale istanza delle parti in tal senso. E' lecito anche, come si è visto, affidare le proprie contese al giudizio di arbitri: la loro sentenza, per una più spedita definizione della lite, in deroga alla consuetudine, non è tuttavia più impugnabile.

Giunti al termine di questa carrellata sui variegati motivi d'interesse offerti dalla più antica legislazione spoletina tramandatasi, sia consentito spendere qualche parola sul complesso problema del rapporto tra gli statuti ed il diritto comune. Quella dell'ispirazione romanistica o meno dei diversi punti di vista affermati è un'idagine che sarebbe sicuramente opportuno riprendere, al di là dei pochissimi cenni che in questa sede è stato possibile fare. E certo, che Spoleto fosse anch'essa "polo di un sistema", è ipotesi tutt'altro che priva di fondamento, almeno nel campo del diritto privato o del processo. Poiché si tratta di una ricerca ancora da intraprendere, basterà qui, in chiusura, riflettere su quelle clausole di rinuncia alle leggi, delle quali in parte si era incominciato a discorrere nell'esordio di questo contributo: riferimenti, a volte anche precisi, alle leggi romane, oltre che al diritto canonico delle decretali(657), sono sintomo di una cultura giuridica, che attende futuri scopritori.

 

Note bibliografiche

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(1) SPOLETO, Archivio di Stato, Archivio storico comunale, Statuti, 1: Repertorio degli Statuti comunali umbri, a cura di P. BIANCIARDI e M. G. NICO OTTAVIANI, prefazione di C. LEONARDI, Spoleto 1992 (Centro italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto): Repertorio, n. 462, pp. 257-258. I tre testi dei quali si compone (Statutum communis, Breve populi, Constitutum) sono editi nella collana di studi dell'Accademia spoletina: Statuti di Spoleto del 1296, a cura da G. ANTONELLI, Spoleto 1962 [d'ora innanzi Stat./Breve/Const.].

(2) Gli "statuti" riformati nel 1296 sono preceduti dallo statuto di Todi del 1275 e da quelli di Perugia del 1279 e del 1285.

Per il primo cf. G. CECI - G. PENSI, Statuto di Todi del 1275, con lettera del Prof. F. SCHUPFER dell'Università di Roma, Todi 1897 [d'ora innanzi: TODI, Stat. 1275]. Per gli altri, è ora disponibile l'edizione critica di S. Caprioli: Statuto del comune di Perugia del 1279, I, Testo edito da S. CAPRIOLI, con la collaborazione di A. BARTOLI LANGELI, C. CARDINALI, A. MAIARELLI, S. Merli, Perugia 1996 (Deputazione di Storia patria per l'Umbria, Fonti per la storia dell'Umbria, 21) [d'ora innanzi: PERUGIA, Stat. 1279]. L'edizione è completata da un secondo volume di descrizioni e di indici a cura di A. BARTOLI LANGELI, con la collaborazione di S. CAPRIOLI, C. CARDINALI, A. MAIARELLI e S. MERLI (Deputazione di Storia patria per l'Umbria, Fonti per la storia dell'Umbria, 22). Per un censimento completo si v. il già citato Repertorio degli Statuti comunali umbri [nt. 1].

(3) Statutum et breve populi civitatis Spoleti, ora anch'esso dato alle stampe: Statuto di Spoleto del 1347, con additiones del 1348 e del 1364, a cura di M. MARIANI ANTONELLI, Spoleto 1996 [d'ora innanzi Stat. 1347].

(4) A. SANSI, Documenti storici inediti in sussidio allo studio delle memorie umbre, Parte Prima, Foligno 1879 (80 documenti, dei quali 9 del XII e 71 del XIII secolo) [d'ora innanzi: SANSI, Documenti storici]. Si ripercorrono, con alcune integrazioni delle fonti citate, le orme di un'indagine già avviata dallo stesso Sansi nell'opera, ancor oggi fondamentale, Storia del comune di Spoleto dal secolo XII al XVII seguita da alcune memorie dei tempi posteriori, parte I, Foligno 1879 [d'ora innanzi: Storia], p. 138.

(5) SANSI, Documenti storici, n. II, pp. 199-201, giugno 1178 (sottomissione degli Arcuri, signori di Murice): "insuper quandocumque comunitas fiet Spoletana civitate iurabimus ad breve conmunitatis sicut alii cives" (p. 201).

(6) SANSI, Documenti storici, n. XXVII, 1228, settembre 9, pp. 243-244 (sottomissione degli uomini del castello di Bufone): "et omni anno iurabimus precepta potestatis secundum quod cives iurabunt ad breve per tempora" (p. 244).

(7) SANSI, Documenti storici, n. XXI, 1218 luglio 20 (trattato con Bonifacio di Ugolino di Buonconte), p. 235: "...et ista omnia ut ponatur in constituto tractabitis et ut observentur a futuris dominis de Spoleto bona fide sine omni fraude dum hoc factum durabit" (cf. SANSI, Storia, p. 138).

(8) SANSI, Documenti storici, n. LII, 1259 ottobre 3 (societas Todi-Spoleto), p. 311: "et quelibet predictarum civitatum teneatur poni et scribi facere in suo capitulo constituto quod hec societas perpetuo servetur..." (cf. SANSI, Storia, p. 138).

(9) SANSI, Documenti storici, n. LXVII, 1277 luglio 29, p. 341.

(10) SANSI, Documenti storici, n. XXIX, 1230, novembre 9: "Quum ego Oddo Sancti Eustachii Spoleti potestas requisivi potestatem Sene secundum capitulum constituti...volens servare capitulum constituti, dicto Rainucio do licentiam capiendi de bonis hominum senensium usque ad satisfactionem predicte quantitatis... " (cf. SANSI, Storia, p. 138). La prassi delle rappresaglie riceve una conferma dall' atto n. LXVII, 1277 luglio 29, p. 341: "item a tempore huius societatis in antea quelibet persona dictarum civitatum et districtus ipsarum caute contrahat et nullus pro alio exigatur, ad tollendam materiam represaliarum".

(11) SANSI, Documenti storici, n. XLII, 1247, novembre 6-13 (privilegio di Rainerio Capocci), p. 290: "concedimus... quod ipsa curia Spoleti possit cognoscere de appellationibus a centum libris lucensium infra, secundum capitulum constituti Spoleti..." (cf. SANSI, Storia, p. 138). V. anche oltre, nt. 249.

(12) SANSI, Documenti storici, n. XXVIII, 1229, luglio 15, pp. 244-246, p. 246: "renuntiantes beneficio nove constitutionis, condictioni sine causa et omni alii auxilio legum et constituti eis competenti vel competituro" (SANSI, Storia, p. 138).

(13) SANSI, Documenti storici, n. XLVII, 1254, giugno 19, pp. 297-298, p. 298: "et renuntiavit omni exceptioni et deceptioni, conditioni sine causa etc. et omni auxilio legum et constituti et decretalium eis competenti vel competituro".

(14) SANSI, Documenti storici, n. L, 1258, dicembre 9, pp. 300-305, pp. 302-303: "renuntio exceptioni non numerati et non soluti et non recepti pretii, deceptioni ultra demidiam iusti pretii et omni alii (sic) auxilio et beneficio iuris civilis et canonici et constituti mihi conpetenti et conpetituro". Più avanti si legge una rinuncia alle sole leges: "renuntio in predictis et pro predictis doli et metus exceptioni, condictioni indebite et sine causa, et quod non opponam contra predictum comune ipsum comune habuisse scientiam rei aliene, alium vel alios habere ius in dictis rebus ... et renuntio beneficio legis condict(ionis) comunia de legatis l. ultima &sect; Hemptor (C. 6.43.3) et condict(ionis) de evictione, Si fundum (C. 8.44(45).27), certioratus de beneficiis ipsarum legum; et renuntio omni alii legum auxilio et beneficio mihi conpetenti et conpetituro" (p. 304, corretta secondo Memoriale comunis, 1 [nt. 18], f. XXXv).

(15) SANSI, Storia, p. 144, nt. 1. E' una lettera al podestà, al capitano del popolo ed al Consiglio di Lucca nella quale si chiede la nomina di un consul et exgravator per Spoleto, del quale si enunciano poi requisiti di eleggibilità, poteri ed obblighi.

(16) SANSI, Documenti, n. LXVIII, 1277 luglio 2, p. 343: "reformato conscilio et facto partito per dominum Iacobum de Baisia iudex potestatis predicte, secundum formam statuti placuit omnibus quod...".

(17) I termini statutum e constitutum sono usati come sinonimi anche nella compilazione del 1296. Cf. Const. I, 21: "quod omnes officiales tam potestatis quam capitanei et ipse potestas et capitaneus promittant et iurent observare capitula statuti, blevis populi et stare sententie rationatorum; dum tamen ubi capitulum constituti divertatur blevi populi vel bleve populi adversatur statuto, stetur blevi..."; Breve, 30: "... si qua essent capitula constituti facta et stabilita et ordinata in statuto comunis Spoleti contra... vel contra hoc ordinamentum vel contra hoc breve vel contra aliquod huius brevis capitulum"; Const. II, 23: "in statuto vel blevi populo... occasione alicuius capituli constituti seu blevis populi...."; Const. I, 2: "salvo quod si aliter contineretur in statuto" [corsivi nostri]. Si possono anche citare le formule dei capitoli "precisi", che si riferiscono ora allo statuto ora al costituto: v. oltre, nt. 41.

(18) Nella pergamena originale, da me visionata all'Archivio di Stato di Spoleto (Diplomatico, perg. n. 24) si trova scritto "concedendi". Tuttavia, nella copia della stessa, che si legge in Archivio storico comunale, Statuti, n. 23, Memoriale Comunis, 1, f. CVr, riga 20, la sillaba "ce" risulta cancellata ("con[ce]demdi"). Il SANSI, Documenti storici, n. XLII, p. 290, trascrive "concedenti", traendone conclusioni errate in Storia, p. 80.

(19) Sul privilegio della potestas condendi statuta: G. ERMINI, La libertà comunale nello Stato della Chiesa da Innocenzo III all'Albornoz (1198-1367), Roma 1926, pp. 115-116 (concesso a Civitacastellana nel 1229, a Iesi nel 1248, a Benevento nel 1267, ad Amelia nel 1294, a Città Papale nel 1299). Sull'esistenza dell'obbligo di sottoporre gli statuti ad approvazione v. oltre, ntt. 54-57.

(20) SANSI, Documenti storici, n. LXXIV (1294, giugno 2), pp. 358-359, p. 358.

(21) Breve, 26, p. 41: "et quod potestas et capitaneus infra duos menses sui regiminis faciant venire et defendere eis omnia brevia artium et societatum et ipsa examinare et videre et que invenerint iusta et non contra breve populi et comunis et que non sint contraria seu contra in aliquo contra breve novarum societatum et omnium et singulorum reformationum factarum et faciendarum per predictas novas societates; et prior predictarum novarum societatum qui pro tempore erit semper interesse debeat personaliter una cum predicto domino potestate et capitaneo ad examinationem faciendam et adprobationem et confirmationem predictorum brevium artium et societatum; et illa rata et firma habeantur, et que iusta non fuerint pro inritis et inanibus habeantur, et ipsa precipiant non observari et faciant quod non observentur".

Const. II, 47, p. 108: "Item si quis ausus fuerit dicere vel allegare contra bleve populi vel bleve novarum sotietatum... et poni de blevi in blevi populi".

(22) Const. I, 21, p. 69: "et idem intelligatur in reformationibus consilii capitaneorum artium et sotietatum et quattuor adiuntorum que prevalent reformationibus consilii generalis, exceptis quam in casibus supradictis exceptuatis in capitulo quod incipit: 'Item statuimus et ordinamus quod quidquid stabilitum et ordinatum fuerit per consilium capitaneorum artium'" (giuramento del podestà e del capitano del popolo).

(23) Const. II, 62, p. 113: "omnia statuta et reformationes consiliorum vel reformationes prioris et officii sui".

(24) Breve, 36, pp. 45-46.

(25) Breve, 26, pp. 40-41.

(26) Const. II, 60, p. 112: "mando vobis... priori populi novelli sive novarum sotietatum et domino... coreptoribus blevis populi comunis Spoleti".

(27) Const. I, 72, p. 87.

(28) Per un riconoscimento generale della validità della stessa a Spoleto si deve citare innanzitutto il privilegio imperiale di Federico II del giugno 1241, in originale nell'Archivio del Comune di Spoleto, trascritto in SANSI, Documenti storici, XXXIX, p. 278: "confirmamus etiam et conservabimus eis omnes bonos usus et approbatas consuetudines, quibus temporibus divorum augustorum avi et patris nostri memorie recolende usque ad hec felicia tempora nostra usifuisse (sic) noscuntur". Vi è poi una garanzia dei diritti consuetudinari delle terre del contado nel privilegio di Ranieri Capocci del 6-13 novembre 1247, ivi, n. XLII ("et omnes eorum bonas consuetudines eisdem conservabimus" e nel privilegio di Alessandro IV del 9 febbraio 1255, ivi, n. XLVIII, p. 299: "omnia castra, villas, tenimenta, iura, condictiones et consuetudines eorum...". Viene in seguito approvata da Bonifacio VIII il 2 giugno 1294 la consuetudine dell'appello ad un giudice degli appelli o capitano (ivi, n. LXXIV, p. 358: "in dicta civitate antiquitus esse consueverat unus iudex appellationum qui capitaneus vocabatur").

(29) Il caso degli statuti perugini del 1279 è stato discusso da S. CAPRIOLI, Una città nello specchio delle sue norme. Perugia milleduecentosettantanove, in Società e istituzioni dell'Italia comunale: l'esempio di Perugia (secoli XII-XIV), Perugia, 6-9 novembre 1985, v. II, Perugia 1988 (Deputazione di storia patria per l'Umbria, Perugia), pp. 367-445 e in Statuto del comune di Perugia, II [nt. 2], pp. 249-329, in part. pp. 320-322.

(30) Stat., 24, p. 16: compiti dei partiserii ("...et aliorum que ad partiserios pertinere noscuntur et determinari consuetum"); Breve, 38, p. 46: giurisdizione del comune ("contra privilegia et antiquam consuetudinem et iurisdictionem obtentam in civitate Spoleti"); Breve, 42: giurisdizione del comune ("item de criptis et de incriptis accipiatur pentio a mercatoribus sicut consuetum est temporibus retroactis"); Breve, 66, p. 57: istituzione delle arti e delle società ("hoc additum est huic [capitulo] quod omnes artes et societates et quelibet ipsarum sint libere et absolute... nec proponatur... vel aliquid consulere possit quod contra dictum capitulum et iurisdictionem et antiquam consuetudinem dictarum artium et societatum"); Const. I, 52, p. 81: banchi dei calzolai ("additum est huic capitulo quod calçolarii possint habere et tenere bancos secundum modum consuetum"); Breve, 47, p. 50: elezione dei baiuli, valdari e degli altri ufficiali delle ville ("ad faciendum fieri electionem baiulorum, valdariorum et aliorum officialium sicut actenus facere consueverunt"); Const. I, 68, p. 86: restituzione del documento costitutivo del credito al debitore ("Item quod cum consuetudo sit debitorem a creditoribus suis recipere instrumentum debiti nec alia recipere quietationem..."); Const. I, 71, p. 87 ("quod vie publice et vicinales sint libere et absolute et expedite, salvo quod possit habere profercula sicut consuetum est"); Const. II, 15, p. 97: libero esercizio dell'arte dei calzolai nelle loro case ("quod ars calçorariorum possit libere exerceri in domibus calçorariorum prout atenus est observatus"); Const. II, 31, p. 102: pedaggi ("Item statuimus et ordinamus, quod potestas et capitaneus comunis et populi civitatis Spoleti precise teneatur... facere devenire ad cameram comunis omnia et singula pedagia... secundum modum et consuetudinem temporis Offreduccii de Alviano... nullo alio statuto vel bleve populi in contrarium loquente..."); Const. I, 81, p. 90: sistema di voto degli ufficiali comunali ("Item quod electio officialium comunis Spoleti fiat ad sortes sive ad fabas sicut in arenga consuevit ex forma capituli blevis populi civitatis Spoleti et non aliter"); Const., II, 49, p. 108: sistema di voto ("Item quod partitum quod ad fabas fieri consuevit attenus fiat ad palluttas publeas (sic)"; Const II, 50, p. 109: rapporti con i signori di Arrone e Castrolaco ("...nobiles de Arono et Castrolaci et omnes alios nobiles... veniant ad iuramentum et parendum mandatis ipsius domini potestatis et capitanei populi civitatis Spoleti ut fieri attenus consuevit...").

Si segnala anche un'ipotesi nella quale la consuetudine viene superata: Const. II, 35, p. 103, in materia di arbitrato: "et si aliquid consuetum est vel fuerit, nullo modo possit ab aliqua partium <...>" (oltre, nt. 254).

(31) Stat., 2, p. 8.

(32) Anche a Città di Castello, solo per fare un altro esempio, in caso di contrasto tra statuto comunale e breve del popolo prevale il breve: cf. Frammenti dello statuto del 1261, in G. MAGHERINI GRAZIANI, Frammenti storici di Città di Castello, Perugia 1909, p. 47: "Item dicimus et ordinamus quod si aliquod statutum continetur in capitulo constituti generalis Civitatis Castelli quod sit in aliquo contrarium constituto populi Civitatis predicte vel quod in aliquo dicto constituto populi contradicat, illud statutum sit cassum et vanum et nullam in se habeat firmitatem" (cf. anche la recensione di P. S. LEICHT, in Bullettino senese di storia patria, XVI (1909), pp. 422-423, dove il fenomeno viene rilevato). Sull'esperienza perugina, rimando alle pagine di CAPRIOLI, Una città [nt. 29], pp. 312-315.

(33) Const. I, 21, p. 69: "quod omnes officiales tam potestatis quam capitanei et ipse potestas et capitaneus promittant et iurent observare capitula statuti, blevis populi et stare sententie rationatorum; dum tamen ubi capitulum constituti divertatur blevi populi vel bleve populi adversatur statuto, stetur blevi, et potestas et capitaneus et alii officiales teneantur bleve populi integraliter observare; et idem intelligatur in reformationibus consilii capitaneorum artium et sotietatum et quattuor adiuntorum que prevalent reformationibus consilii generalis, exceptis quam in casibus supradictis exceptuatis in capitulo quod incipit: 'Item statuimus et ordinamus quod quidquid stabilitum et ordinatum fuerit per consilium capitaneorum artium'".

(34) Const. I, 17, p. 68: "quorum blevium unum esse debeat penes potestatem et aliud ligari faciat in palatio comunis una cum statuto, ita quod quilibet ex eo possit habere copiam".

(35) Breve, 30, p. 43: "... si qua essent capitula constituti facta et stabilita et ordinata in statuto comunis Spoleti contra... vel contra hoc ordinamentum vel contra hoc breve vel contra aliquod huius brevis capitulum". Un'eccezione è contemplata in Breve, 70, de x. libris dandis hosspitali (sic) novo, p. 59: "hoc slvo et intellecto quod si in capitulo statuti contineatur quod dictum hospitale habere debeat aliquam quantitatem pecunie de bonis dicti comunis Spoleti, quod illud capitulum observetur et non istud".

(36) Const. II, 47, de pena arengantis contra breve populi et novarum societatum, p. 108.

(37) SANSI, Storia, p. 144 nt. 1: "offitium enim consulatus est super bono et pacifico stato nostre civitatis intendere et quod cum antianis et capitaneis artium et societatum deliberabit super hoc habebit plenissimam firmitatem, non obstante capitula statuti vel ordinamento concilii generalis. Et potuerit nova capitula facere et vetita tollere et mutare pro utilitate comunis sicut sibi et predictis videbitur expedire".

(38) Breve, 28, p. 42: "... quod capitulum tolli vel removeri non possit per capitaneum artium et societatum..."; Breve, 66, p. 57: "et hoc capitulum sit precisum huic capitulo aliquo non obstante facto vel faciendo quod rumpi vel inritari non possit nec per capitaneum artium et sotietatum nec per aliquod aliud consilium"; Const., II, 61, p. 113: "quod capitulum tolli minui vel mutari non possit per consilium vel per capitaneum artium et sotietatum...". Cf. anche Const., I, 84, quod nemini concedatur de pecunia et rebus comunis, p. 91: "et si appareret aliquod capitulum fore factum in contrarium, statuto conretto pro anno futuro, quod tale capitulum statuti sit cassum et irritum et nullius valoris prout deliberatum fuit per consilium capitaneorum artium et societatum et quattuor adiuntorum quando electi fuerunt conrettores blevis populi".

(39) Const. I, 84, p. 92: "et si appareret aliquod capitulum fore factum in contrarium, statuto conretto pro anno futuro, quod tale capitulum statuti sit cassum et irritum et nullius valoris prout deliberatum fuit per consilium capitaneorum artium et societatum et quattuor adiuntorum quando electi fuerunt conrettores blevis populi".

(40) Const. I, 63, p. 85: "Item statuimus et ordinamus, quod si inveniretur aliquod capitulum constituti vel blevis populi quod esset contra Dey precepta et fidem catholicam et inquisitionem non valeat neque teneat ipso iure, et potestas non teneatur ipsum facere observari neque capitaneus. Et hoc capitulum sit precisum huic nullo alio obstante".

(41) Breve, 28, p. 42: "et hoc capitulum sit precisum nullo alio capitulo constituti vel brevis populi huic obstante"; Const. I, 33, p. 75: "et hoc capitulum sit precisum huic nullo alio capitulo constituti vel blevis populi non obstante quod in contrarium loqueretur et specialiter capitulum quod loquitur quod si aliquod capitulum factum esset in favorem alicuius non valeat"; Const. I, 39, p. 77: "potestas et capitaneus qui iurabunt ad hoc bleve... non obstante aliquo capitulo constituti vel blevis populi huic contrario vel nocivo"; Const., II, 61, p. 113: "nullo alio capitulo statuti vel blevis populi huic ostante"; Breve, 65: "aliquo capitulo statuti vel brevis populi non obstante; Breve, 69, p. 59: "nullo alio capitulo statuti comunis vel brevis populi huic capitulo contradicente"; Const. II, 31, p. 102: "nullo alio statuto vel bleve populi in contrarium loquente..."; Const., II, 61, p. 113: "nullo alio capitulo statuti vel blevis populi huic ostante".

Cf. invece Const. II, 25, p. 100: "non obstante aliquo capitulo constituti comunis Spoleti; Const. II, 39, p. 106: "et hoc capitulum sit precisum et potestas teneatur facere poni de constituto in constitutum". Per una formula onnicomprensiva cf. Breve, 31, p. 44: "et hoc capitulum sit precisum huic nullo aliquo alio capitulo vel ordinamento [obstante]".

(42) Non siamo informati sulla procedura di formazione delle delibere statutarie, costitutive e abrogative. Si riserva una competenza abrogativa anche ad organi diversi dal Consiglio generale. I capitani delle arti e delle società possono infatti abrogare capitoli statutari, dato che alcuni capitoli vengono esclusi da modifiche in questo senso (ad es. Breve, 28, p. 42: "...quod capitulum tolli vel removeri non possit per capitaneum artium et societatum..."; Const., II, 61, p. 113: "quod capitulum tolli minui vel mutari non possit per consilium vel per capitaneum artium et sotietatum..."). Fanno comunque parte del Consiglio generale del comune (Const. I, 64, p. 85: "in hoc intelligantur consiliarii speciales et generales et consules militum, capitanei artium et sotietatum").

(43) Sul senso di queste qualifiche: CAPRIOLI, Una città [nt. 29], pp. 269-280.

(44) Const. I, 23, p. 100; Const. I, 67, p. 86. Sono capitoli a loro volta precisi.

(45) Const. II, 43, p. 107. E' un capitolo preciso, ma derogato in un caso particolare: Const. I, 33, p. 75. Cf. anche Const. II, 34, p. 103.

(46) Breve, 30, p. 43.

(47) L'abrogazione dell'eventuale capitolo contrastante con tale divieto assoluto è deliberata dai capitani delle arti e delle società, insieme con i quattro aggiunti: "et si appareret aliquod capitulum fore factum in contrarium, statuto conretto pro anno futuro, quod tale capitulum statuti sit cassum et irritum et nullius valoris prout deliberatum fuit per consilium capitaneorum artium et societatum et quattuor adiuntorum quando electi fuerunt conrettores blevis populi" (Const. I, 84).

(48) Basti pensare al valore generale assegnato dal papa e dall'imperatore alla Constitutio in Basilica Beati Petri di Federico II, del 22 novembre 1220, le cui disposizioni furono inserite come authenticae nel Codex. Si v. in particolare l'autentica Cassa et irrita (post C. 1.2. 12, de sacrosanctis ecclesiis, l. Privilegia), che così recita: "Cassa et irrita esse denuntiari per totam Italiam precipimus omnia statuta et consuetudines contra libertatem ecclesie eiusque personas inductas adversus canonicas et imperiales sanctiones et ea de capitularibus penitus aboleri mandat nova constitutio et de cetero similia attentata ipso iure nulla esse decernit. Si quid contra fiat, pene, que statute sunt imminebunt. Sed si per annum huius novelle constitutionis, aliqui inventi fuerint contemptores, bona eorum per totum nostrum imperium impune ab omnibus occupentur". Per il processo formativo di questa legge, per l'analisi del suo contenuto e per la sua efficacia generale si v. la classica indagine di G. DE VERGOTTINI, Studi sulla legislazione imperiale di Federico II in Italia. Le leggi del 1220, Milano 1952 (Pubblicazioni straordinarie dell'Accademia delle Scienze di Bologna, Classe di scienze morali, 11), in part. pp. 159-166 per il suo valore universale (ulteriore bibliografia nel mio Istituzioni e attività della seconda Lega lombarda (1226-1235), in Studi di storia del diritto, I, Milano 1996 (Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, Pubblicazioni dell'Istituto di Storia del diritto italiano, 19), pp. 79-262, p. 91 nt. 29).

(49) Stat., 2, p. 9: "...et observare constitutiones papales et imperiales editas contra hereticos, et non observare vel observari facere aliquod statutum contra libertatem Romane ecclesie vel ordinamentum...".

(50) A. PADOVANI, L'inquisizione del podestà. Disposizioni antiereticali negli statuti cittadini dell'Italia centro settentrionale nel secolo XIII, in Clio, XXI (1985), pp. 345-393.

(51) Sul potere normativo dei rettori provinciali, che si esplicava attraverso la promulgazione di costituzioni nei parlamenti: G. ERMINI, I Parlamenti dello Stato della Chiesa dalle origini al periodo albornoziano, in Rivista di storia del diritto italiano, III (1930), pp. 260-319; pp. 407-467; ID., I rettori provinciali dello Stato della Chiesa da Innocenzo III all'Albornoz. Ricerche storico-giuridiche, in Rivista di storia del diritto italiano, IV (1931), pp. 29-104; D. WALEY, The Papal State in the Thirteenth Century, London 1961, pp. 116-119; C. REYDELLET-GUTTINGER, L'administration pontificale dans le Duché de Spolète (1305-1352), Firenze 1975 (Studi dell'Accademia spoletina), pp. 35-39; T. SCHMIDT, La recente scoperta degli statuti del ducato di Spoleto del 1333, in Atti del 9&deg; Congresso internazionale di studi sull'alto medioevo, Spoleto, 27 settembre-2 ottobre 1982, t. II, Spoleto 1983, pp. 977-982; ID., Einleitung, in Constitutiones Spoletani Ducatus a Petro de Castaneto edite (a. 1333), curante T. SCHMIDT, Roma 1990 (Fonti per la storia d'Italia pubblicate dall'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 113) (d'ora innanzi: SPELLO 1333), pp. 31-74.

(52) A titolo esemplificativo: REYDELLET-GUTTINGER, L'administration pontificale [nt. 51], Pièces justificatives, n. 9, pp. 137-157 (d'ora innanzi: FOLIGNO 1324), cap. 3, quod statuta civitatum seu communantiarum facta contra libertatem Ecclesie sint cassa; cap. 83; cap. 20, de modo tenendo in malleficiis et probationibus et indutiis; cap. 73; cap. 76, quod si aliqua questio esset a partibus compromissa, diffiniatur infra vi. menses et de modo tenenda. Elenco anche la serie dei capitoli sui diritti giurisdizionali della curia provinciale, dei quali farò cenno più avanti: cap. 16, de pena facientium contra accusantes et appellantes ad curiam domini ducis; cap. 18, de renuntiatione facta super appellatione per vim vel metu; quod nichilominus super ea procedatur et valeat appellatio; cap. 45; cap. 54, quod citatus ad curiam possit secure venire et nullus offendat eum; cap. 74, de pena facientium contra appellationem; cap. 83; cap. 87.

(53) Ne indico soltanto alcune: SPELLO 1333, cap. 2, quod statuta facta vel fienda in favorem vel hodium alterius singularis persone sint cassa; cap. 32, quod pene statutorum comunitatum sint equales; cap. 6, de libertate et immunitate ecclesiarum et personarum ecclesiasticarum (FOLIGNO 1324, cap. 3); cap. 87, quod statuta contra libertatem ecclesie sint cassa (FOLIGNO 1324, cap. 83); cap. 44, quod statuta vel ordinamenta facta contra venientes ad exercitum nostrum sint cassa et quod offitiales non observantes ipsa statuta sint absoluti; 24, de tormentis non faciendis et pena facientium (FOLIGNO 1324, cap. 20); cap. 73, de pena terrarum concedentium represalias; cap. 77, quod comunitates teneantur emendare dampnum derobbato in eius territorio (FOLIGNO 1324, cap. 73); cap. 80, de compromissis et de modo ipsa prosequendi (FOLIGNO 1324, cap. 76). Di particolare rilievo sono le norme che tutelano i diritti giurisdizionali della curia provinciale: cap. 18, de pena impedientium volentem prosequi ius suum; cap. 22, quod non obstante renuntiatione facta de appellatione possit causa prosequi (FOLIGNO, cap. 18); cap. 20, de pena comunitatum impedientium appellantes vel causantes in ducali curia (FOLIGNO 1324, cap. 16); cap. 49, de salario solvendo in causis contra comunitates (FOLIGNO, cap. 45); cap. 58, de pena offendentium ad curiam venientes (FOLIGNO 1324 cap. 54); cap. 78, quod comunitates et eorum officiales teneantur deferre appellationibus, que fiunt ab eorum processibus (FOLIGNO 1324, cap. 74); cap. 91, quod non possit dari sapiens ante sententiam vel in maleficiis (FOLIGNO 1324, cap. 87). Referenze complete sulle fonti delle costituzioni di Pierre de Castanet si possono trovare nell'apparato dell'edizione di Schmidt.

(54) Sull'argomento: ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], pp. 116-121.

(55) SPELLO 1333, cap. VII, pp. 102-103, in part. il &sect; 2, che impone il controllo annuale, ed il &sect; 3, che stabilisce la nullità degli statuti non approvati.

(56) Riferimenti in ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], p. 118. Mi sembra opportuno riportare il testo di questa costituzione: "Item, cum per antiquas constitutiones provide sit statutum quod sindici civitatum et aliarum terrarum et comunitatum statuta sua seu constitutiones singulis annis debeant ad curiam ducalem deferre ut per iudices videantur, et que correctione indiguerint corrigantur, et propter negligentiam iudicum qui statuta ipsa non respiciunt diligenter et malitiam aliquarum civitatum que non omnia statuta ad maiorem curiam deferunt, sed periculosa, illicita et Ecclesie Romane dampnosa penes se retinent, ipsis inter se utentes seu potius abutentes, multi occasione et observantia statutorum huiusmodi reproborum tolerantur abusus, condempnantur innoxii et delinquentes transeunt impuniti, iustitia publica offenditur et iuribus et libertatibus prefate Romane Ecclesie derogatur... mandamus quod civitates et alie comunitates omnia et singula statuta et constitutiones, ordinationes et reformationes quscunque et qualescunque existant singulis annis ad maiorem curiam integraliter et fideliter per sindicum mictere teneant[ur] et ea iudicibus exibere. Qui sindicus prop[r]io asserere debeat iuramento quod omnes constitutiones, ordinationes et reformationes comunitatis sue, nulla exceptione facta, nec aliqua fraude exibita, exhibet et ostendit... nos ultra penas excomunicationis et interdicti predictas, statuta omnia huiusmodi transgressorum... etiam si sint rationabilia, cassamus... iudices autem statuta et constitutiones huiusmodi diligenter et sigillatim tenenatur legere et videre, utilia et licita approbantes, et frivola et illicita cancellantes" (Constitutiones Ducatus Spoletani, cap. XXII, in A. DIVIZIANI, Fonti delle costituzioni Egidiane. Le costituzioni di Bertrando di Deuc del 1336 per la Marca d'Ancona e per il Ducato di Spoleto, Savona 1923, pp. 50-51). I comuni della Marca Anconitana godevano di una maggiore autonomia, dopo la bolla Celestis patris familias di Bonifacio VIII, del 6 settembre 1303: ivi, p. 117. Su questo provvedimento cf. pure WALEY, The Papal State [nt. 51], pp. 234-235.

(57) Const. Egid. II, 19: ivi, p. 121, ove dice anche che la costituzione "fu fedelmente osservata almeno nei primi anni, come ci attestano le approvazioni rettorali, che cominciano dopo l'Albornoz a trovarsi numerose in fine degli statuti comunali".

(58) Un primo schizzo si può leggere in SANSI, Storia, pp. 138-155.

(59) Lavorarono tre collegi distinti di correttori. Lo statuto fu rivisto da 12 statutari, i cui nomi sono indicati nel preambolo dello statuto stesso (ed. cit., p. 6), al tempo di Antelminello degli Antelminelli da Lucca, podestà e capitano del popolo. Il breve del popolo fu corretto, invece, da un collegio di 6 riformatori, su mandato del priore delle nuove società Manento Grimaldi, e pubblicato il 1&deg; ottobre 1296 da Guido di Simonectus de Peccioli, giudice ordinario e notaio "imperiali autoritate", nonché notaio del podestà Iacobus Villani de domo Dodorum et Gaitanorum di Pisa (ed. cit., p. 59). Il constitutum, infine, fu riformato da un numero non precisato di correttori, e pubblicato il 30 settembre 1296 da Bartolomeus Strenne de Uthano, notaio del già nominato podestà Antelminello degli Anteminelli di Lucca (p. 114).

Lo statuto disponeva in merito alla procedura di correzione dello statuto stesso, ma i relativi capitoli sono perduti. Restano le rubriche: Stat., III, 2, de correctione statuti comunis Spoleti e III, 3, de exemplando statutum et qualiter debeat dictum statutum teneri.

I correttori avevano l'obbligo di assicurare la presenza di determinati capitoli nelle successive riforme del relativo testo statutario. Vi sono diversi esempi per i capitoli del costituto: Const. I, 6, p. 65: "et ponatur de bleve in blevi"; Const. I, 10, p. 66: "et ponatur de blevi in blevi"; Const. I, 80: "et ponatur de bleve in bleve comunis"; Const. II, 23, p. 100: "et hoc presens capitulum sit precisum et sacratum et quod tolli non possit et senper teneantur coreptores ponere ipsum de blevi in blevi; quod si neglexerint quilibet eorum condepnentur per sequentiori priorem...".

(60) La consistenza originaria dello statuto risulta da un indice non rilegato nel codice che contiene i tre corpi statutari pubblicati nel 1296. Esso elenca i quaternioni in cui era diviso lo statuto e le rubriche dei capitoli. E' stato pubblicato da G. Antonelli, con l'avvertenza che "nulla autorizza la conclusione che le quattro parti delle quali si conserva l'indice costituiscano l'intero statutum comunis" (p. VII). Per quanto riguarda il breve, che esso fosse composto di 16 carte è detto nella sottoscrizione notarile posta alla fine di esso.

(61) Rubrice statuti comunis, in Statuti di Spoleto del 1296, pp. 117-126.

(62) La denominazione è utilizzata anche in altri centri: in Toscana, a Pisa (constitutum usus, constitutum legis), a Siena, a Volterra; in Lazio, a Viterbo; in Umbria, a Città di Castello, ad Orvieto. Qui, nel giuramento del giudice, degli inizi del XIII s., è detto espressamente che il costituto traduceva per iscritto le antiche consuetudini: "ego iudex iuro ad sancta Dei Evangelia observare ius generale et consuetudinem scriptam et adprobatam in constituto et secundum ipsas consuetudines scriptas iudicabo et iudicari faciam..." , in L. FUMI, Codice diplomatico della città d'Orvieto, Documenti e regesti dal secolo XI al XV e la Carta del Popolo, codice statutario del comune di Orvieto, Firenze 1884, n. LXXI [1200], p. 50.

(63) Breve, 2, 5, 6, 13, 15, 16, 18, 23, 27, 31, 33, 35, 37, 38, 39, 40, 48, 49, 50, 53, 54, 58, 62, 64, 65, 66.

(64) Breve, 3, 20, 24, 26, 28, 32, 34, 43, 46, 47, 55, 56, 57, 60, 61, 62, 66, 68.

(65) Breve, 1, 8, 9, 10, 11, 56.

(66) Breve, 12.

(67) Breve, 7, 17, 59.

(68) Breve, 19, 21, 63.

(69) Breve, 30.

(70) Breve, 25 (igiene pubblica), 32 (sgombero e pulizia delle porte cittadine), 41 (lettura di capitoli in Consiglio), 43 (manutenzione delle strade), 45 (elezione degli officiali del comune), 46 (restituzione di denato preso a prestito dal comune), 52 (difesa delle strade), 55 (esercito e ambasciate), 61 (acque), 62 (custodia della domus in platea fori), 64 (bando relativo a disposizione sulle cose vendute ad coppam), 66 (difesa delle arti), 68 (acque), 70 (donazione di L. 10 all'ospedale nuovo).

(71) Breve, 37.

(72) Breve, 20 (vigilare sulla realizzazione delle "senaite" nelle ville), 26 (dare fortiam ai capitani delle arti e delle società), 36 (correzione del breve populi), 43 (manutenzione delle strade), 52 (difesa delle strade), 66 (difesa delle arti).

(73) Breve, 37.

(74) Breve, 3.

(75) Breve, 24, 66, 67.

(76) Breve, 26, 27, 36, 67.

(77) Breve, 67.

(78) Breve, 34, 43, 49.

(79) Breve, 27.

(80) Breve, 66.

(81) Breve, 27.

(82) Breve, 66.

(83) Breve, 28.

(84) Breve, 66, 67.

(85) Breve, 26, 28, 31, 45, 67.

(86) Breve, 26.

(87) Breve, 54, 56.

(88) Breve, 24.

(89) Breve, 14, 20, 22, 44, 47, 60.

(90) Breve, 69.

(91) Breve, 28, 29.

(92) Const. I, 3, 5, 6, 13, 14, 18, 22, 27, 32, 34, 35, 36, 38, 40, 42, 43, 45, 47, 48, 49, 50, 51, 54, 55, 58, 59, 60, 61, 65, 66, 72, 74, 75, 76, 77, 78, 82, 86; Const. II, 3, 4, 10, 11, 12, 13, 17, 19, 22, 24, 28, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 45, 47, 50, 51, 55, 60, 62. Una causa di giustificazione è prevista in Const. II, 40.

(93) Const. I, 7, 9, 10, 11, 15, 23, 24, 25, 26, 28, 30, 31, 42, 44, 46, 53, 55, 57, 58, 62, 69, 79, 80, 83; Const. II, 11, 14, 18, 23, 31, 34, 39, 52, 51, 61.

(94) Const. I, 2, 15, 16; Const. II, 44, 52.

(95) Const. I, 68, 80; Const. II, 17, 32, 33, 35, 48.

(96) Const. II, 38.

(97) Const. I, 32, 45, 48, 82; Const. II, 19, 23.

(98) Const. I, 7 (colletta), 9 (rendere giustizia nel palazzo), 10 (su una cavina), 26 (sulle terre di un castello), 30 (su una torre), 42 (catasto e collette), 46 (costruzione del palazzo del popolo: riguarda anche il capitano del popolo, i priori e gli anziani), 49 (pulizia delle strade), 53 (vigilanza della campana magna comunis), 57 (su una carbonaria e cavina), 60 (collette), 73 (revoca di una sentenza di scomunica); Const. II, 11 (terminare la silva Aççani), 31 (curare l'esazione dei pedaggi), 39 (mantenere la domus posita in platea fori), 55 (riscuotere il prezzo di una cosa comprata da un privato dal comune o dal sindaco del comune), 58 (recuperare un possesso).

(99) Const. I, 39 (sindacato), 65, 66.

(100) Const. I, 64.

(101) Const. I, 26 (terre di un castello), 83 (acque), 86 (reintegrazione di alcuni possessi nel contado).

(102) Const. I, 1.

(103) Const. II, 37.

(104) Const. I, 57 (giudice al catasto), 61.

(105) Const. I, 11.

(106) Const. I, 11, 17; Const. II, 9, 10, 25, 26.

(107) Const. I, 41, 56.

(108) Const. I, 21, 69, 81.

(109) Const. II, 49.

(110) Const. II, 56, 60, 62. E' chiamato anche priore del nuovo popolo (Const. II, 60).

(111) Const. I, 1, 17, 46, 55, 56, 84.

(112) Const. I, 76, 52 (calzolai); Const. II, 8, 15, 14 (tintori).

(113) Const. I, 64, 84.

(114) Const. II, 33: "dummodo dicte scripture approbentur per capitaneum suorum tabuleriorum".

(115) Const. I, 5; Const. II, 36; Const., II, 61.

(116) Const. I, 83 (in materia di acque): "et predicta ponantur ad consilium populi".

(117) Const. I, 8, 19, 20, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 58, 60, 74, 85, 86; Const. II, 1, 4, 11, 20, 24, 26, 27, 46, 50, 53, 58.

(118) Const. I, 63 [nt. 54].

(119) Alcuni sono definiti "precisi" rispetto al costituto e al breve (ad es. Breve, 28: "et hoc capitulum sit precisum nullo alio capitulo constituti vel brevis populi huic obstante"; Const. I, 33: "et hoc capitulum sit precisum huic nullo alio capitulo constituti vel blevis populi non obstante quod in contrarium loqueretur et specialiter capitulum quod loquitur quod si aliquod capitulum factum esset in favorem alicuius non valeat"; Const. I, 39: "potestas et capitaneus qui iurabunt ad hoc bleve... non obstante aliquo capitulo constituti vel blevis populi huic contrario vel nocivo"; Const., II, 61: "nullo alio capitulo statuti vel blevis populi huic ostante"). Altri sono precisi rispetto allo statuto e al breve (Breve, 65: "aliquo capitulo statuti vel brevis populi non obstante"; Breve, 69: "nullo alio capitulo statuti comunis vel brevis populi huic capitulo contradicente"; Const. II, 31: "nullo alio statuto vel bleve populi in contrarium loquente..."; Const., II, 61: "nullo alio capitulo statuti vel blevis populi huic ostante"). Altri sono precisi rispetto al costituto (Const. II, 25: "non obstante aliquo capitulo constituti comunis Spoleti"; Const. II, 39: "et hoc capitulum sit precisum et potestas teneatur facere poni de constituto in constitutum"). Ve ne sono, infine, di precisi rispetto ad ogni tipo di ordinamento (Breve, 31: "et hoc capitulum sit precisum huic nullo aliquo alio capitulo vel ordinamento [obstante]").

(120) Const. I, 67.

(121) Const. II, 43.

(122) Const. I, 44.

(123) Const. I, 34.

(124) Const. I, 40; 47.

(125) Const. II, 31.

(126) Const. II, 3.

(127) Const. I, 55.

(128) Const. II, 4.

(129) Const. II, 38.

(130) Const. I, 18.

(131) Const. II, 21.

(132) Autorizzazione a tener un banco davanti alle case, in particolare per i calzolai: Const. I, 52.

(133) Pulizia e sgombero delle vie (Const. I, 71); divieto di trasportare terra da una piazza all'altra (Const. I, 75).

(134) Const. I, 79.

(135) Const. II, 2.

(136) Const. II, 16.

(137) Const. II, 46.

(138) Const. I, 7, 12, 54, 62; Const. II, 29, 30, 189.

(139) Const. I, 70.

(140) Const. I, 84.

(141) Const. I, 42.

(142) Const. I, 6.

(143) Const. I, 4.

(144) Const. I, 59.

(145) Const. I, 33.

(146) Const. II, 34.

(147) Const. I, 5, 6, 10; II, 54.

(148) Const. II, 59-62.

(149) J.-C. MAIRE VIGUEUR, Comuni e signorie in Umbria, Marche e Lazio, in G. ARNALDI - P. TOUBERT - D. WALEY - J.-C. MAIRE VIGUEUR - R. MANSELLI, Comuni e signorie nell'Italia nordorientale e centrale: Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Torino 1987 (Storia d'Italia, diretta da G. GALASSO, v. VII, t. II), pp. 321-606.

(150) La cui prima menzione a Spoleto risale al 1201, quando l'ufficio non si era ancora affermato rispetto a quello dei consoli, come sembra essere avvenuto almeno dal 1217: SANSI, Storia, I, p. 134. Sulle origini del comune a Spoleto: E. SESTAN, Il Comune di Spoleto tra i comuni italiani, in Atti del 9&deg; Congresso internazionale di studi sull'alto medioevo, Spoleto, 27 settembre-2 ottobre 1982, t. I, Spoleto 1983, pp. 149-188; G. TABACCO, Dinamiche sociali e assetti del potere, in Società e istituzioni [nt. 26], pp. 281-302.

Il privilegio del cardinale Rainerio Capocci del 1247 assicura espressamente al Comune la "<libera potestatem> eligendi potestatem et officiales catholicos sicut tunc temporis faciebant et sicut iposi comuni placuerit" (SANSI, Documenti storici, n. XLII (1247, novembre 6-13), p. 290).

(151) Testimoniato nei documenti per la prima volta nel 1272 e nel 1273: SANSI, Storia, I, p. 137. Una lettera ai Lucchesi del 1274 ne definirà in modo essenziale le competenze: ivi, p. 144, nt. 1.

(152) Il breve del popolo, cap. 3, richiede che siano trascorsi tre anni, anche per l'assunzione di altre cariche comunali. Sui requisiti di eleggibilità del podestà: Stat., 1, p. 7, da integrare con Stat., 19, p. 14 (requisiti validi per tutti gli ufficiali) e Const. I, 69, p. 87 (non ammessi i banditi).

(153) SANSI, Documenti storici, n. I (1173, luglio), pp. 197-198. E' "l'atto più antico dell'Archivio Comunale di Spoleto": la donazione - con il launegildo ("launachil") - della metà dei ponti sul fiume Nera effettuata dai consoli di Terni in favore di quelli di Spoleto.

(154) SESTAN, Il Comune di Spoleto [nt. 150], p. 160.

(155) MAIRE-VIGUEUR, Comuni e signorie [nt. 149], p. 416.

(156) Ivi, p. 417. L'atto è pubblicato in SANSI, Documenti storici, n. IX, pp. 211-212: "...consulibus maioribus civitatis et consulibus nogotiatoribus (sic)" (p. 212). Cf. anche un atto del 1216 (n. XVIII, 1216, giugno 28, pp. 227-228): "Niculaus Spoleti consul tam de maioribus quam de populo".

(157) SANSI, Documenti storici, n. X, 1201, giugno, pp. 215-216: convenientia con Norcia nella quale il podestà Gerardo Giliberto promette "pro se et consulibus post se venturis". La carica si stabilizza dal 1217; ivi, n. XIX, 1217 maggio 11, pp. 228-230.

(158) SANSI, Documenti storici, n. IX, 1190, metà di novembre, pp. 211-212, p. 212: "et faciemus semper facere filios nostros hec eadem sacramenta postquam in etate erunt et compellati erunt a vobis vel a successoribus vestris, silicet (sic) consulibus maioribus civitatis et consulibus negotiatoribus"; SESTAN, Il comune di Spoleto [nt. 150], p. 170.

(159) J. P. GRUNDMANN, The Popolo at Perugia, 1139-1309, Perugia 1992 (Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, Fonti per la storia dell'Umbria, 20), con le osservazioni di J.-C. MAIRE-VIGUEUR, Il comune popolare, in Società e istituzioni dell'Italia comunale [nt. 29], pp. 41-56, e ID., Comuni e signorie [nt. 149], pp. 472-476, pp. 482-487.

(160) La pacificazione è trascritta in SANSI, Documenti storici, n. XLV (1251, novembre 28), pp. 292-295; Cf. SESTAN, Il comune di Spoleto [nt. 150], p. 183.

(161) SANSI, Storia, p. 144, nt. 1; ID., Documenti storici, n. LXI, 1274, aprile 2, pp. 329-330, p. 329 (nomina di un sindaco): "dominus Roglerius de Luca capitaneus civitatis Spoleti"; ivi, n. LXII, 1274, aprile 26, pp. 330-331; 19 novembre 1277, ivi, p. 337 nt. 1 (è un atto che riguarda Cerreto): "consul et exgravator". V. anche SESTAN, Il comune di Spoleto, p. 184 e nt. 107.

(162) SANSI, Storia, p. 144, nt. 1.

(163) In 6 documenti, dal 1269 al 1289, pubblicati dal Sansi, ho trovato menzionati: i capitani delle arti e delle società ed i quattro adiuncti; i consoli (delle arti e delle società); gli anziani (anziani del popolo). Cf. a) SANSI, Documenti storici, n. LVII, 1269, giugno 13, pp. 322-323: "spetiali et generali civitatis Spoleti conscilio per sonum campane et tube ac preconum voces, in palatio comunis, more solito congregato, una cum consulibus antianis et capitaneis artium et societatum civitatis eiusdem et quatuor de qualibet arte et societate, de mandato nobilis viri Iacobi domini Sanguigii, vicarii dicte civitatis..."; b) ivi, n. LXI, 1274, aprile 2, pp. 329-330 (nomina di un sindaco): "conscilio spetiali et generali civitatis Spoleti cum consulibus artium et societatum, antianis populi et cum quingentis hominibus adiunctis..."; c) 19 novembre 1277, ivi, p. 337 nt. 1 (è un atto che riguarda Cerreto): "in pleno conscilio generali et spetiali consulum militum, capitanium artium et societatum et quattuor adiunctorum de qualibet societate"; d) ivi, n. LXVIII, 1277, luglio 2, pp. 342-344 (richiesta di sottomissione di Alessandrina, della madre dei signori di Orzano, minori), p. 342: "generali et spetiali conscilio capitanium artium et societatum et quatuor adiuntorum de qualibet arte et societate"; e) 1289, luglio 19, ivi, pp. 350-351: "consilio maiori seu generali et spetiali, consulibus militum, capitaneis artium et societatum, et quatuor adiunctis de qualibet arte et societate et decem hominibus de qualibet vaita et centum bonis hominibus adiunctis ad consilium".

In due di questi atti (c, e) si vedono anche ricordati i consules militum, poi citati in Const. I, 64, p. 85, come membri del Consiglio generale: "et in hoc intelligantur consiliarii speciales et generales et consules militum, capitanei artium et sotietatum".

(164) Breve, 67, p. 58: "qui capitanii eligant quatuor sibi adiuntos pro qualibet arte et societate, qui capitanii et quatuor sint consiliarii consilii capitanei populi et teneantur et debeant venire ad quodlibet consilium gennerale (sic) et populi quando preconizatum fuerit".

(165) Const. I, 83, quod aqua Tissini remictatur subter pontem Sancti Gregorii et cetera, p. 92: "et predicta ponantur ad consilium populi et illud fiat quod placebit dicto consilio et aliud non"; Breve, 67, p. 58. Consiglieri del popolo sono menzionati in Stat., 14, p. 12; anziani del popolo in Const. I, 58, p. 83.

(166) Breve, 66, p. 57: "... iurisdictionem et antiquam consuetudinem dictarum artium et societatum..."; Breve, 67, p. 57: "Item statuimus et ordinamus, quod quelibet ars et societas civitatis Spoleti habeat et habere debeat capitaneum in eo numero quod consueti sunt habere...".

(167) Breve, 66, p. 56: "Item quod potestas et capitaneus civitatis Spoleti teneantur precise manutenere et defendere et in bono statu tenere et bona condictione omnes artes et societates comunis Spoleti et eius districtus et eos aumentare et adcrescrere (sic) suo posse". In un'additio posteriore è anche detto: "quod omnes artes et societates et quelibet ipsarum sint libere et absolute et in libertate remaneant bono et libero statu, quod capitulum potestas et capitaneus et omnes officiales comunis teneantur vinculo iuramenti observare...". E ancora più avanti: "Item quod potestas et capitaneus et eorum officiales teneantur et debeant vinculo sacramenti manutenere et accresciere (sic) in bono statu et pacifica et tranquilla franchisia et libertate omnes novas societates factas per populares civitatis Spoleti et eius districtus manu Petri Pauli notarii vel manu cuiuscumque alterius notarii".

(168) Const. II, 8, p. 95; Breve, 66, pp. 56-57.

(169) Breve, 66, pp. 56-57.

(170) Breve, 66, p. 57: "... nec proponatur nec proponi debeat vel possit in aliquo consilio vel arenga vel alia hominum coadunatione per potestatem vel capitaneum vel aliquem quemcumque officialem quod tale capitulum debeat rumpi vel infringi vel interpretari vel aliquid consulere possit quod contra dictum capitulum et iurisdictionem et antiquam consuetudinem dictarum artium et societatum vel alterius earum...".

(171) Breve, 67, pp. 57-58: "Item statuimus et ordinamus, quod quelibet ars et societas civitatis Spoleti habeat et habere debeat capitaneum in eo numero quod consueti sunt habere... qui capitanei eligantur per homines sue artis et societatis ut actenus consuetum est...". La corporazione dei giudici e dei notai non può avere più di 4 capitani; le altre più di 2: "si ars iudicum et notariorum habeant et habere debeant quatuor capitaneos et non plures pro qualibet predictarum artium, quelibet alia ars et societas habeat duos capitaneos et non plures..."

(172) Breve, 67, p. 58: "qui capitanii eligant quatuor sibi adiuntos pro qualibet arte et societate, qui capitanii et quatuor sint consiliarii consilii capitanei populi et teneantur et debeant venire ad quodlibet consilium gennerale (sic) et populi quando preconizatum fuerit". Sulla loro partecipazione al Consiglio generale del comune v. anche Const. I, 64, p. 85: "in hoc intelligantur consiliarii speciales et generales et consules militum, capitanei artium et sotietatum".

(173) Breve, 26, p. 41.

(174) Quelle riguardanti il podestà ed i suoi ufficiali per aver percepito più del salario dovuto, ed altri o i consigli stessi per aver disposto di cose o danaro del comune nel senso vietato: Breve, 31, pp. 43-44.

(175) Breve, 36, p. 45: "ad consilium capitaneorum artium et novarum societatum".

(176) Alcuni capitoli vengono infatti esclusi da modifiche in questo senso (ad es. Breve, 28, p. 42: "...quod capitulum tolli vel removeri non possit per capitaneum artium et societatum..."; Const., II, 61, p. 113: "quod capitulum tolli minui vel mutari non possit per consilium vel per capitaneum artium et sotietatum..."). In particolare devono deliberare, insieme con i quattro aggiunti, l'abrogazione dell'eventuale capitolo contrastante con il divieto assoluto di dare denaro o cose del comune ad alcuna persona o università (Const. I, 84, p. 92: "et si appareret aliquod capitulum fore factum in contrarium, statuto conretto pro anno futuro, quod tale capitulum statuti sit cassum et irritum et nullius valoris prout deliberatum fuit per consilium capitaneorum artium et societatum et quattuor adiuntorum quando electi fuerunt conrettores blevis populi").

(177) Const. I, 52, p. 81.

(178) Const. II, 32, p. 102; 33, p. 102; Stat., 51, p. 26; Stat., 59, p. 29.

(179) Stat., 51, p. 26; Stat., 59, p. 29; Breve, 43, p. 48.

(180) Breve, 31, p. 43: in un caso di specie (percezione indebita di salario), "et consules artium et societatum et capitanei artium et societatum et omnes homines artium et societatum debeant dare fortiam capitaneo comunis predicti ad exigendum omnes condempnationes que per ipsum fierent...". Cf. SESTAN, Il Comune di Spoleto, [nt. 150], p. 187 nt. 118.

(181) SANSI, Documenti storici, n. IX, p. 212.

(182) Breve, 26, p. 41.

(183) SANSI, Storia, p. 148; SESTAN, Il comune di Spoleto [nt. 150], p. 186 e nt. 117.

(184) E' infatti membro di diritto del collegio dei correttori del breve populi, all'interno del quale la sua opinione vale tanto quanto quella di uno degli altri correttori (Breve, 36, p. 45). In effetti, nella formula di sottoscrizione del breve populi si fa notare che il breve è stato corretto "de mandato prioris novarum societatum". Anche l'inquisitore, per far inserire nel breve del popolo il capitolo sull'obbligo di osservare le costituzioni pontificie e le leggi imperiali contro l'eresia, si rivolge a lui ed ai correttori del breve (Const. II, 60, p. 112: "mando vobis... priori populi novelli sive novarum sotietatum et domino... coreptoribus blevis populi comunis Spoleti").

(185) Const. I, 46, p. 80.

(186) Breve, 26, p. 41.

(187) Const. II, 56, p. 111: "Item statuimus et ordinamus, quod potestas, capitaneus, prior, consilium et ançiani possint et debeant eligere ordinare et facere unum vel plures notarios prout eis placuerit".

(188) Const. II, 62, p. 113: "omnia statuta et reformationes consiliorum vel reformationes prioris et officii sui".

(189) Const. II, 23, p. 100; Breve, 3, p. 35; 27, pp. 41-42; 66, p. 57.

(190) Const. II, 60, p. 112.

(191) Breve, 27, p. 42: "Et additum est huic capitulo quod potestas nec capitaneus nec aliquis ipsorum non possit dare licentiam alicui ut faciat aliquam conventiculam, iuramentum vel conspirationem abque priore novarum societatum et sine eius speciali licentia; et si contra fecerit potestas vel capitaneus, quilibet eorum... condempnetur per priorem predictum".

(192) Const. II, 59, de rehaprehendendum possessionem et tenutam Barbii, p. 112: "et qui contra fecerit <...> ut dictum est supra de iure et de facto sicut placebit priori et ançianis".

(193) Const. I, 17, p. 68: "per priorem consules et ançianos... duos bonos scriptores quorum quilibet exenplet bleve populi in primum mensem introytus potestatis".

(194) Breve, 34, quod nullus possit constrigni (sic) ad prestantiam faciendam, pp. 44-45. Il podestà ed il capitano del popolo da soli non hanno tale potere: "Item quod potestas nec capitaneus nec aliquis alius officialis possit nec debeat constringere aliquem ad prestantiam aliquam faciendam comuni et sindico comunis, et neminem constringere possit nec debeat ad fideiubendum vel ad obligandum se principaliter pro aliqua prestantia seu deposito pecunie faciende vel aliquem contractum alicui persone". Tuttavia: "et potestas et capitaneus simul prestantiam et mutuum ponere possint illi vel illis personis quibus eis videbitur, cum voluntate prioris novarum societatum et consulum et anthianorum vel maioris partis ipsorum".

(195) Breve, 27, p. 41: "et prior novarum societatum et capitanii societatum novarum et consules et anthiani cum predicto priore vel maior pars et cetera et capitaneus et anthiani vel maior pars ipsorum possit quandocumque et quotiescumque eis placuerit congregare homines civitatis Spoleti in ea quantitate quo eis placuerit et facere fieri iuramenta...".

(196) Const. I, 55, p. 82: "qui bonus homo elligatur per priorem, consules et ançianos".

(197) Breve, 49, p. 51: "sine licentia potestatis, capitanii, prioris, consulum et anthianorum".

(198) Breve, 43, p. 49; Const. I, 1, p. 63; Const. I, 46, p. 80.

(199) Const. I, 84, p. 92.

(200) Breve, 67, p. 58: "qui capitanii eligant quatuor sibi adiuntos pro qualibet arte et societate, qui capitanii et quatuor sint consiliarii consilii capitanei populi et teneantur et debeant venire ad quodlibet consilium gennerale (sic) et populi quando preconizatum fuerit; Const. I, 83 (in materia di acque): et predicta ponantur ad consilium populi".

(201) Const. I, 58, p. 83: "per ançianos populi".

(202) SANSI, Documenti storici, n. XLII, p. 290. L'atteggiamento dei pontefici sul punto dell'elezione del podestà è, nel XIII secolo, vario e in molti casi rassegnato, di fronte alla forza di certi comuni: ne trattano ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], pp. 5-57 e WALEY, The Papal State [nt. 51], pp. 70-73 (emblematica la vicenda di Assisi: p. 71). Ermini afferma che "alla fine del secolo [XIII]... si può dire che quasi tutti i comuni di una certa importanza dispongano delle loro podestarie..." (p. 26): altro è il problema del riconoscimento formale delle stesse.

Sul privilegio spoletino del 1247 si v. in particolare SANSI, Storia, pp. 288-290; WALEY, The Papal State [nt. 51], p. 71, che così sintetizza il clima politico del momento: "The middle years of the century saw the extension of this power, or its recognition, for its grant constituted a useful reward to towns whose support was sought against the Hohenstaufen. A number of communes, particularly in the March, received it as the reward for a promise of future obedience".

(203) Nel 1198: cfr. riferimenti in ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], p. 8, nt. 1.

(204) Nel 1235: ivi, p. 10 nt. 3.

(205) Secondo l'ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], p. 10, la libera elezione del podestà prende piede solo nella prima metà del '200, con i successori di Innocenzo III, che si era mostrato più rigido su questo punto.

(206) SANSI, Documenti storici, n. LXXIV, pp. 358-359. Cf. ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], pp. 49-55 (con altri esempi); WALEY, The Papal State [nt. 51], p. 72 e p. 230.

(207) V. su questo aspetto: M. G. NICO OTTAVIANI - P. BIANCIARDI, L'Umbria tra potere pontificio e autonomie locali. Perugia e Spoleto nella normativa due-trecentesca, in La libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del medioevo, a cura di R. Dondarini, Cento 1995, pp. 103-130, in part. pp. 118-119, dove si ricorda anche il silenzio dello statuto di Spoleto del 1347 riguardo alla nomina del podestà, che dal 1324 veniva effettuata da Perugia.

(208) Stat., 1, p. 6.

(209) La prassi del podestà forestiero, osteggiata da Innocenzo III, è ormai ammessa alla fine del secolo. Cf. ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], pp. 62-68. Punto d'arrivo può essere considerata la norma delle Costituzioni Egidiane del 1357 (IV, 23), a sua volta derivata da una costituzione di Bertrand de Deaux del 1336 per la Marca Anconitana (cap. III: ivi, p. 66). Nel Trecento viene stabilita l'ineleggibilità degli ufficiali della curia provinciale e dei loro familiari, ad eccezione del rettore. Per il ducato di Spoleto provvede una costituzione di Bertrand de Deaux del 1336 (riferimenti ivi, p. 71).

(210) Stat., 1, p. 7. Lo statuto del 1347 tace sulla procedura di elezione del podestà.

(211) Nel 1290 il pontefice Nicolò IV aveva stabilito che in tutte le terre pontificie fosse proibito nominare podestà per più di un anno (ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], p. 84). Nel 1336, Bertrand de Deaux, con riferimento alle città della Marca d'Ancona, avrebbe fissato un termine di sei mesi, poi esteso a tutte le città del Patrimonium dalle Costituzioni Egidiane (IV, 24): ivi, pp. 84-85. Con ciò si voleva evitare che il prolungamento dell'ufficio sfociasse in una situazione di egemonia di carattere signorile.

(212) La liceità della figura del vicario del podestà sembra emergere da Breve, 28, p. 42 ("et quod nullus teneatur eidem potestati vel eius vicario obbedire...quod capitulum tolli vel removeri non possit per capitaneum artium et societatum..."); Const. II, 36, p. 104 ("per potestatem iudicem vel vicarium... et si aliquod capitulum constituti esset factum ..."); Const., II, 61, p. 113 ("et nullus teneatur eidem potestati vel capitaneo vel suo vicario in suo officio obedire...nullo alio capitulo statuti vel blevis populi huic ostante...per capitaneum artium et sotietatum"). Com'è noto, il vicariato era invece avversato dalle autorità ecclesiastiche. Norme proibitive generali in proposito sono dettate da Bertrand de Deaux e quindi dall'Albornoz (Cost. Egid. II, 32): ERMINI, La libertà comunale [nt. 19], pp. 81-83. Il costituto del 1296 ammette il vicario anche per il capitano del popolo: Const. I, 5, p. 64 ("capitaneus seu vicarius").

(213) Spoleto, nel 1206, non aveva ancora ottenuto dal pontefice il potere di eleggere giudici e notai: INNOCENTII III Romani Pontificis, Regestorum sive Epistolarum liber nonus, ed. MIGNE, PL 215, n. CLXI, c. 989, 1026 (xii kal. oct. ), potestati et populo Spoletano: "...tabelliones et iudices presumitis constituere pro vestre arbitrio voluntatis, cum penes vos huiusmodi auctoritas non existat" (il papa dichiara nulle le sentenze e gli atti rogati. Cf. G. ERMINI, La libertà comunale nello Stato della Chiesa da Innocenzo III all'Albornoz (1198-1367), II, L'amministrazione della giustizia, Roma 1927, p. 11).

(214) Stat., 1, p. 7.

(215) Stat., 1, p. 7; Stat., 20, p. 14: "unum de suiis iudicibus ponere et ordinare ad ius reddendum super civilibus questionibus de quibus apparet vel non apparet publicum instrumentum; alium vero iudicem ponere debeat super criminalibus et maleficiis et processibus et super eis <...>, quorum quilibet possit congnoscere de suspitione tutorum".

(216) Lo statuto del 1347 prevede invece che i due giudici del podestà siano iuris periti ed i cinque notai esperti nell'arte del notariato: "duos iudices iuis peritos et quinque notarios in arte tabellionatus expertos" (I, 1, p. 26). Sui requisiti dei giudici comunali perugini nel 1279: cap. 86, qualiter et quando officiales communis Perusii eligantur et quot officia possint haberi; et de pena contra facientium, p. 105: "... et si quis habebit electionem eligendi iudicem communis, illum eligere debeat qui in scolis studuerit quinque annis" (CAPRIOLI, Una città [nt. 29], p. 265).

(217) Const., I, 9, p. 65.

(218) Stat., 2, p. 9; Stat., 30, p. 19; Const., I, 9, p. 65.

(219) Stat., II quat., cap. 4, p. 119: "quod sententie late in consilio valeant et teneant". Lo statuto del 1347, II, 5, stabilisce che tutte le sentenze penali, del podestà, del giudice dei malefici e del giudice degli appelli siano emesse "in consilio populi". Prima di darne lettura, occorre che vengano pubblicate in due libri, dei quali uno si conserva in consiglio e l'altro presso il magistrato, affinché se ne possano estrarre copie per chi ne farà richiesta. Il termine per proporre appello non decorre finché la copia non sia stata fornita al postulante.

A Perugia, nel 1279, le sentenze penali erano pronunciate in Consiglio maggiore, alla presenza del podestà, del capitano del popolo e dei loro giudici: cap. 29, quod capitaneus cum suo iudice esse debeat cum potestate quando fient condemnationes, p. 30: "cum fient condemnationes maleficiorum, potestas et suus iudex, et capitaneus cum eius iudice et notarius cum eis intersit. Et nullus de civitate Perusii cum eis debeat interesse, nec consulere super ipsis... Que condemnationes fieri debeant in maiori consilio civitatis" (C. CUTINI, Giudici e giustizia a Perugia nel secolo XIII, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l'Umbria, LXXXIII (1986), pp. 67-110, p. 72; pp. 93-94; CAPRIOLI, Una città [nt. 29], p. 310). Una copia autentica della sentenza era poi consegnata dal podestà al capitano del popolo (CUTINI, Giudici e giustizia, p. 94). Sui libri delle condanne: ivi, p. 94, nt. 140.

(220) Const. I, 39, de ratiocinio potestatis et capitanei comunis Spoleti, p. 77; Stat., 55 ("coram domino capitaneo et exgravatore"). Non prima della scadenza del mandato, come si è detto: Stat., 1, p. 7.

(221) Egli deve giurare di "manutenere iurisdittionem civitatis Spoleti" (Stat., 2, p. 8). Inoltre, secondo Const. I, 11, p. 66, "teneatur facere iurare omnes iudices et notarios de civitate et distrittu quod non faciant aliquam advocariam nec aliquam scripturam neque patrocinium prestent alicui contra libertatem et iurisditionem comunis Spoleti".

(222) Con riferimento al penale si può citare il cap. 1 del secondo quaternione dello statuto, del quale ci è rimasta soltanto la rubrica: "quod potestas et iudices maleficiorum possint congnoscere super omnibus maleficiis" (p. 119). Cf. inoltre Stat., III, 35: quod potestas futurus possit cognoscere de omnibus maleficiis commissis per duos menses ante introitum sui regiminis.

La giurisdizione piena viene riaffermata nel 1347. Cf. Stat. 1347, II, 1, p. 97: "quod dominus potestas civitatis Spoleti et eius iudices maleficiorum... habeant et habere intelligantur in civitate, comitatu et districtu merum et mistum imperium et omnem iurisdictionem...".

Quanto alle origini della giurisdizione penale del comune, si può ricordare quanto detto dall'ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], p. 85: "Alla fine del secolo XII i comuni maggiori posseggono già per i loro giudici ogni giurisdizione sia civile che penale, e Innocenzo III ne dà ad essi formale riconoscimento".

(223) SANSI, Documenti storici, n. XLII, p. 290: "... et quod omnes principales questiones tractentur in curia Spoleti...".

(224) SANSI, Documenti storici, n. LXXIV, p. 358.

(225) Si veda, infatti, a fronte della costituzione del rettore Jean Amiel emanata nel Parlamento di Foligno l'8 gennaio 1324, che riserva alla curia pontificia la repressione di determinati reati ("incendiarios, veneficos et publicos fures et latrones, depopulatores agrorum, homicidas, sacrilegios, violatores ecclesiarum, raptores virginum et Deo dedicatarum ac similes malefactores, auxiliatores quosque et dantes eis auxilium et favorem et animadversione condigna, nostro seu nostre curie arbitrio decernimus puniendos", ed. C. REYDELLET-GUTTINGER [nt. 51], p. 139), la norma fondamentale che apre il secondo libro dello statuto del 1347 (de maleficiis): "quod dominus potestas civitatis Spoleti et eius iudices maleficiorum... habeant... in civitate, comitatu et districtu merum et mistum imperium et omnem iurisdictionem; et quod tam ipse potestas quam eius iudex malleficiorum de omnibus et singulis maleficiis que in civitate, comitatu et districtu Spoleti commicterentur tempore sui regiminis et de retro commissis per sex meneses et etiam de homicidio, robbaria, proditione, falsitate, arsura et furtis retro commissis infra duos annos procedere et congnoscere debeat per accusationem, denumptiationem et inquisitionem..." (p. 97). Un precedente della costituzione citata è una bolla di Bonifacio VIII del 1299 (ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], pp. 87-88).

(226) Const. II, 52, p. 110; Stat., 40, pp. 22-23. Cf. anche Stat. 1347, I, 51, p. 73; III, 55, p. 203 e 59, p. 208.

(227) Const. II, 52, p. 110.

(228) Stat., 3, p. 9.

(229) Stat., 29, p. 19.

(230) Stat., 3, p. 9.

(231) Il numero di queste sembra essere stato di 12: Stat., 7, p. 10.

(232) Stat., 28, p. 18.

(233) Stat., 42, p. 23.

(234) Stat., 43, p. 23. Sui notai delle vaite v. anche Stat., 30, p. 19 (luogo della giurisdizione); Stat., 46, p. 25 (termine della sentenza: 8 giorni dal ricorso); Stat., 47, p. 25 (può essere assistito da un vaitense); Stat., 43, p. 23 (percezione oltre il salario).

(235) Stat., 21, p. 14; anche Const. I, 1, p. 63, dove si precisa "quod ipse viarius pro predictis faciendum possit ponere penam et bannum ipsis aiacentibus et consanguineis ipsorum ad suam voluntatem usque in x. libris pro qualibet vice, de quibus penis appellari non possit".

(236) Stat., 24, p. 16: "qui partiserii possint congnoscere et terminare omnes confines terminorum et questiones vicinorum fossorum limitum cursuum aquarum arborum murorum et stillicidiorum et aliorum que ad partiserios pertinere noscunture et determinari consuetum et omnia predicat diffinire"; anche Breve, 20, p. 39: "quod fiant senaite omnibus villis de districtu Spoleti... quod mensurentur per pertisserios et duos massarios de qualibet villa".

(237) Stat., 24, p. 16.

(238) Const. I, 61, p. 84: "item quod si aliqua questio fuerit coram partiseriis de aliqua senayta seu tenuta predicti partiserii infra VIII. partibus sine libelli oblatione litis contestatione tenenatur et debeant sumarie inquirere veritatem per homines contrate in qua dicta questio esset et ipsa veritate inventa debeant infra dictum tempus dictam questionem terminare". Cf. anche Breve, 20.

(239) Const. I, 30, p. 74: "capitaneus seu defensor".

(240) Stat., 18, p. 14.

(241) Stat., 19, p. 14.

(242) SANSI, Documenti storici, n. LXXIV (1294, giugno 2), pp. 358-359, p. 358.

(243) Stat., 18, p. 13.

(244) SANSI, Storia, p. 144, nt. 1.

(245) SANSI, Documenti storici, n. LXXIV (1294, giugno 2), pp. 358-359.

(246) Stat., 40, pp. 22-23; Stat., III quaternione, cap. 33, quod capitaneus seu exgravator debeat diffinire causas appellantium reductas ad eius curiam (perduto). Sulle competenze del capitano del popolo cf. anche il cap. 31 (de officio capitanei et exgravatoris comunis Spoleti et sui iudicis et notarii). Sull'aiuto che doveva essergli dato: IV, 46, de auxilio dando exgravatori comunis Spoleti.

(247) Breve, 9, p. 36: "item statuimus et ordinamus, quod capitaneus teneatur sententias in actis appellationum super causis criminalibus in consilio maiori et causas quare condempnationes infringuntur vel anulantur in sua sententia quam fert apponere". Nel 1347 le sentenze criminali devono essere pronunciate nel palazzo del popolo.

(248) Per la dottrina basti qui richiamare la trattazione di GUGLIELMO DURANTE, Speculi secunda pars, lib. II, part. III, &sect; Qualiter, nn. 13-15, ed. Lugduni 1556, ff. 166vb-167ra, in part. n. 14 in fine, perché contiene una ragione illuminante sulla necessità della motivazione delle sentenze d'appello: "... in causa appellationis, ubi debet inseri causa quare prima sententia revocetur, ut per hoc prioribus iudicibus qui bene secundum acta coram se habita processerunt nihil imputetur...". Cf. anche la testimonianza, anche se un poco più tarda, di ALBERICO DA ROSCIATE, Comm. ad C. 3.1.13, de iudiciis, l. Properandum, nn. 33-334, ed. Lugduni 1545, f. 132rb-va, che così conclude: "Ego autem puto ex predictis omnibus sic colligi posse ut in causa criminali sit inserenda secundum opinionem dominorum Odof. et Iac. per iura ad hoc adducta per eos et ita continue servatur de facto. Dicitur enim quoniam talis accusatus fuit de tali maleficio vel contra eum inquisitum et doctum est per testes vel per eius confessionem ipsum maleficium commisisse, ideo eum condemnamus, vel quis non est repertus culpabilis, ideo eum absolvimus". Per un vasto giro d'orizzonte sulle opinioni dottrinali, dal medioevo all'età moderna: G. P. MASSETTO, Sentenza (dir. intermedio), in Enciclopedia del diritto, XLI (1989), pp. 1200-1245, pp. 1224-1242, ed in part. p. 1230 (sul pensiero di Alberico da Rosciate, Bartolo e Angelo Gambiglioni d'Arezzo), e p. 1233 nt. 263 (cenni alla legislazione statutaria). Sul contributo di Guglielmo Durante v. M. TARUFFO, L'obbligo della motivazione della sentenza fra diritto comune e illuminismo, in La formazione storica del diritto moderno in Europa, Atti del III Congresso internazionale della Società italiana di storia del diritto, Firenze 25-29 aprile 1973, vol. II, Firenze 1977, pp. 599-633; pp. 618-619.

(249) Nel 1247 le cause d'appello sotto le cento libbre lucchesi erano di competenza della curia Spoleti, come risulta dal privilegio del cardinale Rainerio Capocci [nt. 11].

(250) Stat., 55, pp. 27-28. Il capitolo è precisum.

(251) Ad es. Const. I, 11; 26 ("et si potestas et capitaneus ad predicta facienda fuerint negligentes potestas in CC. libris et capitaneus in C. libris per rationatores comunis sequentis anni condampnentur"; 27; 28; 30; 31; 46; 76; 80. Const. II, 34; 47; 52; Breve, 37; 46; 57; 61; 62.

Talvolta, l'applicazione di una sanzione nei confronti del podestà è affidata espressamente al capitano del popolo: ad es. Const. I, 55; Breve, 27; 55.

Alcuni atti del podestà sono peraltro sottratti al sindacato. Cf. Breve, 39, de pena extrahentis causam extra civitatem comunis Spoleti contra formam et iurisdictionem ipsius comunis, p. 47: "et quod de omni eo quod potestas fecerit in predictis et quolibet predictorum non possit sindicari a comuni vel speciali persona de quibus exgravator nullam habeat cognitionem et ipse capitaneus de predictis non possit in aliquo sindicari et potestas servetur indepnis et eius officiales et serventur indempnes a comune Spoleti de predictis"; Breve, 40, quod nullus appellet a sententia lata per privilegia papalia, p. 48: "et potestas et quilibet eius officialis de omni eo quod faceret de predictis vel aliquo predictorum non valeat sindicari ab aliquo nec molestari a comuni vel speciali persona omni appellatione et exceptione remota de quibus exgravator nullam habeat congnitionem; et ipse capitaneus de predictis non possit ab aliquo sindicari et potestas servetur indempnis et alii officiales conserventur indempnes de predictis".

(252) Essi sono menzionati in Stat., 55, p. 28.

(253) A. PADOA SCHIOPPA, Ricerche sull'appello nel diritto intermedio, II, I glossatori civilisti, Milano 1970 (Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, Pubblicazioni dell'Istituto di Storia del diritto italiano, 4), pp. 80-88.

(254) Const., II, 35, p. 103: "Item ad hoc ut lites et de litibus non nascantur statuimus et ordinamus quod conpositiones et lauda amicabiliter facienda sint firma nec possint peti conrettio alicuius laudi amicabiliter faciendi et si aliquid consuetum est vel fuerit, nullo modo possit ab aliqua partium <...>; et hoc capitulum sit precisum huic nullo alio obstante".

(255) VITERBO, Stat. 1251-1252, II, pars civilium, cap. 3, in Statuti della provincia romana, S. Andrea in Selci, Viterbo, Roviano, Anagni, Saccomuro, Aspra Sabina, editi da R. MORGHEN, P. EGIDI, A. DIVIZIANI, O. MONTENOVESI, F. TOMASSETTI e P. FONTANA, a cura di V. FEDERICI, Roma 1930 (Fonti per la Storia d'Italia pubblicate dall'Istituto Storico Italiano, Statuti, Secoli X-XIV), p. 140: "Item statuimus quod omnia arbitria, lauda et diffinitiones amicabiles inter partes factas ab arbitris seu arbitro vel arbitratore a partibus comuniter electis, si apparent in scripts vel sine scriptis si probata fuerint, firma sint. Et potestas, iudex vel consul Maioris et Minoris Iustitite et iudices eorum habere teneantur firma et ea executioni mandare; et hec locum habeant tam in preteritis quam futuris; et hoc idem observetur in arbitriis Comunitatis"; CITTÀ DI CASTELLO, Stat. 1273 [nt. 32], De laudis et arbitriis, pp. 100-101: "Statuimus quod omnia lauda et arbitria a quacumque persona facta et in eam consentiente, potestas vel iudex rata et firma teneat et teneri faciat si diffinuerint et laudaverint super hiis de quibus in eum vel eos compromissum fuerit, et si facta fuerit secundum formam compromissi salvis pactis semper et conventionibus inter ipsos committentes factis in compromisso iustis et honestis...et dicimus quod potestas vel iudex mandet executioni precepta et arbitria sicut tenetur sententias legittime lata ad effectum mandare absque salario..."; PERUGIA, Stat. 1279, cap. 476, p. 422: "et omnia lauda et diffinitiones ab aliquo arbitro vel arbitris pronunciata vel laudata, vel pronunciatus vel laudatas, ratas et rata, firma et firmas, potestas et capitaneus habere debeant et teneantur; et ipsi et eorum iudices precise teneantur ea et eas executioni mandare, nisi foret in compromisso expresse appellationis remedium et beneficium servatum"; cf. anche cap. 477, p. 423.

(256) Breve, 27, p. 42.

(257) Const., II, 60, p. 112.

(258) Const., I, 46, p. 80, avverte che le multe stabilite per le inadempienze del podestà e del capitano riguardo alla costruzione del palazzo del popolo "non possint tolli per priorem, consules, ançianos, consilium vel arengam vel capitaneum artium".

(259) Quelle riguardanti il podestà ed i suoi ufficiali per aver percepito più del salario dovuto, ed altri o i consigli stessi per aver disposto di cose o danaro del comune nel senso vietato: Breve, 31, pp. 43-44.

(260) Stat., 29, p. 19, per il salario.

(261) Stat., 7, pp. 10-11; Const., II, 42, p. 106.

(262) Stat., 25, p. 17.

(263) Per la distinzione fra terre mediate subiecte e terre immediate subiecte, e nell'ambito di quest'ultima categoria, fra terre in dominio e terre in semplice demanio (i comuni): G. ERMINI, Aspetti giuridici della sovranità pontificia nell'Umbria nel secolo XIII, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l'Umbria, 34 (1937), pp. 5-28 e ID., Caratteri della sovranità temporale dei papi nei secoli XIII e XIV, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Bd. LVIII, Kanonistische Abteilung, XXVII (1938), pp. 315-347.

(264) A cominciare dagli studi di G. ERMINI, dei quali sono almeno da ricordare il più volte citato La libertà comunale nello Stato della Chiesa da Innocenzo III all'Albornoz (1198-1367), I, Roma 1926, e II, L'amministrazione della giustizia, Roma 1927; ID., I Parlamenti dello Stato della Chiesa dalle origini al periodo albornoziano, Roma 1930; I rettori provinciali dello Stato della Chiesa da Innocenzo III all'Albornoz, in Rivista di storia del diritto italiano, IV (1931), pp. 29-104; ID., I giudici provinciali della monarchia pontificia nel medioevo, in Studi economico-giuridici pubblicati per cura della Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Cagliari, XVIII-XIX (1931), pp. 268-276; ID., Stato e Chiesa nella monarchia pontificia dei secc. XIII e XIV, in Rivista di storia del diritto italiano, V (1932), pp. 583-629; ID., Aspetti giuridici della sovranità pontificia [nt. 263]; ID., Caratteri della sovranità temporale dei papi nei secoli XIII e XIV [nt. 263]. Un contributo decisivo hanno poi arrecato le ricerche di D. WALEY, The Papal State in the Thirteenth Century, London 1961; ID., Lo stato papale nel tredicesimo secolo, in Rivista storica italiana, LXXIII, fasc. III (1961), pp. 429-472; ID., L'Umbria e lo stato papale nei secoli XII-XIV, in Storia e arte in Umbria nell'età comunale, Atti del VI Convegno di studi umbri, Gubbio, 26-30 maggio 1968, p. II, Perugia 1971, pp. 271-287; ID., Il ducato di Spoleto dagli Svevi all'Albornoz, pp. 189-203; ID., I comuni delle terre della Chiesa da Innocenzo III all'Albornoz. Dalla parte delle città: le autonomie comunali, in Società e istituzioni [nt. 26], v. I, pp. 137-153; ID., Lo stato papale dal periodo feudale a Martino V, in ARNALDI - TOUBERT - WALEY - MAIRE VIGUEUR - MANSELLI, Comuni e signorie [nt. 145], pp. 229-320 (con ulteriore bibliografia). Cf. anche E. PETRUCCI, Innocenzo III e i comuni dello Stato della Chiesa. Il potere centrale, in Società e istituzioni [nt. 26], v. I, pp. 91-135; C. LACKNER, Studien zur Verwaltung des Kirchenstaates unter Papst Innozenz III., in Römische historische Mitteilungen, XXIX (1987), pp. 127-214. A livello istituzionale: G. DE VERGOTTINI, Lezioni di storia del diritto italiano, Il diritto pubblico italiano nei secoli XII-XV, rist. della III ed. con agg. bibliografico a cura di C. DOLCINI , Milano 1993; M. CARAVALE, Ordinamenti giuridici dell'Europa medievale, Bologna 1994, pp. 495-504.

(265) Per un quadro del problema dell'amministrazione della giustizia nello Stato pontificio: ERMINI,La libertà comunale, II [nt. 213] (un panorama riassuntivo delle diverse situazioni locali alle pp. 94-96); WALEY, The Papal State [nt. 51], pp. 75-80.

(266) Nei comuni dotati di un privilegio di giurisdizione non esclusiva il rettore conservava il potere di giudicare la causa in luogo dei giudici comunali: il che poteva avvenire perché di essa era investito direttamente dalla parte interessata oppure per avocazione di una causa già iniziata in sede locale. Tale riserva di giurisdizione è affermata a chiare lettere dai pontefici: si vedano gli esempi addotti da ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], pp. 59-60 (in particolare il privilegio di Bonifacio VIII del 1299 ai comuni del Patrimonio). Fu soprattutto la facoltà di sospendere le cause a preoccupare i comuni, che presero pertanto ad invocare il privilegio di prevenzione (che preclude appunto al rettore provinciale l'avocazione della causa, quando questi sia stato prevenuto dal giudice comunale), quando non riuscivano ad ottenere quello di esclusiva giurisdizione. I primi esempi di tali concessioni si debbono a Bonifacio VIII e col tempo divengono generali: ivi, pp. 65-67.

(267) V. già la lettera di Innocenzo III del 9 ottobre 1207 da Viterbo, in INNOCENTII III Romani Pontificis, Regestorum sive Epistolarum liber decimus, ed. MIGNE, PL 215, n. CXXIII, c. 1228: "cum autem orta fuerit inter aliquos controversia, per concordiam vel iudicium terminetur sitque iudicium penes eum cui competit iurisdictio, salvis semper appellationibus ad nos vel rectorem apostolici patrimonii legitime factis aut etiam faciendis" (cf. SANSI, p. 34). Si vedano poi i privilegi generali di esclusiva giurisdizione illustrati da ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], pp. 70-82. Il primo privilegio è quello concesso a Camerino nel 1240. Chiesa e Impero fanno a gara nell'acquistarsi il favore dei comuni puntando su tale strumento. Non è raro che il papa confermi ciò che una città aveva già ottenuto dall'imperatore, e viceversa. Perugia ottiene l'ambito riconoscimento nel 1252 da Innocenzo IV e ancora nel 1282 da Martino IV (p. 77). Per Spoleto si v. oltre, nt. In argomento cf. anche WALEY, The Papal State [nt. 51], p. 78. Da ultimo, sulla rilevanza dell'appello come strumento di affermazione della supremazia pontificia: A. PADOA SCHIOPPA, Hierarchy and Jurisdiction: Models in Medieval Canon Law, in Legislation and Justice, Edited by A. PADOA SCHIOPPA (The Origins of the Modern State in Europe, 13th to 18th Centuries, General Editors: W. BLOCKMANS and J.-P. GENET, Theme C), Chapter 1, pp. 1-15, p. 10.

(268) Due importanti e risalenti esempi: i privilegi di Perugia e di Todi, rilasciati entrambi da Innocenzo III nel 1198 (sui quali v. ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], p. 98; sulle ragioni dell'atteggiamento della Chiesa, simile a quello a suo tempo tenuto dall'Impero a Costanza: p. 97 ). Per concessioni posteriori cf. ivi, pp. 108-109 (in particolare, nel 1298 Bonifacio VIII concede l'appello ad Ancona e a Iesi. Per Spoleto v. oltre, nt. 275).

(269) Un profilo delle istituzioni provinciali in WALEY, The Papal State [nt. 51], pp. 91-124, da integrare con ID., Il ducato di Spoleto [nt. 264], pp. 189-203. La morte di Federico II inaugura quello che Waley chiama il periodo del dominio papale, durante il quale il ducato ha un rettore solo per sé ed è ormai privo di concorrenti di parte imperiale.

(270) Nel 1263 vi fu, ad esempio, una fiera reazione di Urbano IV contro l'usurpazione dell'appello, le cui parole meritano di essere riportate: "Quia omnes fere civitates cunctaque castra et alia loca patrimonii beati Petri in Tuscia et ducatus Spoletani ac quamplures alie terre Romane ecclesie cognitionem causarum appellationum, que ad sedem apostolicam et rectores, quos in eisdem patrimonio, ducatu et terris eadem ecclesia preficit, specialiter et plene pertinet, usurpare sibique vendicare presumpserant in ipsius sedis preiudicium manifestum, constituendo sibi capitaneos seu sgravatores aut priores, ad quos causas appellationum huiusmodi faciebant devolvi, et quedam iniqua edendo statuta contra illos, qui ad predictam sedem seu prefatos rectores pro quibusvis accedebant causis et super quibuscumque gravaminibus aut iniuriis appellabant" (URBANO IV, n. 562, 1263, sett. 10, in Epistolae saeculi XIII e regestis Pontificum Romanorum selectae per G. H. PERTZ, edidit C. RODENBERG, t. III, Berolini 1894 (Monumenta Germaniae Historica, Epistulae saeculi XIII, t. III), pp. 551-553, p. 552).

L'episodio è segnalato da ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], p. 102-103; WALEY, Lo stato papale [nt. 264], p. 440 nt. 36; ID., I comuni [nt. 264], p. 139 (con data errata); DE VERGOTTINI, Lezioni [nt. 264], p. 412 nt. 14. Altre fonti in WALEY, The Papal State [nt. 51], p. 166.

Sulla forte personalità del francese Urbano IV e sui molteplici obiettivi della sua azione (entrò fra l'altro in contesa con Spoleto per il dominio della Terra Arnulforum): WALEY, Lo stato papale [nt. 264], pp. 449-450; ID., The Papal State [nt. 51], pp. 165-171.

L'usurpazione dei comuni si realizzava mediante l'istituzione di un giudice degli appelli, capitaneus o exgravator, e con il connesso divieto statutario di appellare al papa (come a Viterbo nel 1254: ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], p. 101; ad Orvieto e a Rieti, per fare altri due esempi importanti: ivi, p. 102). E' ciò che avvenne anche a Spoleto: oltre, nt. 275.

I comuni riottosi potevano essere condannati al pagamento di multe salate: sul fenomeno cf. WALEY, The Papal State [nt. 51], pp. 147-149.

(271) WALEY, I comuni delle terre della Chiesa [nt. 264], p. 139; ID., The Papal State [nt. 51], p. 78 nt. 4.

(272) Cf. le considerazioni di WALEY, Il ducato di Spoleto [nt. 264], p. 195 e ID., I comuni [nt. 264], pp. 148-149.

(273) SANSI, Documenti storici, n. XLII (1247, novembre 6-13), p. 290: "... et quod omnes principales questiones tractentur in curia Spoleti et quod ipsa curia Spoleti possit cognoscere de appellationibus a centum libris lucensium infra, secundum capitulum constituti Spoleti". Sembra, quindi, che si tratti della conferma di una disposizione già compresa nel costituto della città. E' un periodo delicato per l'autorità pontificia, che deve lottare per mantenere il controllo sulle terre del ducato e della Marca, rivendicate da Federico II nel 1229 e successivamente invase. Sul momento storico e sul privilegio spoletino: WALEY, Lo stato papale [nt. 264], p. 446; Id., The Papal State [nt. 51], p. 76.

(274) WALEY, Lo stato papale [nt. 264], p. 463; ID., The Papal State [nt. 51], p. 230.

(275) SANSI, Documenti storici, n. LXXIV (1294, giugno 2), pp. 358-359: "Ceterum quia sicut exhibita nobis vestra petitio continebat in dicta civitate antiquitus esse consueverat unus iudex appellationum qui capitaneus vocabatur, ad quem cives et incole ac habitatores civitatis ac districtus predictorum a potestate et aliis officialibus civitatis eiusdem appellare ac ab arbitris et arbitratoribus recursum habere poterant, nos vestris devotis precibus favorabiliter annuentes, volumus quod in civitate predicta sit unus iudex appellationum, qui capitaneus nuncupetur et ad quem cives et incole ac habitatores predicti a quibuscumque gravaminibus eis per potetstatem vel alios officiales dicte civitatis inferendis et ab ipsorum sententiis appellare ac ab arbitris et arbitratoribus et eorum arbitriis seu sententiis recursum habere possint".

(276) E' una clausola tipica del formulario dei privilegi in questione, anche prima di Bonifacio VIII: ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], p. 72. Quel pontefice, semmai, usa indirizzare uno specifico divieto d'intromissione ai rettori provinciali: ivi, p. 78. Sulla politica di Bonifacio VIII: pp. 77-79 (ove si citano i privilegi ad Anagni del 1295, ad Ascoli nel 1298, ad Ancona e a Iesi del 1299.

(277) ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], pp. 70 ss. Cf. ad es. PERUGIA, p. 77. Secondo l'ERMINI, p. 81, quantunque nei privilegi non sia sempre espresso, si deve sottintendere che il rettore possa avocare anche una causa di primo grado, se il giudice comunale sia negligente.

(278) WALEY, I comuni [nt. 264], p. 139.

(279) Su tali cespiti, che la Chiesa si riserva, nella misura di una quota variabile cf. ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], pp. 51-55. Sulla documentazione finanziaria duecentesca superstite cf. WALEY, Lo stato papale [nt. 264], pp. 467-468; ID., The Papal State [nt. 51], p. 256; ID., Il ducato di Spoleto [nt. 264], p. 192, p. 195. Cf. L. FUMI, I registri del Ducato di Spoleto della serie "Introitus et exitus" della Camera apostolica presso l'Archivio Segreto Vaticano. Excerpta e documenti per la storia civile, politica ed economica del Ducato di Spoleto, Perugia 1903.

(280) Sulla politica di difesa delle prerogative giurisdizionali negli statuti lombardi: C. STORTI STORCHI, Aspetti della condizione giuridica dello straniero negli statuti lombardi dei secoli XIV-XV, in Archivio storico lombardo, CXI, (1985), pp. 9-66, con ricognizione di fattispecie simili a quelle che saranno qui appresso evidenziate, anche se riferite ad un contesto politico diverso.

(281) Breve, 39, de pena extrahentis causam extra civitatem comunis Spoleti contra formam et iurisdictionem ipsius comunis, p. 47: "et potestas teneatur hoc facere fieri et per se inquirere et invenire summarie ad petictionem cuiuslibet de civitate et districtu Spoleti... et si vocans vel vocari faciens non poterit condempnari, condempnentur propinquiores consanguinei ipsius vocantis usque ad tertium gradum et non possit aliquod officium habere a comuni; et quod de omni eo quod potestas fecerit in predictis et quolibet predictorum non possit sindicari a comuni vel speciali persona de quibus exgravator nullam habeat cognitionem et ipse capitaneus de predictis non possit in aliquo sindicari et potestas servetur indepnis et eius officiales et serventur indempnes a comune Spoleti de predictis".

(282) WALEY, The Papal State [nt. 51], p. 78 nt. 2.

(283) Breve, 40, quod nullus appellet a sententia lata per privilegia papalia, p. 48: "et qui contra fecerit puniatur a potestate in tota quantitate de qua appellaverit et plus suo arbitrio in persona et rebus, et nichillomminus ipsam pecuniam de qua appellatum fuerit teneatur de facto exsecutioni mandare omni ecceptione et appellatione remota, et teneatur procedere non solum contra appellantem set etiam contra propinquiores appellantis ut sibi videbitur; et potestas et quilibet eius officialis de omni eo quod faceret de predictis vel aliquo predictorum non valeat sindicari ab aliquo nec molestari a comuni vel speciali persona omni appellatione et exceptione remota de quibus exgravator nullam habeat congnitionem; et ispe capitaneus de predictis non possit ab aliquo sindicari et potestas servetur indempnis et alii officiales conserventur indempnes de predictis".

(284) Mantenere la giurisdizione del comune è preciso dovere del podestà: Stat., 2, p. 8 [nt. 221].

(285) TODI, Stat. 1275, I, 50, de eo qui vocatus fuerit ad aliam curiam extra iurisdictionem Tuderti, p. 40 (citazione in curia diversa da quella tudertina, "si aliquis conventus fuerit vel cohactus sive vocatus in aliqua alia curia, quam in curia Tudert": banno di L. 100, con obbligo di desistere, altrimenti "quilibet citatus et sui fautores possint offendere sine pena in persona et rebus" il colpevole); cf. anche TODI, Stat. II, 73, quod principales questiones terminentur in civitate tudertina, p. 99-100 (instaurazione di una causa nel contado anziché in città: banno di L. 25 e responsabilità anche del castello o della villa dove la causa è iniziata) e TODI, Stat. 1275, II, 32, de eo qui habuerit possessionem extra iurisdictionem Tuderti, p. 77; CITTÀ DI CASTELLO, Stat. 1273 [nt. 32], quod nullus trahat aliquem ad iudicium extra civitatem, p. 92 ("nulla persona trahat aliquem ad iudicium extra Civitatem Castelli vel districtum": banno di L. 25, con l'obbligo di rinunciare "illi processui vel litteris impetratis"; un'addizione estende la pena a chi appella "ad alium iudicem appellationis usuqe ad quantitatem CC librarum denariorum nisi ad iudicem appellationum dicte civitatis"); PERUGIA, Stat. 1279, cap. 353, qualiter puniantur vocantes aliquem ad aliam curiam quam ad curiam Perusii, pp. 326-328: "Nemo de civitate et comitatu Perusii audeat vocare aliquem civem vel comitatensem Perusii ad aliam curiam quam ad curiam Perusii, pro aliqua causa mota vel movenda; nec audeat dare vel concedere ius alicui, quod ad hoc noceat (L. 50 di multa; risarcimento dei danni al convenuto; bando in caso d'insolvenza; con differente reazione se il colpevole è un chierico): si v. il commento di NICO OTTAVIANI - BIANCIARDI, L'Umbria [nt. 207], p. 90 nt. 35; p. 94 nt. 55. Cf. anche cap. 322, qualiter puniatur condemnatus, deponens querimoniam ad aliam curiam quam ad curiam Perusii, p. 308: "condemnatus vel in futurum condemnandus pro aliquo maleficio quod fecerit, si deposuerit querimoniam ad aliam curiam quam ad curiam Perusii vel alibi, pro eo quingentas libras denariorum pene nomine communi Perusii solvere teneatur. Et si solvere non poterit dictam penam, omnia bona que habuerit communi Perusii publicentur; et insuper ponatur in perpetuo banno, de quo exire non valeat nisi solverit dictam penam". Altri esempi in ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], p. 69 nt. 2.

(286) C. REYDELLET-GUTTINGER, L'administration pontificale [nt. 51], p. 97 nt. 31, senza che l'appello al rettore fosse soppresso.

(287) Le costituzioni di Jean Amiel (che era stato anche tesoriere), pubblicate al Parlamento di Foligno dell'8 gennaio 1324 sono state ritrovate nell'Archivio cittadino. Constano di 88 rubriche, alcune delle quali sono perdute. Probabilmente riproducono tutte le costituzioni già esistenti, forse in ordine cronologico (ci sono rubriche in parti diverse del testo che trattano della stessa materia). 20 rubriche sono dedicate alla procedura. Sono pubblicate da C. REYDELLET-GUTTINGER, L'administration pontificale, Pièces justificatives, n. 9, pp. 137-157. Un quadro della situazione è tracciato nel cap. 16, de pena facientium contra accusantes et appellantes ad curiam domini ducis (SPELLO 1333, cap. 58), p. 142. Si parla di vessazioni che colpiscono non soltanto i ricorrenti ma anche i loro familiari, sembra con successo, dal momento che essi sono dipinti come "homines territi": "Item propter appellationes et querimonias que fiunt ad apostolicam Sedem vel curiam rectoris ducatus, multa et diversa gravamina, retroactis temporibus, appellantibus et causantibus in principalibus causis apud Sedem eandem vel dictam curiam, per rectores universitatum provincie, sint illata et, quod gravius est, gravantur et soliti sunt gravari eorum ascendentes et descendentes, consanguinei et affines, propterea homines territi ad predictam Sedem et dictam curiam dubitant appellare nec in causis principalibus, civilibus vel criminalibus, facere aliquem evocari. Volentes igitur huic morbo pestifero congruentem apponere medicinam, hac inrefragabili constitutione, constituimus...quod si aliquis ad Sedem eandem vel ad dictam curiam duxerit appellandum vel aliquem in causa principali, civili vel criminali, fecerit evocari...quod post talem appellationem interpositam vel citationem vel declarationem vel accusationem factam, nullus rector... talem appellantem vel causantem vel facientem aliquos...citari...vel eius ascendentes vel descendentes vel suos consanguineos vel affines vel suos laboratores vel colones gravare presumat, in pignoribus vel denariis vel prestantiis sive mutuis vel confinibus vel relegationibus vel in custodia vel in conpedibus vel in carcere ponere vel bona sua destruere vel destrui facere...".

Altre contromisure sono prese nei successivi capitoli. Esse, nel contempo, aprono uno spiraglio sulla prassi concreta: la rinuncia all'appello si presume fatta "perperam et in fraude" e comunque la parte appellante può disconoscerla (cap. 18, de renuntiatione facta super appellatione per vim vel metu; quod nichilominus super ea procedatur et valeat appellatio = SPELLO 1333, cap. 22, quod non obstante renuntiatione facta de appellatione possit causa prosequi ); i podestà e gli altri officiali sono tenuti ad esibire in forma autentica gli atti processuali agli appellanti entro 8 giorni dalla richiesta (cap. 45 = SPELLO 1333, cap. 49, de salario solvendo in causis contra comunitates); i podestà, gli officiali e le città stesse che oppongano ostacoli all'appello saranno puniti "quantum suadebit justicia" (cap. 74, de pena facientium contra appellationem = SPELLO 1333, cap. 78); gli statuti che puniscono "illos qui non possunt vel nolunt coram seculari judice respondere" sono annullati (cap. 83). Cf. anche cap. 54, quod citatus ad curiam possit secure venire et nullus offendat eum (SPELLO 1333, cap. 58); cap. 87 (SPELLO 1333, cap. 91) sul divieto del consilium sapientis; SPELLO 1333, cap. 18, de pena impedentium volentem prosequi ius suum.

Alle costituzioni appena riassunte fanno seguito quelle del cardinale-legato Bertrand de Deaux, arcivescovo di Embrun, pubblicate il 23 aprile 1336 a Montefalco in due serie: una per la Marca (42 artt.) e l'altra per il Ducato (28 artt.). Il punto d'arrivo anche per la disciplina in esame è rappresentato dalle costituzioni albornoziane, il cui contributo è ampiamente ricostruito da ERMINI, La libertà comunale, II [nt. 213], pp. 111-120, con riferimento anche al punto di partenza, la bolla di Urbano IV del 1263, della quale si è detto sopra, nt. 270.

(288) Sulle forme e sui caratteri dell'espansione spoletina nel contado cf. J.-C. MAIRE VIGUEUR, Féodalité montagnarde et expansion communale: le cas de Spolète au XIIIe siècle, in Structures féodales et féodalisme dans l'Occident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles), Bilan et perspectives de recherches, Colloque international organisé par le Centre national de la recherche scientifique et l'École française de Rome (Rome, 10-13 octobre 1978), Rome 1980, pp. 429-438; ID., Nobiltà feudale, emancipazione contadina e struttura degli insediamenti nel contado di Spoleto (XIII secolo, prima metà del XIV secolo), in Atti del 9&deg; Congresso internazionale di Studi sull'alto medioevo [nt. 150], t. I, pp. 487-513; E. SESTAN, Il Comune di Spoleto tra i Comuni italiani [nt. 150]; MAIRE VIGUEUR, Comuni e signorie in Umbria, Marche e Lazio [nt. 149], pp. 435-450 (con orizzonte che abbraccia Umbria, Marche e Lazio); M. G. NICO OTTAVIANI, Sistemi cittadini e comunità rurali nell'Umbria del Due-Trecento, in Annali dell'Istituto "Alcide Cervi", 16 (1994) = Protesta e rivolta contadina nell'Italia medievale, pp. 83-113; NICO OTTAVIANI - BIANCIARDI, L'Umbria [nt. 207], pp. 103-130.

(289) Stat., 10, p. 11: "baiulum et valdarios de ipsa villa et habitantibus in ea, qui non sint cives spoletani et bonos et legales ante quam disscedant". Non si possono eleggere i propri parenti stretti, quelli già eletti l'anno precedente, i molendinarii. Cf. anche Stat., IV, 51, de valdariis faciendis in villis.

(290) I baiuli delle ville alla fine del mandato sono tenuti a convocare gli uomini delle ville per l'elezione dei baiuli, valdari e degli altri ufficiali "sicut actenus facere consueverunt" (Breve, 47, p. 50). Il camerario del comune ha dei poteri di comando a questo riguardo, potendo anche irrogare delle pene, mentre i baiuli comunali e nessun altro ufficiale comunale può normalmente interferire nelle ville, quando vi sono i rispettivi baiuli (Breve, 47, p. 50).

(291) Cf. Stat., IV, 33: "de maleficiis denuntiandis per camerarium castrorum et baiulum villarum"; Breve, 14, p. 38: il baiulo nelle ville con meno di 6 fuochi dovrà rispondere al camerario del comune "de collectis et specialibus personis et dampnis datis". Sindaci e valdari, a mente del cap. 25 dello statuto del 1347, devono essere eletti con il compito di "malefactores assignare cuiuslibet dampni quod fieret in villa". Operano in breve tempo (entro 5 giorni dal fatto), pena una multa. Le loro denunce ed accuse, d'altra parte, fanno piena prova, absque alia probatione.

(292) Const. II, 24, p. 100: "ad hoc ut comune Spoleti iure suo non flaudetur et ei senper honor debitus reservetur, dicimus [et] ordinamus, quod nulla villa seu castrum distrittus civitatis predicte non possit nec debeat habere priorem, ançianum vel aliquam aliam personam que presit ipsi castro vel villis, que habeat potestatem precipiendi seu inibendi vel mandandi aliquid alicui de ipso castro vel villa, nisi talis persona fuerit eletta vel confirmata a comuni Spoleti, salvo quod non habeat locum in consiliariis, baiulis et viariis predictorum locorum".

(293) Stat., 4, pp. 9-10. Cf. anche "ad hoc ut comune Spoleti iure suo non flaudetur et ei senper honor debitus reservetur", il rettore di una villa o di un castello dev'essere eletto o confermato dal comune di Spoleto, ad eccezione dei consiglieri, baiuli e viari (Const. II, 24, p. 100).

(294) Const. I, 25, p. 71.

(295) Const. II, 27, p. 101: "ad hoc ut rectores castrorum non sint in aliquo iniurati, statuimus et ordinamus, quod quolibet castrum debeat omni anno facere unum sindicum qui promittat camerario quod si aliquis rector fuerit iniuriatus in dicto vel fatto quod solvat bannum M. librarum". Ai sensi del cap. 26 dello statuto del 1347, pp. 58-59, ogni universitas soggetta a Spoleto e che riceve da esso il podestà è tenuta ad eleggere un sindaco incaricato di curare che l'ordinamento in questione prometta di accettare il podestà e che nessuno l'offenderà (una pesante responsabilità - il doppio della pena prevista per il reato commesso - è introdotta a carico dell'intera comunità per il caso che qualcuno offenda il podestà e non si riesca ad assicurare il malfattore agli organi di Spoleto); che non accoglierà alcun bandito o condannato del comune di Spoleto e che non farà alcuno statuto contra il comune, la sua libertà, la sua giurisdizione e che farà portare ogni anno il proprio statuto a Spoleto per essere esaminato e corretto.

(296) Const. I, 24, p. 71.

(297) Const. I, 74, p. 88.

(298) Const. I, 8, p. 65.

(299) Const. II, 1, p. 93.

(300) Breve, 20, p. 39.

(301) Const. I, 30, p. 74 (riferito al castello di Vetranola): "item in castro predicto per comune Spoleti non elligatur aliquis consiliarius qui non fuerit habitator dicti castri".

(302) Breve, 10, p. 37.

(303) Breve, 11, p. 37.

(304) Const. I, 23, p. 70: "et potestas castrorum teneatur infra duos menses dare sententiam de quolibet malleficio et excessu quod et que comittentur vel comissum esset in dictis castris; quod si non fecerit, potestas comunis Spoleti condenpnare debeat potestatem illius castri qui talem condepnationem facere obmiserit in eam sumam in qua condenpnatus esset malefactor, salvo quam in penis personalibus".

(305) Cf. anche Stat., IV, 1: "quod potestates castrorum assignent camerario comunis nomina condepnatorum". Lo statuto del 1347 concederà espressamente ai podestà dei castelli il potere di inquisizione su tutti i malefici (I, 81, p. 90: "rectores autem ipsorum castrorum possint super omnibus maleficiis inquirere, statuto aliquo non obstante"). Nel contempo, obbligherà il podestà cittadino a prestare il proprio aiuto in vista dell'esecuzione delle sentenze, "visa sententia vel sententiis condempnationibus contra quos peteretur exequutionem fieri" (Stat., I, 19, p. 53). E' dunque anche una forma di controllo. I contributi dovuti al comune di Spoleto sono inoltre determinati in una quota fissa per ciascun castello e devono essere versati al comune dal podestà del castello entro 15 giorni dall'accettazione dell'ufficio, pena una multa e la decadenza dalla carica. Il contributo fisso sostituisce la quota dovuta al comune sulle condanne emesse, che è devoluta quindi ai podestà (Stat., I, 19, p. 54).

(306) Const., I, 25, p. 71. Cf. anche Stat., IV, 16: "de statuto non faciendo in castris seu villis quod sit contra iurisdictionem comunis".

(307) Const. I, 25, p. 71.

(308) FONTI: 1221, luglio 11 (sottomissione a Spoleto: SANSI, Documenti storici, n. XXII, p. 236-238); 1225, dicembre 21 (giuramento al cardinale Giovanni Colonna: ivi, n. XXV, p. 241-242);

1233, agosto 10 (lodo arbitrale sulle discordie tra Spoleto e Cerreto: ivi, n. XXXII, pp. 263-264);

1234, maggio 10 (sottomissione a Spoleto: ivi, n. XXXIII, pp. 264-267);

1239, maggio 24 (sottomissione del comune di castel Pizzoli a Spoleto: ivi, n. XXXVI, pp. 270-272);

1241, giugno (privilegio di Federico II a Spoleto: ivi, n. XXXIX, pp. 277-280);

1244, giugno (privilegio di Federico II a Spoleto: ivi, n. XLI, pp. 285-295);

1247, novembre 6-13 (privilegio di Ranieri Capocci a Spoleto: ivi, n. XLII, pp. 288-290);

1277, maggio 4 (dichiarazione del sindaco di Spoleto nel consiglio di Cerreto: ivi, n. LXVI, pp. 337-339).

Negli atti, l'invìo del podestà da parte di Spoleto è espressamente accettato nel 1221, quando i rappresentanti di Cerreto giurano "omni anno accipere senioriam a Comuni Spoleti... et facere unam domum ligneam in Cerreto ad honorem Comunis Spoleti in qua possimus recipere potestatem et eius nuntios cum exspensis cerretanorum et apponemus vel faciemus apponi in breve ad quod iurabunt homines de Cerreto quod iurabunt precepta seniorie Spoleti" (p. 237).

Di fatto, non fu una norma di facile applicazione, perché Cerreto mise più volte in discussione la sua fedeltà a Spoleto.

Nel 1225 i Cerretani, nel giurare obbedienza al cardinale Giovanni Colonna dichiarano "salva et illesa iura et actiones et usantie quas vel que Spoletani usque modo habuerunt et perceperunt de castro Cerreti et de eius communantia" (p. 241).

Nel 1234, la soggezione è nuovamente giurata: "semper subesse iurisdictioni comunis civitatis Spoletane" (p. ).

Nel 1239, nell'atto di sottomissione a Spoleto del castello di Pizzoli, il rappresentante di quel comune giura di ricevere il podestà da Spoleto "sicut recipiunt Cerretani et alia castra que recipiunt potestatem a populo spoletano" (p. 271)

Nel 1241, i diritti su Cerreto sono riconosciuti da Federico II ("castrum Cerreti cum hominibus et tenimentis suis": p. 278)

Nel 1244, l'imperatore stesso ordina "quod homines Cerreti hobediant et intendant comunitati Spoleti in omnibus et de omnibus in quibus intendebant... et spetialiter in recipiendo potestatem a comuni et in arrengo Spoleti...", aggiungendo che "potestas etiam datus per Spoletanos Cerretanis eisdem, hinc ad tres annos non amministret per se ipsum, sed per vicarium eligendum a potetstate, de Marchia vel Ducati Spoleti, qui sit amicus et in ullo suspectus Cerretanis prefatis" (p. ).

Nel 1247 Cerreto è concessa a Spoleto dal Cardinale Ranieri Capocci ("castrum Cerreti cum hominibus et tenimentis suis": p. 289).

Nel maggio 1277, infine, il sindaco di Spoleto intima al consiglio di Cerreto di ricevere il podestà, richiamandosi ai patti stipulati: "...protestatur et dicit coram eis, quod ipsum conscilium et comune et homines stantes in eodem debeant recipere et recipiant in eorum potestatem dominum Manentem domini Manentis tanquam potestatem electum et missum per comune Spoleti ad regimen dicti comunis Cerreti..." (p. ).

Come già notato dal Sansi, il Manente riuscì a prestare giuramento nel dicembre 1277 ed ebbe un successore nel maggio 1278: nel 1279, però, i Cerretani si ribellarono al podestà mandato da Spoleto (SANSI, Documenti storici, p. 338 nt. 1).

(309) FONTI: 1239, luglio 16 (sottomissione di Cammoro a Spoleto: SANSI, Documenti storici, n. XXXVII, pp. 273-274);

1241, giugno (privilegio di Federico II a Spoleto: ivi, n. XXXIX, pp. 277-280);

1247, novembre 6-13 (privilegio di Ranieri Capocci a Spoleto: ivi, n. XLII, pp. 288-290);

1281, ottobre 31 (sottomissione di Sellano a Spoleto: ivi, n. LXIX, pp. 344-348).

I diritti di Spoleto su Sellano, menzionati incidentalmente nell'atto di sottomissione del castello di Cammoro ("facere exercitum et parlamentum dicto comuni Spoleti sicut facit Cerretum et Sellanum": p. 273), sono confermati da Federico II nel 1241 ("dimittentes eis tenendas omnes tenutas, castra et villas que et quas tenebant nec non rationes et iura que et quas habebant in castris, tenutis et villis... nomina castrorum, tenutarum et villarum sunt hec: ... Sellanum cum tenimentis suis": p. 278) e dal cardinale Ranieri Capocci nel 1247 ("Sellanum cum tenimentis suis": p. 289).

L'atto più importante è sicuramente la soggezione siglata nel 1281, nella quale il delegato di Sellano "renovat et confirmat... antiquam iurisdictionem quam comune Spoleti hactenus habuit et habere debuit et debet in dicto castro et hominibus et universitate dicti castri Sellani" (p. 344). E' specificamente assunto l'impegno di ricevere il podestà da Spoleto: "recipere quolibet anno in perpetuum et tenere in potestatem et pro potestate illum quem comune Spoleti eliget, et eis dabit et assignabit ad faciendum totaliter regimen ipsorum et officium potestarie, qui potestas possit condempnare et absolvere in penis contenutis in statuto dicti castri" (p. 345).

Tra i poteri-doveri dello stesso non va trascurato quello di applicare le pene stabilite nello statuto del castello. Il podestà è remunerato da un lato con un apposito salario, d'altro lato con una quota dei banni: "quartam partem bannorum et folliarum de hiis que perveneint ad manus camerarii seu ad manus comunis dicti castri" (p. 345).

Gli abitanti di Sellano s'impegnano anche a prendere un giudice ed un notaio da Spoleto, qualora decidano di fare ricorso ad un giudice e ad un notaio non originari del luogo: "habere iudicem et notarium quolibet anno de civitate spoletana, si contingat eos velle habere iudicem et notarium extra dictum castrum et eius districtum" (p. 346).

A Spoleto sono inoltre devoluti gli appelli fino alle 100 lire lucchesi: "et appellationes eorum (cioè, mi sembra di dover interpretare, del "dictum castrum et eius districtum") usque in quantitatem centum libr. lucensium tractare in curia spoletana" (p. 346).

Troviamo anche una clausola, valida sia per Sellano che per Spoleto, la quale fissa l'inderogabilità dei patti da parte degli statuti di entrambi i comuni: "nec statutum nec ordinamentum aliquo tempore facere, nec privilegium aliquod impetrare contra predicta vel aliquid predictorum" (riferito a Sellano: p. 346); "nec statutum nec ordinamentum faciet aliquo tempore contra predicta vel aliquid predictorum" (riferito a Spoleto: p. 347). Se ne deduce, come si dirà più avanti, che l'esigenza di vincolare l'attività statutaria dei castelli al rispetto dei patti era stata avvertita ben prima che, nel 1347, a questo riguardo si giungesse ad inserire un divieto generale nello statuto di Spoleto. Cf. Stat. 1347, I, 81, p. 90: "statutum aliquod vel ordinamentum contra comune Spoleti ac pacta habita cum ipso communi, castrum vel villa ipsi communi subiecta non faciat et si fecerit non valeat ipso iure et nullus rector ipsa teneatur aliquatenus observare". M. G. Nico e P. Bianciardi hanno dimostrato che questo vincolo era riconosciuto anche nello statuto di Sellano del 1374 (copia del '500): L'Umbria [nt. 207], p. 122, mentre quello di Cerreto del 1380 (copia del 1509) non menziona mai Spoleto (ivi, p. 125).

(310) FONTI: 1239, luglio 16 (sottomissione di Cammoro a Spoleto: SANSI, Documenti storici, n. XXXVII, pp. 273-274);

1241, giugno (privilegio di Federico II a Spoleto: ivi, n. XXXIX, pp. 277-280);

1247, novembre 6-13 (privilegio di Ranieri Capocci a Spoleto: ivi, n. XLII, pp. 288-290).

Si sottomette a Spoleto nel 1239 "cum tota eius curia et iurisdictione et ipsius castri districtus". S'impegna tra l'altro ad avere "rectorem et guidatorem de civitate Spoleti omni anno, qui rector eligeretur in contione ut eliguntur alii rectores castrorum de Montanea que sunt de iurisdictione Spoleti" (p. 273). I diritti su Cammoro sono confermati da Federico II nel 1241 "item iura que habent in castro Cammuri": p. 279) e dal cardinale Ranieri Capocci nel 1247 ("omnia iura que habet ipsum comune... in castro Camori": p. 289).

(311) FONTI: 1239, maggio 24 (sottomissione a Spoleto: SANSI, Documenti storici, n. XXXVI, pp. 270-272);

1241, giugno (privilegio di Federico II a Spoleto: ivi, n. XXXIX, pp. 277-280), p. 279: "item iura que habent... in castro Pizzole";

1247, novembre 6-13 (privilegio di Ranieri Capocci a Spoleto: ivi, n. XLII, pp. 288-290), p. 289.

La sottomissione comprende tra le sue clausole l'accettazione del podestà scelto da Spoleto, l'obbligo di costruire una casa nel castello, nella quale possa andare ad abitare, l'obbligo di giurare il sequimentum potestatis ed i suoi precetti: "item promisit recipere potestatem in contione Spoleti a populo spoletano quem dare voluerit sicut recipiunt Cerretani et alia castra que recipiunt potestatem a populo spoletano, cum salario competenti, finitis temporibus potestarie domini Petri Anibaldi. Item promisit edificare unam domum in castro Pizzuli in qua comode possint habitare potestates quas habebunt per tempora a populo spoletano, que domus ist comunis Spoleti, ubicumque placuerit potestati Spoleti... Item promisit quod cum homines Pizzoli iurabunt sequimentum potestatis sive consulis comunis Pizzolis, similiter iurabunt anuatim precepta potestatis Spoleti et qui erit per tempora" (p. 271).

(312) FONTI: 1247, novembre 6-13 (privilegio di Ranieri Capocci a Spoleto: SANSI, Documenti storici, n. XLII, pp. 288-290), p. 289; 1260, dicembre 7, ivi, p. 324 nt. 1 (sottomissione di Collestatte): "quod comune Collis stactis recipient anuatim... rectorem quem comunem Spoleti dabit etc. ...".

(313) SANSI, Documenti storici, n. LIV, 1265, novembre 11, pp. 314-317 (donazione di poggi, castelli e monti appartenenti agli uomini della terra dei Tiberti e sottomissione a Spoleto), p. 316: "item promicto tibi recipere illum in potestatem seu rectorem anuatim quem comune Spoleti eis dare voluerit et dabunt anuatim ipsi potestati pro salario sexaginta libr. den. parvorum currentium per tempora et medietatem bannorum et fulliarum pecuniarum"; ivi, p. 317: "item promicto quod facient sequimentum anuatim potestati et comuni Spoleti per syndicum vel separatim sicut comuni Spoleti placuerit et non recipient vel receptabunt aliquem exbanditum si prohibitum fuerit a comuni Spoleti".

(314) SANSI, Documenti storici, n. LXX, 1284, agosto 26, pp. 348-350, p. 349: "et ad promictendum recipere potestatem a comuni Spoleti quolibet anno in perpetuum prout ispi comuni Spoleti dare placuerit, et solvere ipsi potestati salarium duorum solidorum pro quolibet foculari et quartam partem bannorum et folliarum".

(315) SANSI, Documenti storici, n. XXVII, 1228, settembre 9, pp. 243-244 (sottomissione degli uomini del castello di Bufone): "et omni anno eligemus senioriam de Spoleto sicut et quem nos voluerimus ad nostram voluntatem et potestas Spoleti teneatur confirmare eam. Et omni anno iurabimus precepta potestatis secundum quod cives iurabunt ad breve per tempora" (p. 244). Cf. per la conferma dei diritti di Spoleto: 1241, giugno (privilegio di Federico II a Spoleto: SANSI, Documenti storici, n. XXXIX, pp. 277-280), p. 279: "castrum Bufonis cum hominibus et tenimentis suis"; 1247, novembre 6-13 (privilegio di Ranieri Capocci a Spoleto: SANSI, Documenti storici, n. XLII, pp. 288-290), p. 289.

(316) SANSI, Documenti storici, n. LIV, 1265, novembre 11, pp. 314-317 (donazione di poggi, castelli e monti appartenenti agli uomini della terra dei Tiberti e sottomissione a Spoleto), p. 316: "et iudicem et notarium eligent de civitate Spoleti, si eligent extra terram et non aliunde".

SANSI, Documenti storici, n. LXIX, 1281, ottobre 31 (sottomissione di Sellano a Spoleto), pp. 344-348, p. 346.

(317) SANSI, Documenti storici, n. XXXVII, 1239, luglio 16 (sottomissione di Cammoro a Spoleto), pp. 273-274. Un'apposita clausola giurisdizionale dichiara competente la curia spoletina per le cause relative a rapporti contrattuali intercorsi tra gli uomini residenti nel castello e gli abitanti della città o del distretto di Spoleto: "item promisit quod si quis civis Spoleti vel aliquis de districtu faceret aliquem contractum cum aliquo homine dicti castri Camuri ab odierna die in antea quod ipse teneatur respondere creditori suo in curia spoletana, sicut faciunt alii cives Spoleti" (p. 274).

SANSI, Documenti storici, n. XXXVIII, 1239, ottobre 12, pp. 275-277. Il trattato di Spoleto con i rappresentanti di Porcaria e delle fratte del vescovo, di Gozo e di Transarico si sofferma anche su aspetti giurisdizionali, riservando alla curia di Spoleto la competenza a decidere sui contratti stipulati tra spoletini e gli abitanti dei luoghi menzionati, salve le eccezioni contemplate: "et omnes homines supradictorum locorum teneantur respondere in curia Spoleti de omni contractu qui fieret inter homines Spoleti et homines supradictorum locorum, salvo quod si alii homines de trevio reverterentur ad amorem civitatis Spoleti vel si ipsi de dictis locis eligerent et facerent aliquem dominum vel capitaneos qui facerent rationem et facerent solvi debita pro eis qui essent et habitarent ab aqua citra, quod ipsi non teneantur venire ad respondendum ad civitatem" (p. 276). V. anche oltre, la promessa del podestà di Spoleto di "facere fieri eis rationem in curia Spoleti ut aliis civibus Spoleti" (p. 276).

(318) SANSI, Documenti storici, n. LIV, 1265, novembre 11, pp. 314-317 (donazione di poggi, castelli e monti appartenenti agli uomini della terra dei Tiberti e sottomissione a Spoleto), p. 316: "item promicto quod si aliquis de dictis locis appellabit ab aliquo gravamine vel a sentemptia, appellabit ad curiam Spoleti tantum et alibi cause appellationis non trauntur vel traentur".

SANSI, Documenti storici, n. LXIX, 1281, ottobre 31 (sottomissione di Sellano a Spoleto), pp. 344-348, p. 346.

(319) SANSI, Documenti storici, n. LXIX, 1281, ottobre 31 (sottomissione di Sellano a Spoleto), pp. 344-348, p. 345.

(320) Tre sono i capitoli dello statuto del 1347 dedicati al problema del rapporto tra statuto cittadino e statuto del castello. Il primo ripete in forma ancor più esplicita la disposizione del 1296 (I, 81: "statutum aliquod vel ordinamentum contra comune Spoleti ac pacta habita cum ipso communi, castrum vel villa ipsi communi subiecta non faciat..."). Il secondo, citato nel testo, in caso di lacuna degli statuti del castello, impone al podestà del castello medesimo di giudicare secondo la pena espressa negli statuti e negli ordinamenti di Spoleto (I, 88). La legislazione della città dominante è configurata come una sorta di diritto suppletivo, che prende vigore nel momento in cui lo statuto del castello non dispone nulla di preciso. Lo statuto cittadino non è però soltanto suppletivo, ma anche superiore: sappiamo infatti che un contrasto tra statuto cittadino e statuto del castello non è ammesso e conduce alla nullità della norma subordinata. Il terzo ribadisce il divieto di statuti contrari allo statuto comunale.

(321) I capitoli dello statuto del castello di Cerreto pregiudizievoli al comune di Spoleto sono nulli e non potranno essere applicati. Così giura, nel dicembre 1277, il podestà mandato da Spoleto: "... salvo quod si qua capitula vel ordinamenta essent in statuto comunis Cerreti que contradicerent vel essent contraria comuni Spoletano et iuribus et instrumentis et honori ipsius comunis Spoleti, que sint irrita et cassa nec ego ipse tenear potestas ad observantiam predictorum" (SANSI, Documenti storici, p. 338 nt. 1).

(322) SANSI, Documenti storici, n. LXIX, 1281, ottobre 31 (sottomissione di Sellano a Spoleto), pp. 344-348, p. 346 e p. 347.

(323) SANSI, Documenti storici, n. LIII, 1260, marzo 25, pp. 312-314. Il trattato non contiene obblighi giurisdizionali, p. 313: "et promiserunt iurare cittadinantiam comunis Spoleti dummodo non cogantur emere domos in ipsa civitate, nec dare collectam, nec ut illuc ad respondendum de iure, nisi de ipsorum capitanei lambardorum (sic) et naturalium processerit voluntate".

(324) FONTI: 1229, luglio 15, SANSI, Documenti storici, n. XXVIII, pp. 244-247;

1259, gennaio 27 e 28, in SANSI, Documenti storici, n. LI, pp. 305-309;

1266, luglio 31, ivi, n. LV, pp. 318-320 (sottomissione dei signori di Arrone e di Casteldilago);

Const. II, 50, p. 109: "Item quod potestas teneatur facere vocari et requiri nobiles de Arono et Castrolaci et omnes alios nobiles cives ut in mense introytus sui regiminis veniant ad iuramentum et parendum mandatis ipsius domini potestatis et capitanei populi civitatis Spoleti, ut fieri attenus consuevit, et constringere nobiles de Arono quod veniant ad habitandum et habitent in civitate Spoleti secundum istrumentorum fattorum inter ipsum comune Spoleti et ipsos nobiles".

Già nel 1259, p. 307: "et venient cum dictis eorum vassallis ad ius reddendum sive de iure respondendum coram potestatem et curiam Spoleti et in ipsa civitate a xx. sol. supra quandocunque et quotiescunque ad predicta facienda fuerint requisiti". Nel 1266, p. 318: "item quod ipsi domini omnes et quilibet ipsorum et eorum vassalli venient ad respondendum de iure in civilibus questionibus a viginti solidis supra, in criminalibus vero mallefitiis omnibus coram potestatem et curiam spoletanam quandocumque fuerint requisiti".

(325) Riflessioni a questo proposito in M. VALLERANI, Il sistema giudiziario del comune di Perugia. Conflitti, reati e processi nella seconda metà del XIII secolo, Perugia 1991 (Deputazione di storia patria per l'Umbria, Appendici al Bollettino n. 14), pp. IX-X; M. SBRICCOLI, Legislation, Justice and Political Power in Italian Cities, 1200-1400, in Legislation and Justice [nt. 267], Chapter 3, pp. 37-55, pp. 42-44.

(326) Un significativo esempio è stato studiato da C. STORTI STORCHI, Diritto e istituzioni a Bergamo dal Comune alla Signoria, Milano 1984 (Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, Pubblicazioni dell'Istituto di Storia del diritto italiano, 10), pp. 221-225.

(327) Stat., 1, p. 8; 17, p. 14; 43, p. 23; 44, p. 24; 46, p. 25; 71, p. 31. Fanno rinvìo alle pene stabilite nel libro III: Stat., 22, p. 15; 34, p. 21 ( = II); 54, p. 27.

(328) Riporto un quadro dei principali reati (e danni dati) contemplati:

REATI CONTRO LA PERSONA: Stat., II, 12: insulti; Stat., II, 16: percosse con armi; Stat., II, 17: percosse con mani o pugno; Stat., II, 22: omicidio; Stat., II, 52: percosse al padre o alla madre; Stat., III, 37: percosse del padre al figlio; Stat., III, 42: rissa con un forestiero; Stat., III, 36: stupro.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO: Stat., II, 47: furto; Stat., II, 32: occupazione dell'altrui tenuta; Stat., II, 46: ripetizione di un debito già adempiuto; Stat., IV, 52: danneggiamenti, furti, incendi e devastazioni; Stat., IV, 26: ingresso in una selva o danneggiamento; Stat., IV, 28: ingresso in una vigna, orto o campo seminato; Stat., IV, 35: danneggiamenti di animali; Stat., IV, 36: rottura di alberi; Stat., II, 71: impedimento alla disposizione dei beni; Stat., II, 61: rimozione dei termini di confine tra possedimenti; Stat., II, 38: furto di monete.

REATI CONTRO DIO E LA RELIGIONE: Stat., II, 11: bestemmia contro Dio e la Madonna; Stat., II, 27: sodomia.

REATI CONTRO LA FAMIGLIA: Stat., III, 36: adulterio.

REATI CONTRO L'ORDINE PUBBLICO: Stat., II, 14: lancio di pietre dalla torre o dalla casa verso la casa altrui; Stat., II, 28: costituzione e giuramento di una pars; Stat., IV, 8: andare per la città dopo la terza della sera; Stat., III, 45: prostituzione; Stat., II, 55: porto d'armi proibite; Stat., II, 58: rottura della pace; Stat., IV, 34: gioco ad taxillos (dadi).

REATI CONTRO LA RETTA AMMINISTRAZIONE DEL COMUNE: Stat., II, 8: concessione di denaro del comune; Stat., II, 10: inosservanza dello statuto da parte del podestà e degli altri ufficiali; Stat., II, 39: frode dei baiuli; Stat., II, 51: rissa in consiglio; Stat., II, 57: diserzione del consiglio; Stat., II, 13: pugna in consiglio; Stat., II, 41: assunzione di uffici in una villa; Stat., II, 69: rinuncia di ambasciate da parte dei baiuli; Stat., IV, 29: permanenza in consiglio durante la trattazione di un affare di interesse personale; Stat., IV, 39: ricezione di utilità da uomini delle ville da parte di ufficiali.

REATI CONTRO LA RETTA AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA: Stat., II, 34: testimoni renitenti; Stat., II, 37: falso instrumentum e falsa testimonianza; Stat., II, 50: ricezione di banditi; Stat., IV, 4: consulente che omette di dare il consiglio richiesto; Stat., II, 56: ricezione di parte del salario del consulente o dell'assessore; Stat., IV, 20: acquisto di beni di qualche bandito; Stat., III, 57: produzione di uno strumento dichiarato falso; Stat., II, 40: cessione di diritti ad uno straniero; Stat., IV, 21: vendita di un castello o di una casa non è soggetta alla giurisdizione del comune; Stat., IV, 54: acquisto di possedimenti da chi non abita nel distretto di Spoleto.

REATI DI FALSO: Stat., II, 38: falsificazione di monete; Stat., IV, 6: negazione di paternità, filiazione e morte di qualcuno.

(329) Stat., II, 6, de remictenda pena propter pacem factam infra terminum.

(330) Stat., II, 29, de pena remictenda propter confessionem.

(331) Stat., II, 5, qualiter procedatur si pro aliquo malefactore absentia allegetur.

(332) Stat., II, 9, de pena que potest imponi per potestatem et alios officiales.

(333) Stat., II, 21, quomodo procedatur super maleficiis inter familiares commissis.

(334) Stat., III, 55, de confirmatione represaliarum.

(335) Stat., IV, 37, qualiter puniantur minores.

(336) Stat., III, 46, de rogando dominum episcopum.

(337) Stat., II, 1, quod potestas et iudices maleficiorium possint congnoscere super omnibus maleficiis.

(338) Stat., II, 30, quod potestas possit in maleficiis procedere de similibus ad similia.

(339) Stat., II, 49, quod super maleficiis commissis de nocte potestas possit procedere ad tormenta.

(340) Stat., III, 33, quod capitaneus seu exgravator debeat diffinire causas appellantium reductas ad eius curiam.

(341) Stat., III, 38, quod non possit appellari in civilibus et criminalibus nisi diffinitivis sententiis.

(342) Stat., III, 35, quod potestas futurus possit cognoscere de omnibus maleficiis commissis per duos menses antre introitum sui regiminis.

(343) Breve, 2, de pena illius qui fecerit aliquem offendi, p. 35. La pena per chi dà mandato di offendere ("offendi") ad un assassino o ad un proprio famulo o vassallo consiste sia per il mandante che per l'esecutore ("tam ille qui fieri fecerit quam qui fecerit") nel quadruplo della pena stabilita per il maleficio commesso "in statuto comunis vel brevis populi vel reformationibus consiliorum"; amputazione della mano destra in caso di insolvenza; se l'esecutore è contumace o non è in grado di pagare, la pena dev'essere versata dal mandante ("cogatur ad solutionem pene imposite quadruplum quam ille qui fieri fecerit"). In caso di morte sopravvenuta della vittima l'esecutore è punito con la pena capitale, il mandante con il quadruplo della pena stabilita per l'omicidio "ex forma alicuius statuti, brevis populi vel reformationum consiliorum. Ad probandum de assesinatione famulari vel vassallari" è sufficiente la fama attestata da dieci testimoni "bone oppinionis et fame". Si noti, riguardo al presente capitolo, che nel manoscritto una nota avverte che "super maleficiis - contrarium est statutum comunis". Nel 1347, Stat. II, 30, p. 115, è punito anche l'aiuto ed il favoreggiamento, oltre che il mandato di compiere "aliquod malleficium" 2) la pena: la stessa ("simile") che dovrebbe essere irrogata l'autore principale del reato. Deve trattarsi di una sola pena sia per il mandante che per l'esecutore. 3) scompare l'agevolazione probatoria.

(344) Breve, 65, p. 56: chi abbia commesso o fatto commettere un maleficio o abbia ucciso qualcuno, di giorno o di notte, "preter penam in statuto comprehensam", subisce anche la distruzione della casa, la devastazione dei suoi possedimenti, il taglio dei suoi alberi. Il capitolo è derogatorio di altri contrari ("aliquo capitulo statuti vel brevis populi non obstante"). Ci s'imbatte qui nella spinosa questione del significato da conferire al vocabolo maleficium: per spunti in merito v. G. P. MASSETTO, I reati nell'opera di Giulio Claro, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 45 (1979), pp. 328-503, anche in ID., Saggi di storia del diritto penale lombardo (Secc. XVI-XVIII), Milano 1994, n. II, pp. 61-227, pp. 62-63; pp. 84-85; STORTI, Diritto e istituzioni [nt. 326], p. 235 nt. 59. Potrebbe anche trattarsi, ma non è sicuro, di una disposizione riferita solo all'omicidio (una nota a margine precisa infatti "super maleficio homicidii"). Un'addizione specifica che la distruzione deve avvenire dopo la prima citazione personale dell'omicida, "absque alia condempnationem (sic)"; 200 lire di d. cortonesi di banno sono comminate a chi non esegua la devastazione entro tre giorni dopo l'esecuzione della prima citazione personale. Nel 1347 la distruzione e la confisca dei beni è prevista solo a carico del contumace (Stat. 1347, II, 24, p. 114).

(345) Breve, 15, p. 38: 100 soldi per ciascuno; metà del banno all'accusatore; valutazione di una giusta causa rimessa alla discrezionalità del podestà o degli ufficiali dinnanzi ai quali sia trattata la questione; risarcimento nella misura di un quadruplo del danno arrecato, sulla cui entità, fino a 40 soldi, si deve credere al giuramento del danneggiato.

(346) Breve, 18, p. 38: 40 soldi e risarcimento del danno; sufficiente il giuramento dell'accusatore o del denunciante.

(347) Breve, 33, p. 44: L. 100 e restituzione del maltolto; sufficiente il giuramento dell'offeso, accompagnato da un testimone o dalla fama pubblica provata da due testimoni idonei.

(348) Breve, 6, p. 36.

(349) Breve, 16, p. 38.

(350) Breve, 27, pp. 41-42: 100 libbre (per l'"inceptio": forse i partecipanti originari, perché poi si dice che è punito con L. 50 d. "quilibet alius qui in ipsa conventicula... fuerit"); espulsione dei suoi membri per un anno dalla città e dal suo distretto; multa di L. 100 anche per il notaio; annullamento e dispersione della conventicula, societas e conspiratio da parte del podestà o del capitano del popolo; facoltà del podestà di inquisizione ex officio senza denuncia od accusa; banno di 50 libbre al podestà negligente, disposto dal capitano del popolo.

Nel 1347, chi prende parte ad un trattato, "coniuratio, conspiratio, liga, rumor aut gentum congregatio" oppure prenda d'assalto od occupi i palazzi del governo allo scopo di sovvertire il regime costituito, è punito con la confisca dei beni e con la forca. I suoi figli e discendenti sono privati della capacità di assumere cariche nel comune e non possono abitare o entrare in città, nei suoi borghi o sobborghi (II, 28, p. 115). Chi costituisca una parte od una setta è punito con una multa di L. 10 d. E' punito anche il raduno in città o nel comitato di più di dieci persone, non autorizzato dai priori (II, 135, p. 161).

(351) Breve, 23, pp. 39-40.

(352) Il capitolo è preciso e derogatorio. Stat. 1347, II, 22, pp. 112-113, che parla di offese di un nobile o magnate nei confronti di un popolare, aumenta del triplo la pena corrispondente al maleficio commesso. Chiarisce le categorie di soggetti comprese tra i nobili e considera sufficiente come prova di tale qualità la pubblica "vox et fama" attestata da quattro testimoni)

(353) Breve, 37-41: sopra, &sect; 4, pp. 182-185.

(354) Breve, 13, p. 37: richiesta o tentativo di richiesta di benefici o di grazie per sé o per altri da parte degli ambasciatori del comune in missione: interdizione perpetua dagli uffici e 100 libbre di banno; capitolo preciso; esteso ai castellani ed ai sergenti delle terre.

(355) Breve, 53, p. 52: perdita di una causa presso la curia pontificia o ducale per negligenza del sindaco del comune: sindaco responsabile con tutti i suoi beni; se non sono sufficienti: bando come traditore del comune; podestà negligente nella punizione perde 100 libbre di salario; capitolo preciso; non retroattivo. Addizione: fideiussione di 1000 libbre; il sindaco dev'essere un laico.

(356) Breve, 26, pp. 40-41.

(357) Breve, 31, pp. 43-44.

(358) Breve, 3, p. 35.

(359) Breve, 35, p. 45.

(360) Breve, 48, p. 50. Stat. 1347, II, 56, p. 128, prevede pene differenziate a seconda della condanna inflitta al bandito. L'accusa è libera. Si precisa inoltre che i banditi possono essere impunemente offesi fino alla morte ed alla mutilazione di una parte del corpo.

(361) Breve, 23, pp. 39-40 (ingiuria od offese di un miles ad un popolare); Breve, 31, pp. 43-44 (percezione da parte del podestà o di altri ufficiali di un salario maggiore del dovuto). Si aggiungano: Stat., 2, p. 9 sul salario del podestà; Breve, 54, p. 52, che incrimina la percezione oltre il salario per il notaio del camerario e Stat., 43, p. 23 per i notai delle vaite; Breve, 53 (perdita da parte del sindaco di una causa presso la curia pontifica o ducale); Breve, 35 (richiesta di arbitrio da parte del podestà; Breve, 37 (richiesta di lettere alla curia); Breve, 39 (trasferimento di una causa fuori Spoleto).

(362) Breve, 31, p. 44.

(363) Breve, 41, p. 48, con riferimento a Breve, 37-40.

(364) Breve, 31, p. 44.

(365) Attestata da dieci testimoni bone oppinionis et fame: mandato ad offendere (Breve, 2, p. 35).

(366) Ingiuria od offese ad un popolare da parte di un miles (Breve, 23, p. 40).

(367) Un testimone oppure la fama pubblica attestata da due testimoni idonei: depredazione per homminitum e rivendicazione senza prove di una persona come proprio homo (Breve, 33, p. 44).

(368) Ingresso notturno di homines delle villae nei possedimenti di cives o burgenses in città (Breve, 15, p. 38).

(369) Appropriazione di colombe domestiche (Breve, 18, p. 38); pascolo di bestie in località Monteluco (Breve, 50, p. 51).

(370) Responsabilità della villa per la coltivazione di terre di soggetti sottoposti a bando (Breve, 48, p. 50).

(371) Responsabilità sussidiaria dei parenti per il reato di trasferimento di una causa fuori Spoleto (Breve, 37, p. 46; Breve, 39, p. 47) o di appello contro una sentenza emessa per privilegia papalia (Breve, 40, p. 48); responsabilità della villa o del castello in cui si trovano terre di banditi che siano state coltivate (Breve, 48, p. 50).

(372) Costituzione di conventicula senza licenza del podestà (Breve, 27, p. 41).

(373) Const. I, 60, quod potestas teneatur primo mense sui regiminis facere inquisitionem de omnibus accantonatius de civitate et distrittu, p. 84: "a qua condepnatione appellare non possit"; Const. I, 74, quod nemo possit aliquam dativam vel collectam in castris, villis sive communantiis sine licentia potestatis et capitanei, p. 88: "per potestatem ex suo officio sine accusatione vel denigratione aliqua condepnent omni appellatione remota"; Stat., 71, de reinveniendo cursum aque Saletti, p. 31: "et potestas teneatur hoc capitulum observare et observari facere omni appellatione remota"; Breve, 31, de pena potestatis et aliorum officialium recipientium ultra salarium sibi concessum, p. 43: "qui capitaneus debeat contra facientes condempnare et ab eo condempnationem exigere omni appellatione remota et dicta banna applicenutr comuni"; Breve, 32, de quinque portis civitatis Spoleti, p. 44: "et capitulum hoc inveniat et inquirat potestas omni appellatione remota"; Breve, 40, quod nullus appellet a sententia lata per privilegia papalia, p. 48: "et nichillomminus ipsam pecuniam de qua appellatum fuerit teneatur de facto exsecutioni mandare omni ecceptione et appellatione remota".

(374) Le formule che sono utilizzate di solito sono le seguenti: "si contra fecerit", "si fuerit negligens in predictis et predicta fieri non fecit" ecc.

(375) Const., I, 13, de pena abluentis pannos in fontibus, p. 67; 49, de viis publicis et vicinalibus et plateis mundis tenendis, p. 81; Const. II, 41, de pena ingommorantis platheam fori, p. 106; Const. I, 71, quod vie publice et vicinales sint libere et expedite, p. 87.

(376) Const. I, 50, de pena extrahentis carbones extra civitatem et eius districtum, p. 81.

(377) Const. I, 14, de pena extrahentis aquam de conducto sine licentia potestatis, p. 67; 22, de pena rumpentis conductum aque Vallecle, p. 69.

(378) Const. I, 18, qualiter coppe debeant adequari, p. 68; 55, quod nullus deferat mustum nisi cum babilibus (sic) sigillatis, p. 82.

(379) Const. I, 40, de oleo vel amidolis, p. 77; 47, quod quilibet possit extrahere vinum clarum extra civitatem et eius distrittum solvendo camerario VI. denarios pro qualibet salma, p. 80; II, 3, de duana solvenda camerario comunis pro oleo amindolis et certis aliis rebus, p. 94; 4, qualiter oleum et amindole debeant inveniri, p. 94.

(380) Const. I, 36, p. 76: v. oltre.

(381) Const. I, 43, pp. 78-79: gioco dei dadi: 10 libbre; 100 soldi per chi presta i dadi, i soldi, la candela, la lucerna o quant'altro è necessario al gioco; stessa pena anche per chi vi assiste; perdita del diritto di credito; 10 libbre per chi fa giocare in casa propria, nel proprio castello od orto; accusa libera, metà del banno all'accusatore; sufficiente la dichiarazione dell'accusatore, corroborata da un testimone cittadino bone oppinionis o da tre testimoni sulla fama; sufficiente la dichiarazione della famiglia del podestà, salvo che non debba ricevere una parte del banno). In Stat. 1347, II, 84, pp. 139-140, la pena scende a L. 5 den. I mutui contratti in occasione del gioco sono nulli, pena pecuniaria anche il notaio; si crede alle dichiarazione dell'accusatore e di un altro testimone. Ogni giorno il podestà deve inviare un notaio a sorvegliare i giocatori: la relazione giurata del notaio o di due famuli del suo seguito fa piena prova). V. anche Const., II, 13, p. 96: gioco d'azzardo o ad quintanas in platea ante ecclesiam Sancti Luci: 20 soldi per volta. Const., I, 51, p. 81: lancio di frecce in città o nei borghi della città: 10 soldi per lancio; libera accusa; metà del banno all'accusatore; sufficiente il giuramento dell'accusatore.

(382) Const. I, 35, p. 76: assunzione di podesteria, rettorato o giurisdizione presso un luogo, comune o universitas nemici di Spoleto; invio di lettere o di nunzi senza licenza del podestà, del capitano, del priore, dei consigli generale e speciale: 100 libbre; obbligo di rinunciare all'ufficio; bando perpetuo.

(383) Const. II, 47, p. 108: dichiarazioni in consiglio, in arengo o nei consigli delle arti e delle società contro il breve del popolo o il breve delle nuove società: 50 libbre; richiesta al podestà di non giurare il breve del popolo: 50 libbre; 50 libbre a carico del podestà se questi lascia impuniti i delitti citati; deduzione di 50 libbre dal salario del capitano del popolo in sede di sindacato, se questi non condanna il podestà negligente; capitolo preciso e derogatorio, da inserire in ogni breve futuro.

(384) Const., II, 37, p. 104: disobbedienza dei baiuli e dei banditori del comune agli ordini del capitano del popolo, del giudice, del notaio o degli altri ufficiali: 10 soldi. Stessa pena se si rifiutano di fare ambasciate; agevolazione probatoria: "et credatur sacramento accusatoris sine alia probatione".

(385) Const. I, 78, p. 89: corruzione o tentativo di corruzione della curia: quadruplo della pena che dovrebbe essere applicata per il maleficio oggetto di corruzione; ammesse l'accusa, la denuncia e l'inquisizione. Un'aggiunta stabilisce che il colpevole può ripetere quanto dato senza incorrere in pena. In Stat. 1347, II, 137, p. 162: chi dà illecitamente qualcosa ad un officiale "contra formam statutorum" è punito con la stessa pena a cui è soggetto l'officiale. Non è punito se rivela la corruzione prima che sia accertata in giudizio ai sindacatori o prima ai priori del popolo.

(386) Sul punto v. oltre, ntt. 553-560.

(387) Oltre, p. Era lo stesso a Perugia: CAPRIOLI, Una città [nt. 29], p. 304 (ma il principio aveva applicazione generale nella legisl