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Mario Montorzi

montorzi@idr.unipi.it

L’“intellettualismo pratico” della Lectura super Usibus Feudorum di Baldo degli Ubaldi, tra prassi forense e nuove sistemazioni dottorali

(prove e problemi di lettura)


 

Boissard, Jean-Jacques: Bibliotheca chalcographica ... 1652-1669.  
Pre-print della relazione tenuta il 14 settembre 2000 al Convegno Internazionale nel VI Centenario della morte di Baldo degli Ubaldi Perugia, 13-16 settembre 2000. In corso di stampa negli atti del Convegno

 

   
     

Indice :

1. Alcuni problemi preliminari 1

2. Lectura Lecturae. La questione del proemio  3

3. La chiave al tempo stesso retorica ed intellettualistica del proemio : l’ordo come modus entium   4

4. Il Baldo canonista dentro il Baldo feudista  12

5. Un’istanza razionalizzatrice nelle tecniche di compilazione testuale d’àmbito professionale  17

6. Verso un impianto categorico, per una nuova razionalità ordinativa della prassi. La Baldi Lectura feudorum come Nachtext (Expositio). Il dato bibliografico immanente alla Lectura. 19

7. Principî di categorizzazione giuridica : l’esempio della Gewere  45

8. “… istud opus debet legi in curiis regum…” : i nuovi approdi istituzionali di una scrittura dottorale con destinazione pratica  51

Appendice: Una prima ricognizione del sistema allegatorio della Baldi Lectura feudorum   55

 


1.                                                   Alcuni problemi preliminari

È senz'altro problematico il primo incontro di lettura con la Baldi Lectura feudorum[1], con una moltitudine apparentemente soltanto disordinata di pun­c­­ta e quaestiones, che si dissemina in ordine sparso ed a prima vista quasi occasionale – ispirato talvolta soltanto da casuali analogie testuali –, sull’orditura offerta dai titoli e capitoli dei Libri feudorum[2].

A ben vedere, tuttavia, quella caratteristica strutturale – a prima vista soltanto tumultuaria e farraginosa, ben remota dalla nostra moderna sensibilità di lettori di monografie, che sono al contrario organizzate concettualmente da un progetto unitario di scrittura – costituisce in realtà la chiave di lettura più appropriata e puntuale dell’opera feudale d Baldo degli Ubaldi, perché ne pone direttamente sotto osservazione analitica una qualità specifica non occasionale ma, al contrario, veramente essenziale e genetica : il fatto, vale a dire, che la Lectura si sia costruita attraverso la progressiva acquisizione d’una serie distinta di successivi eventi scrittorî, a loro volta scanditi dall’applicazione di peculiari e tipici modi e regole di produzione testuale.

Nel tentativo di stabilire un primo approccio di lettura dell’opera, mi propongo, quindi, di procedere in questo senso : analizzerò preliminarmente il contenuto del proemio della Lectura feudorum, come significativo dei protocolli operativi osservati da Baldo nella confezione della sua opera ; poi passerò all’analisi di alcuni punti giuridici particolarmente significativi, che siano a mio parere ravvisabili dentro alla trattazione della lectura stessa ; infine cercherò di individuare di conseguenza una linea d’interpretazione complessiva della funzione assegnata dall’autore alla scrittura in tal modo generata.

2.                                                   Lectura Lecturae. La questione del proemio

Né la questione del proemio e del titolo è poi soltanto marginale o meramente estetica : essa è, in realtà, soprattutto strutturale.

Giacché, in particolare nel periodo osservato, il primo ed il più importante messaggio che un’opera letteraria – anche di letteratura giuridica, quindi – indirizza al pubblico dei propri lettori è quello contenuto nell’intitolazione o nella allocuzione proemiale ch’essa reca in epigrafe[3].

L’intitolazione di un prodotto letterario, infatti, comunica anche il canone d’utilizzo cui esso dovrà adeguarsi ed il criterio complessivo che ha presieduto alla sua confezione. Enunzia, in una parola, le “regole del gioco” : cioè sia le modalità di composizione, sia quelle di lettura del testo stesso[4].

Vi fu dunque allora uno spazio letterario specifico, in cui il problema del pubblico acquisì autonomo rilievo ed entrò a comporre un altrettanto specifico oggetto d’attenzione dell’autore letterario, soprattutto di quel tipo di compilatore che – come appunto il redattore di testi scientifici a destinazione sia accademica, sia pratica[5] – scoprì per tempo nella fama e nel proprio buon nome presso il pubblico il profilo di un Autorenstolz, che trovava il proprio referente sociale nel mercato delle committenze universitarie, professionali e consulenziali.

3.                                                   La chiave al tempo stesso retorica ed intellettualistica del proemio : l’ordo come modus entium

Apre, dunque, il testo del proemio della Baldi Lectura feudorum – che si presenta, a prima vista, come una scrittura in prima persona, di carattere essenzialmente autobiografico – un fiore di retorica ecclesiastica, una citazione da Ps.31.8 che suona, nella versione gallicana del testo dei Settanta[6], “intellectum tibi dabo et instruam te in via hac qua gradieris” (“ti darò la capacità di comprendere e ti istruirò sulla via che in tal modo tu percorrerai”)[7].

Le citazioni scritturali e patristiche non sono naturalmente una novità nel testo dei doctores di Diritto Comune, e nemmeno in Baldo (come ci mostrò a suo tempo anche Norbert Horn[8]), ma questa allegazione dal salmista pare avere sul complesso della trattazione feudistica del giurista perugino un’efficacia non solo di compunta e devota intonazione espressiva e di motivazione stilistica, ma anche di complessiva impostazione metodica.

La prospettiva di trattazione, infatti, assume fin da tale premessa un’immediata angolatura intellettualistica, ed inscrive quel termine accusativo (“intellectum”) quasi come un’epigrafe apodittica ed un’insegna ideale nell’esordio stesso del proemio : ribadisce, insomma, già in sede preliminare, il principio che il dono divino dell’intelletto è per l’uomo il segnale inequivocabile che è tracciata per lui una via propria attraverso all’oscurità dell’esperienza pratica.

È una convinzione, per così dire, di “intellettualismo pratico”, che in questa stagione culturale ci siamo abituati a raccogliere, in particolare, in quanti trai giuristi – da Alberico da Rosciate a Luca da Penne – si trovarono a dover conciliare la loro riflessione sui testi del Ius Civile con un commercio quasi quotidiano con le sfide interpretative loro proposte dalla prassi del fòro o della vita d’apparato.

Era per tal via che s’era infine arrivati alla fissazione del protocollo strumentale di una vera e propria logica serviens del giurista impegnato nella pratica, la quale ponesse in tal modo a disposizione dell’operatore giuridico una serie di risorse interpretative e testuali agili e versatili, naturalmente destinate – per loro vocazione genetica – a sviluppare nella prassi del diritto una serie tendenzialmente inesauribile d’opportunità interpretative e di tecniche risolutive dei casi perplessi e delle questioni giuridiche irrisolte.

La prassi mnemotecnica, l’attitudine a stilare dictionaria, summaria e breviationes a margine del textus, la stessa redazione di arbores rientravano in questo campo di elaborazione strumentale, in cui l’attività di produzione testuale procedeva di pari passo con la maturazione di una consapevole cultura professionale, fondata a sua volta sulla consapevolezza che le risorse dialettiche a disposizione del giurista non erano tanto un fine astratto, quanto un mezzo concreto o, come diceva assai recisamente Luca da Penne, che “scientia … logicalis non est scientia, sed quidam modus sciendi”[9].

E, forse, una simile posizione era anche la proiezione di una polemica sulla dialettica, a suo tempo accesasi già nelle pagine di Francesco Petrarca[10] e poi concretatasi – come hanno già insegnato gli studi di Vasoli e di Kristeller[11] – nel tentativo di contrastare il rapido e fortunato diffondersi della logica modernorum, per affermare invece – come ha notato ancóra Kristeller[12] – l’“importanza unica delle questioni morali”, rispetto alle dispute delle diatribe scolastiche ed agli impulsi di governo volontaristico della prassi che dietro di esse parevano celarsi.

Ma quelle, del resto, non erano nemmeno posizioni del tutto nuove ed inusitate nel linguaggio e nella tradizione dei giuristi, che già avevano peraltro raccolto sui testi canonistici l’eco di una polemica antidialettica che traeva origine soprattutto dai secchi e perentori modi di alcuni luoghi di S. Girolamo, passati poi nel Decretum Gratiani[13], per cui – come recita proprio un commento gerolimiano alle epistole paoline[14] – “… videtur … in vanitate sensus et obscuritate mentis ingredi, qui diebus ac noctibus in dialectica arte torquetur” : pare involversi in un oscuro itinerario privo di senso e di risultato, chi si rigira giorno e notte nelle pieghe dell’arte dialettica.

In tal modo, in àmbito specialmente ecclesiastico, s’era consolidata assai per tempo – a partire almeno da alcuni espliciti detti ambrosiani[15] – una presa di posizione decisamente contraria all’uso esclusivamente sofistico, fine a sé stesso e, soprattutto, privo d’obbiettiva utilità pratica e sostanzialmente manipolatorio, delle tecniche di ragionamento di natura dialettica.

La scelta dell’interprete si giocava invece a favore di una tecnica d’elaborazione del pensiero e della sua conseguente comunicazione che fosse meno infida e sfuggente, e si rendesse anzi alla portata di tutti e da tutti fosse, di conseguenza, normalmente percepibile e comprensibile.

Come appunto diceva Sant’Ambrogio, “non creditur philosophis, creditur piscatoribus, non creditur dialecticis, creditur publicanis”.

La regola di questo particolare indirizzo retorico fu dunque quella del dire evangelico : “sia il vostro parlare ‘sì sì, no no’[16] : “sit autem sermo vester ‘est est, non non’ ; quod autem his abundantius est, a malo est”. Ciò che è detto in più appartiene solo al male, e tertium non datur tra i due poli alternativi e contraddittorî dell’antinomia dialettica.

Chi voglia predicare, convincere, ammaestrare od anche soltanto risolvere i normali problemi relativi alla vita di tutti e di tutti i giorni, dunque, deve necessariamente farlo praticando un “sermo piscatorius”[17], vale a dire utilizzando un linguaggio ed una razionalità che siano parimenti di tutti : l’idioma semplice e piano dei pescatori e dei pubblicani, non già quello sofistico, contorto, illusorio e seducente dei dialettici e dei filosofi.

Come già indicarono alcune osservazioni di Norbert Horn[18], Baldo ha dimostrato partecipe attenzione per simili fonti e precetti della retorica e della tradizione ecclesiastica, e per le possibili implicazioni d’esse in senso etico e antidialettico : ed è proprio il Baldo feudista, poi, a rilanciare dalle pagine della sua Lectura il tema della “simplicitas canonistarum”, sempre attenta a non curarsi eccessivamente di sottigliezze argmentative[19].

In questo momento, tuttavia, interessano preliminarmente ed in particolar modo le osservazioni enunciate da Baldo nelle occasioni proemiali dei propri scritti, anch’esse fortemente espressive di una sensibilità indirizzata a riscoprire e fondare un circuito razionale e ordinativo entro i canali della normale percezione pratica : come, ad esempio, in apertura della Lectura primae ff veteris, pubblicata verisimilmente quasi a ridosso della divulgazione della Lectura feudorum[20], quando Baldo stesso non a caso cita (ritenendolo naturalmente autentico) un testo pseudo-ambrosiano[21], per esporre in tal modo il concetto di ordo, in virtù del quale “scire quid facias et nescire quo ordine, teste Ambrosio, non est perfectae cognitionis”.

Il porsi un intento pratico, senza coordinare ad esso intellettivamente una circostanziata ed articolata regola d’intervento – un ordine, in una parola – “non est perfectae cognitionis”, è operazione incapace di pervenire ad una conoscenza piena (causale) della realtà.

Una scienza che sia “disordinata”, che non sia capace, cioè, di portare una logica organizzazione razionale nelle sensazioni scoordinate della prassi, non è dunque scienza.

In tal sede, Baldo ha quindi giustificato il principio metodico dell’ordo, ed ha con ciò formulato una regola stilistica della semplicità espressiva, per connettervi infine un complesso e raffinato canone retorico : prima che egli arrivi all’elaborazione di un prodotto scientifico – sostiene infatti Baldo –, è bene che l’interprete fissi preliminarmente in qual modo (modus) e per qual via e sistema (ordo) i prodotti della sua percezione intellettuale (le res intellectae) possano educare senza pena e costrizione gli animi, nutrirne le menti, illuminarne i sensi, renderne l’attitudine memorativa più chiara ed efficiente[22].

Giacché l’ordine (ordo) non è nient’altro che un regolato e consapevole passaggio dai modus essendi percepiti nella realtà ai modus intelligendi organizzati nella mente umana : “Ordo nam est modus entium ; unde memorialis cedula ex ordine, vel ex spiritu colligato efficacior redditur, et nexum quodam favente difficile solvitur”[23].

L’ordine, insomma, è un modo di essere delle cose, per cui la loro capacità di ricordo e di apprendimento esce potenziata dalla congiunta efficacia della percezione fisica delle cose stesse come sono e dalla loro successiva assunzione nel campo ordinativo dell’intelletto e dello spirito umano[24].

Tali premesse trovato un riscontro puntuale nella più tarda Lectura feudistica di Baldo : la quale in tal modo si presenta, nei suoi Praeludia, come una descrizione dei dati della prassi feudale, ove l’autore espressamente passa dalle obsolete definitiones etimologiche e retoriche del feudum, ad una individuazione dei contenuti del vincolo feudale, ottenuta attraverso una descriptio per ordinem ed una connessa sistemazione categorica della materia feudale stessa[25].

4.                                                   Il Baldo canonista dentro il Baldo feudista

Penso non si possa capire il Baldo feudista, se preliminarmente non si visiti anche la cultura piuttosto retorica che filosofica del Baldo di formazione canonistica[26], ed un’indicazione convincente in tal senso può già trarsi dall’analisi della cifra espressiva intessuta dall’autore appunto in questo proemio alla Lectura feudorum, oltre che dalla frequenza folta e qualificata di citazioni dottrinali canonistiche, che innerva costantemente la trama argomentativa del testo della Lectura stessa, che a quel proemio poi segue[27].

Ora non si vuole esaltare oltre misura il ruolo che possono giocare simili peregrinazioni retoriche e scritturali di Baldo[28], ma è senza dubbio innegabile che esse – se adeguatamente tarate e collocate entro il commento ad un testo appartenente essenzialmente al mondo della prassi forense come i Libri feudorum – restano comunque disponibili all’interprete come l’indizio convincente dell’esistenza in quel sistema di elaborazione testuale di alcune preliminari, consapevoli acquisizioni di principio.

Baldo, operando su tali registri, trova, infatti, il modo di trasmettere pochi ma significativi messaggi : dentro il tumulto della prassi sono dissimulati i percorsi intellettuali di un tracciato divino che l’uomo deve scoprire e palesare, non solo ai fini del suo perfezionamento individuale e spirituale, ma anche per la ricostruzione di un comune profilo d’utilità sociale[29] : “ad communem vivendi usum”, come dice espressamente Baldo stesso, introducendo un valore ed una formula lessicale di cui sarà opportuno ricordarsi anche nel successivo sviluppo di questa esposizione : “communis vivendi usus”.

Per cui un simile dono divino – l’intelletto – non risulta esser stato dato all’uomo esclusivamente “ad animae perfectionem”, ma anche perché, nell’applicazione d’esso all’esperienza pratica, n’esca delineata nella riflessione giuridica una comune linea di pensiero, la quale sia a sua volta suscettibile di contribuire utilmente al benessere della vita sociale ; che è, poi, essenzialmente communio, come dice ancóra Baldo[30].

L’anziano maestro, dopo quasi cinquant’anni d’insegnamento, assume ora un tono autobiografico e riflessivo, ed enuncia un proprio personale e partecipato credo scientifico.

Egli, infatti, pare quasi in tal caso prendere le distanze da un’osservanza stretta e rigorosa del modello tradizionale dell’auctoritas scolastica e del suo ordo brocardico[31], e decidersi, invece, per una scelta diversa, d’intonazione appunto intellettualistica, la cui linea di sviluppo si colloca elettivamente dentro il grande e cangiante quadro dell’esperienza pratica[32] : la conoscenza scientifica deve nascere dall’esperienza pratica – intendo, naturalmente, la pratica quotidiana forense –, che è un tesoro d’utilità sociale che non deve essere tenuto inutilmente nascosto, ma deve porsi a disposizione di tutti nel normale commercio della riflessione giuridica, al pari di ogni altra risorsa naturale[33].

Nell’esordio della sua lectura Feudorum, Baldo lo dice d'altronde espressamente : egli preferisce essere costantemente corretto e smentito dall’esperienza, che imporsi come un cattivo maestro, che sia fonte autoritativa d’esempi e d’ammaestramenti condannabili o sbagliati. Ed egli nemmeno arrossisce a riconoscere ed ammettere la propria personale limitatezza, e a dichiararsi di conseguenza disposto ad imparare quotidianamente sempre qualcosa di nuovo (“… non erubesco quotidie aliquid discere …”) ; Baldo si dichiara anzi addirittura – come dice testualmente – “famelico” di apprendimento, e non si vergogna di rimasticare le briciole di scienza, che gli capita di cogliere al volo, quando esse cadono dalla bocca dei sapienti (“…famelicus fio, micas de ore sapientum cadentes rumino…”)[34].

Non è la cattedra degli insegnamenti scolastici – parrebbe quasi sostenere in sostanza Baldo –, quella che dirige le azioni degli uomini “ad mundi gubernationem et Dei laudem”, bensì un “disputativum et reprehensivum certamen”[35] tra i dotti ed i prudentes.

E proprio quest’ultima locuzione (“disputativum et reprehensivum certamen”) ci trasmette un segnale forse sbiadito, ma anche eloquente quanto basta, che meriterà poi senz’altro di essere approfondito, giacché essa – ad un primo controllo delle fonti – trova esclusivo riscontro nel lessico non già dei giuristi, ma di un filosofo certamente singolare ed inquietante come Ramón Llull : il "Doctor Illuminatus" guarda caso – filosofo, poeta e teologo, morto a Tunisi il 29 giugno 1315 – il quale già aveva parlato, prima nella sua Ars generalis ultima[36] (1305-8), poi nella sua Ars brevis[37] (1308), di un “intellectus” che, appunto, “facit se disputativum et determinativum”.

Non intendo certamente, in questa sede, coltivare indimostrabili anche se assolutamente non improbabili peregrinazioni extragiuridiche delle letture di Baldo[38]. Desidero soltanto rendere conto della presenza, in queste pagine proe­miali, di un tema retorico che è anche, però, la proiezione di un problema pratico : quello, cioè, dell’indirizzamento attraverso l’intelletto dei passi (i gradus) del giurista nell’indefinito ed oscuro tumultuare della prassi[39].

5.                                                   Un’istanza razionalizzatrice nelle tecniche di compilazione testuale d’àmbito professionale

Ed è forse necessario – per meglio intendere la natura della lectura feudohnrum Baldi e percepirne più distintamente questa connotazione al tempo stesso intellettualistica e pratica – compiere ora qualche ulteriore considerazione sulla vicenda genetica della lectura stessa, e sull’ambiente scrittorio con cui essa viene in parte a configgere, in parte ad allinearsi.

È, infatti, abbastanza evidente che, al momento in cui Baldo intraprende la stesura della sua opera feudistica, egli deve necessariamente fare i propri conti con un preciso modello di elaborazione testuale che gli è proposto dalla tradizione delle scuole : vale a dire, quello della ‘forma margarita’.

Si tratta, per la verità, di un modello ben antico e da tempo consolidato nella prassi, di cui il giurista perugino è stato anche consapevole interprete ed elaboratore, dal momento che egli stesso fu tra l’altro autore per suo conto appunto di una Margarita ai commenti di Innocenzo IV sul Liber Extra[40], e che la ‘forma margarita’ è d'altronde altrettanto ben nota al giro degli scrittori e dei lettori di testi di pratica : sotto tal denominazione, infatti, come ho avuto modo di esporre altrove con esteso dettaglio di ragguagli bibliografici[41], si incontrano sovente nel tempo molti scritti, sia in materia di teologia e di devozione, , sia di filosofia e medicina, , sia naturalmente in materia di diritto, come poi anche veri e propri componimenti di aneddotica letteraria o, comunque, di cultura grammaticale o retorico-poetica, ed infine anche scritti della prassi cancelleresca – tutti indifferentemente contrassegnati dalla denominazione di margarita, appósta nel corpo del titolo, e variamente integrata a sua volta da indicazioni concorrenti e aggiuntive in ordine al contenuto del testo ed al riferimento disciplinare della margarita medesima.

In àmbito giuridico, in particolare, una delle prime compilazioni che rechi autonomamente ed in maniera significativa una simile intitolazione è proprio un’opera di feudistica : la Margarita feudorum di Dullio Gambarini, uno scritto ancor’oggi inedito, di probabile età ed ambiente angioini[42].

Senza entrare ulteriormente nel campo sfuggente di una migliore precisazione dei contorni formali e strutturali di questa particolare tipologia scrittoria, ci si potrà limitare oggi a dire che la margarita stessa, soprattutto in campo giuridico, è un Nebentext[43] : vale a dire un testo collaterale, un sistema di scrittura abbreviata[44], che l’autore redige sintetizzando il meglio (appunto le perle, le margaritae) di un particolare testo autoritativo, per consentirne contemporaneamente un impiego più agile e veloce in campo pratico o anche soltanto didattico[45].

Sintetizzando ulteriormente, direi, insomma, che una margarita è una collectio notabilium vel quaestionum, costruita sull’intelaiatura offerta dalle partizioni organizzative di uno specifico testo autoritativo di riferimento, di cui essa si propone come un sistema di lettura abbreviata.

6.                                                   Verso un impianto categorico, per una nuova razionalità ordinativa della prassi. La Baldi Lectura feudorum come Nachtext (Expositio). Il dato bibliografico immanente alla Lectura.

Poste queste premesse di ambientazione culturale e scrittoria, è forse arrivato ora il momento di gettare uno sguardo dentro la Baldi Lectura feudorum, per cercare di azzardare qualche ipotesi sulle modalità della sua composizione[46].

Infatti, proseguendo sul filo delle osservazioni sin qui svolte, si potrebbe anche essere tentati di pensare che Baldo, per compilare la sua Lectura feudorum, abbia a suo tempo seguìto un protocollo operativo analogo a quello che avrebbe altrimenti ispirato la produzione di una margarita ; che egli abbia, cioè, conseguentemente incastonato sulla griglia strutturale delle partizioni dei Libri feudorum i prodotti della propria selezione critica : notabilia, quaestiones, puncta – le numerose micae che gli erano rimaste come residuo corposo di una sua famelica, assidua ed onnivora incursione sul desco della pratica e della scienza feudistica.

In realtà, se le tracce di un simile accumulo bibliografico sono ben visibili ed evidenti nel testo della Lectura, ciò che invece pare venir meno è proprio l’applicazione consapevole della forma margarita nella costruzione del testo baldesco.

Vediamo quindi di individuare finalmente i contorni del dato bibliografico immanente alla Lectura feudorum[47], al fine anche di illustrarne il complessivo dettaglio costruttivo di struttura.

Come ben sappiamo, Baldo aveva accumulato micae, briciole e frammenti di lettura di gusti e varietà ben diverse e ricche : c’erano la memoria dei punti trattati dagli avvocati nella prassi del fòro[48], come pure i documenti dello stile seguìto dalla Romana curia[49] ; c’erano, in particolare, i molti casi affrontati da un illustre – ed ancóra poco studiato e men noto[50] – feudista come Pietro de’ Cerniti, giurista bolognese, lector dei Libri feudorum[51], assai attento ed attivo anche nella recensione e formulazione di quaestiones di diritto feudale[52], che Baldo cita nella sua Lectura feudorum oltre una settantina di volte[53], su svariatissimi casus prevalentemente pratici, relativi ora al feudum guardiae[54], ora alle varie forme di titolarità reale d’àmbito o colorito feudale[55], ora a punti di diritto processuale feudale[56].

È poi ampia e ricca la messe possibile, all’interno della Lectura feudorum, di allegazioni di letteratura giuridica d’àmbito civilistico : ove Baldo documenta di aver eseguito in tal sede una ricognizione assai estesa sia della più raffinata riflessione dottorale, sia dei luoghi forse più dimessi e meno prestigiosi, ma certamente assai significativi, della riflessione pratica e forense[57].

Si va, dunque, da Pillio da Medicina[58], a Bulgaro[59], ad Azzone[60], al problematico[61] Iacopo Colombi[62], all’oscuro Guglielmo[63] (già segnalato dal Laspeyres[64]) ; a “Simon vicentinus[65], … antiquus[66] doctor in materia feudorum nominatus”[67], ed al suo “liber Simonis” ; al “liber domini Jacobi Aurelianensis”[68], a Roffredo Beneventano[69], a Iacopo d’Ardizzone[70], ad Accursio[71], a Odofredo[72] ; ad un nucleo considerevole di autori pisani – la cui presenza è forse da ricollegarsi in qualche modo al pur breve soggiorno pisano di Baldo[73] – come Giovanni Faseolo o Fazioli[74], Francesco Tigrini[75] e Andrea Zaffi[76] ; poi anche a Jean de Blanot[77], a Jacques de Revigny[78], a Iacopo d’Arena[79], a Dino del Mugello[80], a Niccolò Furioso[81], a Niccolò de’ Mattarelli[82], ad Andrea d’Isernia[83] ; infine anche ad un oscuro “Carolus” feudista[84], ed al padovano Riccardo Malombra[85], a Guillaume de Cunh[86], a Iacopo Belvisi – che è, comunque, l’autore cui Baldo paga il maggior tributo di allegazioni[87] –, al marsigliese Jean Blanc[88], a Oldrado da Ponte[89], a Pierre Belleperche[90], a Cino da Pistoia[91], a Iacopo Bottrigari[92], a Ranieri Arsendi da Forlì[93], naturalmente al magister che su Baldo esercitò un’influenza determinante[94], cioè a Bartolo da Sassoferrato[95].

Ma non si tratta di una ricognizione fatta da Baldo nell’osservanza di un rigoroso ossequio scolastico. Giacché, proprio parlando del modo brocardico di procedere seguìto in particolare da taluno dei suoi più antichi predecessori, Baldo si lascia andare ad un giudizio che tradisce nel contempo la sua alta considerazione, ma anche il suo senso di distanza da simili precedenti dottorali : “Iacobus de Belviso et Petrus de Cernitis, qui tanquam Doctores boni antiqui multum delectantur in brocardis, quorum a principio fuit auctor dominus Pylius de Medicina in suo libello disputatorio”[96].

Il metodo brocardico, insomma, parrebbe in tal modo proporsi agli occhi di Baldo come un oggetto dottrinale privo di attualità e privo, soprattutto, di un’obbiettiva ed immediata utilità pratica, piuttosto motivo di cólto diletto dottorale, che strumento e fonte di stretta funzionalità logica e, quindi, anche giuridica[97].

Purtuttavia, nonostante questo malcelato senso di sufficiente distacco, è evidente il debito largo e circostanziato della Lectura Baldi nei confronti della feudistica a lui precedente, soprattutto per l’impianto questionativo[98] che in alcuni casi pare costituirne il tratto metodico saliente, e ne fa coincidere il retaggio più significativo con una serie di quaestiones che Baldo stesso riferisce puntualmente, e che si erano formate nel tempo, per opera d’alcuni giuristi vicini al mondo della pratica, su alcuni dei momenti più tipici della vicenda forense del rapporto feudale[99].

Ma la tessitura della lectura non si chiude all’interno di un ristretto campo disciplinare, nell’orto conchiuso di un’asfittica continuità scolastica della sola tradizione civilistica. Infatti, accanto alle allegazioni feudistiche e civilistiche, Baldo pone anche nella sua opera i prodotti di un raccolto ben più vasto, e forse ancóra più significativo, ove s’incontrano pure i luoghi, le autorità ed i punti normativi sulla disciplina feudale ed il sistema delle titolarità reali fissati dalla dottrina del Diritto Canonico e dalle Decretali pontificie[100] : Goffredo da Trani[101], Innocenzo IV[102], Bernardo da Parma, glossatore del Liber Extra[103], Enrico Bartolomei da Susa (il Cardinale Ostiense)[104], Raimondo da Peñafort[105], il poco noto Joannes de Monte Murlo – autore di quaestiones che avrebbero raccolto molte citazioni nella successiva dottrina[106] –, Guillaume Durand[107], Guido da Baysio[108], Jean le Moine[109], Giovanni d’Andrea[110] ed il suo allievo Paolo de’ Liazari[111], il senese Federigo Petrucci[112] – che di Baldo era stato maestro per il Diritto Canonico[113] –, sono le bocche donde caddero le micae di riflessione canonistica in tal caso raccolte da Baldo per confezionare la sua lectura.

Ed i nodi di cui s’intesse una simile orditura, e su cui s’organizza il filo espositivo baldesco, appartengono – come sin qui s’è visto – ad un campo che è essenzialmente pratico : sono quaestiones, puncta ed opinioni dei doctores, cioè argomenti che furono a suo tempo trattati nella scuola con occhio rivolto alle esigenze soprattutto dell’addestramento pratico[114], ovvero casi senz’altro autentici dell’esperienza professionale, che vengono riferiti in questa sede perché a suo tempo vissuti da Baldo in prima persona[115], o perché da lui raccolti dalla bocca dei colleghi[116], o nell’eco delle scuole[117] e dei diversi fòri[118].

La lectura, insomma, corre – pur con qualche evidente, sprezzante supponenza accademica[119] – lungo una linea di “accostamento scientifico al foro” che già s’era inaugurata per tempo[120], ed ora spinge Baldo ad una nuova ricognizione dell’intera disciplina feudale ed a lasciar spazio a tutta una casistica di minuta Juristerei feudale.

La dottrina si piega sui casi della pratica e su quelli anzi si foggia, per dar luogo infine ad un nuovo ordo della stessa prassi feudale, cioè all’acquisizione d’uno specifico percorso razionale e critico[121], che renda conto delle ambiguità che la scuola ha dimostrato in materia, e consenta al doctor di tracciare con i suoi gradus un percorso razionale nel campo altrimenti incerto ed oscuro dell’esperienza  forense.

E forse, a questo punto, si può anche uscire di metafora e sciogliere una volta per tutte l’allusiva simbologia retorica fin qui suscitata dalle parole di Baldo.

Giacché, quelle che egli chia­ma micae, noi oggi le potremmo chiamare ancóra più semplicemente soltanto schede, e l’intera lectura, in realtà, potrebbe allora apparirci soltanto come lo schedario di spunti argomentativi e defensionali – abbondante, caotico, contraddittorîo e vario al tempo stesso come tutti gli schedari –, che un avvocato celebre e ricco d’esperienza e di sportule come Baldo degli Ubaldi ha accumulato nel tempo, raccogliendolo e ordinandolo, per comodità d’uso professionale e d’impiego didattico, secondo l’organizzazione strutturale dei Libri feudorum stessi[122].

E, del resto, anche le agguerritissime indagini filologiche di Vincenzo Colli – quando individuano il fenomeno di una redazione “ampliata della Lectura, … [consistente] in un accrescimento del testo con l’introduzione di un coacervo di additiones[123] –, forse, delineano il contorno di un’attività scrittoria[124] deliberatamente indirizzata in tal senso[125].

Quella che si redige a margine dei Libri feudorum da parte del giurista perugino, allora, è una scrittura di tipo nuovo, ben lontana dalla logica strutturale dei vecchi repertori del tradizionale strumentario giuridico, e Baldo stesso ci fa anche capire con il suo proemio alla Lectura feudorum di avere in realtà alterato deliberatamente e consapevolmente le regole del gioco rispetto a quelle normalmente osservate dai compilatori di una vecchia margarita[126].

A differenza del modello fornito da simile forma, infatti, la Baldi Lectura feudorum applica un canone strutturale che poggia non già sul fondamento meramente testuale della selezione di notabilia e perle (margaritae) all’interno di un textus di riferimento, ma si fonda su una regola di categorizzazione dei dati dell’esperienza empirica[127], di cui fanno parte integrante sia i dati testuali, sia i prodotti della dottrina, sia i distillati della prassi forense.

Baldo pare dirlo piuttosto lucidamente, pur all’interno di una cifra serrata e allusiva : egli ha proceduto a ordinare entro le strutture dei Libri feudorum le res intellectae da lui raccolte nel campo della riflessione e dell’esperienza feudistica : i prodotti, insomma, dell’elaborazione intellettuale della sua percezione di giurista della pratica.

Ecco la differenza, infine : se la ‘forma margarita’ fu un Nebentext, la lectura che Baldo ora scrive è piuttosto un Nachtext : un “testo successivo” che da lui si costruisce inserendo, sull’ossatura dei Libri feudorum, i prodotti storici e successivi nel tempo sia delle sue investigazioni testuali, sia delle sue esperienze nel campo della pratica forense.

Nella prassi apparentemente oscura e confusa dell’esperienza empirica esistono, infatti, dei gradus, dei percorsi che il giurista può individuare e compiere sulla base di una sua specifica e naturale attitudine intellettuale : Baldo, addirittura, trattando de controversia investiturae[128], si spinge a formulare una prima sistemazione espositiva dei diversi gradus investigationis, in una determinazione dei modi di accertamento della percezione empirica che, se trova sistemazione entro un campo essenzialmente giudiziale di valutazione probatoria dei deposti testimoniali, nondimeno perviene tuttavia ad accennare e legittimare una prima definizione teorica dei rapporti che passano tra l’esperienza empirica (investigatio) e la sua percezione intellettuale (intellectus animi iudicantium)[129].

La lectura Baldi è dunque, in realtà, come dice Baldo stesso, soltanto e nulla più che una expositio – tale è appunto il modello ch’egli invoca in sede proemiale per la propria opera –, ch’egli consapevolmente costruisce “notabilia colligendo et opponendo”[130] e presenta al lettore in quanto tale, senza tema d’esserne deriso per la sua apparente grossolanità, giacché si tratta, in realtà, del prodotto di una sua congiunta opera di percezione empirica e di sistemazione intellettuale[131].

Essa si palesa, insomma, come una rielaborazione – e, anche, in definitiva come un vero e proprio, deliberato superamento – in chiave “intellettualistica”[132] del modello retorico della margarita : a comporre ed organizzare la struttura del testo entrano ora quelle che – con Under­statement indubbiamente assai significativo – Baldo definisce non più perle (margaritae), ma soltanto quotidiane e dimesse “briciole”, cioè frammenti di lettura e d’esperienza pratica.

Il sermo baldesco trova in tale metafora il senso di una legittimazione fondata sullo spazio dell’usus communis, vale a dire – secondo il significato di tale formula, che Baldo media forse dalla tradizione degli autori più vicini al mondo della pratica professionale e consulenziale[133] – all’interno dell’ordo spontaneamente generato dal sistema delle relazioni sociali e linguistiche che intercorrono tra gli uomini.

Anche su questo punto, d'altronde, Baldo è abbastanza esplicito nel legare la propria Lectura feudorum non già ad una mèra operazione scolastica di sistemazione teorica e d’enunciazione autoritativa di brocarda di derivazione magi strale, ma ad una vera e propria ricognizione dei dati dell’esperienza.

A prima vista, i Libri feudorum gli si propongono, infatti, soltanto come un oggetto disordinato in senso proprio : “in libro isto non est debitus ordo compositionis”[134], confessa, infatti, Baldo disarmato[135].

Il che, in definitiva, pare un modo diverso per dire che i Libri feudorum sono una composizione scritta al di fuori dell’ordo compositivo scolastico : una sorta di tessuto scrittorio extracanonico, generatosi nell’àmbito apparentemente soltanto confuso della prassi.

Agli occhi di Baldo, nondimeno, i Libri feudorum sono comunque uno strumento di regolazione giuridica che si palesa per certo essere al tempo stesso effettivo ed efficace.

Effettivo, perché è appunto un dato di fatto la constatazione che – come dice Baldo stesso[136] – i Libri feudorum, pur non essendo costituiti da una consuetudine di natura territoriale, vengono nonostante ciò normalmente osservati ed applicati per la loro evidente, comune utilità[137].

Ed è, insomma, innegabile ed evidente la loro vigenza nella pratica, che ne costituisce anzi il modus essendi più evidente e ne legittima di fatto, nel campo della comune esperienza e di fronte alla capacità intellettiva dell’interprete, la complessiva validità e legittimità.

I Libri feudorum, in tal modo, sono anche efficaci, perché suona in essi ed attorno ad essi la voce dei Magistri feudorum, che ne parlano costantemente come di un’incontrovertibile realtà di fatto, la quale non abbisogna di per sé di alcuna argomentazione legittimativa, dal momento che – secondo le parole della lectura Baldi – quei dicta sono, appunto, un fatto, e, come è noto, “facta non praesumuntur”[138]. I fatti “ci sono” e basta.

Dunque, i Magistri feudorum “loquuntur ut tex­tum facientes et legem ponentes”[139] : parlano come se facessero testo e come se emanassero veramente disposizioni fornite di un concreto potere precettivo.

Ed il metodo seguito da Baldo è dunque quello di costruire la trama di un tessuto di legittimazione dei Libri feudorum con l’orditura argomentativa a lui a tal fine fornita dagli stessi dicta dottorali.

La via è quella dell’assunzione della serie dei dati di fatto (le micae sapientiae) in ordo, quindi in sistema, poiché “minime sunt mutanda quae interpretationem certam semper habuerunt”[140] ; e, del resto, “quod iste liber [feudorum] sit authenticus, solemnis et servandus, probatur, quia multi glossatorum vertices istum librum glossaverunt et super eo fecerunt utilissimas summas”[141]. Dunque, l’attività di commento scolastico e d’applicazione pratica di un textus particolare ne prova anche, di fatto, la sua validità ed efficacia.

È allora evidente che, in tal maniera, il fondamento di validità dello spazio d’esperienza feudale – e dei Libri feudorum stessi – si salda geneticamente al Diritto Comune in quanto sistema[142].

E, se l’assetto organizzativo è fornito in tal modo dall’ossatura dei Libri feudorum, il tessuto argomentativo è dato invece dal certamen disputativum interno alla prassi e alla dottrina feudistica, come dice Baldo stesso con una formula forse d’assonanza lulliana : ove per un verso gli schemi dialettici[143], per l’altro le allegazioni civilistiche e canonistiche mirano a ricongiungere i fatti raccolti ed osservati nel campo della prassi feudale entro quel sistema di categorie interpretative che si rendono congiuntamente disponibili in utroque iure.

7.                                                   Principî di categorizzazione giuridica : l’esempio della Gewere

Vorrei avviarmi alla conclusione, tentando di offrire alla discussione comune un saggio di come si compia nella Baldi Lectura feudorum una simile opera di riduzione a sistema del campo complessivo d’esperienza del Diritto Comune.

E vorrei farlo cercando di capire come Baldo renda conto al lettore – nel linguaggio giuridico proprio del Diritto Comune – di un ente che fu tipico al tempo stesso del campo d’esperienza feudale, e della tradizione anche antropologica del diritto germanico : intendo parlare della Gewere[144].

I Libri feudorum ne avevano affrontato la trattazione in termini quasi esclusivamente linguistici, stabilendo un’equazione tra vestitura e possessio, che era in realtà una forzatura linguistica e, vista nell’ottica romanistica, soprattutto una forzatura giuridica : “inv[145]estitura quidam proprie dicitur possessio”, recitò in tal sede in maniera abbastanza ermetica e sibillina il testo della compilazione feudale[146].

Il glossatore, poi, abbandonò l’approccio esclusivamente lessicale e linguistico e nemmeno fece più parola della Gewere o del suo equivalente romanzo, individuato dal termine vestitura, lemmi ambedue che, ad un certo punto, sembrarono addirittura scomparire definitivamente dalla dotazione testuale dello strumentario del giurista. Ma il fantasma della Gewere s’era in realtà solo occultato, e le pieghe della glossa accursiana continuarono ad offrire ampia copertura alla sua prolungata presenza nel campo dell’esperienza giuridica corrente.

Ne fa documento la glossa stessa, quando essa, parlando dell’essenza dell’alienazione in una lunga glossa stratificata formatasi nel tempo a margine della Rubrica de alienatione paterni feudi[147], inserisce molto puntualmente il concetto d’alienazione entro un complicato reticolo d’allegazioni romanistiche, ove l’evento alienatorio della res feudalis s’individua non già come prodotto da un meccanismo di traslazione di diritti soggettivi, bensì quale conseguenza di un’avvenuta alterazione del sistema di legittimazioni potestative instauratosi in ordine ad una specifica situazione reale. Sicché, agli occhi del glossatore, paiono poter avere efficacia alienatoria anche eventi che, a prima vista, a stretto rigore di Diritto Romano, non sono in realtà traslativi di dominio : come quando il feudo sia dato in pegno, ovvero sia costituito sopra di esso un usufrutto, o sia imposta su di esso una servitù.

Come opera Baldo sul punto? Ragionando a margine del titolo Quibus modis feudum amittatur[148], egli formula un’esposizione del concetto di alienatio di carattere essenzialmente terministico e categorico, mirata e scandita sul filo della proprietas verborum[149] : ove la valutazione della fattispecie pratica è fondata sulla gradazione[150] della sua più o meno precisa corrispondenza alle categorie concettuali del Diritto Comune[151].

A détta di Baldo, sono dunque quattro le speci alienative della res feudalis, tutte normalmente designate nell’uso corrente con il termine di alienatio, anche se tale uso si evidenzia e classifica poi come più o meno proprio alla luce del Diritto Romano. In tal modo, i prodotti della sua investigatio nella prassi giuridica e linguistica corrente – e le connesse, apparenti forzature interpretative del glossatore civilistico[152] – vengono da Baldo ricostruite e ricomposte entro uno schermo categorico di apparente ortodossia giuridica.

Il Diritto Comune, insomma, viene assunto come metro assoluto di proprietà linguistica e conseguentemente giustificato quale sistema categorico di riferimento, entro cui versare, vagliare ed interpretare i dati della prassi. Non è, beninteso, un sistema gerarchico di fonti, quello che in tal modo si instaura, bensì un sistema argomentativo, in cui le fonti stesse si offrono contemporaneamente all’interprete in libero gioco combinatorio quali – per dirla con Ennio Cortese[153] – “ordinamenti giuridici concentrici”.

Ove sia l’osservatore giuridico, sia il pratico, dislocati ogni volta su un segmento specifico e nuovo dell’esperienza empirica, individuano – con la propria attività interpretativa – un sempre differente e nuovo centro geometrico di tale complessa e variabile architettura argomentativa.

L’operazione, in Baldo, non è d'altronde isolata. Altrove, infatti, in questi stessi commentarî feudali[154] ed ancóra per analizzare il significato del termine alienatio, Baldo ricorre all’interpretazione analogica e sistematica del Diritto Comune. Così, egli può avvalersi della benignitas canonica, al fine di temperare la disposizione civilistica, e stabilire il principio equitativo che l’alienazione parziale del feudo ha efficacia pro quota e non coinvolge l’intera titolarità del feudo stesso nella sanzione ablativa comminata dalle costituzioni imperiali, appunto proibitive dell’alienazione feudale.

Baldo, in sostanza, accoglie integralmente entro il proprio campo d’interpretazione giuridica i dicta ed i nomina che sono in uso comune nella prassi corrente : ciò che gli uomini, anche impropriamente, dicono e chiamano alienatio continua ad essere da lui accettato e designato con tale termine ; egli, nondimeno, misura ed applica in sede interpretativa il grado di coesione e congruenza di tali usi della prassi con il sistema categorico a lui somministrato dal complesso delle fonti del Diritto Comune.

Al dato linguistico egli pone in simmetria l’ordo categorico ed il coordinamento dei due elementi è assicurato dall’interpretazione sistematica del giurista, che coinvolge a tal fine in un unico spazio argomentativo l’intero complesso delle fonti a lui disponibile : gli utraque iura, i doctores ed i loro dicta, il complesso della prassi linguistica, consuetudinaria e d’uso.

L’usus communis cui Baldo si riferisce nei Praeludia della sua Lectura feudorum, dunque, pare essere a sua volta un elemento strutturale centrale nella strategia interpretativa da lui in tal modo messa in atto.

Infatti, con tal locuzione si denota in primo luogo, come già si è visto[155], un comune profilo d’utilità sociale che s’individua da Baldo come causa finale[156] della sua stessa lectura, da lui espressamente destinata per essere efficace “ad communem vivendi usum”.

In secondo luogo, poi, l’espressione citata denota un moto complessivo dell’attenzione di Baldo per gli usi linguistici e per la loro assunzione di significato in campo giuridico[157]. Ancóra in tema di Gewere, sarà infatti interessante richiamare proprio su questo punto una apparentemente singolare definizione di titolarità reale che Baldo fornisce in altra sede, a margine del suo commento alla l. Possessiones[158] del Codice, quando egli individua la situazione di titolarità reale sulla base delle qualificazioni logico-formali determinate dagli usi linguistici : “Nihil aliud est dominium – dice allora Baldo – nisi praedicatio pronominis possessivi, id est ‘meum, et tuum et illius’ …”[159].

Anche in questo caso, una simile posizione baldesca può farsi risalire a qualche autorevole precedente di cultura retorica d’estrazione ecclesiastica[160], che fu poi ancóra una volta da Baldo utilizzato soprattutto con l’occhio rivolto alla prassi di valutazione giudiziale dei dicta dei deposti testimoniali[161].

8.                                                   “… istud opus debet legi in curiis regum…” : i nuovi approdi istituzionali di una scrittura dottorale con destinazione pratica

Vorrei, a questo punto, davvero concludere ed osservare come l’opzione di “intellettualismo pratico” occupi un posto centrale nello sviluppo della cultura e della forma mentis del Baldo feudista.

Da una parte, infatti, tale attitudine essenzialmente terministica si pone in relazione con l’abito di chi, appunto come Baldo, ha a che fare costantemente e normalmente con i dicta di vario tipo ed estrazione (dottorale, contrattuale[162], puramente linguistica), che a lui ogni giorno sottopone l’esperienza giuridica ; dall’altra parte, poi, una simile scelta culturale consente all’interprete ed al pratico di ridurre a sistema il variegato complesso di fonti a lui reso disponibile da quello stesso contesto d’esperienza giuridica.

Sicché l’approccio in primo luogo linguistico ed apparentemente empirico ai dicta dell’esperienza giuridica si traduce in Baldo nella fondazione in rebus ipsis et factis di un vero e proprio sistema argomentativo, ed il modus rerum entium diviene infine l’ordo di un itinerario interpretativo che il giurista può in tal modo intraprendere con il solo strumentario fornitogli dal proprio intelletto pratico nei campi altrimenti sterminati, insidiosi ed oscuri dell’esperienza della prassi.

E, giunto ormai al suo estremo, il discorso può infine perfezionarsi ulteriormente, e scendere una buona volta nello specifico, giacché la destinazione pratica della Lectura feudorum era d'altronde manifesta nelle parole stesse di Baldo, quand’egli affermava espressamente, parlando della sua scrittura, che “… istud opus debet legi in curiis regum…”[163] : che quell’opera doveva essere usata nel fòro[164].

A ben vedere, che la Lectura feudorum fosse indirizzata anche a svolgere un servizio specifico al banco degli affari quotidiani era adombrato dalla stessa sua dedicatoria proemiale, ove Baldo offriva l’opera quale munusculum a Giangaleazzo Visconti, signore di Milano e Conte di Virtù, con le parole di un linguaggio quasi cortigiano[165].

Possiamo infatti interpretare quell’omaggio un po’ deferente e dimesso come significativo del mutato quadro istituzionale e culturale, entro cui l’opera veniva a collocarsi – soprattutto della mutata destinazione d’uso cui essa si indirizzava.

Dietro il pubblico della Lectura feudorum, infatti, non c’era più soltanto il mondo corporativo dell’insegnamento medievale, né la Baldi Lectura feudorum s’indirizzava esclusivamente ad un selettivo uso di scuola: evidentemente, infatti, il pubblico cui Baldo si rivolgeva con la sua dedicatoria era piuttosto rappresentato dal Principe e dai suoi funzionari, cui quella scrittura si offriva ora anche quale Hilfstext per il quotidiano disbrigo delle pratiche feudali e del normale lavoro di Cancelleria.

Non è solo il proemio con la sua ossequiosa dedicatoria a lasciarlo supporre, ma la qualità stessa della massa dottrinale adibita poi nella costruzione della Lectura : l’ampio spazio conferito a testi canonistici o, comunque, a testi concepiti ed utilizzati nell’àmbito di vigenza dell’istituzione ecclesiastica[166], lascia ben comprendere come la sensibilità di Baldo fosse attenta all’esigenza di collocare e sistemare il complesso della prassi feudale nel campo di una realtà politica di tipo istituzionale e pre-statuale.

All’interno di situazioni politiche e militari simili a quelle governate da Giangalezzao Visconti, sta ora infatti nascendo un apparato di potere di tipo pubblico ed istituzionale, ed il sistema d’esperienza feudale deve trovare adesso una coerente collocazione nel nuovo quadro politico che a tal fine si va apparecchiando nella prassi.

Il tentativo, dunque, che Baldo – talvolta faticosamente – azzarda, quando cerca di ridurre a forma razionale e, in qualche modo, astrattamente categorica (“generale”)[167] l’intera materia feudale, è il prodotto d’una sensibilità acuta e raffinata, che scopre lentamente, sul palcoscenico della storia, nuove forme di esercizio del potere politico, più lontane di prima dalla concretezza del territorio e delle sue consuetudini[168], e vicine piuttosto al sistema di poteri, di comandi e di fedeltà che emana istituzionalmente ed astrattamente dalla persona del Principe e dalla compagine dei suoi funzionari e segretari[169].

Sicché quella dedica par quasi divenire infine, per il lettore moderno, una sigla interpretativa complessiva, e trasformarsi, quindi, nel segnale di un cambiamento radicale nel frattempo intervenuto : se prima, infatti, il pubblico di lettori del doctor s’individuava essenzialmente nella controparte corporativa immediata dello scrittore giuridico, al punto che – come nel caso delle margaritae[170] – egli poteva rivolgersi ai propri lettori come a dei socii, ora subentra invece la mediazione dell’istituzione politica : ed il giurisa scopre il linguaggio della sudditanza alle nuove formazioni statali che vanno ora sorgendo, per abbandonare invece, lentamente ma inesorabilmente, il lessico corporativo e repubblicano delle ormai declinanti societates comunali.

Mario Montorzi

montorzi@idr.unipi.it


Appendice: Una prima ricognizione del sistema allegatorio della Baldi Lectura feudorum

I dati quantitativi che seguono si riferiscono all’ampia recensione di allegazioni raccolta nel testo: si tratta, più che di una compiuta statistica, di una prima ricognizione esterna del sistema allegatorio della Lectura feudorum, utile soprattutto a individuare un saggio di tendenza della strategia argomentativa di Baldo ; in termini assoluti, la tabella è quindi espressione soltanto della soglia minima di attenzione riservata da Baldo stesso ai singoli autori ivi contemplati.

Non sono state considerate in tale rilevazione le allegazioni adespote della glossa civilistica e canonistica – che fossero prive cioè di alcuna individuazione onomastica del loro autore –, vuoi perché quantitativamente esorbitanti, vuoi soprattutto perché in sé non suscettibili di arricchire significativamente le nostre conoscenze sulla struttura argomentativa d'insieme della Lectura feudorum di Baldo ; il quale pone di fatto fuori del conto il complessivo dato glossatorio, quando egli dichiara di aver eletto, soprattutto in sede consulente, la glossa ordinaria come elemento complessivo e residuale di chiusura del sistema, conferendole valore decisivo nei casi perplessi o, comunque, privi di soluzione dottorale certa[171]. Mentre si sono comunque considerati nella recensione i luoghi in cui si menzionava espressamente il nome degli autori degli apparatus glossatorî (Azzone, Bulgaro, Accursio, Bernardo Bottoni da Parma, Niccolò Furioso).

Non si vuole poi certamente enfatizzare il carattere di simili rilevazioni[172], che mantengono, comunque sia, una nota insuperabile di provvisorietà, né intendono essere in alcun modo decisive o, peggio, definitive.

È tuttavia innegabile che esse – pur nell’inevitabile approssimazione e provvisorietà di una rilevazione condotta empiricamente sul testo di un’unica e pur tarda edizione a stampa della Baldi Lectura feudorum[173] – assumano un carattere fortemente indicativo delle complessive tendenze, affinità e propensioni dottrinali della strategia argomentativa di Baldo stesso.

È infine utile ribadire che, anche a compensazione di eventuali sviste di rilevazione, agli elementi quantitativi qui riportati si deve applicare il criterio per cui essi valgono soltanto come soglia quantitativa minima dei dati d’allegazione relativi ai singoli autori menzionati da Baldo (non minus quam …).


 




Autori allegati[174]

Numero delle allegazioni[175]

Valore percentuale

Iacopo Belvisi († 1335)

122

13,79

Pietro de’ Cerniti († 1338)[176]

73

8,25

Bartolo da Sassoferrato († 1357)

66

7,46

Cino da Pistoia († 1336)

63

7,12

Giovanni d’Andrea († 1348)

63

7,12

Innocenzo IV († 1254)

61

6,89

Accursio († 1263)

57

6,44

Dino del Mugello (floruit 1278-98)

52

5,88

Iacopo d’Arena († 1297)

27

3,05

Guillaume Durand († 1296)

27

3,05

Enrico Bartolomei da Susa, Cardinal hostiensis († 1271)

25

2,82

Jean le Moine († 1313)

25

2,82

Guido da Baysio († 1313)

25

2,82

Iacopo Colombi (floruit saec. Xiii).

23

2,6

Odofredo Denari († 1265)

23

2,6

Iacopo Bottrigari († 1348)

18

2,03

Iacopo d’Ardizzone (floruit 1213-50)

16

1,81

Oldrado da Ponte. († 1335)

13

1,47

Bernardo da Parma († 1263)

11

1,24

Andrea d’Isernia († 1316 ca.)

10

1,13

Giovanni Faseolo o Fazioli († 1286)

8

0,9

Guillaume de Cunh († 1335)

7

0,79

liber domini Jacobi Aurelianensis

7

0,79

Azzone. (floruit 1191-1220)

6

0,68

Jacques de Revigny († 1296)

6

0,68

Pierre de Belleperche († 1308)

6

0,68

Pillio da Medicina (floruit 1165-207)

5

0,56

Riccardo Malombra (1334)

5

0,56

Raimondo da Peñafort († 1275)

5

0,56

Liber Simonis vicentini († 1269)

4

0,45

Roffredo Beneventano. (floruit 1215-43)

4

0,45

Jean de Blanot (floruit 1256-87)

3

0,34

Andrea Zaffi da Pisa (floruit 1318-6)

2

0,23

Jean Blanc (floruit 1247)

2

0,23

Ranieri Arsendi da Forlì († 1358)

2

0,23

Guglielmo

2

0,23

Goffredo da Trani († 1245)

1

0,11

Carlo di Tocco (floruit 1207)

1

0,11

Giovanni di Monte Murlo (floruit 1291)[177]

1

0,11

Francesco Tigrini pisano (floruit saecc. Xiii-Xiv)

1

0,11

Andrea Zaffi

1

0,11

Bulgaro († 1166)

1

0,11

Federigo Petrucci (floruit 1321-43)

1

0,11

Niccolò de’ Mattarelli († 1310)

1

0,11

Niccolò Furioso. (floruit saec. Xii)

1

0,11

Paolo de’ Liazari († 1356)

1

0,11

Totale

884

99,85

 

 


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[1] Trasmetto per la stampa degli Atti il testo accresciuto e perfezionato della relazione da me letta in Perugia il 14 settembre 2000, con l’aggiunta di variazioni ed integrazioni bibliografiche, ispirate soprattutto da spunti e suggerimenti emersi allora nel corso del dibattito congressuale. Lavorando a questo scritto, ho anche fatto sovente ricorso ai pazienti, preziosi consigli di Ennio Cortese, che qui ricordo con la gratitudine di sempre. Sono inoltre debitore nei confronti dei Dott. Chiara Galligani, Lucia Giannelli ed Andrea Landi che – a più riprese e in diverse occasioni – mi hanno aiutato in controlli e verifiche su testi per me di difficoltosa accessibilità. Ricordo, altresì, che utilizzo per questo intervento l’edizione della Baldi Lectura feudorum uscita ap. Iuntas, Venetiis 1580. Per un’analisi dei mss. della Lectura, rimando infine alla prima, ricca recensione di 34 mss. contenuta in Cristina Danusso, Ricerche sulla ‘Lectura feudorum’ di Baldo degli Ubaldi, Milano 1991, 18-22 (“Università degli Studi di Milano. Facoltà di Giurisprudenza. Pubblicazioni dell’Istituto di Storia del Diritto Italiano”, 16) e, da ultimo, alle dotte rassegne di V. Colli, L’esemplare di dedica e la tradizione del testo della Lectura super usibus feudorum di Baldo degli Ubaldi, “Ius Commune”, 27 (2000), 69-119, 108 ss. in particolare, I manoscritti della Lectura super usibus feudorum (42 mss.). M.M.

[2] Parrebbe, in tal modo, ben difficile prendere in esame un’opera come la Baldi Lectura feudorum, senza cadere nel tranello dell’apparente congerie d’elementi confusi e disorganici : senza perdersi, conseguentemente, nell’intento, anacronistico quanto inutilmente dispersivo, di ricostruire per quell’opera i contorni complessivi di un’architettura concettuale (di pensiero e di scrittura) monografica ed unitaria, di cui, forse, mancarono all’origine gli stessi presupposti d’esistenza. Proprio con Baldo, poi, che altrove (ad esempio, nei suoi Consilia), avrebbe addirittura teorizzato il diritto del giurista impegnato nella pratica alla discontinuità di pensiero ed alla variatio opinionis! [Baldo degli Ubaldi, cons. 317, Factum, lib. I, sine nr. (ed. Venetiis 1491, Angelo e Jacopo de’ Britannici, fo. non nr. ma 130 rab ; L. Hain, Repertorium bibliographicum, Stuttgart-Paris, 1826-38 (in séguito = H) : H 2329 ; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, Roma 1943 ss. (in séguito = IGI) 9930 ; le edizioni più tarde, ad es. quella Venetiis 1575, rist. an. Torino 1970, recano il consilium come nr. 119 del lib. 3)]. Che Baldo non fosse “davvero un bonus doctor” a motivo della sua interessata volubilità consulenziale documenta anche il Tamassia [id., Baldo studiato nelle sue opere, in L’opera di Baldo, per cura dell’Università di Perugia nel V centenario della morte del grande giureconsulto (= Annali dell’Università di Perugia. Facoltà di Giurisprudenza, 10-11), Perugia 1901, 3-35, 7 e 26 e nt. 17 in particolare, ora anche in N. T., Scritti di storia giuridica pubblicati a cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, II, Padova 1967, 481-502, 486 in particolare]. Dell’incostanza ed inaffidabilità della scienza del diritto – disciplina a prima vista soltanto disordinata ed apparentemente incoercibile da ogni sforzo di controllo mnemonico e razionale – parlano d’altronde assai di frequente gli stessi autori giuridici, sovente imprecando addirittura contro una “maledicta scientia”, che apparentemente pone soltanto ad inutile cimento la memoria e – laddove la si volesse davvero metodicamente garantire – anche la stessa coerenza interpretativa del giurista (la colorita espressione è di Francesco Accolti, in l. Qui patri ff. de acquirenda ereditate, nr. 3 in princ., ed. Lugduni 1538, fo. 149 ra ; cfr. anche, su tutto, Mario Montorzi, Fides in rem publicam. Ambiguità e tecniche del Diritto Comune, Napoli 1984, 228 s.).

[3] È quindi chiaro come complessi e delicati problemi di sintesi e di comunicazione espositiva si annidino già nella determinazione onomastica del contenuto del testo. Tale operazione – che a prima vista sembra banale e puramente accessoria ed esornativa – occupa in realtà una posizione cruciale nel circuito della comunicazione letteraria, giacché si colloca all’incrocio dell’attività dell’autore – del cui lavoro di scrittura è conclusiva – e di quella del lettore – di cui costituisce invece l’occasione iniziale e motivante dell’approccio alla percezione e al consumo del testo stesso [su tali temi, mi si consenta ora un rinvio a Montorzi, Processi di ‘standardizzazione’ testuale : Margaritae, gemmae, tabulae. Un primo approccio di studio, già in Studi in onore di Piero Bellini, Messina-Soveria Mannelli 1999, II, 501-22, 508 ss. e 515 ss. in particolare (pre-print in rete, all’indirizzo : http ://www.idr.unipi.it/iura-communia/forma-marg.html), ora anche, con aggiornamenti di bibliografia, in “Rivista Internazionale di Diritto Comune”, XI (2000), 43-66, 51 ss. e 58 ss. in particolare)].

[4] È d’altronde già da tempo – fin dall’epoca almeno di un famoso saggio di Walter Benjamin (Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit : Drei Studien zur Kunstsoziologie, 18. Aufl., Frankfurt am Main : Suhrkamp, 1990, 29 in particolare) – che si è acquisita alla consapevolezza comune l’idea che il pubblico è parte determinante del dispositivo di trasmissione letteraria : che, quindi, “… der Lesende ist jederzeit bereit, ein Schreibender zu werden …”. In buona sostanza, i segmenti del testo i quali – appunto come il titolo o il proemio di un’opera – proprio al pubblico direttamente ed espressamente si indirizzano, sono anche, in effetti, momenti decisivi e qualificanti non solo del circuito di produzione letteraria in generale, ma anche del processo d’elaborazione testuale in particolare. Ed è per altro verso altrettanto significativa l’analoga convinzione diffusa trai giuristi, che furono fin da epoca assai antica ben solleciti dell’immagine esterna che l’opera letteraria avrebbe avuto presso il pubblico dei lettori e dedicarono perciò un’attenzione singolare alla redazione dei capitoli introduttivi dei vari loro scritti. In campo accademico, in particolare, l’uso delle intitolazioni proemiali fu così attentamente coltivato, da condurre talvolta gli autori giuridici – si pensi alla ben nota vicenda d’Azone e di Boncompagno da Signa – al punto di affidare ad un rètore di professione la compilazione delle parti proe­­­miali dei propri scritti. Vorrei rinviare al riguardo a Montorzi, Fides, cit., 127 ss.

[5] Ennio Cortese, a suo tempo, ha autorevolmente parlato dell’esistenza di questo distinto àmbito di produzione letteraria, come di una vera e propria scienza di giudici, che proviene dalla riflessione pratica e forense, e presenta – in concorrenza, ma non in alternativa con la ricerca dottorale – “un quadro di scrittori significativi che non sono docenti, o che lo sono ma si spogliano delle vesti accademiche, per parlare fuori della scuola” E. Cortese, Scienza di giudici e scienza di professori tra XII e XIII secolo, “Legge, giudici, giuristi” [Atti del Convegno tenuto a Cagliari nei giorni 18-21 maggio 1981], Milano 1982, 93-148, 110 in particolare, ora in : E. Cortese, Scritti, a cura di I. Birocchi e U. Petronio, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1999, I, 708 (Collectanea ; 10) ; vedi, oltre, anche a p. 37 e nt. 120.

[6] Come è noto, la versione latina dei salmi adottata dalla Chiesa occidentale è la cosiddetta Itala, riveduta da san Girolamo tra il 383 e il 384 e di nuovo nel 387-388 ; poiché questa versione fu usata particolarmente nella Gallia romana, fu detta anche “versione” o “salterio gallicano” e, data la sua grande diffusione, passò nella Vulgata e nel breviario d’uso clericale.

[7] Suona diverso il testo della versione della nuova versione latina del Pontificio Istituto Biblico promossa con MP del 1945 da Pio XII : Ps.31.8 “. doceam te et monstrabo tibi viam per quam ambules”.

[8] N. Horn, Philosophie in der Jurisprudenz der Kommentatoren : Baldus philosophus, “Ius Commune”, 1 (1967) 104-49, 106 e 113-4 in particolare.

[9] Luca da Penne, in l. Universos, C. De studiis liberalibus urbis Romae et Constantinopolitanae, in vb. G ravitatis, nr. 6, in fi., C. 11.19.1 (ed. Lugduni 1582, pag. 409 ; il corsivo è aggiunto).

[10] Penso in particolare ai forti toni delle invectivae del Petrarca, in cui il tema dell’ignorantia umana diveniva l’occasione di una complessiva presa di posizione antiscolastica [Francesco Petrarca, De sui ipsius et multorum ignorantia, ed. Ricci, in Id., Prose, a cura di G. Martellotti, P.G. Ricci, E. Carrara, E. Bianchi, Milano-Napoli 1955 (“ La lett. it.-St. e - testi”, 7), 710 ss.], e già s’intuivano accenti che sarebbero stati propri della devotio umanistica e moderna, e si vedeva che la propensione intellettuale all’apostrofe antidottorale istintivamente si associava all’atto di naturale e spontanea riflessione etica sui fini dell’uomo [“Nam quid, oro, naturae beluarum et volucrum et piscium et serpentum nosse profuerit, et naturam hominum, ad quid nati sumus, unde et quo pergimus, vel nescire, vel spernere?” (id., ibid., 714 in particolare)]. Su certe posizioni petarchesche, affini alla moderna devotio, sono ancóra utile documento, per possibili matrici agostiniane, le dotte ricerche di U.M. Mariani, Il Petrarca e gli Agostiniani, 2.a ed., Roma 1959 ; sulla successiva diffusione in età quattrocentesca di simili forme di sensibilità religiosa scrisse già Massimo Petrocchi, Una “ devotio moderna “ nel Quattrocento italiano? e altri studi, Firenze 1961, mettendo in evidenza come corresse dentro alla sensibilità umanistica una tensione devota che era atto “intellettivo e volitivo” al tempo stesso (p. 17) ; e, poi, Giorgio Picasso [L’imitazione di Cristo nell’epoca della “ devotio moderna “ e nella spiritualità monastica del sec. XV in Italia, in “ Riv. di storia e lett. relig. “, IV (1968), ora in id., Tra umanesimo e "devotio" : studi di storia monastica raccolti per il 50. di professione dell'Autore…, Milano 1999, 58-80 in particolare, donde si cita (Scienze storiche 67)] avrebbe sottolineato come gli elementi della nuova religiosità allora nascente sarebbero passati appunto attraverso l’elaborazione di una nuova sensibilità etica, che era a sua volta il prodotto di “una tenerezza ed una compassione piuttosto soggettive” ed intime, che della ritualizzazione oggettiva della prassi liturgica esterna (p.68) ; ma vedi, soprattutto, sempre di Picasso, Il monachesimo alla fine del medioevo : tra umanesimo e ‘devotio’ [già pubbl. in Cultura e spiritualità nella tradizione monastica, a cura di G. Penco, Roma 1990 (Studia anselmiana, 103), pp. 129-47, ora in id., Tra umanesimo …, cit., 97-113, cfr., ivi, alle pp. 100, 103 106], sui contatti anche familiari del Petrarca con l’ambiente monastico della nuova spiritualità. Ispirato dalla passione etica indotta da tale devotio, il Petrarca avrebbe poi trovato il coraggio intellettuale di infrangere persino il vincolo autoritativo dell’ossequio scolastico, ed avrebbe perciò osato tacciare lo stesso Aristotele di ignoranza, perché stretto nell’erudizione di una scienza contingente settaria e caduca, lontana dal mondo degli uomini, e perciò inconsapevole delle verità della riflessione etica (“Ego vero magnum quondam virum ac multiscium Aristotilem, sed fuisse hominem, et idcirco aliqua, imo et multa nescire potuisse arbritror”, Francesco Petrarca, De sui ipsius…, 716).

[11] Montorzi, Fides, 153-4 ; C. Vasoli, Intorno al Petrarca ed ai logici moderni, in “Antiqui und Moderni. Traditionsbewusstsein und Fortscbriftsbewusstsein im späten Mittelalter”, I, Berlin-New York 1974 (“Misc. Mediaev.”, 9), 147-8.

[12] O. Kristeller, Il Petrarca, l’Umanesimo e la Scolastica, “Lettere it.”, Vll (1955), 369.

[13] D.37.3. c. Nonne.

[14] Eusebio Girolamo, Commentarii in iv epistulas Paulinas, Ad Ephesios, lib. 2, col. 536, linea 47 (PL 26, 536-7) : “Nonne vobis videtur in vanitate sensus et obscuritate mentis ingredi, qui diebus ac noctibus in dialectica arte torquetur : qui physicus perscrutator oculos trans coelum levat, et ultra profundum terrarum et abyssi quoddam inane demergit, qui iambum struit, qui tantam metrorum silvam in suo studiosus corde distinguit et congerit : et (ut alteram partem transeam) qui divitias per fas et nefas quaerit : qui adulatur regibus, haereditates captat alienas, et opes congregat, quas in momento cui sit relicturus, ignorat?”.

[15] Ambrogio da Milano, De fide libri V, ad Gratianum Augustum, lib. 1, cap. 13 (CSEL, 78, 37) : “Non creditur philosophis, creditur piscatoribus, non creditur dialecticis, creditur publicanis” ; Paolino, poi, l’agiografo ambrosiano, avrebbe ulteriormente precisato i termini della polemica di Ambrogio, per trarne una vera e propria regola di condotta scrittoria : “verus philosophus Christi, qui contemptis saecularibus pompis piscatorum secuturus esset vestigia, qui Christo populos congregarunt non fucis verborum, sed simplici sermone et verae fidei ratione ; missi sine pera, sine virga, etiam ipsos philosophos converterunt” (Vita Ambrosii, 3, 7 ; ed. A. A. R. Bastiaensen, Milano 1975, 62).

[16] Mt. 5, 37.

[17] Vedi : A. Battistini - E. Raimondi, Le figure della retorica. Una storia letteraria italiana, Torino 1990, 22 ss. in particolare.

[18] Horn, 139, nt. 19.

[19] fo. 52ra [nr. 9; L.F., 2.26, § Si quis per triginta] : “… sed simplicitas canonistarum de ista subtilitate non curaret …”.

[20] Sulla datazione della cui pubblicazione a Perugia è recentemente tornato Vincenzo Colli, per cui “si è indotti dunque ad adottare la data 1387 come termine non ante quem della pubblicazione della Pars I a Perugia [della Lectura Digesti veteris di Baldo] e ad estendere tale termine anche alla composizione delle nuove redazioni di alcune sezioni della Pars II, che probabilmente furono realizzate in quella in quella città prima del 1390” [V. Colli, Un testimone della Lectura Digesti veteris di Baldo degli Ubaldi datato 1387, “Ius Commune”, 27 (2000), 407-22, 421 in particolare].

[21] forse ps. Ambr., De XLII mansionibus filiorum Israel, in IV mansione, PL 17, 17A?

[22] Baldo degli Ubaldi, in prooemio I.ae ff veteris, nrr. 2-4 : “bene est, priusquam ad scientiam perveniatur, modum docendi, et ordinem praescribere, quo per ordinem intellectae res magis delectent animos, mentes magis nutriant, sensus magis illuminent, et memoriam reddant clariorem” (ed. Baldo degli Ubaldi, in prooemio I.ae ff veteris, Venetiis 1586, fo. 2ra).

[23] Baldo degli Ubaldi, in prooemio I.ae ff veteris, nrr. 2-4 (fo. 2ra) ; il corsivo è aggiunto.

[24] Risuona anche, nel complesso di temi adombrato dall’affermazione baldesca, l’eco di problemi ed asserzioni meodiche che furono proprie soprattutto della riflessione mnemotecnica, cfr. Montorzi, Fides, 246-66.

[25] Tale sistemazione si realizza grazie ad una ricognizione dei dati pratici (res) presenti all’interno del complesso d’esperienza considerato, al fine di ordinarne diffinitive la distinta attribuzione trai genera e le species del quadro categorico fornito dagli utraque iura : il feudum, in tal modo, non è più ricostruito da Baldo soltanto attraverso i meccanismi meramente retorici di una derivatio etimologica (che viene tradizionalmente riferita in prooemio al nr. 7, fo. 2vb), bensì attraverso una diffinitio delle forme giuridiche che ne connotano l’esistenza nella prassi. Ogni astratto genus, infatti, deve essere individuato per differenziazione dalla percezione pratica delle species che lo compongono (“… quoad primum notatur genus, quoad secundum notatur differentia ; genus nam est quod in species divisibile est …”, fo. 2vb, nr. 8, in prooemio). Dalla individuazione e delimitazione dei contorni pratici delle res – che in tal modo, grazie all’interpretazione del doctor, “…per ordinem describuntur …” (in prooemio, nr. 8, fo. 2vb-3ra) –, discende poi la relativa collocazione categorica dei singoli dati dell’esperienza giuridica. I quali sono poi, a ben vedere, i multa utilia et difficilia intellectus contenuti nei Libri feudorum, di cui Baldo parla in questi stessi praeludia, quando lamenta come gli “indocti homines” corrompano con la loro ignoranza simile ricchissimo patrimonio di utilità e di esperienza (ancóra in prooemio, fo. 2va, nr.4). L’intervento dottorale divisato da Baldo si atteggia, insomma, fin dai propri preludia, come indirizzato a realizzare una risistemazione ordinativa per puncta rationis (cfr. fo. 67ra [nr. 3; L.F., 2.36, § mutus]) dei dati dell’esperienza giuridica ed a fondare, conseguentemente, nel textus i lineamenti di una vera e propria ragion pratica della percezione umana (tutti i corsivi sono aggiunti).

[26] Assume, quindi, un particolare rilievo e significato la contiguità cronologica ed anche contenutistica tra la Lectura feudorum e la Lectura Decretalium, che è stata segnalata recentemente anche da Colli (L’esemplare di dedica, 85). Ma, soprattutto, è la voce di Baldo stesso, a fornirci un’eloquente indicazione in tal senso, quand’egli espressamente afferma, riferendosi alla sua Lectura feudorum, che essa mira a realizzare una nuova dimensione di efficacia pratica della materia feudale, grazie soprattutto alla razionalità sistematica dell’intero Diritto Comune : “…tamen in hoc opere ideo saepe allegavi et allego Canonistas, ut non solum scias quid processerit a fonte iuris civilis, sed etiam quid contineat canonistarum auctoritas, et quia istud opus debet legi in curiis regum, in quibus ius nostrum civile non allegatur pro auctoritate, sed solum pro ratione…” (fo. 78v [nr. 17 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur, il corsivo è aggiunto].

[27] Vedi oltre, § 6,  Il dato bibliografico immanente alla Lectura.

[28] A prima, vista, infatti, l’autore parrebbe muoversi su una rotta tutto sommato arbitraria, e sfiorare quasi occasionalmente ed in maniera in apparenza immotivata una visione di misticismo intellettualistico, specialmente quando egli, una volta citato, come si è visto, il salmista, s’inoltra poi in una vera e propria progressione argomentativa, che sfocia nella successiva allegazione dell’incipit del Vangelo di Giovanni, e culmina infine nella conseguente affermazione (tratta dalla prima epistola giovannea) del principio che l’intelletto è un dono, un’illuminazione personale, che perviene all’uomo direttamente da Dio al momento della nascita : “est igitur intellectus divinum munus, seu beneficium ab illa summa luce profluens … de qua scribitur … Ioan. j. c<anonica>. ‘Deus (inquit) lux est, et tenebrae in eo sunt ullae ‘“ [1 Jo 1 5, “et haec est adnuntiatio quam audivimus ab eo et adnuntiamus vobis quoniam Deus lux est et tenebrae in eo non sunt ullae]”. Dio è luce e in lui non ci sono tenebre (Baldi Lectura feudorum, in prooemio, pr., fo. 2rb).

[29] “Quare non solum ad animae perfectionem, puto homini coelitus datum intellectum, nec solum nobismetipsis natos esse, verum de his quae ipso perscrutante iuridice integreque senserimus communionem coeteris contribuendam unanimiter existimamus. Nec quae ad communem vivendi usum esse necessaria videntur latitare debent, sed se exhibere, sicut et quae natura gignit sponte, reor. Non enim semper semen sub terra iacet, sed terra scissa rursum protenditur, et adiutum a sole coelum conspicit. Proinde, si quod bonum est, in horreis reconditur, et servatur, atque nutrimentum ex eo capitur. Si malum, tranversis fulcis eradicatur, uritur et annihilatur. Ita, in huiusmodi sententiam prorumpere saepenumero videor, ut quique scientiarum professores, quae sana mente conceperint, in lucem (tanquam sub duro cortice sapidos fructus) parere teneantur, et ea soli, hoc est sapientum intellectibus obiicere, ut si qua vera dixerint laudes Deo canantur, et opus eorum comprobetur ; si autem peccaverint (quod humanum est) erronea opinio pedibus teratur, rationibus enervetur et eradicetur. Hoc nostri maiores fecere. Nam disputativum et reprehensivum certamen ad mundi gubernationem et Dei laudem pertinere arbitramur. …” (Baldi Lectura feudorum, ibid.).

[30] “… de his quae ipso [intellectu] perscrutante iuridice integreque senserimus communionem coeteris contribuendam unanimiter existimamus …” (Baldi Lectura feudorum, ibid.).

[31] Ed è noto già fin dalle ricerche del Tamassia quanto Baldo fosse critico e privo di timor scolastico anche nei confronti di Bartolo stesso, “subtilis homo, et Doctor suus”(cfr. la nt. 95), il maestro a lui forse più caro e da lui più rispettato [Tamassia, Baldo studiato, 14, nt. 62-71, e 30-1 (= Scritti, 2, 493-4)].

[32] Perché, per l’appunto, lo spazio operativo del pratico è di tipo critico-intellettuale ed è precisamente individuato da quel segmento della prassi che resta scoperto dalle definitiones rotundae del doctor. In tal modo, l’esperienza giuridica si rende perciò disponibile all’intervento risolutivo del giurisperito, che deciderà criticamente sulla base dell’aequitas, scegliendo ex variis causarum figuris quella adatta a risolvere il caso di specie da lui osservato : “No. ergo quod ea, quae non possunt sub certa regula tradi, iudicibus committuntur, qui ex variis causarum figuris decernent id, quod eis aequum esse videbitur …” (fo. 48ra [nr. 1; L.F., 2.23, § Dominus).

[33] “… Nec quae ad communem vivendi usum esse necessaria videntur latitare debent, sed se exhibere, sicut et quae natura gignit sponte …” (Baldi Lectura feudorum, ibid.).

[34] Baldi Lectura feudorum, ibid.

[35] Baldi Lectura feudorum, ibid.

[36] Ramon Llull, Ars generalis ultima, (op. 128) pars : 6, linea : 42 (CCL, Continuatio med. 75, 77) : “Et cum illis mediis intellectus facit se disputativum et determinativum ; et ista media supra dicta extrahuntur a duodecim propositionibus supra dictis” (il corsivo è aggiunto).

[37] Ramon Llull, Ars brevis, (op. 126) pars : 6, linea : 20 (CCL, Continuatio med. 38, 219) : “Et cum illis mediis intellectus facit se disputativum et determinativum” (il corsivo è aggiunto).

[38] Che sono d’altronde in parte anche espressamente documentate, come quando Baldo richiama il nome e la tradizione dell’insegnamento averroistico, per applicare il criterio della verifica razionale degli enunziati linguistici individuali (sia contrattuali, sia testimoniali) al fine di una loro eventuale falsificazione, nel caso risultassero privi di senso congruente : una formula ed una valutazione, che paiono porsi in linea di legittimazione con la parallela riscoperta operata da Baldo dell’usus/sensus communis, quale fine causale dell’interpretazione pratica : “…Item nota regulam Averrois, quod experimentum sermonum verorum est, ut concordet rebus sensatis” (fo. 70ra [nr. 2 ; L.F., 1.22 (23), § Item sciendum]). Che “… ‘proprie’ intelligitur quod vere dicitur” sarà concetto formalizzato da Baldo nel testo di questa Lectura feudorum [fo. 7vab [nr. 4 ; L.F., 1.1 § Et quia ; il corsivo è aggiunto]. Vedi anche, più oltre, alla nt. 149 ed i temi recentemente proposti in Mario Montorzi, Echi di Baldo in terra di Riforma. Matthäus Wesenbeck e gli spazi forensi d’una simplex diffinitio dominii, in A Ennio Cortese (Scritti in onore) Roma 2001, 2, 397 ss.

[39] Forse non è del tutto occasionale ed ingiustificata la notata contiguità lessicale, che passa tra la riflessione del Baldo feudista ed alcuni significativi frammenti della tradizione lulliana : essa, anzi, può anche ispirare – pur tra mille cautele – una serie di considerazioni critiche e di prospezioni analitiche. Se, infatti, già con Platzeck [Erbard W. Platzeck, Der Naturbegriff Raimund Llulls in Rahmen seiner “Ars magna”, in “La filosofia della natura nel Medioevo. Atti del terzo congr. internaz. di filosofia med. 1964”, Milano 1966, 96-101 in particolare] s’era a suo tempo messo adeguatamente in luce come il propagarsi della riflessione lulliana diffondesse parallelamente anche la convinzione che la natura fosse in sostanza complessivamente individuata dal sistema delle reciproche e simultanee implicazioni (sia logiche, sia esistenziali) tra le diverse qualità dell’essere, tanto da consentire, per qualche verso, una vera e propria sovrapposizione tra ontologia e retorica [sul punto, cfr. Cesare Vasoli, I miti e gli astri, Napoli 1977, “Esperienze (Guida)”, 248-9], è stata poi la riscoperta della tradizione mnemotecnica – grazie soprattutto agli studi di Paolo Rossi e di Frances A. Yates – a riproporre in modo convincente l’idea che esistesse un legame non occasionale tra mondo della pratica (soprattutto professionale e giuridica) e Fortleben lullista. Sicché la circolazione anche in campo giuridico di temi (pur scoloriti nella loro originaria carica ideologica e culturale) ch’erano stati tipici della riflessione lulliana [per alcuni episodi cfr. Jean Henri Probst, Le Lullisme de Raymond de Sebonde, Toulouse 1912 ; Paolo Rossi, Le origini della Pansofia e il Lullismo del secolo XVII, in “Umanesimo e Esoterismo”, Padova 1960 ; id., Clavis universalis. Arte della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna, 1983 (2.ª ediz. ) ; Frances A. Yates, L’arte della memoria, tr. it., Torino 1972 ; Montorzi, Fides, 215 ss. in particolare] può ben ricondursi al manifestarsi anche in tale campo, pur particolare e specialistico, di esigenze più vaste e generali, legate al problema della percezione e della rappresentazione della prassi nel suo complesso [vedi, successivamente, anche Atti del Convegno internazionale Ramon Llull, il lullismo, l’Italia, Napoli, Castel dell’Ovo 30 e 31 marzo, 1 aprile 1989, Napoli Istituto Universitario Orientale, 1992, Omaggio a Miquel Batllori dell’Associazione Italiana di Studi Catalani, a cura di Giuseppe Grilli (Annali. Istituto Universitario Orientale. Sezione Romanza 34.1)]. Il mondo delle professioni e degli apparati istituzionali era d’altronde quello che più di tutti poteva dimostrarsi sensibile alla necessità di saggiare, sviluppare e diffondere simili tecniche di rappresentazione ed interpretazione della realtà [per episodi del genere, di età cinquecentesca e di originaria ascendenza baldesca, mi si consenta ora un rinvio a Montorzi, Echi, 2397 ss.]. Se considerata nella prospettiva di una diffusa sensibilità post-lulliana, dunque, la scelta di intellettualismo pratico che anima e guida Baldo nella scrittura della sua Lectura feudorum – sia che essa sia pervenuta al testo del giurista perugino direttamente dalle pagine lulliane, sia che essa sia stato il prodotto mediato di altre letture pare dunque trovare, al tempo stesso, una propria adeguata motivazione ideologica, come anche una propria comprensibile utilità strumentale. È poi quanto meno plausibile l’ipotesi che simili elementi della tradizione lulliana siano pervenuti alla considerazione di Baldo attraverso i numerosi canali d’attenzione normalmente attivi nel campo della pratica professionale sui temi della memoria, della mnemotecnica e della capacità ordinativa dell’intelletto umano (ancóra Montorzi, Fides, 215 ss. e 421 ss.).

[40] per cui cfr. Johann Friedrich Schulte, Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts von Gratian bis auf die Gegenwart, Stuttgart 1875-80, II, 276, in particolare, [H 2335, 2340-43 ; IGI 6175A-6176)].

[41] Montorzi, Processi, cit., 501-4 [=“Riv. Int. di Dir. Com.”, 11, 43-6].

[42] Per le considerazioni esposte in M. Montorzi, Diritto feudale nel basso medio evo. Materiali di lavoro e strumenti critici per l’esegesi della glossa ordinaria ai Libri feudorum, Torino 1991, 32, nt. 92.

[43] M. Grabmann, Die Geschichte der Scholastischen Methode, Freiburg i. B. 1911 (rist. an., Graz 1957), I ; 179-80 ; tr. it., Firenze 1980, I, 218-9].

[44] La Margarita feudorum di Dullio Gambarini, ad esempio – che conserva suoi testimonî nei mss. Sankt Gallen, 748 ; Parma, Pal. lat., 1227; Vendôme 87; Vat. lat., 6935 – non è altro che una silloge di luoghi glossatorî, raccolta e disposta sull’intelaiatura di sostegno dei Libri feudorum, redatta per garantire al suo utente un rapido e sicuro accessus alla materia feudorum.

[45] Cfr., per una prima serie di indicazioni, Montorzi, Fides, 220 ss., nt. 8 in particolare.

[46] Una dettagliata ricostruzione del sistema allegatorio della Baldi Lectura feudorum è disponibile più oltre, alle ntt. 53 ss. ; l’elaborazione dei dati ivi recensiti viene poi esposta in appendice, alla p. 55, con la tabella “Una prima ricognizione di massima del sistema allegatorio della Baldi Lectura feudorum”.

[47] Di cui mi limito a dare in questa sede un saggio il più possibile dettagliato (ammontante complessivamente all’individuazione di almeno 884 allegazioni) ma, per forza di cose e rigore di spazio, suscettibile ancóra di integrazioni e correzioni. In particolare, si deve tener conto del fatto che le cifre assolute fornite, e indicative del numero delle allegazioni dei singoli autori, non corrispondono necessariamente e strettamente al numero effettivo di quelle presenti nella Lectura : esse debbono in realtà considerarsi come approssimate per difetto, vuoi per sempre possibili miei errori od omissioni di individuazione (nonostante ogni sforzo di precisione), vuoi perché il conteggio ha utilizzato come base di riferimento non le partizioni testuali interne alla Lectura, bensì i folia e le colonne dell’edizione giuntina. In sostanza, più comparse di un medesimo nome nel medesimo paragrafo dei Libri feudorum e, contemporaneamente, nella medesima colonna dell’edizione giuntina sono state conteggiate tutte congiuntamente con valore complessivo 1. Tale scelta, mentre ha facilitato la raccolta dei dati, ha consentito anche al lettore una più agevole reperibilità dei luoghi, rimandandolo ad un punto facilmente individuabile della stampa giuntina, né pare aver alterato in maniera apprezzabile la capacità di significato statistico del dato d’insieme in tal modo realizzato. Sui problemi connessi all’individuazione dei dati d’allegazione – che si sono trattati piuttosto come complessivi ‘atti di attingimento’ (“haustus”, comprensivi anche di più menzioni contemporanee di un medesimo autore), piuttosto che come individue e distinte citazioni – vorrei ora rinviare a quanto da me precisato in Montorzi, Diritto feudale, 44-7.

[48] fo. 18 ra [nr. 5 ; L.F., 1.5.7 i.c., in versiculo Nepotem] : “advocati bononienses istum textum multum allegant secundum Iaco. de Bel.” ; fo. 31rb [nr. 1 ; L.F., 1.22 (23), § Si quis miles], “Advocati reputant hanc positionem affirmativam, sed revera est negativa, quia non incumbit onus probandi proponenti. … Nam ille dicitur affirmare cui imponitur onus probandi”.

[49] fo. 32 va [nr. 1 ; LF, I.25 (26), § Si inter dominum], “et in Romana Curia servatur, quod fertur sententia testibus non publicatis, et differtur publicatio usque ad teriam sententiam, ad hoc ut non generetur praeiudicium in testibus producendis in causa appellationis, et sic partes procedunt clausis oculis, et in iudice tantum sedet scientia veritatis. Et iste error nascitur ex illo errore, quod testibus publicatis non possunt produci testes in causam appellationis. Nam licet ius civile praesumat subornationem in causa prima, non tamen in causa appellationis, quia testes non audent dicere ita falsitatem coram maiore, et maxime coram Principe … concludendo, dico quod publicatio testium omissa non reddat iudicium nullum.”. Laddove l’ottica tutta avvocatesca praticata dalle argomentazioni di Baldo pareva palesarsi in modo ben evidente nella sua preoccupazione di serbare intatta alla parte la possibilità di produrre nova in appello.

[50] Fino almeno alle importanti, recenti illustrazioni d Manlio Bellomo, I fatti e il diritto tra le certezze e i dubbi dei giuristi medievali (secoli XIII-XIV), Roma 2000, XI § 6, 567 ss.

[51] ulteriori notizie in Tommaso Diplovataccio, Liber de claris iurisconsultis …, cur. F. Schulz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, “Studia gratiana”, X (1968), 240-1 ; Ernst Adolf Theodor Laspeyres, Über die Entstehung und älteste Bearbeitung der Libri Feudorum, Berlin Dummler 1830 (neudr. Aalen 1969), 423 ss. ; Éduard Morits Meijers, Études d’histoire du droit, ed. R. Feenstra-H.F.W.D. Fischer, Leyden 1956-66, III, 181, nt. 102 (“Dans les gloses, Petrus de Cervariis et le jurisconsulte de Bologne Petrus de Cernitis sont confondus quelquefois”) ; O. Ruffino, v. Cerniti (de Cernitis, de Cernetis, Cernitus, Cernitti, Cernetti) Pietro, “Dizionario biografico degli Italiani”, 23, 776-8.

[52] Diplovataccio, cit., 240 (11-2), “qui et ipse plures questiones disputavit…”.

[53] Pietro de’ Cerniti viene citato ripetutamente nell’ed. Venetiis 1580 della Baldi Lectura feudorum, fo. 2va [nr. 4 ; in prooemio], fo. 2vb [nr. 6 in prooemio], fo. 10ra [nr. 2 ; L.F., 1.2, § Item], 10va [pr. ; L.F., 1.2 § Si vero], fo. 12rb [pr., L.F., 1.4, § Si autem controversia], fo. 12va [nr. 8 ; L.F., 1.4 § Si autem controversia], fo. 13ra [nr. 6; L.F., 1.4, § Cum autem], fo. 14rb [pr. ; L.F., 1.4, § So quis de manso], fo. 15vb [pr. ; L.F., 1.4, § Rursus], fo. 19va [nr. 4 ; L.F., 1.6, § Item si episcopus], fo. 22ra [nr. 3 ; L.F., 1.8, § Hoc quoque], fo. 22va [nr. 8 ; L.F., L.F., 1.8, § Hoc quoque], fo. 25vb [nr. 11 ; L.F., 1.12 (13), § Si clientulus], fo. 26va [pr. ; L.F., 1.13 (14), § Si duo fretres], fo. 27rb [pr. ; L.F., 1.17 (18)], fo. 28ra [nr. 2 ; L.F., 1.18 (19), § Si quis miles], fo. 28vb [nr. 9 ; L.F., 1.18 (19), § Si quis miles], fo. 29vb [nr. 5 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus], fo. 30ra [nr. 1 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta], fo. 30vb [nr. 1 ; L.F., L.F., 1.21 (22), § Sancimus], fo. 31ra [nr. 7 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus], fo. 31va [nr. 1-2 ; L.F., 1.23 (24), § Si quis sine], fo. 37rb [nr. 4 ; L.F., 2.3, § Sed et res], fo. 37va [pr. ; L.F., 2.3, § Nulla], fo. 38ra [pr. ; L.F., 2.4, § Utrum], fo. fo. 38rb [nr. 3 ; L.F., 2.5, § Qualiter], fo. fo. 40rb [nr. 2 ; L.F., 2.8, § Quamvis] ; 40rb [nr. 1 ; L.F., 2.9, § Si autem optima], fo. 40va [nr. 1 ; L.F., L.F., 2.9, § Si vero vel in totum], fo. 41ra [nr. 7 ; L.F., 2.9, § Donare], fo. 41va [nr. 4 ; L.F., 2.10, § Porro], fo. 41vb [nr. 2 ; L.F., 2.10, § Qui a principe], fo. fo. 42ra [nr. 2 ; L.F., 2.10, § Soldata autem], fo. 42rb [nr. 2 ; L.F., 2.11, § His vero], fo. 42rb [nr. 2 ; L.F., 2.11, § His vero], fo. fo. 42va [nr. 2 ; L.F., 2.12, § Si duo fratres], fo. 43rb [pr. ; L.F., 2.13, § Quidam Vassallus], fo. 43va [nrr. 1-2 ; L.F., 2.15, § Vassallus], fo. 44vb [nr. 4 ; L.F., 2.17, § Qui sibi], fo. 48rb [nr. 1 ; L.F., 2.24, § Prima autem causa], fo. 48va [nr. 2 ; L.F., 2.24 § Est et alia], fo. 48vb [nr. 3 ; L.F., 2.24, § Item qui dominum], fo. 49vb [nr. 3 ; L.F., 2.24, § Denique], fo. 50ra [nr. 1 ; L.F., 2.25, § Negocium tale est], fo. 50vb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Probatione], fo. 50ra [pr. ; L.F., 2.26, § Filiam], fo. 50ra [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Inter filiam], fo. 50vb [nrr. 1-2 ; L.F., 2.26, § Moribus], fo. 51ra [nrr. 3-4 ; L.F., 2.26, § Vassallus], fo. 52va [pr. ; L.F., 2.26, § Qui clericus], fo. 53ra [nr. 3 ; L.F., 2.26, § Omnes filii], fo. 53vb [nr. 14 ; L.F., 2.26, § Si minori], fo. 54rab [pr. ; L.F., 2.26, § Si Titius filios], fo. 55vb [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Si Vassallus], fo. 58ra [pr. ; L.F., 2.27, § Si duo], fo. 58vb [pr. E nr. 1 ; L.F., 2.27 § Si rusticus], fo. 59ra [nr. 1 ; L.F., 2.27, § Si quis quinque solidos], fo. 64vab [nr. 1 ; L.F., 2.33, § Item si inter dominum], fo. 67rab [nrr. 3-5 ; L.F., 2.36, § Mutus], fo. 68rab [nrr. 3-5 ; L.F., 2.38, § Si Vassallus], fo. 68va [nrr. 5-6 ; L.F., 2.39, § Alienatio], fo. 69va [nr. 3 ; L.F., 2.40, § Et iterum], fo. 70ra [nr. 2 ; L.F., 2.42, § Domino], fo. 70vb [nr. 5 ; L.F., 2.44, § Praeterea], fo. 71vb [nr. 15 ; L.F., 2.45, § Si contigerit], fo. 72rab [nrr. 19-20 ; L.F., 2.45, § Si contigerit], fo. 73va [pr. ; L.F., 2.49, § Tres erant], fo. 74rb [pr. ; L.F., 2.51, in rubr.], fo. 76vab [nr. 1 ; L.F., 2.54 (55), § Satis bene], fo. 76vb [pr. ; L.F., 2.54 (55), § Quoniam] 85ra [nr. 2 ; L.F., 2.54 (55), § Callidis], fo. 85rb [nr. 1 ; L.F., 2.54 (55), § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 73 allegazioni.

[54] ad es., al fo. 10ra [nr. 2 ; L.F., 1.2, § Item], quando Baldo trascrive una glossa (rectius, secondo il dire stesso di Baldo, una “apostilla”) di precisazione interpretativa di Pietro de’ Cerniti sul punto della qualificazione causale del feudum guardiae : “Porro istud feudum guardiae et similia non censentur iure feudi, sed iure mercedis et operarum, et consuetudo habet, quod satis durent anno etiam si displiceant domino, sed si post annum domino displiceat servitium, debilis et abusivus vassallus non debet habere beneficium, nec hoc est hodie correctum, ut no. supra, tit.i., l. i., § quia vidimus, in glo. adhuc obtinet. Sed Pet. de Cer. hic super verbo ‘et pro mercede’ ponit talem apostillam ‘idest pro remuneratione alicuius servitii iam praestiti’ “.

[55] ad es., al fo. 70vb [nr. 5 ; L.F., 2.44, § Praeterea], ove l’opinione di Pietro de’ Cerniti è citata in ordine al problema del mutamento del titolo di pretese del vassallus suffeudale : nell’ipotesi della stipula di un contratto livellare sul fondo feudale da parte del vassallus per un censo annuo ad es. di 5 soldi, “nota quod si vassallus redimit hunc libellum a libellario possessore, tunc intelligitur tener tanquam libellum a domino, et non tanquam feudum. Istud autem ius 5. sol. est consumptum quo ad vassallum et eum cui alienavit per libellum, sed ipse vassallus tenebitur domino ad istos 5. sol. annuatim. Idem si feudum refutasset, postea per libellum redemisset. No. ergo totaliter reverti, qualiter redimitur, vel est sensus literae, quod si vassallus refutat feudum, quod potest etiam invito domino et dominus concedat illus sibi ad libellum, quod tenebit iure libelli, secundum Pet. de Cer.”. Il senso della posizione citata è che le concessioni parafeudali non accedono al feudo e non assumono esse stesse natura di feudo : mantengono bensì la loro peculiare natura, iscritta nel titolo costitutivo, come se fossero autonomi cespiti patrimoniali, distinti per natura e sostanza dalle normali potestà feudali.

[56] ad es., al fo. 43va [nrr. 1-2 ; L.F., 2.15, § Vassallus], quando si discutono le posizioni di Pietro de’ Cerniti in tema di iurisdictio ordinaria e dei suoi rapporti con il processo feudale.

[57] Sull’importanza e la collocazione ambientale di tale tipo di riflessione scientifica, cfr., supra, alla nt. 5, e vedi anche, oltre, a p. 37 e nt. 120.

[58] fo. 26va [nr. 7 ; L.F., 1.13 (14), § De Marchia] ; fo. 53ra [nr. 2 ; L.F., 2., 26 § Omnes filii] ; fo. 62ra [nr. 4 ; L.F., 2.31, § Vassalli], fo. 68ra [nr. 2 ; L.F., 2.38, § Si vassallus] ; fo. 88rb [nr. 16 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, sono almeno 5 allegazioni.

[59] fo. 82ra [nr. 1 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc]

[60] fo. 7vb [nr. 1 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 21 rb [nr. 3 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 28rb [nr. 7 ; L.F., 1.18 (19), § Si quis miles] ; fo. 51rb [nr. 9 ; L.F., 2.26, § Vassallus] ; fo. 74ra [nr. 3 ; L.F., 2.50, § Successionis] ; fo. 87rb [nr. 5 ; L.F., 2., 54 (55) § Illud]. In tutto, si contano almeno 6 allegazioni.

[61] Sui molti problemi sollevati dall’individuazione di Iacopo Colombi, e dalla tradizionale attribuzione al suo nome della glossa ordinaria ai Libri feudorum, vedi : Laspeyres, 355 ss. ; Cortese, Scienza di giudici, 137-9 in particolare [= Scritti, I, 735-7 in particolare] ; P. Weimar, voce Jacobus Columbi, “Lexicon des Mittelalters”, 5 (1990), 257 s. ; id., Die Handschriften des `Liber feudorum’ und seiner Glossen, “Rivista internazionale di Diritto Comune”, I (1990), 75 ss. e 83 ss. ; E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, Roma 1995. II, 161 e 181 ss. ; id., Le grandi linee della storia giuridica medievale, Roma 2000, 316 e 318.

[62] In proemio, nr. 4 fo. 2va ; fo. 19va [nr. 6; L.F., 1.5, § Item si episcopus] (cita la summa) ; fo. 19vb [nr. 6 ; L.F., 1.6, § Item si episcopus] ; fo. 20va [nr. 6 ; L.F., 1.6, § Mutus feudum] ; fo. 34vb [nr. 4 ; L.F., 2.1, § Obertus] ; fo. 35ra [pr., L.F., 2.2, § Investitura] (ne trascrive una glossa) ; fo. 37va [nr. 2 ; L.F., 2.3, § Nulla] ; fo. 38rb [pr. ; L.F., 2.5, § Qualiter] ; fo. 41vb [nrr. 1-2 ; L.F., 2.10, Qui a principe] ; fo. 45ra [nr. 6 ; L.F., 2.17, § Qui sibi] ; fo. 51rb [nr. 9 ; L.F., 2.26, § Vassallus] ; fo. 51va [nr. 4 ; L.F., 2.26 § Si quis per triginta] ; fo. 55ra [nr. 3 ; L.F., 2.26, § Si Vassallus] ; fo. 55ra [nr. 1 ; L.F., 2.26, § In generali] ; fo. 61ra [nr. 4 ; L.F., 2.28, § .Contra omnes] ; fo. 61vb [nr. 3 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 65ra [nrr. 4 e 7 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 65va [nr. 10 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 66ra [nr. 2 ; L.F., 2.34, § Similiter] ; fo. 68ra [nr. 2 ; L.F., 2.38, § Si vassallus] ; fo. 69vb [pr., L.F., 2.41, § Item sciendum] ; fo. 82ra [nr. 1 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 87ra [nr. 1 ; L.F., 2., 54 (55) § Illud]. Si sono considerate in un unico conto sia le allegazioni espressamente riferite a Iac. Col., sia quelle invece recanti la semplice sigla Iac, che pure sono allegazioni sovente contenutiticamente affini alle altre a sigla Iac. Col.. In tutto, si contano in tal modo almeno 23 allegazioni.

[63] fo. 20rb [nr. 1; L.F., 1.5, § Mutus feudum] ; fo. 36va [nr. 1 ; L.F., 2.2, § Si vero vassallus]. In tutto, si contano almeno 2 allegazioni.

[64] Laspeyres, 254-5.

[65] Laspeyres, 223, 354-5 ; vedi Diplovataccio, cit. (supra, nt. 51), 168-9 ; E. Seckel, Quellenfunde zum lombardischen Lehenrecht, insbesondere zu den Extravaganten-Sammlungen (mit unbekannten Aufzeichnungen über das lombardische Jagdrecht, Viehverstellungsrecht und Teilpachtrecht), “Festgabe der Berliner juristischen Fakultät für Otto Gierke”, I, Breslau 1910 (rist. an. Frankfurt a.M. 1969), 66-8 ; Cortese, Scienza di giudici, 140 nt. [=Scritti, I, 738 nt.] e 143 [=Scritti, I, 741] ; Bellomo, I fatti, 78 ; G. Speciale, La memoria del diritto comune. Sulle tracce d’uso del Codex di Giustiniano (Secoli XII-XV), Roma 1994, 306 (indica la presenza della sigla ‘Sy.’ in un ms. rodigino). La Summa di Jacopo d'Ardizzone cita la sigla di un Symon in accoppiata con quella di Pillio, legando la persona di Simone ai primordi della riflessione dotta sulla materia feudale [“… Py. et Sy. …”, in “Tractatus universi iuris in unum congesti … duce et auspice Gregorio XIII. Pontifice Maximo” (in séguito = TUI), Venetiis, 1580 ss., 10/1, fo. 248rb circa me., De successione feudi, Cap. cxxxvij, cfr. anche la precedente ed. della Summa feudorum, Asti 1518, Franciscus Silva, rist. an. Torino 1970 (“Corpus glossatorum juris civilis, V.8”), fo. Xxvi ra circa me. ; ma vedi ancóra, sempre in TUI, 10/1, fo. 166rb, Utrum prohibeatur feudum compensare. Caput cxxxv, al cpv., “…item sine culpa amittitur [scil. feudum], secundum Sy., quod est valde notandum …” = fo. Xxiiii ra circa me., ed. cit. Asti 1518]. Cfr. ancóra l’introduzione di E. M. Meijers [Meyers], in Iuris interpretes saec. XIII curantibus scholaribus Leidensibus duce E. M. Meyers [Septingentesimo anno Studii Neapolitani], Neapoli 1924, p. XIX, su Simon vicentinus : ivi, a p. 10, si indica una gl. ad tit. de procuratoribus (D.3.3.) a sigla Sy. ; come è noto, tale introduzione fu poi riprodotta con il titolo L'Università di Napoli nel secolo XIII, in E. M. M., Études d'histoire du droit, III, a cura di R. Feenstra e H. F. W. D. Fischer, Leyde 1959, 149-166, 150 in particolare) ; molte citazioni del liber Simonis sono disseminate nel cod. pal. Wien 2094 fo. 56 ra ss., per documentare varianti e particolarità rispetto al testo fissatosi poi nella vulgata dei Libri feudorum (vedi anche Seckel, 66). Simone vicentino fu personaggio d’estrazione accademica, piuttosto che forense (Cortese, Scienza di giudici, cit., supra, all’inizio di questa nt.), additor della glossa accursiana (Meijers, Études, 3, 38 nt. 129) ; che egli fosse poi personaggio di fama (“nominatus”), posto addirittura al centro del dibattito dottrinale e definitorio in corso trai dotti, paiono confermarlo anche i dati qui riferiti. La citazione ed il ricordo di Symon vicentinus nel testo della Lectura feudorum sembra documentare, dunque, il lontano e forse giovanile debito – scolastico e retorico al tempo stesso – di Baldo nei confronti degli scritti di prima riflessione ed esegesi glossatoria sui feudi.

[66] † 1269, cfr. William H. Bryson, Dictionary of Sigla and Abbreviations to and in Law Books before 1607, Charlottesville, Univ. Pr. of Virginia, 1975 (Virginia legal studies.), 131.

[67] fo. 36vb [nr. 1 ; L.F., 2.3, § Investitura] ; fo. 41vb [nr. 2 ; L.F., 2.10, § Caeteri vero] ; fo. 48va [nr. 2 ; L.F., 2.24, § Prima autem causa] ; fo. 80vb [nr. 2 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta].

[68] fo. 36vb [nr. 1 ; L.F., 2.3, § Si vero investitura] ; fo. 44vb [nrr. 3-4 ; L.F., 2.17, § Qui sibi] ; fo. 45ra [nr. 2 ; L.F., 2.18, § Duo fratres] ; fo. 46ra [nr. 6 ; L.F., 2.21, § Miles] ; fo. 46rb [pr., L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 48va [nr. 2 ; L.F., 2.24, § Prima autem causa] ; fo. 70va [nr. 6 ; L.F., 2.43, § Si causa]. In tutto, si contano almeno 7 allegazioni. Sull’identificazione del personaggio, da tenersi distinto da Jacques Revigny, E. Seckel, Quellenfunde, 59 nt., 61 ss. ; R. Feenstra, recensione a C. Pecorella, Jacobus de Ravanis. Summa feudorum, “Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis. Revue d’Histoire du Droit. The Legal History Review”, 25 (1957) 411-416 ; Cortese, Il diritto nella storia, cit., II, 400 nt. 29, id., Le grandi, cit., 372, nt. 504. Che Iacobus de Aurelianis (Jacques de Orléans) appartenga ad una serie di autorevoli scrittori giuridici “estranei al magistero della cattedra” è poi ipotesi avanzata a suo tempo da Ennio Cortese (Cortese, Scienza di giudici, 143 [= Scritti, I, 741]).

[69] fo. 54rb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si facta] e fo. 87vb [nr. 6 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea] (in ambedue il testo a stampa attribuisce ad un Goff. un’allegazione civilistica : è probabile la svista tipografica, connessa al fraintendimento della sigla Roffr.) ; fo. 57ra [nr. 16 ; L.F., 2.27, § Federicus] (il testo a stampa cita un tract. de pugna, attribuendolo ad un Goffred., per di più in un contesto con forti influenze longobardistiche : è evidente la svista di scioglimento della sigla con il Tract. de pugna di Roffredo ; fo. 88rb [nr. 18 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea] : in tutto, sono almeno 4 possibili allegazioni.

[70] in prooemio, fo. 2vb, nr. 8 ; fo. 22vb [nr. 17 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 25vb [nr. 11 ; L.F., 1.12 (13), § Si clientulus] ; fo. 30ra [nr. 1 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta] ; fo. 41rb [nr. 8 ; L.F., 2.9, § Donare] ; fo. 42rb [nrr. 1-2 ; L.F., 2.11, § His vero] ; fo. 48va [nr. 2 ; L.F., 2.24, § Prima autem causa] ; fo. 59rb [nr. 1 ; L.F., 2.27, § Si quis quinque solidos] ; fo. 64vb [nr. 3 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 65ra [nr. 4 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 68ra [nr. 1 ; L.F., 2.38, § Si vassallus] ; fo. 68va [nr. 3 ; L.F., 2.39, § Alienatio] ; fo. 71va [nrr. 7-8 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 76va [nr. 7 ; L.F., 2.54 (55), § Conradus] ; fo. 78ra [nr. 9 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 84va [nr. 18 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem]. In tutto, si contano almeno 16 allegazioni.

[71] fo. 3ra [nr. 14; in prooemio] ; fo. 4ra [nr. 32; in prooemio] ; fo. 4rb [nr. 37; in prooemio] ; fo. 4va [nr. 38 in prooemio] ; fo. 6ra [nr. 4 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 7vb [nr. 1 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 10rab [nrr. 3 e 5 ; L.F., 1.2, § Item] ; fo. 14ra [nr. 2 ; L.F., 1.4, § Similiter] ; fo. 12, ra [nr. 2; L.F., 1.4, § Si autem controversia] ; fo. 15va [nr. 18 ; L.F., 1.4, § Si quis de manso] ; fo. 16ra [nr. 1; L.F., 1.5, § Rursus] ; fo. 17rb [nr. 16; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est] ; fo. 18rb [pr., L.F., 1.5, § Vel si cum filia] ; fo. 18va [nr. 1; L.F., 1.5, § Aut si libellario] ; fo. 19ra [nr. 1; L.F., 1.5, § Praeterea] ; fo. 25ra [nr. 9 ; L.F., 1.12 (13), § Si clientulus] ; fo. 26vb [nr. 1 ; L.F., 1.14 (15), § Si foemina] ; fo. 29ra [nr. 8, L.F., 1.19 (20), § Si quis ; fo. 29rb [nr. 1, L.F., 1.20 (21), § Si quis miles] ; fo. 30ra [nr. 1 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta] ; fo. 39vb [nr. 1 ; L.F., 2.8, § Rei autem] ; fo. 40ra [nr. 2 ; L.F., 2.8, § E contrario] ; fo. 41ra [nr. 5 ; L.F., 2.9, § Donare] ; fo. 41vb [nr. 1 ; L.F., 2.10, § Caeteri vero] ; fo. 43rb [sine nr., L.F., 2.14, in rubr.] ; fo. 43vb [nr. 6 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 46va [nrr. 1, 3 in fi., 4 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 48rb [nr. 3 ; L.F., 2.23, § Obertus] ; fo. 48vb [nr. 3 ; L.F., 2.24 § Porro si dominum] ; fo. 49rb [nr.10 ; L.F., 2.24, § Porro si dominum] ; fo. 51vab [nrr. 1 e 8 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 53va [nrr. 10-2 ; L.F., 2.26, § Naturales] ; fo. 54rb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si facta] ; fo. 54vb [nr. 3 ; L.F., 2.26, § Licet] ; fo. 57rb [nr. 20 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 58va [nr. 6 ; L.F., 2.27, § Si duo] ; fo. 59ra [pr. ; L.F., 2.27, § Publici latrones] ; fo. 59va [nrr. 1-2 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 60rab [nr. 11 e 14 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 62ra [nr. 4 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 65rb [nr. 9 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 67rb [nr. 5 ; L.F., 2. 36, § Mutus] ; fo. 71rb [nr. 6 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 71va [nrr. 12-3 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 72rb [nr.23 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 72va [nr. 1 ; L.F., 2.46, § Ex eo] ; fo. 73ra [nr. 9 ; L.F., 2.47, § Ex facto] ; fo. 74ra [nr. 3 ; L.F., 2.50, § Successionis] ; fo. 74va [nr. 2 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 77rb [nrr. 3-4 ; L.F., 2.53, § Si quis vero] ; fo. 77vb [nr. 87 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 79rb [nrr. 3-4 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 80vb [nr. 1 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 84rb [nr. 12 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 85vb [nr. 3 ; L.F., 2.54 (55), § Praeterea Ducatus] ; fo. 86ra [nrr. 5, 7 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus] ; fo. 88ra [nr. 11 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 57 allegazioni. Il riferimento è alle sole citazioni onomastiche di Accursio, mentre non sono entrate nella recensione le allegazioni generiche della glossa che, per il loro numero eccessivo, la loro frequenza e la loro conseguente ridondanza di campionamento, parvero perdere in questa sede di effettivo valore referenziale e statistico.

[72] In proemio, nr. 4, fo. 2vb ; fo. 8vb [nr. 14; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 9ra [nr. 9 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 19va [nr. 4; L.F., 1.5, § Item si quis] ; fo. 19vb [nr. 4 ; L.F., 1.5, § Item si quis] ; fo. 20rb [nr. 1; L.F., 1.5, § Mutus feudum] ; fo. 21ra [nr. 3 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 32vb [nr. 1 ; L.F., 1.25 (26), § Si quis] ; fo. 39rab [nr. 1 ; L.F., 2.7, § Investitura] ; fo. 39rb [nr. 1 ; L.F., 2.7, § Investitura] ; fo. 45vb [nr. 6, L.F., 2.20, § Ex eo] ; fo. 61vb [nr. 3 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 62rab [nrr. 4-5 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 62rb [pr., L.F., 2.32, § Sive clericus] ; fo. 63vb [nrr. 14-5 ; L.F., 2.33, § sacrementum] ; fo. 66vb [nr. 2 ; L.F., 2.36, § Mutus] ; fo. 67va [nr. 2 ; L.F., 2.37, § Si quis interfecerit] ; fo. 68va [nr. 4 ; L.F., 2.39, § Alienatio] ; fo. 71rb [nr. 7 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 72rab [nrr.18 e 24-6 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 72va [nrr.27 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 74vb [nr. 5 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 76vb [nr. 1 ; L.F., 2.54 (55), § Quniam]. In tutto, si contano almeno 23 allegazioni.

[73] Nel 1357-8 ; cfr. F. C. von Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, 2.a ed., I-VII, Heidelberg 1834-1851, rist. Bad Homburg 1961, 6, § 68, 21 ; trad. it. E. Bollati, Storia del diritto romano nel Medio Evo, I-III, Torino 1854-1857, rist. Roma 1972, II, 669 ; Schulte, II, 275 nt. ; e vedi ora E. Spagnesi, in Storia dell'Università di Pisa, a cura della Commissione rettorale per la storia dell'Università di Pisa. Ospedaletto, Pisa 1993, t.1,2: I docenti e le cattedre, Il diritto, 191-258, 200-2 in particolare.

[74] fo. 25vb [nr. 11 ; L.F., 1.12 (13), § Si clientulus] ; fo. 26va [nr. 6 ; L.F., 1.13 (14), § De Marchia] ; fo. 52vab [nrr. 2-3 ; L.F., 2.26, § Qui clericus] ; fo. 58va [nrr. 7-8 ; L.F., 2.27, § Si duo] ; fo. 62rab [nrr. 4 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 67va [nr. 2 ; L.F., 2.37, § Si quis interfecerit] ; fo. 71rb [nr. 7 ; L.F., 2.45, § Si contigerit]. Intendo come attribuita al Fazioli e come frutto di una evidente corruzione della sigla Io. Fa., l’allegazione che la stampa riferisce invece a “Joannes Faber in summa sua sub rubrica quibus modis constitu. Feu. … Joannes Faber nobilis Doctor Pisanus …”, cfr. fo. 39rb [nr. 2 ; L.F., 2.7, § Investitura] . In tutto si contano, quindi, almeno 8 allegazioni. Sulla riscoperta di questo affascinante e problematico personaggio : E. M. Meijers, Études d’histoire du droit, III, a cura di R. Feenstra e H. F. W. D. Fischer, Leyde 1959, 159 ; soprattutto D. Maffei, Giuristi medievali e falsificazioni editoriali del primo Cinquecento. Iacopo di Belviso in Provenza? (Ius Commune. Sonderhefte, 10), Frankfurt a. Main 1979, 58-9 e 75-80 ; vedi anche Ennio Cortese, recensione a D. Maffei, Giuristi medievali, cit., in “Studi medievali”, 3.a ser., 19 (1978), 737-44, 255-8 in particolare [= Scritti, II, 1445-61, 1454-7 in particolare]) ; id., Il diritto nella storia, . I, 404-5 nt.40 ; id., Le grandi linee, 358, 375, 383 ; Bellomo, I fatti, 138-9 e nt. 201.

[75] fo. 20ra [nr. 3; L.F., 1.5, § Quin etiam], “Franciscus Tigrinus de Pisis, vir magnae scientiae et sanctae vitae, et de hoc per Bar. …”.

[76] fo. 47ra [nr. 12 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 78vb [nr. 19 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur].

[77] fo. 61vb [nr. 3 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 62ra [nr. 4 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 72ra [nr.18 ; L.F., 2.45, § Si contigerit]. Cfr. E. Caillemer, Jean de Blanot, “Mélanges Ch. Appleton”, [Annales Univ. de Lyon, n.s., II, fasc. 13], Lyon-Paris 1903, 53-110, 82 ; R. Feenstra, Jean de Blanot et la formule ‘Rex Franciae in regno suo princeps est’, in Études d’histoire du droit canonique dédiées à Gabriel Le Bras, Paris 1965, II, 885-895, ora in R. F., Fata iuris Romani. Études d’histoire du droit [Leidse juridische reeks, 13], Leyde 1974, 139-149 ; dopo anche Ennio Cortese, Il diritto nella storia, II, 284 nt.

[78] fo. 7va [nr. 8 ; L.F., 1.1, § Marchio] ; fo. 26va [nr. 6 ; L.F., 1.13 (14), § De Marchia] ; fo. 36va [nr. 1 ; L.F., 2.3, § Praeterea] ; fo. 39rab [nr. 1 ; L.F., 2.7, § Investitura] ; fo. 62ra [nr. 4 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 66vb [nr. 1 ; L.F., 2.36, § Mutus]. In tutto, sono almeno 6 allegazioni. Cfr. Cortese, Il diritto nella storia, II, 416 nt. 68 ; id., Le grandi linee, 384, nt. 546.

[79] 12va [nr. 11; L.F., 1.5, § Cum autem] ; 21 rb [nr. 3 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; 32ra [nr. 1 ; L.F., 25 (26), § S inter dominum] ; 33ra [nr. 5 ; L.F., 1.25 (26), § Si quis] ; 35ra [nr. 1, L.F., 2.2, § Investitura] ; 38rb [nr. 2 ; L.F., 2.5, § Qualiter] ; 39rb [nr. 2 ; L.F., 2.7, § Investitura] ; 40vb [nr. 2 ; L.F., 2.9, § Donare] ; 41ra [nr. 4 ; L.F., 2.9, § Donare] ; 42rb [nr. 1 ; L.F., 2.11, § Ad filios] ; 43rb [sine nr., L.F., 2.13, Titius a Sempronio] ; 46va [nrr. 3-4 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; 49rb [nrr. 10 e 13 ; L.F., 2.24, § Porro si dominum] ; 51va [pr., L.F., 2.6, § Si quis per triginta] ; 54rb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si facta] ; 55va [nr. 4 ; L.F., 2.26, § Vassallus] ; 59va [nr. 3 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; 61va [nr. 3 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; 63ra [sine nr., L.F., 2.33, in rubrica] ; 66va [nr. 2 ; L.F., 2.35, § Clerico] ; 66vb [nrr. 1-2 ; L.F., 2.36, § Mutus] ; 67va [nr. 1 ; L.F., 2.37, § Si quis interfecerit] ; 67vb [nr. 1 ; L.F., 2.37, § Non cogitur] ; 71vb [nr. 14 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; 77ra [nr. 3 ; L.F., 2.53, § Hac edictali] ; 83ra [nr. 18 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; 85vb [nr. 4 ; L.F., 2.54 (55), § Praeterea Ducatus]. In tutto, si contano almeno 27 allegazioni.

[80] in prooemio, fo. 3va, nr.25 ; fo. 6vb [nr. 19 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 8vb [nr. 12; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 10ra [nr. 4 ; L.F., 1.1, § Notandum est autem] ; fo. 10ra [nr. 1 ; L.F., 1.2, § Item] ; fo. 12ra [nr. 2; L.F., 1.4, § Si autem controversia] ; fo. 13ra [nr. 4; L.F., 1.4, § Cum autem] ; fo. 13rb [pr., L.F., 1.4, § Item si vassallus] ; fo. 16ra [nr. 1; L.F., 1.5, § Rursus] ; fo. 20rb [nr. 4; L.F., 1.6, § Mutus feudum] ; fo. 21va [nr. 6 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 22va [nr. 8 ; L.F., 1.8, § Hoc quoque] ; fo. 23va [pr. e nr. 1 ; L.F., 1.9, § Si quis investitus] ; fo. 24rb [nr. 3, L.F., 1.11 (12), § Si contentio] ; fo. 25ra [nr. 9 ; L.F., 1.12 (13), § Si clientulus] ; fo. 27ra [nr. 3 ; L.F., 1.16 (17), § Si capitanei] ; fo. 27va [nr. 4 ; L.F., 1.17 (18), § Si contentio] ; fo. 28rb [nr. 7 ; L.F., 1.18 (19), § Si quis miles] ; fo. 29vb [nr. 3 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 30rb [nr. 4 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta] ; fo. 31rb [nr. 9 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; al fo. 33vb [nr. 2 ; L.F., 1.26 (27), § Si quis obligaverit] ; fo. 34ra [nr. 3 ; L.F., 1.26 (27), § Si quis investierit] ; fo. 34vb [nr. 1 ; L.F., 2.1, § Sciendum est] ; fo. 41va [nr. 4 ; L.F., 2.9, § Porro] ; fo. 45ra [nr.7 ; L.F., 2.17, § Nam illud] ; fo. 46va [nrr. 1-2 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 48va [nr. 1 ; L.F., 2.24 § Est et alia] ; fo. 49rb [nr.13 ; L.F., 2.24, § Porro si dominum] ; fo. 49vb [nr. 5 ; L.F., 2.24, § Denique] ; fo. 50rb [nr. 3 ; L.F., 2.24, § Negocium tale est] ; fo. 51va [nrr 3-4 ; L.F., 2., 26, § Si quis per triginta] ; fo. 53va [nrr. 6-8 ; L.F., 2.26, § Naturales] ; fo. 54v [nr. 5 L.F., 2.26, § Si facta] ; fo. 56ra [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Feudum] ; fo. 56rb [nr. 1-3, L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 58ra [pr., L.F., 2.27, § Si duo] ; fo. 59vb [nr. 7 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 64va [sine nr., L.F., 2.33, § Similiter] ; fo. 69ra [nr. 1 ; L.F., 2.40, § Praeterea] ; fo. 70vb [nr. 2 ; L.F., 2.44, § Praeterea] ; fo. 73rb [nr. 1 ; L.F., 2.48, § Si quis miles] ; fo. 73va [pr., L.F., 2.49, § Tres erant] ; fo. 74rb [pr., L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 75vb [nr. 16 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 77ra [nr. 2 ; L.F., 2.53, § Hac edictali] ; fo. 77vb [nr. 7 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 77vb [nr. 87 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 80rb [nr. 8 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 81vb [nr. 21 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 84ra [nrr. 3, 7, 11 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 84vb [nr. 18 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem]. In tutto, si contano almeno 52 allegazioni.

[81] “Ioannes seu Nicolaus Furiosus, in apparatu suo quem fecit ante apparatum Accursii…”, fo. 63va [nr. 11 ; L.F., 2.33, § sacramentum].

[82] fo. 78va [nr. 16 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur].

[83] In prooemio, nr. 16, fo. 3rb, nrr.32 e 36, fo. 4rab, nr. 53, fo. 5rb ; fo. 7ra [nr. 3; L.F., 1.1, § Marchio] ; fo. 17rb [nrr. 16 e 18; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 18 va [nr. 1 ; L.F., 1.5., § Aut si libellario] ; fo. 39rb [nr. 2 ; L.F., 2.7, § Investitura] ; fo. 46ra [nr. 6 ; L.F., 2.21, § Miles] ; fo. 46rb [nr. 1, L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 73vb [nr. 1 ; L.F., 2.49, § Tres erant]. In tutto, si contano almeno 10 allegazioni.

[84] che Baldo cita accoppiandolo ad Andrea d’Isernia, e potrebbe essere Carlo di Tocco, fo. 17rb [nr. 16; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est], “Dicunt Carolus et And. de Iser. …”.

[85] fo. 23va [nr. 2 ; L.F., 1.9, § Si quis investitus] ; fo. 51va [nr. 1 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 53va [nr. 9 ; L.F., 2.26, § Naturales] ; fo. 79rb [nr. 5 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 86ra [nr. 7 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus]. In tutto, sono almeno 5 allegazioni.

[86] fo. 38 va [nr. 5 ; L.F., 2.5, § Qualiter] ; fo. 44va [nr. 4 ; L.F., 2.16, § Si inter dominum] ; fo. 52rb [nr. 9 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 73va [nr. 4 ; L.F., 2.49, § Tres erant] ; fo. 74va [nr. 4 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 77vb [nr. 7 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 86ra [nr. 5 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus]. In tutto, si contano almeno 7 allegazioni.

[87] In prooemio, nr. 4, fo. 2va ; fo. 6ra [nr. 4 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 7vb [pr. ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 9va [nr. 5 ; L.F., 1.1, § notandum est autem] ; fo. 12ra [pr., L.F., 1.4, § Si autem controversia] ; fo. 12vb [nr. 1; L.F., 1.4, § Cum autem] ; fo. 14rb [pr., L.F., 1.4, § Si suis de manso] ; fo. 14va [pr., L.F., 1.4, § Quis de manso] ; fo. 15vb [pr., L.F., 1.4, § Rursus] ; fo. 18 ra [nr. 5 ; L.F., 1.5.7 i.c., in versiculo Nepotem] ; fo. 18 va [nr. 1 ; L.F., 1.5., § Aut si libellario] ; fo. 18vb [nr. 2; L.F., 1.5, § Rursus si fidelis] ; fo. 19ra [nr. 4; L.F., 1.5, § Rursus si fidelis] ; fo. 19vb [nr. 1 ; L.F., 1.6, § Quinetiam] ; fo. 22vb [nr. 17 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 23ra [nr. 20 ; L.F., 1.7, § Hoc quoque] ; fo. 23rb [pr., L.F., 1.9, § Si quis investitus] ; fo. 24ra [nr. 4 ; L.F., 1.10, § Si fuerit] ; fo. 24ra [pr., L.F., 1.11 (12), § Si contentio] ; fo. 25ra [nr. 3 ; L.F., 1.12 (13), § Si clientulus] ; fo. 26rb [nr. 4, L.F., 1.13 (14), § De Marchia] ; fo. 27va [nr. 4 ; L.F., 1.17 (18), § Si contentio] ; fo. 27vb [nr. 1 ; L.F., 1.18 (19), § Si quis] ; fo. 29rb [nr. 3, L.F., 1.20 (21), § Sancimus] ; fo. 29vb [nr. 5 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 30ra [nr. 1 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta] ; fo. 30vb [nr. 3 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 31va [nr. 1 ; L.F., 1.23 (24), § Si quis sine] ; fo. 31va [nr. 1 ; L.F., 1.23 (24), § Si quis sine] ; fo. 31vb [pr., L.F., 1.24(25), § Sciendum] ; fo. 34ra [nr. 1 ; L.F., 1.26.2 (28), § Quidam obligavit] ; fo. 32va [nr. 16; L.F., 1.25 (26), § Si inter dominum] ; fo. 34vb [nr. 5 ; L.F., 2.1, § Sciendum est] ; fo. 36va [nr. 5, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 36vb [nr. 1 ; L.F., 2.3, § Praeterea] ; fo. 37rb [nr. 4 ; L.F., 2.3, § Sed et res] ; fo. 37vb [nrr. 4 e 6 ; L.F., 2.3, Nulla] ; fo. 38rb [nr. 3 ; L.F., 2.5, § Qualiter] ; fo. 38va [pr., L.F., 2.6, § In epistola] ; fo. 39rb [nr. 7 ; L.F., 2.7, § Est et alia] ; fo. 39vb [nr. 2 ; L.F., 2.8, § Quid ergo] ; fo. 41ra [nr. 6 ; L.F., 2.9, § Donare] ; fo. 41va [nrr. 4-5 ; L.F., 2.9, § Porro] ; fo. 42rb [nr. 1 ; L.F., 2.11, § Ad filios] ; fo. 42va [nr. 2 ; L.F., 2.12, § Si duo fratres] ; fo. 42va [nr. 2 ; L.F., 2.12, § Si duo fratres] ; fo. 43ra [nrr. 4 e 6 ; L.F., 2.12, § Si duo fratres] ; fo. 43rb [nr. ; L.F., 2.14, § Quidam Vassallus] ; fo. 43vb [nr. 6 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 44vb [nr. 3 ; L.F., 2.17, § Qui sibi] ; fo. 44vb [nrr. 5-6 ; L.F., 2.17, § Qui sibi] ; fo. 45ra [nr. 6 ; L.F., 2.17, § Qui sibi] ; fo. 45ra [nr. 1 ; L.F., 2.18, § Duo fratres] ; fo. 45va [pr., L.F., 2.20, § Ex eo] ; fo. 48rb [nr. 4 ; L.F., 2.23, § In primis] ; fo. 48rb [nr. 1 ; L.F., 2.24, § Prima autem causa] ; fo. 48va [nr. 1 ; L.F., 2.24 § Est et alia] ; fo. 48vb [nr. 2 ; L.F., 2.24 § Est et alia] ; fo. 48vb [nr. 1 ; L.F., 2.24 § Porro si dominum] ; fo. 49ra [nr. 4 ; L.F., 2.24, § Porro si dominum] ; fo. 49vab [nrr. 1, 3, 6 ; L.F., 2.24, § Denique] ; fo. 50ra [nr. 6, i.f. ; L.F., 2.24, § Denique] ; fo. 50rab [nrr.2-3 ; L.F., 2.24, § Negocium tale est] ; fo. 50va [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Si de feudo] ; fo. 50va [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Inter filiam] ; fo. 50vb [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Moribus] ; fo. 51rb [nr. 6 ; L.F., 2.26, § Vassallus] ; fo. 53ra [nr. 2 ; L.F., 2., 26 § Omnes filii] ; fo. 53rav [nrr. 2 e 5 ; L.F., 2., 26 § Naturales] ; fo. 53va [nr. 13 ; L.F., 2.26, § Naturales] ; fo. 54r [per tot. ; L.F., 2.26, § Si Titius filios] ; fo. 54r [per tot. ; L.F., 2.26, § Si Titius filios] ; fo. 54vb [nr. 3 ; L.F., 2.26, § Licet] ; fo. 55rab [nrr. 2-3 ; L.F., 2.26, § Si Vassallus] ; fo. 56va [nr. 4 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 57ra [nr. 14 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 58rb [nr. 1 ; L.F., 2.27, § Si duo] ; fo. 58vab [nr. 2 ; L.F., 2.27, § Si tres, vel plures] ; fo. 59rb [nr. 1 ; L.F., 2.27, § Si quis quinque solidos] ; fo. 60ra [nr. 12 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 60va [pr. e nr. 5, L.F., 2.28, § Ad haec] ; fo. 61ra [nr. 2 ; L.F., 2.28, § His consequenter] ; fo. 61rb [nr. 1 ; L.F., 2.29, § Quidam] ; fo. 61va [nr. 2 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 62ra [nr. 4 ; L.F., 2.31, § Vassalli] ; fo. 62rb [pr., L.F., 2.32, § Sive clericus] ; fo. 62vab [nrr. 1 e 3, L.F., 2.32, § Sive clericus] ; fo. 63rb [nr. 4 ; L.F., 2.33, § Sciendum] ; fo. 64ra [nr. 16 ; L.F., 2.33, § Sacramentum] ; fo. 66ra [nr. 2 ; L.F., 2.34, § Similiter] ; fo. 67rab [nrr. 2 e5 ; L.F., 2. 36, § Mutus] ; fo. 67va [nr. 3 ; L.F., 2.37, § Si quis interfecerit] ; fo. 67vb [nr. 1 ; L.F., 2.37, § Non cogitur] ; fo. 68rb [nrr. 5 e 7 ; L.F., 2.38, § Si vassallus] ; fo. 68va [nrr. 2, 4 e 5 ; L.F., 2.39, § Alienatio] ; fo. 69va [nr. 3 ; L.F., 2.40, § Et iterum] ; fo. 69vb [nr. 2 ; L.F., 2.41, § Item sciendum] ; fo. 70ra [nr. 2, i.f. ; L.F., 2.41, § Item sciendum] ; fo. 70rb [nr. 1 ; L.F., 2.42, § In causa] ; fo. 70vb [nr. 1 ; L.F., 2.44, § Praeterea] ; fo. 71rb [nr. 6 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 71va [nr. 8 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 71vb [nr. 15 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 73ra [nr. 10 ; L.F., 2.47, § Ex facto] ; fo. 73rb [pr., L.F., 2.48, § Si quis miles] ; fo. 73va [nrr. 3 e 5-6 ; L.F., 2.48, § Si quis miles] ; fo. 74ra [nr. 3 ; L.F., 2.50, § Successionis] ; fo. 76ra [nr. 18 ; L.F., 2.51, § Si voluerit] ; fo. 76vb [nr. 2 ; L.F., 2.54 (55), § Satis bene] ; fo. 77ra [nr. 3 ; L.F., 2.53, § Hac edictali] ; fo. 78vb [nr. 18 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 79ra [nr. 1 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 80vb [pr., L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 83rab [nrr. 18-21 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 83va [nr. 25 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 84ra [nr. 8 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 85rb [nr. 7 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 85va [nr. 1 ; L.F., 2.54 (55), § Praeterea] ; fo. 86ra [nr. 8 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus] ; fo. 86vb [nr. 8 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus] ; fo. 87ra [nrr. 1-3, 6-7 ; L.F., 2., 54 (55) § Illud] ; fo. 88ra [nr. 11 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 122 allegazioni.

[88] fo. 82rb [nr. 7 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 87rb [nr. 5 ; L.F., 2., 54 (55) § Illud].

[89] fo. 4ra [nr. 32; in prooemio] ; fo. 11va [nr. 4; L.F., 1.4, in rub.] ; fo. 15va [nr. 18 ; L.F., 1.4, § Si quis de manso] ; fo. 32va [nr. 14 ; L.F., 1.25 (26), § Si inter dominum] ; fo. 35va [nr. 6 ; L.F., 2.2, § investitura] ; fo. 37ra [nr.3 ; L.F., 2.3, § Investitura] ; fo. 46ra [nr. 5 ; L.F., 2.21, § Miles] ; fo. 48vb [nr. 3 ; L.F., 2.24 § Porro si dominum] ; fo. 72ra [nr.18 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 74vb [nr. 6 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 75rb [nrr. 9-10 e 12 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 75vab [nrr. 13, 15, 17 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 81va [nr. 17 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta]. In tutto, si contano almeno 13 allegazioni.

[90] Che viene da Baldo citato senza ulteriori denominativi (“Pet.”), ma la riproposizione quasi costante del semplice nome di Pietro in unione a quello di Cino da Pistoia (che si sa “legatissimo” a Pierre Belleperche, Cortese, Il diritto, II, 402) non lascia dubbi sul fatto che l’allegazione si riferisca appunto a Pierre Belleperche (Petrus a Bellapertica) : fo. 51vb [nr. 6, L.F., 2., 26 § Si quis per triginta], “…ut notatur per Pet. et Cy. in l. j. C. de contrahen. et committen. Stipul. …” ; fo. 64vb [pr., L.F., 2.34, § Inter pares], “…coram iudice] scilicet ordinario. Pet.; fo. 72va [nr. 2, L.F., 2.46, § Ex eo], “Certe nos vidimus hoc non solum in legibus, sed etiam in opinionibus glossarum, quia ultima opinio corrigit primam corretione pobabili, ut no. Pet. C. de summa riniate, l. cunctos populos, licet Cy. ibi derideat gl. Accur.” ; fo. 75vb [nr. 15, L.F., 2.51, § Quidam capitaneus], “…et no. ff de iurisdic. Omn. Iud. L. extra territorium, per Pet. et Cy….” ; fo. 78vb [nr. 19, L.F., 2.53, § Iniuria punitur], “…Sed pone, quidam potens mihi mandavit, quod occidam Titium, alias interficiet me. Nunquid excxuset, cum alias vitam meam salvare non possum. Dicit Pet. quod sic, ad leg. Aquil. L. scientiam. § qui cum aliter, et ibi per Cy. …” ; fo. 82vb [nr. 13-4, L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc], “…idem tenet Pet. e Cy. C. de sacrosanctis ecclesiis, auth. Quibuscunque modis. In tutto, si contano almeno 6 allegazioni al semplice nome di Pietro.

[91] fo. 9ra [nr. 20 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 10ra [nrr. 3 ; L.F., 1.2, § Item] ; fo. 13ra [nr. 4; L.F., 1.5, § Cum autem] ; fo. 16va [nr. 4; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est] ; fo. 18 va [nr. 4 ; L.F., 1.5., § Aut si libellario] ; fo. 20rb [nr. 1; L.F., 1.6, § Mutus feudum] ; fo. 21va [nr. 6 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 23vab [nrr. 1 e 7 ; L.F., 1.9, § Si quis investitus] ; fo. 24rab [nrr. 5-7 ; L.F., 1.10, § Si fuerit] ; fo. 24rb [nr. 3, L.F., 1.11 (12), § Si contentio] ; fo. 32va [nr. 14 ; L.F., 1.25 (26), § Si inter dominum] ; fo. 33ra [nr. 3 ; L.F., 1.25 (26), § Si quis] ; fo. 34vb [nrr. 2 e 4 ; L.F., 2.1, § Sciendum est] ; fo. 35ra [nrr. 2 e 3, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 35va [nr. 9, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 36va [nrr. 2 e 5, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 37va [nr. 2 ; L.F., 2.3, § Investitura] ; fo. 37va [nr. 2 ; L.F., 2.3, § Nulla] ; fo. 3ra [nrr. 5-6 ; L.F., 2.7, § Est et alia] ; fo. 39vb [nr. 3 ; L.F., 2.8, § Quid ergo] ; fo. 41ra [nr. 5 ; L.F., 2.9, § Donare] ; fo. 42ra [nr. 2 ; L.F., 2.10, § Soldata autem] ; fo. 42vb [nr. 1 ; L.F., 2.12, § Si duo fratres] ; fo. 44va [nr. 4 ; L.F., 2.16, § Si inter dominum] ; fo. 47ra [nr. 10 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 47vb [nr. 21 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 49rb [nr.13 ; L.F., 2.24, § Porro si dominum], fo. 50rb [nr.2 ; L.F., 2.24, § Negocium tale est] ; fo. 51vab [nrr. 1 e 6 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 52va [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Qui clericus] ; fo. 53va [nr. 12 ; L.F., 2.26, § Naturales] ; fo. 54ra 2 [nr. ; L.F., 2.26, § Si quis decesserit] ; fo. 54v [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si facta] ; fo. 55va [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Si Vassallus] ; fo. 56va [nr. 11 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 57va [nrr. 16 e 18 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 58vb [nr. 2 ; L.F., 2.27, § Si tres, vel plures] ; fo. 59va [nr. 3 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 61rb [nr. 3 ; L.F., 2.28, § Quidam] ; fo. 65rb [nr. 9 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 65vb [nr. 1 ; L.F., 2.34, § Ex eadem lege] ; fo. 66va [sine nr., L.F., 2.36, in rubr.] ; fo. 67vb [nr. 1 ; L.F., 2.37, § Non cogitur] ; fo. 71ra [nr. 3 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 71vb [nr. 14 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 73va [nr. 4 ; L.F., 2.49, § Tres erant] ; fo. 74rb [pr., L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 75vb [nrr. 15-7 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 76ra [nr. 18 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 76ra [nr. 1 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialis] ; fo. 77ra [nr. 3 ; L.F., 2.53, § Hac edictali] ; fo. 77rb [nrr. 2 e 5 ; L.F., 2.53, § Si quis vero] ; fo. 77va [nr. 8, i.f. ; L.F., 2.53, § Si quis vero temerario] ; fo. 77vab [nrr. 3-5, 8 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 78vab [nrr. 17-9 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 80rab [nr. 8 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 80va [nr. 11 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 81rb [nrr. 10 e 12 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 81vab [nrr. 17, 19 e 21 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 82ra [nr. 3 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 82va [nr. 13 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 86rb [nr. 11 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus] ; fo. 86va [nr. 3 L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus]. In tutto, si contano almeno 63 allegazioni.

[92] fo. 6vb [nr. 20; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 15va [nr. 17 ; L.F., 1.4, § Si quis de manso] ; fo. 17rb [nr. 16; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est] ; fo. 22va [nr. 9, fo. 23ra [nr. 9, § Hoc quoque] ; fo. 26vb [nr. 3 ; L.F., 1.14 (15), § Si foemina] ; fo. 27ra [nr. 3 ; L.F., 1.15 (16), § Si minores] ; fo. 28rb [nr. 7 ; L.F., 1.18 (19), § Si quis miles] ; fo. 30vb [nr. 8 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta] ; fo. 35ra [nr. 3, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 56va [nr. 4 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 57vb [nr. 3 ; L.F., 2.27, § Si clericus] ; fo. 74ra [nr. 2 ; L.F., 2.50, § Successionis] ; fo. 74va [nrr. 2 e 4 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 78rb [nr. 11 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 78vb [nr. 19 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 81ra [nr. 4 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 81va [nrr. 17 e 19 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta]. In tutto, si contano almeno 18 allegazioni.

[93] fo. 36va [nr. 5, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 62ra [nr. 6 ; L.F., 2.31, § Vassalli].

[94] Per i documenti dell’accorata ed ancóra ammirata memoria in Baldo per la figura di Bartolo da Sassoferrato, maestro da annoverare “[inter] summos viros, qui cognoscunt genus et differentias”, vorrei qui rinviare a Montorzi, Fides, 322.

[95] fo. 3ra [nr. 11, in prooemio] ; fo. 3va [nr. 24, in prooemio] ; fo. 4ra [nr. 32, in prooemio] ; fo. 7ra [nr. 1 ; L.F., 1.1, § Marchio] ; fo. 8ra [nr. 4; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 9ra [nr. 20 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 12va [nr. 13; L.F., 1.4, § Si autem controversia] ; fo. 13va [nr. 9; L.F., 1.4, § Item si vassallus] ; fo. 15ra [nrr. 10 e 13; L.F., 1.4, § Si quis de manso] ; fo. 16ra [nr. 3; L.F., 1.4 § Si quis de manso] ; fo. 18ra [nr. 5; L.F., 1.5, § Similiter si dominum] ; fo. 20ra [nrr. 2-3; L.F., 1.6, § Quinetiam] ; fo. 21va [nr. 6 ; L.F., 1.8, § Sequitur], fo. 28vb [pr., L.F., 1.19 (20), § Si quis] ; fo. 29va [nr. 2 ; L.F., 1.20 (21), Si quis miles] ; fo. 30rb [nr. 4 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta] ; fo. 30vb [nrr. 4-5 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 31rab [nrr. 8 e nr. 11 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus], fo. 31rb [nr. 9 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 32ra [nr. 4 ; L.F., 25 (26), § S inter dominum] ; al fo. 33ra [nr. 2 ; L.F., 1.26 (27), § Si quis obligaverit] ; fo. 35ra [nr. 3, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 35vra [nr. 91, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 36va [nr. 2, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 38ra [nr. 2 ; L.F., 2.4, § Utrum] ; fo. 42ra [nr. 2 ; L.F., 2.10, § Soldata autem] ; fo. 42vb [nr. 3 ; L.F., 2.12, § Si duo fratres] ; fo. 43vb [nr. 7 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 44ra [nrr. 8 e 10 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 47rab [nrr. 10 e 13 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 47va [nr. 20 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 48ra [nr. 23 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 49ra [nrr. 7 e 9 ; L.F., 2.24, § Porro si dominum] ; fo. 50ra [nr.2 ; L.F., 2.24, § Negocium tale est] ; fo. 50rb [nrr. 3 e 5 ; L.F., 2.24, § Negocium tale est] ; fo. 50va [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si de feudo] ; fo. 50vb [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Moribus] ; fo. 52ra [nrr. 9-10 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 52va [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Qui clericus] ; fo. 54rb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si facta] ; fo. 55va [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Vassallus] ; fo. 57va [nr. 24 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 59va [nr. 4 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 65rab [nrr. 7 e 9 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 65vab [nrr. 9-12 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 66va [nrr. 2-3 ; L.F., 2.35, § Clerico] ; fo. 69va [nr. 5 ; L.F., 2.40, § Praeterea] ; fo. 71rab [nrr. 3 e 6 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 71vb [nr. 14 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 73va [nr. 4 ; L.F., 2.48, § Si quis miles] ; fo. 75rb [nr. 11 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 75va [nr. 13 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 78rab [nrr. 11-2 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 78va [nrr. 16-7 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 79va [nr. 9 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 79vb [nr. 4 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 80rab [nr. 8-9 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 81rab [nrr. 8-14 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 81vb [nrr. 20-1 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 82rb [nr. 4 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 83va [nr. 26 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 83vb [nr. 1 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 85vb [nr. 4 ; L.F., 2.54 (55), § Praeterea Ducatus] ; fo. 86ra [nrr. 5, 7 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus] ; fo. 87ra [nr. 2 ; L.F., 2., 54 (55) § Illud] ; fo. 88rb [nr. 19 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 66 allegazioni.

Spicca nel testo di Baldo anche un vivido medaglione di Bartolo da Sassoferrato, ed una singolare presa di campo di Baldo stesso : “…Fuit nam Bartolus subtilis homo, et Doctor meus, tamen semper tenebat opiniones multum placentes laicis, et hoc facit opinionibus suis multum honoris…” : sulle opinioni di Baldo, non sempre allineate con quelle dei canonisti della curia, cfr. già Tamassia, Baldo studiato, 8 e ntt. 20-2, 27 = Scritti, 2, 487-8. Di altri suoi maestri Baldo parla in questa sua Lectura feudorum, a partire dai lontani esordi, sino agli ultimi insegnamenti bartoliani : “…primus doctor meus Ioannis Pogliarensis. Alius enim Doctor meus, qui rerum singularium habebat memoriam, fuit dominus Franciscus Tigri de Pisis. Sed ille qui multum contulit ingenio, fuit Bartolus de Saxoferato, quos longo tempore audivi et discendi studio raro me ab eis separavi. Dicebat autem Bartolus quod illud quod suum fabricabat ingenium erat lectura Cyni”. I brani autobiografici di Baldo – soprattutto quelli relativi al suo cursus di studi giuridici – sono peraltro ben noti [Diplovataccio, 299 (15 ss) ; F. C. von Savigny, Geschichte, 6, § 65-6, 208-19 ; = trad. Bollati, 662-9].

[96] fo. 26va [nr. 7 ; L.F., 1.13 (14), § De Marchia] ; cfr. Pillio da Medicina, Libellus disputatorius: Parte edita, Universität Hamburg, Di ss. v. Jürgen Meyer-Nelthropp, Hamburg 1958.

[97] Baldo stesso, tuttavia, non manca di raccogliere, nel corso della sua esposizione, dei detti brocardici da offrire all’utilità ed all’analisi del proprio lettore, in particolare al fo. 61va [nr. 1; L.F., 2.31, § Vassalli], “Hinc tangitur illud brocardum, an delictum patris noceat filio …” ; fo. 66ra [nr. 3; L.F., 2.34, § Ex eadem lege] ; fo. 23ra [nr. 3; L.F., 1.8, § Filia vero] ; fo. 29ra [nr. 6; L.F., 1.19(20) § Si quis : “… deinde gl. transit ad brocarda, utrum sit gratis quod non licet per pecuniam …”] ; altrove si dànno vere e proprie informazioni apodittiche sul contenuto canonico di certi elementi della prassi feudale, ad es., al fo. 31va [pr., L.F., 1.24(25), § Sciendum], “regula est, quod feudum sine investitura non potest constitui…” ; ovvero al fo. 4va [nr. 39 i.f. in prooemio], “dicunt enim doctores quod …”. Baldo, inoltre, talvolta enunzia e cita apoditticamente alcuni dicta delle scuole e in particolare della glossa ; come, ad es., al fo. 66ra [nr. 3 ; L.F., 2.34, § Ex eadem lege]. Altri esempi di precettistica d’interpretazione pratica (regole d’inferenza presuntiva), al fo. 33ra [nr. 2 ; L.F., 1.26 (27), § Si quis obligaverit] : “… qualis est contractus in prima sui figura, talis praesumitur in sui essentia …” ; si formulano poi regole di carattere generale sul feudo al fo. 26ra [pr. L.F., 1.13 (14), § De Marchia] : “Breviter dantur duae regulae …” ; ancóra regulae al fo. 4va [nr. 39, in prooemio], “… dicunt enim doctores quod …” ; fo. 23ra [nr. 3; L.F., 1.9, § Filia vero], “Quodam brocardum hic assignatur …” ; fo. 29ra [nr. 6; L.F., 1.20, § Si quis], “Deinde gl. transit ad brocarda …” ; fo. 31va [pr., L.F., 1.23(24), § Sciendum], “Traditur regula et regulae declaratio …” ; fo. 66ra [nr. 3; L.F., 2.34, § Ex eadem lege], “Et no. quod hic tangit gl. duo brocarda …”.

[98] Quello della via quaestionum, poi, è un metodo che di recente s’è autorevolmente indicato come il prodotto di una linea “di pensiero” nuova ed autonoma rispetto alla tradizione accademica dell’insegnamento di Azzone ed Accursio (Bellomo, I fatti, 386 ss.). La prospettiva “questionante” pareva comunque ampiamente consolidata anche nell’ambiente della feudistica, attenta soprattutto a problemi e casi della prassi consuetudinaria e d’uso comune, ove lo strumento della quaestio poteva forse proporsi opportunamente come risorsa metodica tale da consentire la trattazione anche in sede scientifica ed accademica di temi appartenenti alla vita quotidiana. Non a caso già Martino Sillimani – di cui, tempo fa, Francesco Migliorino ha efficacemente documentato la pratica questionatoria [id., “Dominus meus in le gibus” : The search for a Liber quaestionum of Martinus Sillimani, in The two laws. Studies in medieval legal history, dedicated to Stephan Kuttner, edited by Laurent Mayali and Stephanie A. J. Tibbetts, Washington, The Catholic university of America press, 1990, 121-51 (Studies in medieval and early modern canon law, 1)] – nell’ultimo quarto del Duecento, aveva potuto qualificare la propria opera sui feudi come una collectio riassuntiva di casi ed osservazioni redatta per ordinem sub rubricis (“Tractaturi de feudis sub decem et septem rubricis omnia colligemus per ordinem …”, TUI, 10/1, fo. 2ra), ed aveva forse lasciato in quegli argumenta circa feuda che ci sono tramandati dal ms. palatino Parma 1227 (fo. 70rb) un parziale documento dell’opera di schedatura da lui apprestata a tal fine ; sicché ben si comprende come, di lì a poco, esibiscano un inequivoco impianto questionatorio quei corsi di Diritto Feudale di Pietro de’ Cerniti (supra, nt. 53) che, pur essendo ormai perduti, sono tuttavia ampiamente ricostruibili nella loro complessiva architettura attraverso le testimonianze della letteratura a lui successiva, in particolare attraverso questa Baldi Lectura feudorum. Il nerbo di ogni possibile riflessione feudistica pareva in tal modo indicarsi – secondo tale modo di scrittura – nell’attività di collezione/collazione dei casi di problematica pratica, e nella conseguente enucleazione da essi di regole brocardiche utili soprattutto, comunque fosse, alla immediata spendita professionale.

[99] Nella Baldi Lectura feudorum – già l’ha notato incidentalmente anche Cristina Danusso (La lectura, 35) – si tramandano forse alcuni documenti di una prassi scrittoria evidentemente questionativa e casistica : al fo. 14ra [nrr. 4ss ; L.F., 1.4, § Similiter], al fo. 62vb [nr. 3 ; L.F., 2.32, § Sive clericus], al fo. 46va [nr. 2 ; L.F., 2.22, § Dominus], ove il progresso espositivo s’appoggia essenzialmente ad una expositio casuum, talvolta annunziata e cadenzata dall’uso di stilemi additivi (“adde …”, cfr. in particolare al fo. 46va), che paiono individuabili come protasi introduttive di singole schede di ampliamento testuale.

[100] Nella Lectura – come attesta la tabella esposta in appendice – le allegazioni di autori canonistici occupano uno spazio quantitativamente assai considerevole : quasi la soglia di ¼ (il 24,71%) rispetto alla massa del complessivo sistema allegatorio dell’opera : Giovanni d’Andrea, 63 allegazioni almeno = 7,12 %; Innocenzo IV., 61 allegazioni almeno = 6,89 %; Enrico da Susa, 2 allegazioni almeno = 2,82 %; Guido da Baysio, 25 allegazioni almeno = 2,82 %; Jean le Moine, 25 allegazioni almeno = 2,82 %); Bernardo da Parma, 11 allegazioni almeno = 1,24 %; Goffredo da Trani, 1 allegazione almeno = 0,11 %; Raimondo da Peñafort, 5 allegazioni almeno = 0,56 %; Giovanni di Monte Murlo, 1 allegazione = 0,11 %; Paolo de’ Liazari, 1 allegazione = 0,11%; Federigo Petrucci, 1 allegazione = 0,11%). Il conto aumenta poi ancóra, se si aggiungono autori di indubbia estrazione ed afferenza ecclesiastica come Guillaume Durand (27 allegazioni almeno = 3,05 %) e civilisti di segno particolare come Dino del Mugello (52 allegazioni almeno = 5,88 %) e Roffredo Beneventano (4 allegazioni = 0,45 %), che hanno esteso la loro attività di produzione giuridica anche al campo di efficacia dell’istituzione ecclesiastica : in tal caso, infatti, il conto complessivo degli atti d’attenzione riservati da Baldo nella sua Lectura feudistica ad autori di afferenza canonistica o, comunque, d’interesse istituzionale ed ecclesiastico, ammonta ad una massa corrispondente al 34,09% (=24,71%+9,38%) dell’intero complesso allegatorio. Non è poco, per una disciplina – come la feudistica – che per tradizione dovrebbe intendersi quasi esclusivamente caratterizzata da una produzione extra-istituzionale, di origine soprattutto consuetudinaria (si vedano le polemiche riferite alla nt. 167). E, per la verità, non si tratta qui soltanto di un gioco di percentuali più o meno precise, o di più o meno numerose presenze canonistiche nel pur folto regesto di allegazioni della Baldi Lectura feudorum : è infatti indubbio anche per altra via, oltre quella meramente statistica, che il ricorso alla dottrina canonistica è molto spesso decisivo nella strategia interpretativa di Baldo, ai fini di una organica integrazione della realtà dell’esperienza feudale come vero e proprio ius all’interno del sistema di Diritto Comune. Si veda, ad es., per restare in argomento consuetudinario, in prooemio, al nr. 4, fo. 2va, ove Baldo corregge il comune punto di vista sul diritto dei feudi – ch’esso sia cioè prevalentemente ed esclusiamente consuetudinario – alla luce di alcuni detti innocenziani sulla natura universale e non consuetudinaria della iurisdictio. Documenti dell’interesse di Baldo per i contenuti normativi e di diritto positivo delle Decretali pontificie, al fo. 50vb [nr. 2 i.f.; L.F., 2.26, § Moribus]. Si veda, infine, la giustificazione fornita da Baldo stesso per le numerose allegazioni canonistche recate da questa stessa Lectura, qui riferita alla nt. 26.

[101] fo. 36va [nr. 1 ; L.F., 2.2, § Si vero Vassallus], cita la Summa.

[102] in prooemio, nr. 4, fo. 2va, nr. 30, fo. 3vb ; e poi anche : fo. 6ra [nr. 4 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 6vb [nr. 20; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 6vb [nr. 20; L.F., 1.1, § Marchio] ; fo. 8va [nr. 12; L.F., I.I § Et quia vidimus] ; fo. 9va [nr. 3 ; L.F., 1.1, Notandum est autem] ; fo. 12ra [nr. 2; L.F., 1.4, § Si autem controversia] ; fo. 12va [nr. 9 in fi. ; L.F., 1.4, § Si autem controversia] ; fo. 14ra [nr. 2 ; L.F., 1.4, § Similiter] ; fo. 19ra [pr., L.F., 1.5, § Praeterea] ; fo. 20va [pr., L.F., 1.7, § Natura feudi] ; fo. 23va [nr. 5 ; L.F., 1.9, § Si quis investitus] ; fo. 24rb [nr. 7 ; L.F., 1.10, § Si fuerit] ; fo. 28vb [pr., L.F., 1.19 (20), § Si quis] ; fo. 29va [nr. 2 ; L.F., 1.20 (21), Si quis miles] ; fo. 31ra [nr. 5 e nr. 8 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 31rb [nr. 9 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 34va [nr. 5 ; L.F., 2.1, § Obertus] ; fo. 36va [nr. 1 ; L.F., 2.2, § Si vero vassallus] ; fo. 36vb [nr. 1 ; L.F., 2.3, § Investitura] ; fo. 40ra [nr. 4 ; L.F., 2.8, § E contrario] ; fo. 43va [nr. 3 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 44ra [nr. 10 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 44rb [nr. 3 ; L.F., 2.15, § Si inter dominum] ; fo. 45ra [nr. 7 ; L.F., 2.17, § Qui sibi] ; fo. 45va [nr. 1, L.F., 2.20, § Ex eo] ; fo. 46va [nr. 1 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 46vb [nr. 5 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 47rab [nrr. 8-12 e 14-5 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 47va [nrr. 16-7 ; L.F., 2.22, § dominus] ; fo. 49vb [nr. 3 ; L.F., 2.24, § Denique] ; fo. 51va [nr. 2 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 52rab [nrr. 9 e 12 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 55rb [nr. 3 ; L.F., 2.26, § In generali] ; fo. 56va [nr. 7 ; L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 58rb [pr. e nr. 1 ; L.F., 2.27, § Si duo] ; fo. 59ra [nr. 1 ; L.F., 2.27, § Publici latrones] ; fo. 64rab [nrr. 17-8 ; L.F., 2.33, § Sacramentum] ; fo. 65vb [nrr. 12-3 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 68ra [nr. 3 i.f.; L.F., 2.38, § Si vasallus] ; fo. 69vb [nr. 1 ; L.F., 2.41, § Item sciendum] ; fo. 72va [nrr.27 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 74vb [nr. 5 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 75rab [nrr. 6 11 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 77rb [nr. 7 ; L.F., 2.53, § Si quis vero] ; fo. 77va [nr. 8, i.f. ; L.F., 2.53, § Si quis vero] ; fo. 77vab [nr. 1 e 5 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 78ra [nr. 10 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 78va [nr. 15 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 79va [nrr. 7 e 9-10 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 79vb [nr. 1 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 80ra [nrr. 6 e 8 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 80vb [nrr. 1-2 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 81ra [nr. 4 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 81ra [nr. 9 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 82ra [nr. 2 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 83va [nrr. 23 e 26 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 86rb [nr. 8 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus] ; fo. 88ra [nrr. 11 e 14 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea] ; fo. 88va [nr. 20 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 61 allegazioni.

[103] in prooemio, fo. 4rb, nr.37, fo. 5ra, nr. 53; e poi anche : fo. 14vb [nr. 5; L.F., 1.4, § Si quis de manso] ; fo. 16ra [nr. 3; L.F., 1.4, § Rursus] ; fo. 51vb [nr. 1 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 53rb [nr. 5 ; L.F., 2., 26 § Naturales] ; fo. 54va [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si facta] ; fo. 59va [nr. 3 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 63va [nr. 9 ; L.F., 2.33, § Sacramentum] ; fo. 64vb [nr. 2 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 76ra [nr. 20 ; L.F., 2.51, § Similiter]. In tutto, si contano almeno 11 allegazioni.

[104] fo. 11va [nr. 4; L.F., 1.4, in rub.] ; fo. 29ra [nr. 8, L.F., 1.19 (20), § Si quis ; fo. 30vb [nr. 5 ; L.F., 1.21 (22), § Si quis] ; fo. 31rb [nr. 9 ; L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; fo. 34va [nr. 2 ; L.F., 2.1, § Obertus] ; fo. 40vb [nr. 3 ; L.F., 2.9, § Donare] ; fo. 41ra [nr. 3 ; L.F., 2.9, § Donare] ; fo. 44ra [nr. 8 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 46va [nr. 4 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 46vab [nr. 4 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 47ra [nr. 11 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 47va [nrr. 18-9 ; L.F., 2.22, § dominus] ; fo. 52va [nr. 12 ; L.F., 2.26, § Si quis per triginta] ; fo. 55rb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § In generali] ; fo. 56rb [nr. 2, L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 65ra [nr. 3 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 66va [nr. 4 ; L.F., 2.35, § Clerico] ; fo. 68va [nr. 4 ; L.F., 2.39, § Alienatio] ; fo. 74vb [nr. 5 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 77va [nr. 8, i.f. ; L.F., 2.53, § Si quis vero] ; fo. 81ra [nr. 9 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 85rb [nr. 7 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem]. In alcuni casi, Baldo cita Enrico da Susa come “Henricus Archiepiscopus Ebredunensis” [Enrico da Susa fu, infatti, Arcivescovo di Embrun (Eburodunum, tra Marsiglia e Nizza), dal 1250 al 1271 (Schulte, II, 124; Gallia Christiana, Paris, 1715 – 1865, I, 452-73), e la sua summa è quindi anche circolata nei mss. con l’attribuzione di paternità all’Archiepiscopus ebrodunensis” (ad es., cod. Parma, 1227, 64v ) ; vedi ora, da ultimo, F. Soetermeer, Summa archiepiscopi alias Summa copiosa. Some Remarks on the Medieval Editions of the Summa Hostiensis, in A Ennio Cortese (Scritti in onore), III, 280 ss.]: fo. 40vb [nr. 3 ; L.F., 2.9, § Donare], fo. 61vb [nr. 3 ; L.F., 2.31, § Vassalli], fo. 64vb [nr. 2 ; L.F., 2.34, § Inter pares]. In tutto, si contano almeno 25 allegazioni.

[105] In tutto, s’hanno almeno 5 allegazioni : fo. 11vb [nr. 8; L.F., 1.4, in rub.] ; fo. 47ra [nr. 8 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 57ra [nr. 17 ; L.F., 2.27, § Federicus], ivi cita come trattato autonomo il cap. 3 De duello della seconda parte della Summa (cfr. Sancti Raymundi de Pennafort, ... Summa ..., Veronae, ex Typographia seminarii, 1744, lib. II, tit. 3, De duello, § unico, pp. 154-6 ; vedi Schulte, II, 411 e nt. 9) ; fo. 78ra [nr. 10 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 80vb [nr. 3 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta].

[106] fo. 7rb [nr. 2 ; L.F., 1.1., § Marchio]. Cfr. la scheda di Schulte, II, 164, nr. 35.

[107] in prooemio, nrr. 16-7, fo. 3rb, nr. 52, fo. 5ra, nr. 57, fo. 5rb; fo. 7 rb [nr. 2 ; L.F., 1.I, § Et quia vidimus] ; fo. 10ra [nr. 3 ; L.F., 1.2, § Item] ; fo. 12v [nr. 11; L.F., 1.5, § Cum autem] ; fo. 17va [nr. 20 ; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est] ; fo. 21vb [nr. 7 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 30vb [nr. 8 ; L.F., 1.21 (22), § Nisi iusta] ; fo. 32ra [nr. 8 ; L.F., 25 (26), § Si inter dominum] ; fo. 36va [nr. 5, L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 42vb [pr., L.F., 2.12, § Si duo fratres] ; fo. 46va [nr. 1 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 48vb [nr. 2 ; L.F., 2.24 § Porro si dominum] ; fo. 59rb [nr. 2 ; L.F., 2.27, § Si quis quinque solidos] ; fo. 63ra [nr. 1 ; L.F., 2.33, § Sciendum] ; fo. 65va [nr. 12 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 69va [nr. 5 ; L.F., 2.40, § Praeterea] ; fo. 71va [nr. 8 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 74ra [nr. 2 ; L.F., 2.50, § Successionis] ; fo. 78rb [nr. 11 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 78rb [nr. 11 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 81ra [nr. 4 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 83va [nr. 26 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 87va [nr. 4 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea] ; fo. 88rb [nr. 18 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea] ; fo. 88vb [nr. 24 L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 27 allegazioni.

[108] In prooemio, nr. 4, fo. 2va, nrr. 32, 34 e 37, fo. 4rab, nr. 51, fo. 5ra ; e poi anche : fo. 6ra [nr. 4 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 6vab [nrr. 11-2, 19 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 7va [nr. 8 ; L.F., 1.1, § Marchio] ; fo. 14ra [nr. 2 ; L.F., 1.4, § Similiter] ; fo. 15va [nr. 16 ; L.F., 1.4, § Si quis de manso] ; fo. 18vb [nr. 6; L.F., 1.5, § Aut si libellario] ; fo. 21vb [nr. 9 ; L.F., 1.8, § Sequitur] ; fo. 26rb [nr. 2, L.F., 1.13 (14), § De Marchia] : fo. 37va [nrr. 2-3 ; L.F., 2.3, § Nulla] ; fo. 40ra [nr. 1 ; L.F., 2.8, § Quamvis] ; fo. 47ra [nr. 120 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 66va [nr. 3 ; L.F., 2.35, § Clerico] ; fo. 68va [nr. 1 ; L.F., 2.39, § Alienatio] ; fo. 78va [nr. 16 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 79ra [nr. 19 i.f. ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 80ra [nr. 7 ; L.F., 2.53, § Conventiculas] ; fo. 81vb [nr. 20 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 82rb [nr. 5 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 82va [nrr. 11 e 13 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 84rb [nr. 11 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 85rb [nr. 7 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 88rb [nr. 19 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 25 allegazioni.

[109] In prooemio, nr. 32, fo. 4ra e nr. 45, fo. 4vb ; fo. 5vb [nr. 3 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 6vb [nr. 20; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 17va [nr. 23; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est] ; fo. 19va [nr. 3; L.F., 1.6, § Item si episcopus] ; fo. 19vb [nr. 8; L.F., 1.6, § Item si episcopus] ;fo. 41vb [nr.1 ; L.F., 2.10, § Qui a principe] ; fo. 43ra [nr. 4 ; L.F., 2.12, § Si duo fratres] ; fo. 51va [nr. 3 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 54rb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Si facta] ; fo. 55va [nr. 2 ; L.F., 2.26, § Vassallus] ; fo. 55vb [nr. 1 ; L.F., 2.26, § Beneficium] ; fo. 64rb [nr. 18 ; L.F., 2.33, § Sacramentum] ; fo. 65va [nrr. 11-2 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 66rb [sine nr. ; L.F., 2.34, § Si fuerit] ; fo. 66va [nr. 4 ; L.F., 2.35, § Clerico] ; fo. 67ra [nr. 3 ; L.F., 2. 36, § Mutus] ; fo. 78vab [nrr. 15 e 19 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 79rb [nr. 4 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 79va [nr. 9 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 81ra [nrr. 3-4 ; L.F., 2.53, § Item sacramenta] ; fo. 82rb [nrr. 5-8 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 82vb [nr. 12 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 88va [nr. 19 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 25 allegazioni.

[110] fo. 2vb, nr.6 in prooemio ; fo. 3rb, nr. 18 in prooemio ; fo. 3vb, nr. 30 in prooemio ; fo. 4rb [nr. 35in prooemio] ; fo. 6rb [nr. 4 ; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 6vb [nr. 15 ; ibid.] ; fo. 6vb [nrr. 15 e 20; L.F., 1.1, § Quia] ; fo. 7rab [nrr. 1 e 8 ; ibid., § Marchio] ; fo. 9ra [nr. 27 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 10rb [nr. 4 ; L.F., 1.2, § Item] ; fo. 1 va [nr. 1 ; L.F., 1.5., § Aut si libellario] ; fo. 17rb [nr. 16; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est] ; fo. 18va [nr. 1; L.F., 1.5, § Aut si libellario] ; fo. 20va [nr. 7; L.F., 1.6, § Mutus feudum] ; fo. 20vb [nr. 1; L.F., 1.7, § Natura feudi] ; fo. 27rb [nr. 3 ; L.F., 1.17 (18), § Si contentio] ; fo. 27vb [nr. 1 ; L.F., 1.18 (19), § Si quis]. fo. 29ra [nr. 8, L.F., 1.19 (20), § Si quis] ; fo. 29rb [nr. 3, L.F., 1.20 (21), § Sancimus] ; fo. 32va [nr. 14 ; L.F., 1.25 (26), § Si inter dominum] ; fo. 34 ra [nr. 1 L.F., 2.1, § Obertus] ; fo. 34 vb [nr. 7 L.F., 2.1, § Obertus] ; fo. 36vb [nrr. 2-3 ; L.F., 2.3, § Investitura] ; fo. 37ra [nr.3 ; L.F., 2.3, § Investitura] ; fo. 38ra [nr. 1; L.F., 2.4, § Utrum] ; fo. 41vb [nr. 1 ; L.F., 2.10, § Caeteri vero] ; fo. 43rb [sine nr., L.F., 2.14, in rubr.] ; fo. 44ra [nrr 8-10 ; L.F., 2.15, § Vassallus] ; fo. 44rb [nr. 3 ; L.F., 2.16, § Si inter dominum] ; fo. 45va [nr. 1, L.F., 2.20, § Ex eo] ; fo. 46ra [nr. 3 ; L.F., 2.21, § Miles] ; fo. 46va [nrr. 1 e 4-5 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 47rb [nr. 14 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 48rb [nr. 3 ; L.F., 2.23, § In primis] ; fo. 49rb [nr. 10 ; L.F., 2.24, § Porro si dominum] ; fo. 52rb [nr. 12 ; L.F., 2., 26 § Si quis per triginta] ; fo. 53rb [nr. 5 ; L.F., 2., 26 § Omnes filii] ; fo. 53va [nrr. 9, 11 e 13 ; L.F., 2.26, § Naturales] ; fo. 55rb [nr. 2 ; L.F., 2.26, § In generali] ; fo. 56rb [nr. 2, L.F., 2.27, § Federicus] ; fo. 56vab [nr. 7 e 12, 2.27, § Federicus] ; fo. 59va [nrr. 1-2 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 64rb [nr. 18 ; L.F., 2.33, § Sacramentum] ; fo. 65rab [nrr. 5 e 8 ; L.F., 2.34, § Inter pares] ; fo. 66va [nrr. 3-4 ; L.F., 2.35, § Clerico] ; fo. 68ra [nr. 3, i.f. ; L.F., 2.38, § Si vassallus] ; fo. 71va [nr. 8 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 71vb [nr. 14 ; L.F., 2.45, § Si contigerit] ; fo. 72vb [nr. 3 ; L.F., 2.46, § Ex eo] ; fo. 75rb [nr. 10 ; L.F., 2.51, § Quidam capitaneus] ; fo. 76ra [nr. 18 ; L.F., 2.51, § Si voluerit] ; fo. 77rb [nr. 7 ; L.F., 2.53, § Si quis vero] ; fo. 77va [nr. 8, i.f. ; L.F., 2.53, § Si quis vero] ; fo. 78rb [nr. 12 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 78va [nrr. 15-7 ; L.F., 2.53, § Iniuria punitur] ; fo. 79rb [nrr. 3-5 ; L.F., 2.53, § Iudices] ; fo. 82va [nr. 13 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 83ra [nr. 18 ; L.F., 2.53.11 (L.F.2.54), § Ad hoc] ; fo. 84rb [nr. 12 ; L.F., 2.54 (55), § Imperialem] ; fo. 85vb [nr. 2 ; L.F., 2.54 (55), § Praeterea Ducatus] ; fo. 86rb [nr. 10 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea Ducatus] ; fo. 88rab [nrr. 15-6 ; L.F., 2., 54 (55) § Praeterea]. In tutto, si contano almeno 62 allegazioni.

[111] fo. 13vb [nr. 1; L.F., 1.4, § Similiter].

[112] fo. 34vb [nr. 4 ; L.F., 2.1, § Sciendum est]. Sul Petrucci, vedi ora : P. Nardi, Contributo alla biografia di Federico Petrucci con notizie inedite su Cino da Pistoia e Tancredi da Corneto, in “Scritti di storia del diritto offerti dagli allievi a Domenico Maffei”, a cura di M. Ascheri (Medioevo e Umanesimo, 78), Padova 1991, 153-180.

[113] Cfr. Schulte, II, 275.

[114] Di cautele e questioni discusse in scuola da Baldo con i propri allievi è forse traccia al fo. 34ra [nr. 3 ; L.F., 1.26 (27), § Si quis investierit], ove si riporta la relazione svolta sul punto del legato uxorio da Gigliolo da Cremona : “hanc refert do. Giliolus de Cremona, discipulus Baldi …” : si tratta di un “Ziliolus de Cavitellis de Cremona”, di cui si conservano due consilia trai mss. del Collegio di Spagna, un Cons. de tortura (Collegio di Spagna, Bologna, ms. 179.12, fo. 377v-378v), ed un Cons. de privatione feudi, Collegio di Spagna, Bologna, ms. 179.15, a, fo. 394r-396r), cfr. Collegio di Spagna, Biblioteca, I codici del Collegio di Spagna di Bologna, studiati e descritti da Domenico Maffei, Ennio Corese, Antonio García y García, Celestino Piana, Guido Rossi; con la collaborazione di Mario Ascheri ... [et al.], Milano, 1992, 519 e 521 (“Orbis academicus”, 5).

[115] fo. 7ra [nr. 4 ; L.F., 1.1, § Et quia], “Et ita consului in causa Comitis Sabaudiae, super sententia lata per Regem Francorum …” ; fo. 20va [nr. 6 ; L.F., 1.5, § Mutus feudum], “Et ita de facto consului in quadam successione Marchionum de Mala Spina quae erat magni ponderis…”.

[116] fo. 7vb [nr. 1 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus], “… nota quod de quadam alia iurisprudentia …” ; fo. [nr. ; L.F., ] ; cfr. anche : fo. 18 ra [nr. 5 ; L.F., 1.5.7 i.c., in versiculo Nepotem] : “advocati bononienses istum textum multum allegant secundum Iaco. de Bel.” ; di contrasti di tendenza trai pratici è notizia al fo. 25vb [nr. 11 ; L.F., 1.12 (13), § Si clientulus], “Et ista quaestio [scil. in tema di alienazione di feudum paternum] fuit de facto, et audivi, quod quadam, scilicet collegia Bonon. et Mediolan., in consulendo fuerunt praecise contraria : consilia non vidi, motiva tamen tot Doctorum debuerunt esse solemnia …”.

[117] Dei contrasti e dell’articolazione della dottrina in diverse scuole s’accenna, ad es., al fo. 21va [nr. 6 ; L.F., 1.8, § Sequitur], “…hanc opinionem tenuerunt Doctores antiquiores ultramontani et citramontani. Et ego secundum istam opinionem pluries consului …” ; ed al fo. 66va [nr. 2 ; L.F., 2.36, § Mutus], ove la pagina baldesca lascia ampio spazio alle diverse contradictiones ed opiniones dei doctores e delle scuole in tema di amissio feudi. È poi ampio il rilievo conferito al differenziarsi delle scuole (e degli stylus) degli Antiqui e dei Moderni : fo. 8ra [nr. 3 ; L.F., 1.1, § Et quia vidimus] ; fo. 9va [nr. 3 ; fo. 35va [nr. 9 ; L.F., 2.2, § Investitura] ; fo. 47ra [nr. 8 ; L.F., 2.22, § Dominus] ; fo. 60ra [nr. 12 ; L.F., 2.28, § Domino guerram] ; fo. 74ra [nr. 3 ; L.F., 2.50, § Successionis]. Singolare, anche se certamente non inattesa, l’attenzione di Baldo per le differenziazioni intervenute nel tempo tra le diverse tendenze di prestigiosi pratici del diritto come i notai : L.F., 1.1, § Notandum est autem] : “…Et no. quod antiqui Notari formabant verba in prima persona…”.

[118] Di diversi atteggiamenti dello stylus curiae in tema di investitura è traccia poi al fo. 34ra [nr. 3 ; L.F., 1.26 (27), § Si quis investierit] : “…Si dominus aliquem investivit de beneficio sui militis, secundum Placentinos non tenet investitura sine consensu eius, cuius est feudum, sed secundum Mediolanenses et Cremonennses valet investitura …”.

[119] Come quando Baldo sbotta, gratificandoli del titolo di bestie, nei confronti di quanti si ostinano a disconoscere l’autorità dei Libri feudorum, giacché “consuetudines feudorum introductae sunt, secundum usum ab antiquis sapientibus institutum. Et ideo sileant bestiae, quae dicunt usum feudorum in se sapientiam non habere” (fo. 9ra, nr. 20, L.F., 1.1, § Et quia vidimus). Ma quegli “antiqui sapientes”, in definitiva, non gli sembrano sempre poi veramente cólti : vedi più oltre, alla nt. 142, i documenti del disprezzo di Baldo nei confronti di quei due “pecoroni” di Oberto dall’Orto e Gerardo Cagapisti : antichi, forse, ma, certamente, anche privi di cultura in pari misura.

[120] A suo tempo, ne ha ripercorso l’affascinante svolgimento Ennio Cortese, gettando finalmente luce su un mondo troppo a lungo sepolto e dimenticato [Cortese, Scienza di Giudici, cit. ; l’espressione citata è a pag. 110 (= Scritti, I, 708)].

[121] “Vides ergo, quam varie et ambigue Doctores loquantur in ista materia, ideo non est absurdum, si in ea procedamus per puncta rationis…” (fo. 67ra [nr. 3 ; L.F., 2.36, § Mutus] ; il corsivo è aggiunto).

[122] Ove certi “blocchi” di schedatura bibliografica sembrano forse distinguersi peculiarmente (forse anche cronologicamente), e porsi in corrispondenza con epoche specifiche o momenti particolari della biografia di Baldo : si pensi, ad es., alla significativa stratificazione di citazioni di autori pisani (che parrebbe istintivamente ricollegabile al pur breve soggiorno pisano di Baldo ; cfr. ntt. 73-76), o alle citazioni da maestri personali, come Bartolo (nt. 95) o Federigo Petrucci (112), o alla memoria di esperienze di cattedra (Gigliolo da Cremona : nt. 114), o alla memoria di esperienze professionali (ntt. 115-118).

[123] V. Colli, L’esemplare, 85.

[124] Vedi anche, supra, alla nt 99.

[125] V. Colli, L’esemplare, 77, sulla Baldi Lectura feudorum - come “opera tradita in una “serie” di redazioni autentiche”.

[126] Spostandosi lungo una linea decisamente concettuale e razionalizzante (cfr. nt. 25), Baldo abbandona, infatti, definitivamente l’impianto esclusivamente repertoriale dei sommari e delle margaritae (Montorzi, Fides, 215 ss. in particolare), pur continuandone ad usare la tecnica compilativa, cioè l’accumulo nel tempo di dati di schedatura entro la griglia strutturale offerta dal textus, con un metodo di ampliatio progressiva del testo di scrittura stesso (cfr. V. Colli, L’esemplare, 85).

[127] Un esempio di tale modalità d’intervento – che si realizza attraverso una duplice operazione d’individuazione empirica e di conseguente categorizzazione logico-giuridica – può forse vedersi nell’analisi logica – oltre che pedissequamente grammaticale – che viene da Baldo fornita per individuare l’efficacia giuridico-interpretativa dei dati lessicali da lui incontrati nella materia dei Libri feudorum : come quando (fo. 8ra [nrr. 2-3 ; L.F., 1.1, § Et quia]) l’attribuzione categorica (se siano, cioè, nomina di genere o di specie) dei vari termini da lui reperiti in textu (e.g. ‘filius’, ‘nepos’, ‘graece’, ‘latine’) gli serve per ricostruire i profili d’efficacia applicativa della categoria giuridica del feudum paternum (ma vedi anche in prooemio, nr. 8, fo. 2vb ; cfr., per tale sistema di problemi, Montorzi, Fides, 133 ss.). Vedi poi alcune regulae d’interpretazione logico-linguistica su come intendere i detti testimoniali, al fo. 36ra [nr. 3; L.F., 2.2, § Si enim domino] ; fo. 31va [pr., L.F., 1.24(25), § Sciendum].

[128] fo. 11rb [nr. 1 ; L.F., 1.4].

[129] in prooemio, nr. 2, fo. 2va.

[130] Evocando in tal maniera quel tradizionale modello della collectio notabilium che, se aveva già fatto parte dello strumentario degli autori più attenti alle esigenze di cooordinamento tra attività pratica e riflessione scientifica [Cortese, Scienza di giudici, 117 ss. (=Scritti, I, 715ss)], avrebbe infine trovato consapevole rilancio feudistico nel proemio dell’opera di Martino Sillimani sui feudi (cfr. qui sopra, alla nt. 98).

[131] in prooemio, nr. 2, fo. 2va : “… irritos autem fabulatores non timeo, quia deridendum est, quod ratione non fundatur …. Confisus de eo, praesens feudorum opus constanti animo aggrediar, quod divino auxilio prosequendo per singulos titulos textus exponendo, notabilia colligendo et opponendo et quaerendo, nec non adiacentes materias pertractando, ad finem usque perducam” (il corsivo è aggiunto).

[132] La prospettiva della riduzione della materia feudale ad una dimensione di percettibilità razionale e di organica sistemazione dottrinale è poi – come si è visto alla nt. 25 – negli intenti deliberati e programmatici della Baldi Lectura feudorum, quando l’autore – quasi a titolo di giustificazione della propria opera – esordisce con la constatazione che “in isto libro [scil. in libris feudorum] continentur multa utilia et difficilia intellectu, quae indocti homines depravant …” (fo. 2va, nr. 4, in prooemio feudorum ; il corsivo è aggiunto) : Baldo vuole rimuovere e correggere le corruzioni razionali del passato e la sua Lectura nasce evidentemente e deliberatamente con un intento di chiarificazione intellettuale dell’intera materia feudale.

[133] In sede consulente s’individuò per tempo il tema dell’usus communis, come problema emergente nella pratica del fòro all’atto dell’interpretazione documentale e contrattuale, quando era di vitale importanza lo stabilire un metro estrinseco – fondato, cioè, sulla prassi linguistica corrente – per la valutazione delle apparentemente arbitrarie attribuzioni di valore e di significato, che venissero formulate dai soggetti negoziali nelle loro specifiche dichiarazioni di scienza e di volontà. Proprio in tal sede, infatti (anche ai fini dell’individuazione, sia di un canone giudiziale decisionale, sia di una risorsa argomentativa defensionale), diventava interesse strategico dell’interprete forense porre i dati linguistici da lui considerati a paragone di congruenza semantica (i.e. “proprietas”) con la rigorosa ratio definitoria del textus e della sua esegesi dottorale [vedi, ad es., un consilium di Oldrado, emanato sul punto della valutazione dell’intrinseco monetario sulla base dell’usus communis, che sarà poi in séguito citato anche con riferimento all’usus communis loquendi : Oldrado da Ponte († 1335), cons. 168, Ad primam quaestionem, nr. 4, in 3.a quaestione, fo. 62rab, ed. Lugduni 1550]. Una simile esigenza pratica – di fondare, cioè, su qualificazioni logico-formali le definizioni sostanziali elborate dal giurista – non aveva mancato di riscuotere una sua peculiare considerazione già in campo canonistico (per alcune possibili suggestioni retorico-dialettiche presenti nella riflessione canonistica sul dominium, vedi poi alla nt. 160), ma sarebbe tuttavia stata anche la riflessione civilistica a contribuire in maniera importante e decisiva alla trattazione del tema, laddove essa avrebbe preso soprattutto in considerazione quelle fonti romanistiche, che più di altre parevano lasciar spazio alla rilevanza semantica ed efficienza qualificativa dell’usus loquendi : l’integrazione tra dato formale linguistico e realtà sostanziale da esso qualificata pareva in tal modo fornirsi non solo di una specifica giustificazione logica, ma anche di un’obbiettiva utilità causale [si vedano, ad es., le pur lacunose ed imprecise schede del Dictionarium di Alberico da Rosciate sulla v. Usus, verisimilmente destinate in origine, ratione textus, alla valutazione pratica di detti negoziali – ove, per l’appunto, “… usus loquendi attenditur …” (a margine della l. Hoc iure, ff De donationibus, D.39.5.19 : Alberico da Rosciate, Dictionarium iuris, Bononiae, Venetiis 1573, p. [877rb], rist. an., Torino 1971)]. Nel campo del ius civile savant fu peraltro comprensibilmente forte la tendenza a notare come proprii (e quindi come attendibili) soltanto i documenti della comunicazione linguistica cólta – quella in uso normalmente presso i doctores ed i periti litterarum [cfr. il commentario bartoliano sulla rubrica del De novi operis nunciatione, nrr. 6-7 (D.39.1 ; ed. de Tortis, Venetiis 1516-29, rist. an. Roma 1998, fo. 2rb)] –, mentre i detti degli imperiti e dei vulgares – offuscati da peregrine differenze di significato trai diversi testimoni della lingua vernacolare e quotidiana – parvero invece inizialmente destituiti di attendibilità e rilevanza giuridica [Bartolo da Sassoferrato, in l. Stipulatio ista, § Haec quoque, nr. 2, in fi., ff De verborum obligationibus, (D. 45.1.38.7), ed. de Tortis, cit., fo. 18vab, “… rustici nesciunt quid sit possessio …”]. L’impasse interpretativa sarebbe stata poi sbloccata in sede appunto di delibazione giudiziaria dei testi della pratica linguistica corrente, soltanto quando infine l’usus communis loquendi fu indicato da Bartolo stesso – sia in sede di commento, sia in sede consulenziale – come predominante, per quanto “improprio”, rispetto ai dettati della regola scolastica [Bartolo da Sassoferrato, in l. Intestati, ff De suis et legitimis, nr. 1, D.38.16 (17).1 ; fo. 211rb : “Communis enim usus loquendi non est propria significatio, … tamen communis usus loquendi praefertur propriae significationi …” ; cfr. poi l’applicazione pratica del principio ancóra in Bartolo da Sassoferrato, cons. 141, Statuto urbis Veteris cavetur, nr. 2, fo. 43vb, ed. cit. : “communis usus loquendi et intellectus praevalet omni propriae significationi…” ; il corsivo è aggiunto]. Per la successiva canonizzazione formale e topica del forse occasionale e strumentale enunciato bartoliano, cfr. poi le questioni del cinquecentesco Rolando della Valle (Bryson, 127), Quaestiones de lucro dotis, q. 98, nr. 8, TUI, 9, fo. 389rb : “… communis usus loquendi in quacunque materia semper praefertur proprio significato, sive id eliciatur ex diffinitione, sive ex ethimologia, sive ex iuris auctoritate …” ; il corsivo è aggiunto. Il detto bartoliano è ricordato da Baldo nella sua Lectura feudorum al fo. 21va (nr. 6 ; L.F., 1.8, § Sequitur). La singolare posizione di Baldo in tema di efficienza qualificatoria dell’usus communis loquendi, che lo portò a fissare un’altrettanto singolare definizione di dominium-proprietas (per cui, cfr. alle ntt. 38-39 e 149), è quindi da ricollegarsi senz’altro al grande invaso di questa comune tradizione pratica, che corre nel tempo sia per canali civilistici, sia sul filo di assonanze retoriche d’estrazione ecclesiastica.

[134] in prooemio, nr. 3, fo. 2va.

[135] in prooemio, nrr. 2-3, ibid. “Tractatus noster ergo de feudis incipere debet a quibusdam praeludijs. Quae nam ordinem in se habent, Praeludia quandam habent, … Et plerunque praefationes demonstrationis quinimo etiam finalis causae vim ostendunt …. † 3 Quaero ergo in primis ne videar super caduco opere et super ambagibus labore, utrum ista collatio, quae appellatur decima feudorum autentica sit censendo Quidam nam ausu temerario dicunt hanc collationem feudorum authenticam non esse. Nam non est pars aliqua iuris civilis, vel praetorij, … . Item in isto libro non est debitus ordo compositionis vel compilationis librorum et nil constat sine ordinis compositionis, ut in prima constitutione …”.

[136] in prooemio, nr. 4, fo. 2va.

[137] Giacché “in isto libro [feudorum] continentur multa utilia et difficilia intellectu, quae indocti homines depravant. Item minime sunt mutanda, quae interpretationem certam semper habuerunt …” (Ibid., il corsivo è aggiunto).

[138] In prooemio, nr. 4, fo. 2va.

[139] In prooemio, ibid.

[140] In prooemio, nr. 4, fo. 3ra in fi.

[141] ibid. Nella Lectura, infatti, accanto ai frammenti della prassi, trovano spazio ripetutamente – anche se in maniera decisamente non egemone – gli autori di alcune summae : Odofredo (vedi nt. 72), Jacobus de Aurelianis (vedi nt. 68), Iacopo d’Ardizzone (vedi nt, 70), Jean de Blanot (vedi nt. 77) ; al fo. 7rb [nr. 7; L.F., 1.1, § Marchio], poi, un riferimento non ancóra identificato : “Capitanei] isti sunt quos vulgo barones, et ut ait quidam magnus Doctor in summa sua …”.

[142] Tanto che la percezione del sistema del Diritto Comune risulta talvolta costituire per Baldo l’occasione di una sorta di argumentum interpretativo di efficacia decisiva, come quando egli sbotta “…videtur quod Obertus de Orto e Gerardus Cagapisti fuerunt duo pecora, sive consideremeus ius civile, sive ius gentium, sive ius divinum …” (fo. 59v [nr. 6 ; L.F., 2.28, § Domino guerram].

[143] Un esempio dell’uso di modi argomentativi d’impianto dialettico nella Baldi Lectura feudorum al fo. 14rb [pr., L.F., 1.4, § Si quis de manso].

[144] Sul punto cfr. Montorzi, Diritto feudale, 62, 95-7, 262, 283.

[145] Cfr., ancóra, Montorzi, Diritto feudale, 95 in particolare.

[146] L.F., 2.2.pr. ; cfr. anche Karl Lehmann, Das Langobardische Lehnrecht, Göttingen 1896, 115-6.

[147] Si tratta della gl. in rubr. De alienatione paterni feudi, L.F., 2.39, per una schematica analisi della quale vorrei ora rinviare a Montorzi, Diritto feudale, 73-4 (testo) e 314-5 (analisi). In alcuni apparati mss., il testo della glossa è invece dislocato a dar corpo alla gl. Praeterea alienationes ( L.F., 2.40 ; ad es., Wien, Österreichische Nationalbibliothek, lat. 2110, fo. 238vb ; lat. 2094, fo. 66rab ; Hamburg, Cod. in scrin. 3, fo. 251va).

[148] fo. 18va, nr. 6.

[149] Il tema pare legarsi in particolare alla trattazione dei problemi relativi all’interpretazione statutaria, laddove la proprietas verborum viene eletta da Baldo a criterio interpretativo del testo statutario, ed il termine “proprie” si impone come sinonimo di “vere”, secondo un criterio di equiparazione trai due elementi, di cui Baldo stesso si confessa debitore ad Averroé : “…ista proprie facit ad statuta, quae dicunt quod verba statutorum debeant proprie interpretari, nam ‘proprie’ intelligitur quod vere dicitur…” ; fo. 7vab [nr. 4 ; L.F., 1.1 § Et quia] ; il corsivo è aggiunto (cfr. anche, supra, alla nt. 38). Esempi di argomentazioni puramente grammaticali o linguistiche sono reperibili nella Baldi Lectura feudorum al fo. 28va [nr. 9 i.f.; L.F., 1.18(19), § Si quis miles], “… Adverbium enim active refertur ad actorem …” ; al fo. 47va [nr. 16 ; L.F., 2.22, § Dominus] : “…item patet grammaticaliter, quia est adverbium praesentis temporis…”, ed al fo. 38ra [nr. 3 ; L.F., 2.4, § Utrum], ove l’argomento derivativo (“…quia nomen a nomine descendit…”) serve a porre in relazione il modo denominativo del contratto (considerato de proprietate e de ordine verborum) con il sistema di obbligazioni che ne deriva alle parti contraenti, in particolare al dominus.

[150] Secondo un criterio di differenziazione quantitativa trai diversi livelli di congruenza semantica (maximus, maior vel minus, etc.) del dato linguistico considerato con i normali standards di qualificazione giuridica cólta, che già s’era praticato in precedenza da Bartolo da Sassoferrato : per lui, infatti, l’usus communis loquendi individuava una sfera semantica che, se comparata con la lingua dottorale dei iuris periti, poteva dirsi senz’altro rispetto ad essa “magis larga et impropria”, ma poteva, comunque, essere assunta ciononostante dall’interprete quale utile fonte di qualificazioni giuridiche (Bartolo da Sassoferrato, in rub. ff De operis novi nunciatione, nr. 5 i.f., D.39.1 ; ed. de Tortis, Venetiis 1516-29, rist. an. Roma 1998, fo. 2rb).

[151] “… alienatio dicitur quattuor modis, scilicet propriissime, videlicet quando plenum dominium irrevocabiliter alienatur … Proprie quando ius, idest proprietas transfertur ut utile dominium. Improprie quando alienatur ususfructus, vel usus, vel alia qualitas rei ut servitus, impropriissime, quando pignori obligatur, ita quod omnis cessat spes luitionis, quia tunc in animo suo alienare videtur” (il corsivo è aggiunto).

[152] La glossa, per la verità, potrebbe anche parere il frutto artefatto e ‘poco ragionato’ di un capzioso gioco retorico. Infatti, ad un riscontro testuale, si scopre che il glossatore ha costruito la casistica da lui fornita a commento della rubrica de alienatione paterni feudi, facendo ricorso per via analogica agli esempi reperibili nel dettato della Costituzione giustinianea de rebus alienis non alienandis (Cod. 4.51.7), relativa al trasferimento di cose coperte da una specifica (ex lege, testamentaria o pattizia) proibizione d’alienazione, cui l’Imperatore offre con tale provvedimento la copertura ulteriore della propria generale sanzione proibitiva. Se, tuttavia, tale esemplificazione è dal glossatore derivata con metodo centonatorio dal testo giustinianeo, la scelta interpretativa di qualificare le fattispecie così esemplificate come assolutamente alienatorie (laddove, invece, nell’originale giustinianeo, esse erano considerate tali solo in via relativa, in presenza di uno specifico titolo proibitivo d’alienazione), deve considerarsi come autonomo prodotto della sua personale visione ricostruttiva. Sicché l’applicazione, da lui operata, dello schema alienatorio romanistico ad ipotesi di mèra traslazione di Gewere mantiene intatta la propria originalità concettuale. Il luogo giustinianeo, insomma, fornisce al glossatore la materia testuale con cui costruire la sua glossa, ma la scelta di qualificare i modi così elencati come immediatamente ed assolutamente alienatorî è esclusivamente sua. Ed è, quindi, da considerarsi analogamente originale il documento che egli ci trasmette sul travestimento romanistico di un’ipotesi non romanistica di traslazione di Gewere.

[153] E. Cortese, La norma giuridica. Spunti teorici nel Diritto comune classico [Ius nostrum, 6], Milano 1962-4, I, 37 ss.

[154] § aut si libellario, L.F., Quibus modis feudum amittarur, fo. 18va, nr.2.

[155] Cfr., supra, nt. 29.

[156] Cfr., per l’uso del termine e del concetto di causa finalis, in prooemio, nr.2 [fo. 2va].

[157] Cfr., supra, nt. 149.

[158] Baldo degli Ubaldi, in l. Possessiones, C. De probationibus (C.4.19.2), nr. 12, fo. 42vb, ed. Venetiis apud Juntas 1572.

[159] Su questa riscoperta baldesca della funzione anche giuridica dei nomina così come essi sono normalmente adottati nell’uso corrente e comune della prassi, vorrei ora rinviare a Montorzi, Echi di Baldo, … (cfr., supra, nt. 39).

[160] In àmbito ecclesiastico, appunto, l’individuazione della titolarità reale era stata legata con particolare energia all’enucleazione dialettica delle opposte categorie del ‘meum’ e del ‘tuum’. Penso in particolare alla gl. Omnium al Decretum Gratiani sul famoso c. Communis, 12. q. 1, di cui scrisse già Stephan Kuttner [id., Gratian and Plato, in: Church and Government in the Middle Ages: Essays presented to C. R. Cheney, ed. C. N. L. Brooke et al. (University Press ; Cambridge 1976), 93-118 ; ora in id., The History of Ideas and Doctrines of Canon Law in the Middle Ages, London 1980], ove si esprime la natura della proprietà appunto con l’endiadi «meum et tuum» (« … quietissime viverent homines in hoc mundo, si de medio sublata essent duo verba, scilicet ‘meum et tuum’…»).

[161] Nel suo commento sulla l. Possessiones (cit., supra, nt. 158), Baldo tratta in realtà non della definizione del dominium, ma della sua probatio per testes [“… Tu dic quod possessor praesumitur dominus praesumptione hominis, unde homines praesumunt quod iste qui possidet, et fructus percipit, sit dominus rei, et ideo testes deponunt de dominio per causam possessionis … et est testimonium probabile, non necessaria inferens …” (Baldo degli Ubaldi, in l. Possessiones (cit.), nr. 11].

[162] Un es. dello spazio concesso all’usus loquendi, rispetto alla vis nominis seguìta dall’interpretazione rigorista del glossatore, in fo. 14vb [nr. 4 ; L.F., 1.4, § Si quis de manso].

[163] fo. 78va [nr. 17; L.F., 2.53, § Iniuria punitur].

[164] Per la cui pratica, Baldo fornisce sovente una serie di indicazioni di utilità. Come quando, ad es., ragionando de commodo possessionis, si diffonde ad illustrare i privilegi e le risorse soprattutto processuali della parte che sia in possessione rei (fo. 24ra, nr. 5; L.F., 1.10, § Si fuerit) ; ovvero fornisce rudimenti analitici ed argomenti testuali in tema di purgatio morae [fo. 29va, nrr. 1-3, L.F., 1.21 (22), § Sancimus] ; o ancóra quando fornisce una minuta casistica di interpretazione contrattuale in materia di clausole penali (fo. 73ra, nr. 2, L.F., 2.47, § Ex facto).

[165] Baldo confessa di offrire quell’omaggio “… quam plura animo revolvens, et ab observantia perfectae gratitudinis sae­pissime concitatus, erga magnificentissimum Principem Ioannem Galeatium, inclitae domus Vicecomitum splendorem, ac nomine et re virtutum Comitem, nec non invictissimum Ducem, ad aliquod munusculum ei offerendum conari debere, quod vere illi et decens, et gratum esse possit” (fo. 2rb, pr., in prooemio ; cfr. Danusso, 11-7 ; Colli, L’esemplare, cit.).

[166] Per un’analisi quantitativa vedi, supra, alla nt. 100.

[167] Tentativo ben evidente anche nei suoi contenuti polemici al fo. 34va, nr. 6, L.F., 2., § Obertus : “…dicunt quidam quod omnes consuetudinis (!) feudorum sunt locales, et praeter textum legum et Imperatorum nil videtur esse ius generale. Et secundum hoc glossare consuetudines feudorum est ac sic quis glossaret consuetudines Papiensium, quod satis videtur ineptum. Unde dico – ribatte polemicamente Baldo – quod consuetudines in hoc volumine approbatae debent servari tanquam consuetudines generales…”(il corsivo è aggiunto).

[168] Sul punto, vedi al fo. 34va [nrr. 5-6; L.F., 2.1, § Obertus], cit. per esteso alla successiva nt. 167.

[169] acute osservazioni in J. Canning, The political Thought of Baldus de Ubaldis, Cambridge, Cambridge Univ. Pr., 1987, 206 ss., “Cambridge Studies in medieval Life and Thought, 4.6” ; nonché id., Permanence and Change in Baldus’ Political Thought, “Ius Commune” 27, 2000, 283-97, in particolare 283 (sensibilità per il mutamento sociale in B.) e 294 (importanza degli apporti canonistici alla teoria istituzionale).

[170] Montorzi, Processi, cit., 515 ss. in particolare [=“Riv. Int. di Dir. Com.”, 11, 58 ss. in particolare], cit. sopra alla nt. 3.

[171] (fo. 74r [nr. 3 ; L.F., 2.50, § 73v]) : “ego in dubiis opinionibus in consulendo multum sequor gl. ordinariam, quia non possum adhaerere meliori”.

[172] Per i problemi connessi all’identificazione della base statistica di simili rilevazioni, cfr. i criteri giustificativi esposti alla nt. 47.

[173] Di cui è abbastanza evidente ch’essa è stata guastata da alterazioni e corruzioni editoriali. Cfr. al fo. 17va [nr. 20; L.F., 1.5, § Quia supra dictum est], ove una confusa e sconnessa allegazione (“… ut extra de re iudi. Abb. lib. 6 …”) del nome dell’Abbas modernus, Niccolò de’ Tedeschi, per motivi cronologici († 1453, comincia ad insegnare nel 1421, ben 21 anni dopo la morte di Baldo : Schulte, II, 313), pare frutto di un’interpolazione editoriale o di un refuso tipografico.

[174] Nell’indicazione degli estremi di vita degli autori allegati si è stati prevalentemente dietro al registro di Bryson, cit., supra, alla nt. 66.

[175] Vedi nt. 47.

[176] O. Ruffino, v. Cerniti (de Cernitis, de Cernetis, Cernitus, Cernitti, Cernetti) Pietro, “Dizionario biografico degli Italiani”, 23, 776-8.

[177] Cfr. Schulte, II, 164.