Marco Cavina APPUNTI SUL DUELLO CAVALLERESCO |
Sottopongo qui (a chi ne fosse
interessato) alcuni primi risultati di una complessiva indagine
sul duello cavalleresco nella cultura giuridica dantico
regime. La prima sezione è in corso di stampa nella raccolta di
studi in onore di Ennio Cortese ed allinsigne Maestro è
dedicata; la seconda è di prossima stampa negli atti del
seminario di studi (da me organizzato a Modena, 14 gennaio 2000)
Duelli, faide e rappacificazioni. Elaborazioni concettuali,
esperienze storiche.MC
Sommario:
I. PRIVILEGIO DI DUELLO. Note
per una ricerca in corso
§1. Lemersione del punto donore
nel cuore della riflessione sul duello ordalico: un apocrifo
bartoliano e la precoce sensibilità di Baldo; §2. Cronologia
duellare: letà del duello giudiziario cavalleresco
(1472-1563); §3. Cronologia duellare: letà delle
rappacificazioni e del duello clandestino (XVII-XVIII
secolo); §4. Cronologia duellare: letà del duello
borghese (XIX-XX secolo); §5. Primi appunti per ledizione
del Trattato di duello di Giulio Claro; §6.
Lopera inedita di un giurista-cavaliere: Giovanni Iacopo
Leonardi.
APPENDICI: I. Giulio Claro, Del trattato
di duello (Prohemio; Problemi della imparitas
personae: leccezione di nobiltà nel primo capitolo
della seconda parte; Ultimo capitolo della prima
redazione del Trattato di duello); II. Giovanni
Iacopo Leonardi, Pareri in materia di honore di cavalleria
pertinenti; III. Giovanni Iacopo Leonardi, Miscellanea di
scienza cavalleresca.
II. GLI EROICI FURORI. Polemiche
cinque-seicentesche sui processi di formalizzazione del duello
cavalleresco
I.
PRIVILEGIO DI DUELLO
Note per una ricerca in corso
§1. Lemersione del punto
donore nel cuore della riflessione sul duello ordalico: un
apocrifo bartoliano e la precoce sensibilità di Baldo
Quello del singulare certamen è problema tanto suggestivo
quanto sfuggente, unistituzione che dimostrò enorme
vitalità per sei secoli, dal tardo Trecento alla prima metà del
Novecento, declinandosi in forme e contesti disparati, ma sempre
conservando una sua identità[1]. Grosso modo ed
ai meri fini introduttivi di queste pagine, cercheremo qui di
esporre succintamente i tre grandi periodi in cui chi scrive si
è convinto di categorizzare la storia del duello per punto
donore nellItalia moderna e contemporanea.
La letteratura duellare del ius commune non esitò a far
rimontare anche a Bartolo limpostazione di alcuni
importanti problemi tecnici, in particolare sincontrano con
una certa frequenza citazioni di un suo consilium édito
nella raccolta di responsi criminali dello Zilletti. Bartolo vi
ricorda una vicenda che lo avrebbe coinvolto nelle vesti di consiliarius
dellImperatore Carlo IV[2]. La novità di questo
singolare responso apparirebbe eccezionale tanto in negativo
quanto in positivo. In negativo, poichè - nellargomentare
per linammissibilità di un duello in siffatta fattispecie
- non si ricorre a quella che avrebbe potuto essere
lallegazione giuridicamente più ovvia: uningiuria
come quella in oggetto non ricorreva certo fra le tassative cause
legali legittimanti. In positivo, poichè Bartolo si sforza
comunque di motivare il suo parere anche sul piano
dellintegrità dellonore[3]. Si
tratta di riflessioni ormai calate in un clima da duello
giudiziario per punto donore piuttosto che nello
ieratico normativismo del duello ordalico. Siamo già in quel
contesto schizofrenico dei secoli a venire, per cui da un lato si
dice il duello vietato da Dio e dagli uomini, dallaltro si
riconosce che la lesione donore solo con le armi può
sanarsi, salvo contraria adeguata motivazione.
Orbene, al di là delle sue fortune storiche come auctoritas
allegata in materia duellare, il responso è in realtà opera
della fantasia falsificatrice del novarese Giovan Battista Piotti[4],
un giurista cinquecentesco, che fu anche lui per certo
consiliatore in campo cavalleresco.
Le prime autentiche suggestioni sulle dinamiche duellari ci
vengono invece dallopera di Baldo degli Ubaldi. Commentando
De iustitia et iure, il giurista perugino si interrogava
se fosse ammissibile il duello, allorchè uno dei due contendenti
fosse stato dallaltro diffamato dinanzi al Re. Fra le due
contrapposte soluzioni Baldo optò per una via intermedia: la
liceità ex maxima causa e de licentia superioris.
Ancora ci troviamo dinanzi ad un giurista del diritto comune che
implicitamente prende in esame una situazione connessa
allevoluzione dellistituto duellare. Questa volta la
sua trasformazione viene riconosciuta e sancita, ammettendosi
a certe condizioni - il duello per
diffamazione[5].
Più in generale la legittimità del duello
è definitivamente fissata in quanto consuetudine generale[6],
avvicinata alla guerra ed alla tortura. Proprio il nesso con la
tortura rese possibile una più agevole omogeneizzazione del
duello ai principi del ius commune in ispecie nella
riaffermazione del principio della necessità di congrui indizi
in modo da impedire che un qualsiasi disperato
sfidasse altri a duello:
Sed numquid ille qui provocat aliquem
ad bellum, vel duellum, impingens ei crimina, teneatur probare
per indicia vel coniecturas. Respondeo sic, quia pugna
aequiparatur torturae, quae non habet fieri nullis indiciis
praecedentibus [...] Qualia autem indicia sufficiant est in
arbitrio eius qui publicam auctoritatem habet super hoc [...]
Alioquin quilibet desperatus alium ad pugnam sine causa
provocaret, quod est absurdum[7].
Ed in calce Ad legem Aquiliam Baldo
riconobbe lilliceità del solo duello pacto privatorum[8]:
lo spunto era in quel D.9.2.7.4[9] che aveva consentito a
qualche giurista di vagheggiare la liceità di un duello de
iure civili. Lo si ricordava già nella glossa ordinaria[10], ove al caso dellAquilia si
affiancava quello della perduellio secondo la fantasiosa
etimologia di Piacentino, il quale ritenne che il tradimento
venisse denominato in diritto romano perduellio, in quanto
avrebbe dato luogo ad una lecita prova per duellum [11]
Celebre nella successiva trattatistica sarà
poi la memoria baldesca dei requisiti dammissibilità
secondo lautorevolissima opinione espressa
dallimperatore durante un suo soggiorno bolognese,
addirittura col pieno consenso del cardinale di Bologna: si
tratta di un episodio non facilmente contestualizzabile, ad onta
della cinquecentesca testimonianza di Dario Attendolo[12].
Queste, comunque, le condizioni del giudizio
duellare secondo limperatore: 1. che sul provocato gravi
una diffamazione od un fondato sospetto; 2. che non vi sia
possibilità di dar prova ordinaria; 3. che il provocante sia di
dignità pari o superiore al provocato; 4. che sia un casus
personalis, cioè che non si tratti di mere questioni
patrimoniali; 5. che non sia già stata scelta la via del
giudizio ordinario[13]. Anche qui, a ben
vedere, emerge più dun elemento che dimostra
lincamminarsi dellantico duello giudiziario lungo i
nuovi sentieri della tutela dellonore. Il duello inizia ad
assumere le fattezze di un simbolo del privilegio
nobiliar-militare, di un simbolo della giustizia alternativa
esercitata dal ceto dei milites a tutela della propria
identità, coincidente con il proprio onore.
Sin qui il Baldo commentatore del diritto romano. Nelle vesti di
commentatore del diritto canonico, daltronde, non
sapplicò certo a quelle dure e tralatizie contestazioni
del duello e delle vulgares purgationes ricorrenti nella
canonistica e nella teologia, ma si limitò a sottolineare la
peculiarità della condizione del vinto in duello guerra
privata rispetto a quella del vinto in guerra pubblica,
contestando le dure consuetudini duellari che lo asservivano e
quasi schiavizzavano al vincitore[14].
Lambiguità di unetà di trapasso è evidentissima
nellopera che più fatalmente condusse il giurista perugino
a discorrere di duello: il suo commentario ai Libri feudorum,
ove ebbe modo di dimostrare il proprio particolare apprezzamento
per la disciplina della monomachia nella legislazione
fridericiana[15]. A prescindere dalle
eccezioni che si sforzò di elencare alla regola della
proibizione canonistica[16], vi si diffuse in una
vera e propria analisi del duello donore, pur concludendo
per la sua inammissibilità. E tale inammissibilità giustamente
Baldo ricollegò alla disomogeneità rispetto al duello ordalico,
criticando sulla scorta di Raimondo de Penafort[17] - lopinione di quidam, per cui
sarebbe lecito duellare in difesa del proprio onore e
crudele sarebbe chi trascura il proprio buon nome:
Dicunt quidam, quod pro defensione
honoris tui, licet inire duellum, quia crudelis est, qui negligit
famam suam, et ideo si rusticus insultat nobilem, non debet
nobilis fugere, licet fugere posset, quia fuga reddit quem
viliorem [...] Sed istud non est proprie duellum, quia non est
indictum, sed est potius quaedam rixa, seu impetus armorum. Porro
duellum proprie est singularis pugna inter aliquos ad probationem
veritatis, secundum praefatum Ray. de pennaforti[18].
Con Baldo siamo ormai verso la fine del 300. Epoca
veramente di grandi trasformazioni nellarte militare, nella
società militare, nellethos nobiliare e nei
nessi fra ceto nobiliare-militare ed autorità
pubbliche. Basti pensare a testi di quegli stessi
anni come il trattato di Giovanni da Legnano. Di tutti questi
temi, peraltro, non possiamo qui che limitarci ad un cenno.
§2. Cronologia duellare: letà del
duello giudiziario cavalleresco (1472-1563)
Superata la protostoria trecentesca, la
prima fase della storia del duello per punto donore si
confonde, in parte, con le declinanti fortune del tardo duello
ordalico, nel cui solco e, per certi versi, nei suoi
vuoti il duello donore sinsinua e prende
forma.
Dal punto di vista del diritto comune il
problema del duello presentava non poche difficoltà. Vietato dal
diritto canonico e dal diritto romano - non senza i sovracitati
tentennamenti -, il duello era riconosciuto dal diritto feudale e
da più duna costituzione imperiale bassomedievale: era
quindi a pieno titolo problema di ius commune.
Una nuova fase si apre col trattato sul
duello di Paride del Pozzo, la cui prima redazione quella
latina - venne verosimilmente redatta nel 1472[19].
Proprio lui sarà considerato unanimemente padre de
duellisti in tutta la letteratura successiva, autore di
unopera forse magmatica[20], ma di grande
interesse, che ebbe il pregio di troncare, sia pur mai
esplicitamente, i rapporti con la vecchia trattatistica, quella
dello pseudo-Ugo[21], dei feudisti e
soprattutto di Roffredo Beneventano[22]. Non
erano mancati, invero, più prossimi ed attendibili
precursori: fra di loro la memoria corre anzitutto a
Giovanni da Legnano[23], ma come in
parte abbiamo visto e come ci proporremo di meglio dimostrare in
futuro già nel corso del Trecento e sistematicamente nel
Quattrocento alcuni connotati essenziali del duello donore
si vennero precisando nelle pagine di molti bartolisti e
troveranno, infine, un punto di sicura sintesi nellopera,
appunto, del Puteo.
Dopo di lui la trattatistica cinquecentesca
italiana costruisce, nel senso pieno del termine,
listituzione del duello cavalleresco come tribunale
del gentiluomo.
Lo si progetta come istituzione
processuale lecita, validamente fondata quantomeno
sulla consuetudine. Pochi nomi, per limitarci qui ai soli autori
di trattati specifici, fra i quali lAlciato[24] ed alcuni suoi allievi occuparono un ruolo
eminente: Giulio Ferretti[25], Marco Mantova
Benavides[26], Rinaldo Corsi[27], Lancellotto Corradi[28],
Fausto da Longiano[29], Pierino Belli[30], Dario Attendolo[31], Giulio Claro[32], mentre con MarcAntonio Massa[33] e Giovan Battista Susio[34] si
avviava una specifica trattatistica antiduellare ex professo.
Ed infine, a coronamento di un secolo di fitta pubblicistica,
più duna sezione della celeberrima raccolta
tardo-cinquecentesca dei Tractatus Universi Iuris sarà
dedicata al tema del duello e della pace[35].
Fra tutti costoro rappresentano un
interessante punto di cesura i giuristi e non furono pochi
che svolsero carriera militare o cortigiana, impregnandosi
degli ideali cavallereschi, ma conservandosi partecipi della
cultura del ius commune (da Giulio Ferretti a Pierino
Belli, da Giulio Claro a Fausto da Longiano, da Dario Attendolo a
Lancellotto Corradi).
Certo è che la trattatistica duellare
godette - nel Cinquecento pretridentino - di un grandissimo
successo editoriale. I trattati sul duello sono forse le uniche
opere di giuristi ad aver avuto un pubblico ben più vasto di
quello degli addetti ai lavori, un successo attestato
dallenorme numero di traduzioni nelle principali lingue
nazionali. Altro segno di quella fortuna fu
nellestrapolazione, da più vasti trattati de bello
e de re militari, delle sezioni dedicate alla guerra
particolare del duello al fine di unautonoma
pubblicazione: è questa, ad esempio, la genesi dei
trattati sul duello di Giovanni da Legnano e di
Giulio Ferretti.
Limportanza sociale della materia
duellare comportò che su di essa si venissero presto
concentrando gli interessi di culture diverse, che innescarono un
dibattito - talvolta fieramente polemico su chi fosse
legittimato a costruire il duello donore,
problema dalle forti valenze anche economiche, giacchè vi
ruotava intorno una doviziosa produzione consiliare assai ben
retribuita:
[i giuristi] veggendosi per tal genere
di controversie molto richiesti, non vollero perdere tanta
occasione, ma per tirar gente, e crescere in giurisdizione, si
diedero a spacciar dottrine confacenti allumore de
tempi, ed a strascinar dietro lor malgrado le leggi. Quindi tante
gelose proteste si leggono de dottori, che la materia del
duello ad essi spetta, e non ad altri[36].
Ed infatti il duello fu al centro di un
acceso dibattito interdisciplinare. Si discuteva se, invece che
di giuristi, dovesse esser materia di filosofi morali ovvero di
cavalieri-uomini darme, i primi alfieri del pensiero
neoaristotelico (si pensi al Possevino ed al Bernardi[37]), i secondi rigorosi tutori di unevoluzione
del duello sulla stretta base delle consuetudini
militari-cavalleresche (si pensi anche solo al capolavoro del
Muzio[38], ma la trattatistica
cavalleresca sarà veramente sterminata e di valore
assai diseguale)[39]. Si spiega così lo
sviluppo di una significativa letteratura delle
differenze fra il giudizio civile ed il
giudizio duellare: un caso paradigmatico fu il Discorso
delleccellente M. Claudio Tolomei della diversità del
giudizio civile al giudizio militare[40].
Si confrontavano anche due diversi metodi
argomentativi. Da un lato, il metodo dei giuristi togati, teso
alla ricerca di un sistema del diritto
dellonore, armonicamente strutturato su rationes e
principii generali fra loro compatibili secondo nessi
razionalmente identificabili e riferibili al sistema del ius
commune; dallaltro, il metodo dei cavalieri
che propugnavano un diritto consuetudinario, argomentato
essenzialmente per via di exempla[41].
Se poi, in poche righe, volessimo condensare la principale
specificità del duello donore cinquecentesco, potremmo
indicarne anzitutto lo statuto sociale, in quanto pratica di
autoriconoscimento di un ceto, quello nobiliare-militare, che
ambiva in analogia con i mercanti ad un
proprio diritto, ad un proprio tribunale
duellare:
Ma la cagione, perchè la consuetudine
del duello è ita sempre variando sotto regole incerte, et sempre
varierà, fin che si usi (il che sarà chiaro disotto) è al mio
giudicio, perchè non ha in sè ragione; anzi è una consuetudine
introdotta contra la dritta ragione, et nata da certi
presuppositi, et conclusioni false: et sì come il vero si
confà, et saccorda col vero, così il falso non accorda
mai, nè corrisponde a cosa alcuna [...] tutte le ragioni si
pigliano da la consuetudine non scritta, che non vuol dir altro,
se non che ciascuno consigli secondo il proprio gusto, et
arbitrio [...] et così tutto il giudicio si affusca per il
presente o disiderio dutile, o piacer de lamico, o
dispiacere di chi tu hai in odio: la qual confusione o simile
suole avenire in una cosa più manifesta, cioè ne le
differentie, et giudicii de i mercanti: ne i quali piace ad
alcuni che shabbia a procedere, et a giudicare secondo una
certa equità naturale, et commune honestà più tosto che
secondo la legge scritta: imperochè quantunque siano in sè
certi et fermi i principii de lequità naturale: nondimeno
nasce tanta confusione da la diversità de le opinioni, che a
pena nasce differentia alcuna, ne la quale non si possino,
ricercandosi, produr da luna parte, et da laltra
molte cedole scritte, et approvate da diversi mercanti, che
conterranno contrarii pareri, le quali si dimandano stili, come
molte ne sono venute a le mie mani[42].
Siffatta esplicita analogia con il ius
mercatorum pare estremamente illuminante per unadeguata
contestualizzazione del duello quale tribunale del
gentiluomo - in quella società cetuale che riconobbe
nellonore il valore di riferimento del proprio ceto délite.
Donde anche una morfologia che veniva sempre più allontanando -
a prescindere dalle chiare eredità culturali - il duello
donore dallantica ordalia, sotto la pressione di
consuetudini che indussero una notevole dinamica nel seno della
sua disciplina.
Limitiamoci qui ad accennare alla diversità
forse più eclatante. Mentre nel giudizio di Dio il ricorso al
duello era interno ad un processo, ove - allorchè
ricorressero talune condizioni lo si ammetteva come
strumento probatorio, nel duello donore pretridentino
permase sì il momento giudiziale, e quindi la sua liceità e la
sua natura giudiziaria, ma il giudice veniva ormai
scelto ad hoc dalle parti fra re, principi e
signori muniti di una qualche alta iurisdictio. Se ne
esaltava con ciò lanima arbitrale di giustizia
privilegiata di ceto.
Il signore prescelto attraverso
complesse, ma suggestive modalità concedeva il
campo franco nei propri territori ed era a tutti gli
effetti giudice nel giudizio duellare, strutturato per via di un
arsenale concettuale in larga misura derivato dal processo
romano-canonico, anche se non senza aggiustamenti ed accanite
resistenze da parte dei fautori delle pure consuetudini
militari-cavalleresche.
§3. Cronologia duellare: letà
delle rappacificazioni e del duello clandestino
(XVII-XVIII secolo)
Il Concilio di Trento, al di là della
problematica recezione dei suoi precetti, segnò comunque un
momento di straordinaria importanza nella storia del duello. Come
è noto, dopo un fitto dibattito, venne deliberata una netta
condanna di qualsivoglia duello giudiziario, in particolare
comminando la scomunica anche a chi concedesse il campo franco.
Peraltro le stesse norme tridentine si prestavano a più
duninterpretazione e resero necessarie alcune
normative successive, culminanti a fine 500 con la recisa e
definitiva condanna del duello in tutte le sue forme[43].
Quel che più importa è che il concilio scandì la secca
sconfitta dellipotesi cinquecentesca di unautonoma
giustizia dei nobili, una visione che recava seco una scomoda
immagine del principe come primo fra i cavalieri. La
scomunica dei signori concedenti il campo non cancellò certo il
duello, ma ne impose unimponente revisione tutta gestita
dagli uomini darme e dalla trattatistica cavalleresca: si
apriva ormai il secolo del Baldi[44], del
Birago[45] e dellOlevano[46].
Senza più giudice formale e senza più
luogo legittimo di giudizio, la vertenza duellare perde
definitivamente la propria giudiziarietà e si
clandestinizza: è ormai dissolto ogni margine
di discussione - consuetudine illecita, certo ordinariamente
tollerata e financo garantita, ma esorcizzata, espulsa per sempre
dalluniverso delle istituzioni giuridiche e relegata
nellimpreciso mondo della fattualità.
Fra periodi di relativa crisi e periodi di
intensa recrudescenza il duello donore si mantenne come
illegale e pur tollerato privilegio di ceto sino alla fine
dellAntico Regime, ma per i giuristi divenne un mero
problema di diritto criminale.
Posti allindice dalla Chiesa,
scompaiono i trattati intitolati al duello, che tanta fortuna
editoriale avevano conosciuto ancora alla metà del 500.
Saranno sostituiti dalla proliferazione dei trattati sulle
paci, un genere letterario ancora fondato da giuristi[47], ma che solo fra tardo 500 e 700 - dal
Corsi al Muratori - andò ad egemonizzare la problematica delle
vertenze donore[48]. Si trattava di
saggi destinati ai gentiluomini ed anzitutto ai tanti cavalieri
arbitri-pacieri di questioni donore: vi si condensavano le
più usitate modalità di soluzione delle vertenze cavalleresche
senza che si addivenisse allo scontro darme. Di fatto vi si
discorreva ancora ampiamente del duello, al riparo dagli strali
controriformistici sotto lo scudo di un titolo
pacifista.
E comunque una trattatistica di minor
rilevanza giuridica, tutta svolta sul tono moralistico. I
giuristi, dal canto loro, abbandonano, salvo poche eccezioni, la
trattatistica specifica e si occupano del duello nelle pratiche
criminali in relazione sistematica con lomicidio ed i reati
contro la persona.
§4. Cronologia duellare: letà del
duello della società borghese (XIX-XX secolo)
Diritto dellonore, diritto del
patrimonio. Il diritto del duello donore è concettualmente
lontano dal diritto borghese. Per letica
borghese il singulare certamen era un mostro,
legato alla dissolutezza dei cortigiani, mentre letica
nobiliare conservò sempre gelosamente quello che il Leonardi
chiamava il privilegio del duello: le aspirazioni
duellari dei borghesi-gentiluomini erano unimpertinente
usurpazione, unintollerabile trasgressione sociale. Se si
vanno a valutare i duellanti borghesi, si trovano spesso ricchi
mercanti o figli di mercanti il fra Cristoforo
manzoniano -, che vissero il dramma di trovarsi sul crinale di
due sistemi di valori diversi che mettevano in discussione il
loro statuto etico-sociale: il duello diventava per loro una
sorta di prova iniziatica come borghese-gentiluomo[49].
Il nuovo mondo sarebbe arrivato tardi,
seguendo un percorso lento, tortuoso e ricco di varietà locali.
Lentamente, laboriosamente, autori che partecipavano dei valori
borghesi condannarono il duello nellottica dei tempi nuovi,
distinguendo coraggio da temerarietà, vita follemente rischiata
da vita utilmente dispensata, e sottolineando nella gratuità
calcolata del duello la sua perversione, maggiore che non nella
rissa, da sempre utile dissimulatrice del duello. Preda delle
passioni, il duello non è un male, ma peggio, è una vanità,
non è uno dei modi di una sostanza, ma uno dei capricci della
moda. Poco a poco i borghesi colti sostituirono un ideale di
onestuomo a quello di cavaliere/gentiluomo, distanziandosi
dal duello e screditandolo anche presso gli stessi nobili[50].
Sulla scia della riflessione giusnaturalista[51], il Settecento, che si apre con i fortunati saggi
di Agostino Paradisi[52] e soprattutto di
Scipione Maffei[53], rappresentò una
svolta difficilmente sottovalutabile, se non nella sua effettiva
novità, quantomeno nel suo significato di formazione di una
nuova opinione pubblica sul tema dellonore e del duello[54].
Il fatale declino e poi il crollo della
società per ceti[55] insieme alla
formazione di una morale borghese sostanzialmente antitetica
allethos nobiliar-militare determinarono unulteriore
complessa trasformazione del duello, che fra XIX e XX secolo si
sarebbe comunque ricavato un rinnovato spazio nella società
borghese europea ed americana. Sotto questo profilo la
storiografia si è largamente soffermata sui due contesti più
eclatanti del duello otto-novecentesco, quello statunitense e
quello tedesco[56].
Siffatta evoluzione potrebbe apparire in
contraddizione con la testè citata emancipazione di una
specifica etica borghese fortemente critica verso istituti come
il duello. E questione che induce a ripensare le
culture borghesi più che non la cultura
borghese ed è comunque questione che merita dessere
approfondita anche per larea italiana.
Nelletà della codificazione i problemi della repressione
del duello rientrano a buon diritto nella penalistica, facendosi
oggetto di una fitta trattatistica. Problema preliminare fu
quello della collocazione sistematica del duello nel telaio dei
codici penali: reato contro lintegrità fisica ovvero reato
contro lamministrazione della giustizia ovvero fatto non
costituente reato in sè, ma soltanto produttivo deventuali
conseguenze domicidio o lesioni, queste certo rientranti
nel diritto penale comune[57].
A ciò si associava la proliferazione di privati tentativi di
codificazione delle norme inerenti al tribunale
duellare: codici che, se non muniti di valore ufficiale,
conobbero comunque un qualche rilievo pratico in quanto furono il
referente formale per distinguere praticamente il reato di duello
da altri consimili[58].
La giurisprudenza sul duello rimase assai fitta sino alla seconda
guerra mondiale, ma accanto alle sentenze dei tribunali quella
dellonore rimase essenzialmente materia di corti arbitrali,
fra cui primeggiò listituzione della Corte permanente
donore di Firenze, fondata nel 1888 dallo Zanardelli ed
assai attiva ancora nel periodo fra le due guerre mondiali[59]. Dopo la seconda guerra mondiale il crepuscolo del
duello si fece inarrestabile ed in questi ultimi mesi si è
consumata la sua depenalizzazione, quale reato
desueto.
§5. Primi appunti per ledizione
del Trattato di duello di Giulio Claro
Il trattato sul duello del Claro fu per
secoli un oggetto misterioso. Se ne conosceva lesistenza
per il ricordo dello stesso autore[60],
ma se ne erano perse le traccie. Fu il von Moeller nella sua
capitale biografia a segnalarne agli studiosi il manoscritto in
un voluminoso codice della Biblioteca di El Escorial[61].
Lopera è autografa e si trova rilegata con un ricco
carteggio che attesta lattività consiliare del Claro in
materia duellare[62]. Si presenta
articolata in differenti redazioni, la prima completa e databile
con precisione al 1550, la seconda incompleta e piuttosto diversa
dalla precedente databile alla fine degli anni 50: ad essa
segue non tanto una terza redazione come ritenne il von
Moeller[63] quanto una
serie di capitoli in parte integrativi, in parte correttivi della
seconda. Tutto il trattato abbonda di cancellature ed
integrazioni che hanno reso impossbile unadeguata lettura
per microfilm e che hanno indotto chi scrive alla consultazione
diretta in loco.
Il criterio che si è inteso seguire è quello di trascrivere
senzaltro la seconda redazione per molti versi la
più definita -, integrandone le parti mancanti con capitoli
tratti dalla prima e dalla cosiddetta terza
redazione: in tal modo se ne è ricavato un trattato compiuto su
tutti i temi duellari, che intendiamo presto pubblicare.
Nellàmbito della trattatistica duellare, il significato
dellopera è veramente notevole e può forse considerarsi
il capolavoro della trattatistica giuridica in materia. Il Claro,
che vi si esprime in un italiano nitido e dotto, dispiegò un
grande affresco del duello come istituzione giuridica pienamente
lecita, fondata in primo luogo sulle consuetudini
nobiliari-militari. Si spiega probabilmente in questottica
la mancata pubblicazione. Il trattato era già abozzato ma
con esiti insoddisfacenti - nel 1550 e, quando intorno al 1560
raggiunse una forma accettabile, era ormai troppo tardi. Il Claro
era avviato ad una luminosa carriera nellorbita di quel
Filippo II che come è noto fu uno dei più
intransigenti oppositori del duello, mentre a Trento proprio nei
primi anni 60 veniva inferto il colpo di grazia al duello
donore giudiziario, in quanto imperniato su di
un campo franco ed un giudice ufficiale, come laveva
trattato lo stesso Claro.
Lopera si rivela improntata a grande sincerità ed a grande
pathos, ben diversa dal fariseismo e dal nicodemismo di tanti
giuristi, criticamente additato dallo stesso Massa:
sempre son varii, e incerti i pareri
de i leggisti intorno le querele de i duelli, tal che luna
delle parti vuol fuggir di combattere, anchor salvando
lhonore, chessi pretendono, sempre sono in pronto
molte strade, et cantoni da scappare, come io ho provato, et
mè riuscito di far spesse volte nel consigliare in questa
materia, perchè in cause sì barbare non ho mai voluto scriver
cosa alcuna, se non quanto sia stato per impedire il
combattimento. Anzi (e questo non sia detto in modo alcuno per
arroganza) non mi par che si trovi differentia alcuna, o causa di
questa sorte, che non si possa intricare con argomenti, et
ragioni apparenti, et colorate di modo, che uno al dispetto suo
non verrà mai a larmi, dico salvando anchora lhonor
suo. Et chi havrà tempo di leggere et considerare molti consegli
stampati, et publicati di coloro, che hanno fatto professione
dintendersi di questa cosa scritti in diverse differentie
per luna parte, et per laltra, vi conoscerà
pochissima difficultà[64].
Al contrario, il Claro convinto araldo delletica
nobiliar-militare - costruisce il tribunale duellare sulla base
di uninflessibile logica giuridica, che riordina ed esalta
le specifiche piattaforme consuetudinarie. Fra le righe e le
cancellature emerge, peraltro, la volontà dammorbidire i
toni per rendere verosimilmente più agevole la pubblicazione.
Della futura edizione integrale anticipiamo qui: 1. il proemio
generale; 2. il primo capitolo della seconda parte ove si delinea
la visione della società per ceti ed onori
differenti, sullo spunto delleccezione dellimparitas
personae; 3. il capitolo finale della prima redazione che
offre unidea dinsieme degli argomenti del trattato.
§6. Lopera inedita di un
giurista-cavaliere: Giovanni Iacopo Leonardi
Giovanni Iacopo Leonardi fu una figura di doctor
iuris indubbiamente singolare, anche eccezionale se si vuole,
ma che opera in qualche modo da cesura fra le diverse culture che
sincrociano sul tema del duello. Pesarese, studente di
diritto a Bologna, addottorato a Ferrara, seguì la carriera
militare accanto ai più importanti uomini darme del tempo,
il Marchese del Vasto, i Gonzaga, Francesco Maria della Rovere.
Ambasciatore a Venezia, orbitò soprattutto intorno a quella
corte urbinate che fu importante centro catalizzatore di cultura
cavalleresca. Ebbe modo dacquistarsi una fama duratura come
ingegnere esperto in fortificazioni militari, ma soprattutto come
professore donore, come consiliatore e perito su questioni
di duelli e di paci[65].
Di lui rimane inedito nella pesarese Biblioteca Oliveriana uno
sterminato trattato sul Principe Cavaliere in più tomi,
uno di questi dedicato espressamente al duello[66],
ed ancora nello stesso fondo si trova, fra laltro, una
raccolta di suoi consilia emessi su questioni duellari[67].
Anche il Leonardi è favorevole di massima al duello - sia pur
meno apertamente del Claro - ed anchegli termina la sua
opera intorno al 1560: comune sarà il loro destino di far da
pasto alle tarme. Pur mettendosi in conto la morte
dellautore, avvenuta di lì a poco, i tempi erano ormai
mutati nel profondo: si avviava la storia post-tridentina del
duello.
Per chi ne affronti il tema in
unottica storico-giuridica il saggio del pesarese si
presenta indubbiamente meno attraente che non quello del Claro.
Mancano citazioni giuridiche precise e daltronde lo stesso
autore fa mostra di sentirsi più uomo darme che dottore.
Con ciò, più che non il Claro, il Leonardi si apparenta ad
altre figure di giurisperiti-cavalieri del Rinascimento, quali
Fausto da Longiano e Dario Attendolo.
Pubblichiamo in appendice: 1. il proemio dedicato a
Guidubaldo II della Rovere duca dUrbino - dei suoi Pareri
in materia di honore di cavalleria pertinenti a duello, ove
entra nelle polemiche su quale fosse la disciplina culturale
legittimata a strutturare il duello ed il diritto
dellonore; 2. un suo parere epistolare in tema
destensione della l. defamari (C.7.14.5) al duello.
Accanto a quella del Claro, lopera del Leonardi rimane a
testimoniare, con la propria ricchezza culturale, il fallimento
di unoperazione ad un tempo sociale, culturale e giuridica:
il tentativo essenzialmente cinquecentesco - di costruire
un compiuto ed autonomo tribunale del gentiluomo, e
con esso un diritto nobiliare incentrato sullonore.
Appendice I.
Giulio Claro, Del trattato di
duello, in San Lorenzo del Escorial , mscr.
g. II. 10
I.1.
Prohemio[68]
Chiara cosa è che il duello è dalle christiane leggi così
divine come humane dannato[69], il che molti con
molte ragioni et authorità hanno diffusamente ne i scritti loro
provato; et per vero[70] i longobardi, popoli
ferocissimi, concessero di potere in alcuni casi venire a
singolar battaglia, i quali, oltre che essi in vari luoghi nelle
loro leggi sparsi lasciarono[71], sono anchora da
alcuni scrittori di duello stati con molta diligenza raccolti[72]. Friderico barbarossa nel regno delluna e
laltra Sicilia, eccetto in due casi, il vietò con una
speciale constitutione[73]. Philippo re di
Francia cognominato il bello, riservando solo tre
casi, prohibì ne gli altri sotto gravi pene che non si
provocasse alcuno a singolar battaglia[74]; et
ne i tempi nostri Carlo V, gloriosissimo imperadore de romani, in
molti de suoi stati e regni ha espressamente vietato sotto pena
di morte che non sia alcuno ardito di sfidare altri a duello, nè
di accettar la disfida nè di concedere altrui campo franco in
luogo che alla sua giurisdittione sia soggetto.
Nondimeno poco hanno sino a qui giovato o
giovano tali prohibitioni de prencipi re o imperadori però che
tutto il dì veggiamo sopra querele di honore venirsi a duello et
quel cavaliere tenersi più honorato che per vendicarsi di alcuna
offesa che fatta gli sia non elegge altro camino che di sfidar il
suo nimico et sostenergli in singolar battaglia chegli
contra ragione et tristamente lo habbia offeso.
[75]Et veramente non può
in alcun modo negarsi che questa consuetudine non sia in parte
degna di [76]biasimo, essendo
direttamente nimica alla carità et facendo fra gli huomini
lecito il publico homicidio, il quale è delitto a tutte le leggi
odiosissimo, onde molti dottissimi giurisconsulti hanno risposto
in fatto che non solo da principio sia lecito rifiutar la disfida
di duello, ma anchor dapoi che si fusse acettata non sia cosa
dishonorevole il ricusar di venire alla battaglia, il che io
facilmente admetterei per vero ove fra soli dottori havessi a
dire il parer mio ma non già fra prencipi et cavalieri, la cui
oppenione alla precedente in tutto contraria è che per legge di
honore non sia lecito ad alcuno, senzaltra più legitima
cagione, a ricusare il duello et chi, sfidato, ricusasse di
acettarlo o dopo la acettatione ricusasse di venire a battaglia
possa secondo lo stile militare essere condannato per dishonorato
et infame.
Et se alcuno dirà che tale sentenza sia
nimica della legge di Christo, non negherò io che questo vero
non sia, anzi dirò che tutte le leggi dellhonore da
cavalieri con tanta diligenza osservate sono alla christiana
legge contrarie, per la quale a noi è ordinato che, essendo di
una guanciata percossi, dobbiamo porger laltra guancia per
riceverne unaltra, sì che a coloro che vogliono nella
christiana vita esser perfetti non si debbe estimare che scritte
siano le leggi dellhonore moderno, sapendo chegli è
impossibile piacere insieme a gentilhuomini et a Christo,
anzi che lo honore di questo secolo è rifiuto [?] a Iddio, nè
io questa loro santissima intentione contradico, anzi quanto alla
religione e pietà christiana volentieri mi acquieto con la
determinatione de sacri theologi e della Chiesa Romana et credo
il duello non solo non esser lecito fra noi, ma commettere grave
peccato contra Iddio qualunque sfida altri a battaglia et essendo
egli sfidato ci consente, nè pur essi solamente, ma qualunque
altro a tali duellanti dà consiglio favore o aiuto alcuno.
Adunque chi vuole esser servo di Christo
lasci il presente. Concludo adunque che poichè la universale
consuetudine ha non solo osservato ma approvato il duello, a me
sarà lecito anchora il mostrare altrui come a questo venir si
debbia[77].
Il che, quantunque sia contra ogni legge, saria nondimeno assai
tolerabile se la insolentia et temerità di molti non
havesse questa consuetudine convertita in abuso, i quali non per
difesa del proprio honore o della verità ma per qual si voglia
leggerissima cagione entrano in disfide et estimano quelli dover
esser riputati più valorosi et di alto cuore i quali più
volentieri corrono a far del loro sangue a guisa di turpe [?]
spettacolo alle turbe.
Questa general corrottela mi ha, quasi contra mia voglia, tratto
a scrivere i seguenti libbri nella materia di duello, giudicando
che, se per lo avenire nelle controversie de cavalieri si haverà
riguardo ad alcune cose delle quali io intendo di ragionare, per
aventura non nasceranno tra loro tante querele come hoggidì si
vedono et a quante che gia nate fussero per altre vie che per
duello si potrà porre honorata fine[78].
I.2
Problemi della imparitas
personae: leccezione di nobiltà
nel primo capitolo della seconda parte
del Trattato di duello
[79]1. Sì come ne i
giudicii contentiosi suole la parte contra cui si è dato il
libello opponere alcune eccettioni le quali sono come il libello
del reo[80] parimente ne i
giudicii duellari suole il provocato talhora ricusar la battaglia
allegando alcune eccettioni per le quali esso provocato pretende
non essere tenuto alla disfida, et perciò che tali eccettioni
quando sono giuste impediscono che nella causa più oltre non si
proceda[81]. Parmi esser
convenevole anzi necessario prima che daltra materia si
ragioni veder quali sono quelle eccettioni che debbono esser
admesse et quali possono esser rifiutate. Dico adunque che tre
sono le sorti di eccettione luna riguarda la forma del
cartello laltra i meriti della causa et la terza riguarda
la persona del provocatore o quella del provocato.
Si fa eccettione al cartello dicendo che sia oscuro o generale o
incerto o conditionale o che non esprima la querela o che non
habbia [82]i debiti requisiti. Et
di queste eccettioni come sintendano assai si è detto
disopra dove delle forme de i cartelli si è ragionato.
Si fa eccettione circa i meriti della causa quando il provocato
offeriscie prova civile, o dice che la ingiuria sia estinta in
alcun modo o che la querela non sia combattibile, non sia giusta,
o nega il fatto, o contradice ad alcuna cosa che nel cartello
della disfida si presupponga per vera. Di queste eccettioni si è
parimente in vari luoghi del precedente libro detto assai
diffusamente.
2. Resta adunque solo a trattar di quelle
eccettioni che riguardano la persona del provocante o quella del
provocato, et queste sono molte.
Contra il provocante si oppone
I. che non è nobile
II. che non è suo pari
III. che è bastardo
IIII. che è dishonorato et infame
V. che ha querela con altri
VI. che non ha interesse in questa disfida.
3. La prima eccettione è della nobiltà,
della quale, percioche ogni giorno se ne fanno gran romori,
intendo di trattare un poco più diffusamente. Et certo questo
articolo non è di facile risolutione percio che molti de i
nostri dottori i quali non erano nati nobili hanno con le loro
opinioni offuscato la chiarezza della nobiltà, tra i quali
Bartolo volle che quei soli fussero nobili che dal prencipe
fussero più che gli honesti plebei honorati[83], il
che disse, sì come credo, per non haver egli altronde la
nobiltà che dalla concessione del re Roberto. Parimente Baldo[84] disse che i veri nobili sono i vertuosi, et non
altri et oltre a ciò soggiunse molte parole in biasimo de i
gentilhuomini ben nati come quello che (per quantio stimo)
sapea che con tali parole non offendeva punto se medesimo. Hor io
dirò brievemente in ciò il parer mio nè mi curerò di
offendere per aventura lanimo di alcuni seguendo la verità
la quale sopra ogni [85]altra cosa debbe
esser amata[86]. Dico adunque che due
sono le sorti della nobiltà, luna è nobiltà propria e
vera laltra è nobiltà acquistata. Quel solo è veramente
nobile che è nato di sangue nobile. Et intendo quello esser di
sangue nobile i cui predecessori fino al quarto grado cioè fino
allavo dellavo, non sono stati notati dinfamia
nè rustici nè plebei nè hanno essercitato alcun officio vile o
arte mecanica. Però che se chi tali cose fa non può esser
nobile[87] adunque chi gli sarà
figlio o nepote etc. non potrà dir che sia nato di sangue
nobile. E benchè alcuni habbiano detto che la nobiltà non si
estende oltra il grado de pronepoti[88]
nondimeno la verità è che persevera in infinito se non è
interrotta da alcun diffetto dinfamia o di officio vile[89] come disopra si è detto, anzi quanto più antica
è la nobiltà tanto è più illustre et tale è volgarmente il
sentimento di questa parola nobile[90] che
in italia e francia si dice gentilhuomo et in hispagna cavaliere.
Et secondo questo commune sentimento si debbe intendere da
ciascuno[91].
4. Ma che diremo noi de i mercanti. Et certo
pare che nè essi nè i descendenti loro sino al quarto grado
possano esser nobili[92]. Io nondimeno credo
che questo non sia vero così absolutamente, considerando che in
Alamagna et in italia sono state et sono alcune nobilissime et
potentissime città, nelle quali è sempre stata et è anchora in
molta riputatione la mercantia come è Venetia Genova Fiorenza
Siena e Lucca le quali già furono et in parte sono lhonore
et il sostenimento della libertà in italia. Et pure veggiamo che
quivi in generale et in particolare tutti così nobili come
plebei sono mercanti. Dico che i gentilhuomini delle sopradette
città anchor che sian mercanti non lasciano di esser nobili nè
si potrà opponere giamai nè ad essi nè a figliuoli loro che
habbiano mercantato et perciò siano manco nobili. Et questo
veramente procede senzalcun dubbio nella patria loro, ma
diremo noi che questo faccia loro alcun pregiudicio in quella
città dove i gentilhuomini vivono cavalierescamente et tengono
officio vile lessercitio della mercantia? Io sono di
opinione che fuori delle patrie loro ove essi facessero
professione di mercanti negotiando nella guisa che fanno nelle
dette città, essi potrebbono [93]esser legitimamente
ricusati da ogni cavaliere. Ma qualunque volta essi o i figliuoli
loro lasciata la mercantia facessero honorata professione di
gentilhuomini o di impresa militare così maritima come terrestre
dico che senza alcuna eccettione sariano nobili al paro di ogni
altro nobile et così credo esser vero. Et questo è particolare
privilegio di quelle città nelle quali la mercantia è tenuta
per honorata professione. Ma in quelle ove i gentilhuomini non
mercantano nè entrano in simili negotii certo se un gentilhuomo
si ponesse a mercantare credo che perderebbe la nobiltà et
potrebbe esser ricusato da un altro che fusse nato nobile et
vivesse da gentilhuomo.
5. Ma come sintende uno esser
mercante. Et dico che non chi fa un solo atto o una sola
negotiatione sintende esser mercante[94] ma
chi entra in più atti e più negotiationi[95] et
oltre a ciò pone la maggior parte delle sue facultà in negotii
di mercantia[96]. Et questo
sintende non solo se vendesse o accattasse panni o
sete etc. ma se prestasse denari pur che dalluna e
dallaltra parte vi corresse interesso[97] o
veramente se affittasse le possessioni sue per negotiar i frutti[98] o veramente fusse negotiatore di qual si voglia
sorte di mercantia. E ben vero che si concede a ciascun
signore et gentilhuomo vender le sue proprie entrate et
contrattandole non si potrebbe dir che fusse mercante[99] perchè generalmente non si può dir mercantia nè
negotiatore ove non si compra per vendere[100].
Sono alcuni parimente i quali concedono ad ogni gentilhuomo il
negotiare per terza persona pur che nella compra nè nella
vendita si spenda il suo nome nondimeno la maggior parte de i
nobili vi fa molta difficultà.
6. Può adunque in alcun caso star insieme
la nobiltà con la mercantia. Ma gli artefici indifferentemente
in ogni città e provincia sono tenuti ignobili et come tali
possono esser ricusati. Il medesimo dico de i gabellieri o
datiari i quali non solo perdono la nobiltà ma entrano in sì
trista riputatione che [101]non si presume che
alcuno di loro possa essere huomo da bene[102].
Parimente perde la nobiltà chi si fa notaro, il quale è vile
oficio[103] et dicesi esser
artefice[104] et è chiamato
dalla legge servo publico[105].
7. De gli officiali del prencipe è manco
dubbiosa la risolutione cioè che non perdano la nobiltà anzi la
illustrino et facciano più chiara, il che procede senza alcun
dubbio ne i magistrati come sono senatori consiglieri del
prencipe regenti questori, governatori di stati e di città
presidenti potestadi et altri simili, i quali hanno insieme con
lufficio la giurisdittione anchora. Il medesimo de i
fiscali et capitani di giustitia regenti della vicaria et simili
i cui officii tutti sono riputati nobili et honorati.
8. Ma che diremo noi de i bargelli et quegli
che in hispagna si chiamano alguaziles et nel regno di Napoli
agozzini. Et circa questi credo che non siano nobili perchè il
loro officio è senza alcuna giurisdittione, ma solo consiste in
prendere i malfattori, sì che quasi potrebbe dirsi che fussero
caporali de birri et certo niuno debbe credere che sia officio di
cavaliere nè di gentilhuomo. Non mintendo però che sia
compreso in questo numero lalguazil maggiore il quale è
officio honoratissimo et ha giurisdittione sì come ho veduto et
conosciuto in hispagna signori di titolo et principi haver questo
titolo in alcune città prencipali di Castiglia.
9. De gli officiali che riscuotono le
impositioni et i donativi et le altre essattioni per il fisco del
prencipe cioè referendarii thesorieri commissari et simili non
estimo che perdano la nobiltà pur che siano salariati dal
principe et pur che habbiano alcuna giurisdittione, ma non già
se fussero semplici essattori di taglie per esser questo officio
molto vile et quasi infame massimamente se non fussero deputati
dal prencipe a tale officio ma essi il prendessero
allincanto o vi fussero deputati dal publico, nondimeno
così in questo come nel resto si debbe attendere la consuetudine
del luogo perchè ben può essere che uno officio sia in una
provincia honorato et in unaltra infame secondo il costume
vario delle genti.
I.3
Ultimo capitolo della prima redazione del
Trattato di duello
[106]1. Et pur siam
giunti al fine di questo difficile [107]et
faticoso trattato di duello nel quale sì per la varietà delle
oppenioni et sì per la diversità delle consuetudini è quasi
impossibile dar certa regola di honore. Nondimeno seguendo in
parte le vestigie di altri scrittori et in parte accostandomi
alla oppenione di molti cavalieri mi sono sforzato di risolvere
il meglio che si è potuto glintrichi di questa materia per
sè confusa et oscura oltra modo. Non ho cercato di raccontar
tutti i casi, ma quelli solamente che sogliono avenire non
trappassando cosa che per giudicio mio fusse o utile o
necessaria. Ho lasciato le consuetudini antiche come la legge
longobarda e quella di Friderico solamente ricorrendo allo stile
de i cavalieri secondo il quale si dee giudicare, et ove o non
fusse introdutto alcun stile o fusse la osservatione de cavalieri
diversa et incerta ho havuto ricorso alle leggi et oppenioni de i
giurisconsulti secondo le quali in diffetto della consuetudine si
decidono le controversie del duello[108].
2. Hor raccogliendo particolarmente
lordine per me osservato accio che le cose di honore
fussero più agevolmente intese ho voluto nella prima parte del
trattato raccontar i modi con cui si toglie lhonore altrui,
dichiarando quale sia la differenza fra la offesa e la ingiuria[109] et come la offesa non toglie lhonore[110] anchor che fusse fatta con ferite[111], ma la ingiuria infama anchor che sia fatta
solamente con parole[112] a chi è presente e
talhora a chi è absente anchora[113]
[114]se in honorato modo
non se ne risente[115]. Ho dichiarato con
quali parole si dica ingiuria[116] et perciò che
sovente suole nascer controversia sopra la nobiltà ho con un
brieve discorso esposto quale sia la vera nobiltà così in
generale[117] come in particolare[118]. Ma perchè alla ingiuria detta si replica
sovente con una mentita, ho seguito dichiarando quale si possa
dir mentita[119] et fra le mentite
quale sia valida e quale sia nulla[120].
Indi ho brievemente raccolto i modi e le qualità delle ingiurie
che con fatti si fanno così dallistesso ingiuriante come
per terza persona anchora[121]. Inteso dunque in
che maniera si faccia ingiuria altrui, ho nella seconda parte del
trattato posto i modi con che la ingiuria fatta sestingua,
non solo con morte così vendicativa come naturale[122] ma con dissimulazione dellingiuriato[123] indi come sestingua con la pace[124] et come le paci trattar si debbano[125]. Ho dichiarato in che modi honoratamente si venga
alla prova civile[126] et come
privatamente si venga senza cartelli al giudicio dellarmi[127]. Allultimo come si venga al solenne publico
giudicio dellarmi, et che solennità siano necessarie nel
cartello[128] et come le parole
di esso cartello formar si debbano[129]
et che se fusse conditionale[130] o generale o
incerto o per altra cagione non valesse[131].
Dipoi ho detto come essi cartelli presentar si debbano[132] et che se il provocato il ricusasse o fusse [133]contumace[134]. Nella 3a parte del
trattato ho essaminato a pieno la qualità delle eccettioni
che sogliono esser opposte al provocante et come possa esser
ricusato esso provocante sotto pretesto che non sia nobile[135] o che non sia pari del provocato[136] o che sia bastardo o infame[137]
et che se fusse infamato dopo la disfida o prima havesse
incominciato querela con altri o fusse da altri stato vinto in
duello[138]. Ho parimente
dichiarato con quali escusationi possa il provocato ricusar il
duello come sotto pretesto dinfermità di età di religione[139] che fusse dottore o letterato che fusse femina,
che fusse officiale di alcun signore o fusse prohibito dal
prencipe suo o da altri, o ritenuto in prigione[140].
Ho detto quando et come debbiano essere admesse le dette
eccettioni[141] et quale in tal
caso sia loro giudice competente[142]
et in che guisa debbano provarsi[143].
Ma perchè sovente viene controversia fra le parti a quale di
loro spetti la elettione del signor del campo e dellarme ho
dichiarato chi sia provocatore et chi provocato[144]
et fra quanto tempo sia tenuto il provocato ad elegger il detto
signor del campo[145] et chi possa essere
signor del campo et quale sia il suo officio sino al dì del
combattimento[146] et come
sintenda il combattere per campione et generalmente quel
che debbiano far le parti dal dì della elettione del giudice
sino alla giornata della battaglia. Nella quarta et ultima parte
del trattato condotti ambi due i combattenti allo steccato, ho
detto come si presentino [147]larmi al
provocante et quali siano larme usate fra cavalieri[148] et come si osservi equalità nellarme ove
il provocante o il provocato havessero nella persona loro alcun
diffetto dimportanza[149] et con che arti
sincominci la battaglia[150]. Ma perchè il
combattimento può esser finito in più modi ho particolarmente
essaminato come sintenda esser finita la querela, o
partendo il giudice la battaglia[151] o
espirando la giornata[152] o se luno de
i combattenti uscisse dallo steccato[153].
Indi come sintende esser finita la lite quando luno
si rende o dà per prigione[154] et che poder habbi
il vincitore sopra il suo prigioniero[155]
et ove il liberasse sopra la sua fede quando sia tenuto a tornar
alla prigionia se vi è chiamato dal vincitore[156].
Ho detto come si finisca la battaglia morendo alcuno de i
combattenti[157], et come finita la
battaglia sia honorato il vincitore e data la sentenza[158]. Et nella fine del trattato ho sotto brevità
raccolto lordine delle principali materie delle quali nel
discorso del libro si è ragionato[159].
IL FINE
Appendice II.
Pareri in materia di honore di cavalleria
pertinenti a duello dellIll.mo Signor Gio. Iacomo Leonardi
Conte di Montelabbate, in Pesaro, Biblioteca Oliveriana, mscr.
215, cc. 1r-4v
Dedica allIll.mo signor Guidubaldo ii
di questo nome
et iiii duca dUrbino, prefetto di
Roma etc.
Alcuni dottori di leggi hanno havuto
opinione, che uno di quella professione possa havere nel legge e
ne pubblici studi alcuni pensieri che gli siano leciti et
diversi da quelli quando consigliano per luna delle parti,
et altri quando sopra la medesima cosa che si tratta hanno a dar
come giudice la sententia loro: vengono a mostrare che nelle
scole per insegnare sia convenevole assottigliare, interpretare e
testi e glose anche contra la commune delli altri, che non
sariano cose ragionevoli o almeno così degne discusatione
se ne consegli che danno volessero tener il medesimo modo,
ne quali consegli se bene ciascuno si sforza persuadere il
giudice alla sua opinione et a quel fine si vaglia dogni
sorte dargomento, non perciò si haveria a bene che certe
sottilità che si sostentano nellinsegnare si usassero nel
consigliare: essendo che di altro modo nel genere deliberativo
veniamo alle persuasioni, daltro quando vogliamo
ammaestrare gli scolari per fargli alzare lintelletto, et
daltro modo si trattano quelle cose, sopra le quali per
conscienza si habbia a dare una sententia diffinitiva. Usano dire
questi così fatti dottori che molte volte consigliano sopra casi
ne quali non sententiavano, et che nelle scole le opinioni
nascono et muoiono, come laltre cose tutte, variano nelle
opinioni, et non solamente variano, ma di diritto si contrariano,
et dicono che gli è lecito mutar proposito di male in bene, et
di bene in meglio, basta che veggiamo una così fatta confusione
tra molti di detti leggisti, tra quali perchè procedono in
confuso, bene spesso si perde la elettione, et ove non è questa
non vi è la prudenza. Il difetto non è però delle leggi
canoniche e civili, che sono sante et buone, ma di quelli che non
lintendono o se ne vagliono a lor modo in mala parte.
Havendo io havuto consideratione che in questi abusi dhoggi
si danno facilmente i pareri in danno daltri o sia perchè
prencipi et gli altri huomini dautorità essendo ricercati
giudicano di non poter mancare, et perchè non vedono le ragioni
di tutte due le parti credono dire quel che è giusto, o sia
perchè dottori et alcuni abusando questa regia professione di
cavalleria danno pareri per danari, basta che veggiamo che non
mancano pareri a chi gli vuole. Io non niego che questa facilità
del dargli non causi questo di buono, che molti huomini
sodisfacendosi di questa via non curano entrar ne steccati,
ma non è perciò che non habbiano ricorso alle nimistà, dalle
quali nascono quelle divisioni nelle città, che le conducono
allesterminio duna manifesta ruina, et pur saria men
male se vogliamo accomodarci a quel proverbio, che di duo mali
sia da elegger il minore, che colui che dà cagione alle
discordie, colui solo si havesse a mettere in rischio, lasciando
i parenti, gli amici, gli adherenti, i seguaci et adherenti in
pace: se hora vogliamo venir considerando chal leggista si
faccia lecito dire nelle scuole una cosa, laltra nel
parere, et unaltra nel terminare i casi, non per questo
saria convenevole che l cavallier faccia il medesimo, ma
così comegli è obligato o tacere quando non gli tocca di
parlare o in ogni tempo e luoco quando bisogna dire la verità,
così deverebbe egli guardarsi di non ragionare, di non dar
pareri, di non terminare salvo quando egli sia certo di dire quel
che vuole il giusto et veramente quel che sente. Li leggisti
buoni hanno lobligo medesimo, ma questi col darsi a credere
che nella professione di cavalleria vi siano le consuetudini
niente di minore autorità di quelle, che sono state raccolte nel
volume de feudi per terminare le cose de stati sono
iti variando riportandosi come fa Baldo al detto dun
imperadore, et Iasone et altri molti allo stile dellarmi et
così se lhanno passata con qualche timidità nel dar le
loro opinioni. Lascio che questi che hanno scritto sopra la
materia delli duelli siano stati semplici leggisti o puri
filosofi, che con luna et laltra di queste
professioni habbiano potuto correr bene (come si dice) la lancia
loro, ma quelli che nè delluna nè dellaltra
professione hanno havuto più notitia di quella che sono andati
raccogliendo fondati hor sopra lautorità del Puteo o di
quelli dottori di leggi che allegano, come lhabbiano
passata mi riporto: io che mi son pur trovato ondè stato
limperatore Carlo V, et poi col signor Francesco Maria Duca
di Urbino più danni dieci continui, et con
leccellenza vostra in servitio di lei più di venti, con
Prospero Colonna, col Leva, col Marchese del Vasto, con Don
Ferrando Gonzaga challa fine sono stati capitani di maggior
nome di questa età, et con molti altri prencipi, con la medesima
prattica, che ho havuta di questa professione della cavalleria
non ho trovato huomo che mi habbia mostrato nè ho conosciuto io
che in quella sia diterminatione alcuna particulare intorno
questi duelli, et quando mi sia occorso di parlar con loro, et
dirgli una ragione cavata dal giurisconsulto, da Aristotele, da
Demosthene, da Cicerone, da Isocrate et dalli medesimi historici
applicati da me a quel caso chè venuto proposto, ho veduto
che da loro è stata abbracciata et ricevuta per buona, et il
Duca Francesco Maria che di questa cosa fece gran professione per
lo molto suo buon giuditio bene spesso dava alcune ragioni tanto
accomodate in quelle controversie che gli erano messe avanti,
chio ne trahea gran frutto, che ripensando di poi trovava,
che molte di quelle si comprendeano nelle leggi o ne gli altri
auttori di sopra, et il medesimo vedo far hora allecc.za
V., la quale in molti casi cherano disperati appresso
alcuni cavallieri con la inventione delle ragioni non conosciute
da gli altri ha (come si dice) risuscitato i morti et fatto
restituir lhonore a chi era (come si usa dire) sotterrato
et perduto, di modo che se vogliamo venir considerando onde sia
nata questa scienza o arte di questo abuso del duello trovaremo
che nel discorrere gli accidenti di quello non sia alcuno miglior
maestro che colui che è dotato dun buono et intiero
giuditio, danimo ellevato di cavalliero atto ad accomodare
al caso quelle ragioni, che per dono dIddio ha nel suo
intelletto et che cava dalle leggi, dalla filosofia morale, da
gli historici et dalla medesima theologia: questa professione
può molto ben ricevere un capitano generale et un altro di quel
mestiere, chabbia notitia di quanto rischio sia il
commettersi al duello, et finalmente di tutti quegli huomini che
fanno professione di cavallieri terrei gran conto non già delle
loro authorità perchè fossero huomini di guerra, et perchè
havessero alcuno stile o consuetudine degna desser
osservata ma solamente per le ragioni che adducessero, le quali
escano dalla bocca di chi si voglia non devono essere
sprezzate, et il Puteo, che facendo quel suo trattato fa il
fondamento sopra una legge che non prova quel che dice, se egli
et gli altri non mostrano con quali ragioni parlino non gli
stimarei punto. Voglio dir in fatto che questa professione è
fondata sopra ogni scienza et tocca dogni sorte arte, et
non sopra una sola, nè sopra consuetudine che sia degna di quel
nome, ma (comho detto) sopra tutte quelle cose, che
Cicerone dà al suo oratore, Polibio, Valturio et gli altri al
capitano generale, conciosia chinfiniti sono i casi che
conducono gli huomini allarme, ne quali se si sa
trovare il torto da una parte con li pareri, con le persuasioni
possono cessare li duelli et le ruine delle medesime città et
provincie; et poi cha prieghi di molti ho lasciato
ricopiare alcuni miei pareri, chaltre volte a richiesta di
prencipi, et di particulari amici ho dato per schietta cortesia
senza haver mai voluto riceverne altro premio di quello, che
mha dilettato sempre, del piacer che piglio di far piacer
ad altri, se verranno con altre cose mie fuori in stampa, che
finhoggi per esser io stato in ogni tempo di gran
contentatura non ho mai consentito che vadano in publico, come
non mai sodisfatto di me stesso, voglio che si sappia chio
havendo seguitato quella strada di fondare i pareri non nelle
schiette autorità o ne gli essempi, ma in quelle ragioni,
cho giudicate io poterle per ragioni chiamare sopra le
quali io non intendo persistere mai che siano degne di quel nome
che merita la propria ragione, se non quanto siano da quelli
della professione di cavalleria approvati: vedasi quel chio
dico, et se non è con fondamento ributtisi, coreggasi,
chio in ogni tempo sto apparecchiato ad imparare, et se
lecc.za V. alla quale indirizzo sempre tutti i miei
concetti sotto il nome del Prencipe Cavalliero, conoscerà che vi
sia qualche parere di malessempio et contra la conscienza
degnisi farlo levare dal libro. Io essendo huomo e peccatore
tengo per certo di far molti errori ogni giorno ognhora in
tutte le mie operationi, ma ben è vero che quel cho fatto
(comho detto) lho fatto per sodisfare i prencipi et
gli amici con animo buono et più per evitare che per caminare al
duello: a me basta che si sappia che non ho havuto intention di
fare offesa ad alcuno, tutto sia detto con riverenza
allecc.za V. perchè riceva ella in dono questo mio libro
raccolto posso dire da pezzi di carta, non havendo tenuto quel
conto, che molti sogliono tenere di quei pareri, che nascono
dallanimo loro, et anzi lasciato andare molti originali,
de quali per la medesima ragione non ho cercato tenere
copia alcuna, come alcuni fanno, he se ne sodisfano, che così a
me mai non è avvenuto in alcun tempo. Dio benedetto doni
allecc.za V. lunghi e felici anni: di Montelabbate il primo
di agosto del MDLX.
Di V. Ecc.za
Vero s.re
Gio. Iac.mo Leonardi
Conte di Montelabbate
III.
Giovanni Iacopo Leonardi, Miscellanea
di scienza cavalleresca, in Pesaro, Biblioteca
Oliveriana, mscr. 222, s.p.
[20 ottobre 1554] Io non reputo che il
rimedio della legge diffamarii c. de ing. et man.[160] possi haver luoco nella profession de cavalleria,
massimamente del modo che è stato intentato, et se altramente
fusse seguiria che ciascuno potesse offendere un gentilhuomo, et
mentre che loffeso attendesse alle sue provisioni per
risentirsi, percioche per le prohibitioni quasi in ogni luoco
sopra il duello oltre che da tutte le leggi sia vietato, potria
dico colui che ha offeso ricorrere a un tribunale civile, far
statuir i termini ordinarii, et tagliar la strada mediante la
sentenza del silentio allo offeso che non potesse resentirsi
altramente; si daria materia a ciascuno presontuoso che caricasse
un altro di assicurarse; si destrueria affatto il privileggio del
duello, con il quale nelle cose dubie si ricorre alla spada in
diffesa dellhonore per supplemento di prova, le quali cose
non si potriano in modo alcuno provare avanti un giudice togato.
Altre sorti de inditii bastano per il steccato, et più leggieri
di quelle che sono necessarie nel giuditio civile, nel criminale
ancora ove si ha a trattare contro un reo sopra la tortura.
Puote un cavalliero per le grandi provisioni che li sono
necessarie stando la consuetudine dItalia come sta, che
loffeso sia lo attore, havere de grandi et ragionevoli
impedimenti che lo fanno scorrere il tempo; che saranno presso
cavallieri reputati ragionevoli; che presso dottori ordinarii
saria il contrario: laonde sopra questa parte concludendo dico,
che se il S. [cancellato: Sala] si vorà valere di una sentenza
che imponga silentio allaltro per fugir la offesa e il
carico, che ha fatto al suo avversario, sarà poco ascoltato
presso quelli che intendono quanto sia abbominevole offendere un
cavagliere, fugir poi per indirette vie col mezzo di procuratori
et avvocati il cimento dellarme, sotto il giuditio delle
quali suol trovarsi a favori della giustitia la tacita volunta di
Dio. In confusione di quelli che ingiustamente vogliono con
superchiarie levare o lhonore o la robba o la vita degli
altri. Quanto poi al modo dellessaminare i testimonii dico
che usiamo di farli deponere i detti loro scritti o sottoscritti
de lor propria mano, ce ne vagliamo poi secondo il bisogno se
lavversario volesse lui che fussero reesaminati o con
giuramento o interrogatorii avanti i tribunali civili ne lasciamo
il pensiero a lui desser quello che ricorra a quella sorte
giuditio, in questo mestiere di cavalleria habbiamo la parola, il
cenno solo di un gentilhomo, quanto un contratto il più solenne,
il più giurato, che si possa fare in tutte laltre
professioni, la esperienza ci mostra esser così il vero poichè
a un semplice cavagliero i principi confidano non solamente il
danaro che li danno per far soldati, ma li governi delle città,
dei regni intieri, senza havere dal cavagliero altra sicurezza
che la parola o il cenno suo. Vediamo alla guerra che
lalzar dun dito, il dar un guanto di ferro al suo
nimico, fa quel medesimo effetto, che faria il più solenne
contratto che si possa fare al mondo, nè per altro portiamo la
spada, per la quale si rapresenta la giustitia, et perchè la ci
sia testimonio nelle cose tutte che sono ragionevoli, che ci
potessero esser negate da qual si voglia che facci profession di
cavagliero. Questo è quel che mi sovviene per risposta de la di
V.S. R.ma et Ill.ma alla bona gratia della quale summamente mi
raccomando col raportarmi sempre al prudentissimo giuditio di lei
et di quel altro che fusse meglior del mio. Di Ven.a li 13
ottobre 1554.
Rispondendo alla littera di V.S. R.ma dico
che noi pratichiamo quella legge de famarii in questo modo.
Quando colui che ha offeso vede che laltro non si risolve a
chiamarlo li fa intendere che in tanto termine si debba
risolvere, se pretende o no scaricarsi, il qual termine passato
si protesta che si terrà libero da ogni querela di colui che è
offeso, et che pigliarà partito di andar alla guerra. Questo
così fatto protesto non leva che loffeso non possa
chiamarlo anche che sia passato quel tempo che gli è stato
prefisso. Colui che ha offeso se si trova libero è obligato dar
conto di sè comparire in stecato non trovandosi libero e che si
trovasse impegnato ad una guerra che non potesse lassarla con
honor suo, puote rispondere che poi che egli ha protestato et
espettato quel tempo che havea dato alloffeso di risentirsi
che trovandosi obligato non pretende lassare la guerra per il
combatter particolare con far sapere che restandoli la vita,
finita che sia quella querela publica che sel nimico sarà del
medesimo parere darà quel conto di sè che a cavallier conviene,
questi termini che si danno non levano alloffeso
lautorità del risentirsi quando habbi giusta cagione di
differire il risentimento, ma fa lo effetto che si è detto che
colui che ha offeso drieto un certo termine può andar alla
guerra secondo la sua professione senza rischio che durante
quella possi essere calunniato se non va al cimento in quel
tempo, ho detto delloffeso che habbi giusta cagione nel
differire, percioche se volesse correre nel tempo a modo suo, non
usar diligenza di ricercare e campi, et altre cose necessarie,
restaria macchiato nellhonore et forse tanto adentro che lo
nemico per questa sol cagione che così longamente havesse
tolerato di star nel dishonore lo potrebbe ricusare. Ma poi che
non si tratta di questo non dirò altro, raccomandomi di novo
alla buona gratia di V.S. Rev.ma et Ill.ma. li 20 di ottobre 1554
in V.a.
II.
GLI EROICI FURORI
Polemiche cinque-seicentesche
sui processi di formalizzazione del
duello cavalleresco
Tenterò qui daffrontare in
apicibus la complessa costruzione duellare fra bassomedioevo
ed antico regime, sulle orme della dinamica culturale
cinque-seicentesca che assecondò e promosse la trasformazione
del duello donore da legale procedura
giudiziale a criminosa consuetudine nobiliar-militare
contra legem. Cercherò dilluminarne qualche tratto
per la via traversa di una sorta di ragionamento a contrario,
mirando ad inquadrare il nostro istituto attraverso lesame
di talune situazioni similduellari: si tratta di
figure concettualmente prossime al duello, ma nei trattatisti del
400-600 tenute ben distinte dallautentico
giudizio duellare donore.
Il duello è una battaglia singolare
per pruova della verità, tal che chi vince sintenda haver
provato.
E il primo modello definitorio
giuridico-tradizionale del duello, da Raimundo de
Peñafort e Baldo[161] sino a Paride del
Pozzo[162] ed oltre.
Il suo accoglimento da parte di molti
trattatisti quattro-cinquecenteschi comportava levidente
forzatura dellassimilazione del pubblico giudizio duellare
per punto d'onore al duello ordalico. Siffatta
concettualizzazione aveva il pregio di permettere una
giuridicizzazione analogica del duello donore, giacchè la pugna
ordalica era stata abbondantemente trattata nei suoi dettagli
giuridico-dottrinali. Già Paride del Pozzo indicò questo
itinerario concettuale: un nuovo duello munito di una nuova e
diversa procedura, ricavata dalle consuetudini nobiliar-militari,
ma riplasmata dai giuristi come un qualunque altro istituto
giuridico di ius commune.
Un secondo modello definitorio critico-moralistico
si riannodava allazione repressiva della pratica duellare
da parte delle autorità secolari e religiose, evidenziando del
duello soprattutto la dimensione criminosa. Da Andrea Alciato[163] a Marco Mantova Benavides[164]
ad Antonio Massa[165], prendiamo per
tutti la testimonianza di Luca Fioroni, giurista romagnolo del
tardo 500, che non a caso si inseriva sin dal lessico,
ripreso dalla Ad tollendum di Gregorio XIII[166], nel solco della repressione controriformistica
del duello:
Proibito per la salvezza anzitutto
delle anime, il duello è uno scontro fra singoli sulla base di
una predisposizione e di uno specifico accordo (ex
condicto)[167].
In armonia con le latissime normative pontificie
tardo-cinquecentesche, il duello ne usciva, dunque, marcatamente
ossificato: nessuno dei suoi meccanismi era ricordato a livello
definitorio, ove si pretendeva soltanto il dolo specifico, la
premeditata consapevolezza. Lintrasigenza antiduellare si
condensava in una definizione radicalmente proibizionista, che
bandiva il duello dalluniverso giuridico.
In questa sede, però, ci interessa
soprattutto il terzo archetipo definitorio, quello
cavalleresco-consuetudinario, che valorizzava la libera dinamica
consuetudinaria del diritto nobiliar-militare come diritto di
ceto, forgiato intorno agli specifici exempla
cavallereschi. Il duello veniva proposto nel contesto di un
progetto giuridico che riconosceva ai nobili ed ai
militari la facoltà di elaborare un proprio diritto intorno al
loro massimo distintivo cetuale: lonore, da sottrarsi al
diritto comune ed ai tribunali ordinarii. Leggiamone dunque due
definizioni, quella celeberrima di Giambattista Possevini e
quella inedita ma assai significativa di Giovanni
Giacomo Leonardi:
(Possevino) il duello è uno
abbattimento voluntario tra due huomini, per lo quale luno
di loro intende provar a laltro con larmi, per virtù
propria sicuramente senza essere impediti ne lo spatio di un
giorno, chegli è huomo honorato, et non degno di essere
sprezzato, nè ingiuriato, et laltro intende di provare il
contrario [168];
(Leonardi) Duello di due è proprio il
combattimento de doi huomini honorati o che facciano profession
dhonore per difesa dellhonore. Intendiamo quello che
daccordo con la patente del campo si fa in luogo libero et
sicuro et anche alla macchia[169].
Il duello solenne per punto donore
emerge qui compiutamente sintetizzato senza ipocrisie
ordalizzanti e si concettualizza anche dal contrasto col duello
privato, alla macchia. In entrambe le definizioni si
avverte la necessità descludere (il Possevino) o
dincludere (il Leonardi) il duello clandestino accanto al
duello solenne.
Nelletà pretridentina il non-duello
era, dunque, il duello privato, irregolare ed illecito, esposto
agli eventuali strali della giustizia ordinaria, al di fuori di
tutte quelle formalità giuridiche che caratterizzavano il duello
donore giudiziario.
Scriveva Dario Attendoli:
Macchia si dice ad un luogo inculto, e
dishabitato, e dove non è conversatione dhuomini, onde il
chiamare uno a far questione fuori duna città in luogo
dove non possono i questionanti esser dispartiti dalcuno,
si dice chiamare alla macchia[170].
Il problema centrale diventava quello di valutare la portata
della sfida alla macchia nel contesto del diritto
nobiliar-militare incentrato sullonore. Si trattava, cioè,
di stabilire se il provocato alla macchia potesse esimersi senza
taccia di viltà, e pertanto senza lesione donore.
Il Muzio rappresentava la sfida a duello
privato come intollerabile espressione di furore, che poteva
anche configurarsi come eroico furore, ma di cui non si poteva
disconoscere lirrazionale disordine.
Contro il duello donore alla macchia
sadduceva ad esempio da Antonio Possevini[171] la condanna della consuetudine
cavalleresca cortese espressa dal duello lecito e
solenne. Il cavaliere era anzitutto un nobile o comunque un
militare donore, al quale si richiedeva in ogni occasione
un idoneo apparato, con la presenza-testimonianza del proprio
ceto, e quindi con unidonea pubblicità, che mancava nello
scontro alla macchia: cosa turpissima fora de ogni
disciplina militare [...] costume apertenente ad vilissimi
beccarini, ruffiani, et gente plebea, quali sono da essere puniti
dal iudice de la publica iustitia[172]:
così si esprimeva duramente già il Del Pozzo[173].
Lanalogia del duello con il giudizio
civile diveniva, così, strumento essenziale per negar validità
al duello privato, ove si frantumava lultimo ponte verso la
razionalizzazione giuridica e come sottolineava
Lancellotto Corradi verso la stessa religione[174]. Il duello privato era un certame compiutamente
forgiato dalla consuetudine ed assai remoto dalle categorie dei
giuristi, talmente remoto da essere addirittura privo anche delle
minime rassomiglianze con il giudizio ordinario: nella macchia vi
erano ovviamente il reo-provocato e lattore-provocante, ma
non vi era la terza figura necessaria allanalogia col
processo, cioè il giudice del campo.
A differenza del duello solenne, quello
privato era, dunque, morfologicamente estraneo al processo
romano-canonico ed agli altri leciti istituti come la
giusta guerra e la tortura tradizionalmente utilizzati dai
giuristi per la giuridicizzazione del giudizio duellare. La
valutazione della causa del duello vi era completamente rimessa
allarbitrio delle parti, nessuno più vi giudicava i dubbi
interlocutorii, nessuna via di transazione nessuna
rappacificazione vi era più possibile, gli eventuali
accompagnatori delle parti spesso finivano per prender parte allo
scontro (come ricordano i trattatisti cinquecenteschi), col che
il duello privato si tramutava in una sregolata e furibonda
battaglia di gruppo, ancor più irrazionale della faida in quanto
priva di una qualsiasi causa[175].
Altri autori insistevano sugli enormi rischi
della clandestinità. E il caso di Giulio Claro, notissimo
pioniere della criminalistica moderna ed autore di un inedito
trattato sul duello che mi accingo a pubblicare. Nel
giudizio duellare sommario (così il Claro denominava
il duello privato) erano evidenti i danni per il reo-provocato,
che vi sacrificava irrazionalmente i consistenti vantaggi
riconosciutigli nel duello solenne, in particolare con la perdita
della scelta delle armi e del campo, con lesposizione a
possibili agguati e scorrettezze da parte
dellattore-provocante e comunque con la perdita
dellimpunità nel caso di vittoria[176].
Siffatte valutazioni, più o meno critiche, erano però assai
poco frequenti nei trattati di gran parte dei giuristi, che, già
nutrendo qualche dubbio sulla liceità dello stesso duello
pubblico, bocciavano senzaltro il duello privato alla luce
di una valutazione strettamente legalitaria. Così lo spagnolo
Fortun Garcia de Ercilla [ca1525] riteneva sempre necessaria al
duello la presenza del re, culmine e rappresentante della res
publica, la cui pace era stata rotta dai duellanti[177]. Ed in Italia ricordiamo per tutti
lAlciato, che trattava appena il duello privato, dandone
per scontata la proibizione e collocandolo in seno alle eccezioni
perentorie di luogo, in contrasto con la necessaria pubblicità e
giudiziarietà del codice cavalleresco[178].
Per quanto riguarda, infine, la legislazione
secolare, dagli anni 30-40 del Cinquecento il duello
privato iniziò ad essere colpito come autonoma figura di reato,
quindi già nei suoi atti preparatorii e nei soggetti che a vario
titolo vi partecipavano. Prima dallora, di massima, erano
stati penalmente rilevanti soltanto eventuali omicidi e lesioni
ad esso conseguenti, venendo meno limpunità procurata
dalla lecita procedura duellare pubblica. Oltretutto i
trattatisti ricordano che un ulteriore eventuale profilo
criminoso del duello privato era lingiuria recata al
signore del luogo in cui lo scontro si realizzava senza il di lui
permesso.
Tradizionalmente si sosteneva che
lusanza del duello privato donore sarebbe sorta in
Spagna[179] od a Napoli. La
matrice ispanica, ed in ispecie aragonese, è additata da varie
fonti: nel celebre dialogo dellUrrea si rammenta
esplicitamente luso aragonese del duello privato
donore[180]; in una bolla di
Gregorio XIII del 1573 si condanna formalmente linfuriare
di tale costume fra Aragona, Catalogna, Valenza e Rossiglione[181]. Lenorme diffusione del duello clandestino
a Napoli, forse su importazione aragonese, è attestata dalla
maggioranza dei trattatisti[182].
Secondo il Muzio, il duello privato sarebbe
stato lemblema di un vero e proprio codice cavalleresco
eretico, eterodosso: il cosiddetto puntiglio del
compagnone dei cavalieri napoletani, ben più brutalmente
cruento del punto donore elaborato dai trattatisti
cortesi del Centro-Nord. Il puntiglio del
compagnone richiamava una società fieramente violenta e
rissosa, che non disdegnava di risolvere con agguati proditorii
le questioni donore. Il puntiglio si
distanziava dal punto donore non solo per il ricorso al
duello privato con annessa esclusione del giudice di campo
e dei vari formalismi giuridicizzanti di termini, eccezioni,
patenti, cartelli e questioni incidentali , ma se ne
allontanava anche su altri temi cruciali che qui non si possono
sviluppare, ma fra cui ricordiamo ad esempio lammissione
delle mentite cosiddette irrazionali e
lesclusione delle armi difensive[183].
Il problema a questo punto è comprendere
quali fossero le conseguenze che i trattatisti pretridentini
ricollegavano al rifiuto duna sfida a duello privato.
Certo non era cosa dappoco stabilire
lobbligo donore daccettare un tipo di duello,
quello privato, che esponeva il sopravvissuto alla giustizia
penale ordinaria, sia pur di fatto spesso inoperante. La
maggioranza dei trattatisti disconosceva, quindi,
limpegnatività della sfida a duello clandestino per
lonore del provocato, ma non mancava unopinione, che
ne imponeva laccettazione nel caso in cui le parti non
fossero riuscite ad ottenere le patenti per un idoneo campo
pubblico. Era unopinione minoritaria nella pubblicistica,
ma a detta degli stessi trattatisti maggioritaria
nella prassi.
Secondo Giambattista Pigna il reo-provocato,
che avesse ricusato il duello privato e che non fosse stato in
grado di produrre un campo pubblico, poteva essere oggetto di due
lecite e terribili reazioni da parte dellattore: un
cartello che ponesse fine alla sicurtà e che quindi
aprisse formalmente la strada alla faida, ovvero un cartello che
lo infamasse pubblicamente, privandolo quindi dellonore
sociale con tutte le relative conseguenze[184].
Nulla quaestio se il reo-provocato
avesse accettato il duello privato. Le querele private si
estinguevano con il cosiddetto abbattimento, alla
stregua di quelle in duello pubblico, giacchè una volta
concordate erano considerate pienamente valide e vincolanti dalla
communis opinio. Risultato ne era linfamia per il
perdente[185], ma di regola non
la prigionia come da duello pubblico[186].
Per giustificare il duello privato non
mancò, nella trattatistica, qualche tentativo vagamente
giuridicizzante: ad esempio, si argomentava sulla base dello
stato di necessità, che rende giuridicamente lecite molte
situazioni generalmente illecite. Ma largomento centrale
era in fondo nel culto di un tipo donore, che nel duello
privato pretridentino era quello tracotante dei bravi piuttosto
che non quello cortese dei gentiluomini, il cui tribunale era il
giudizio duellare pubblico e solenne[187].
La situazione per i nobili cavalieri sarebbe cambiata
radicalmente con la proibizione tridentina della concessione del
campo franco: a quel punto per la salvaguardia dellonore
lunica strada sarebbe stata anche per loro quella del
duello privato, criminoso, ma compiuto in nome di un bene
lonore più importante della vita stessa e la cui
perdita avrebbe comunque significato la morte in quanto
gentiluomo.
Nel 600, dinanzi allendemica fureur
des duels, il disciplinamento more nobilium consentito
dal vecchio campo franco suscitò i rimpianti di molti nobili,
fautori di un duello più controllato e garantito, che meglio
salvaguardasse, ad un tempo, lonore di ceto e
lincolumità personale. Pensiamo alle belle testimonianze
francesi di Marc de la Beraudiere[188]
e del più celebre Pierre De Bourdeille De Brantome[189].
Allo stato delle ricerche è pressochè impossibile avere
unidea della effettiva diffusione del duello privato
pretridentino, che mancava, per definizione, di patenti di campo
e di sentenze; e, trattandosi di un reato, fu sempre privo o
comunque assai povero di cartelli e di pareri, che ne serbassero
reliquia. Possiamo, quindi, fondarci soltanto sulle testimonianze
dei contemporanei, unanimi dalla metà del 500 al
tardo 600 nel riconoscerne lenorme diffusione.
Il suo più grave inconveniente restava la
perseguibilità penale rammentata da tutti i trattatisti, ma si
trattava di un rischio calcolato, per la difficoltà della prova
e per lomertà determinata dalla larga condivisione sociale
del codice cavalleresco. Era un rischio calcolato soprattutto per
limpunità che di fatto la giustizia dantico regime
riconosceva ai duellanti per via di frettolose inquisizioni
ovvero per via di grazia, immediata o successiva ad una breve
contumacia.
E un fenomeno abbastanza noto, ma che
vorremmo esemplificare con uninteressante vicenda
giudiziaria lucchese del tardo Cinquecento, nella narrazione del
suo protagonista, il giudice e giurista Giuseppe Ludovisi, che
esordiva con queste parole che qui traduco:
Ciò che si trova omesso da quanti
scrivono sulla materia duellare, oggi a Lucca emerge con piena
evidenza, cioè che per lessenza del duello il campo franco
non è richiesto. Poichè moltissimi giovani di Lucca in diversi
luoghi e quartieri della città si erano sfidati a duello e di
fatto dettero luogo a moltissimi duelli, il senato di Lucca, che
mal sopportava tutto ciò, mi delegò di intervenire in tutti
questi casi contro duellanti, padrini, fautori, complici ed
assistenti. Io li feci incarcerare quasi tutti e quanto era stato
loro addebitato fu da loro confessato. Si dubitò di quale
dovesse essere la loro pena.
Il Ludovisi, a tenor di legge, richiese al
Senato la pena di morte per duellanti e padrini, lesilio
triennale per quanti collaborarono od assistettero scientemente.
Quale fu il risultato, secondo quanto ricorda lo stesso relatore?
Il risultato fu che il Senato lodò la sua opera, ma pensò bene
di svellerne il rigore: duellanti e padrini furono puniti in
parte con un bando triennale in parte con una pena carceraria di
due mesi; i complici furono condannati ad un mese di carcere, gli
altri spettatori a quindici giorni[190].
In Italia, dopo la metà del 500, il
duello pubblico si mostrava, dunque, in evidente crisi[191], ma la risposta del ceto nobiliar-militare non si
fece attendere.
Ancora le pagine di Fausto da Longiano
consacrano la formale accettazione di alcune situazioni
similduellari nella trattatistica ufficiale. Il giurisperito
romagnolo distinse due tipi di sfida accanto a quella a duello
pubblico: la prima era la sfida a quistione in
camera cioè in campo segreto , con
minori formalismi, impegnativa per lonore del
reo-provocato; la seconda era la sfida per chiamata
estraordinaria, improvvisa, senza forma alcuna, ma
ricusabile dal reo-provocato senza lesione donore, quasi
una sorta di rissa[192].
Relativamente a queste due situazioni
similduellari troviamo opposta valutazione nel monumentale saggio
inedito di Giovanni Giacomo Leonardi. Analogamente a Giambattista
Pigna, il Leonardi imponeva senzaltro al gentiluomo
in mancanza di campo franco laccettazione del duello
privato, ma dissentiva dallusanza del duello in
camera, che ci testimonia esser stata in uso soprattutto
negli eserciti sotto il giudizio dei capitani, ritenendola egli
estremamente dannosa per la disciplina marziale.
La sua mal dissimulata propensione per il
duello privato emerge anche nellenumerazione dei relativi
vantaggi rispetto al duello solenne: minori spese, minori
termini, possibilità di concordare eventuali testi e giudici,
tacita tolleranza delle autorità, funzione dissuasiva contro le
temerarie lesioni donore[193].
Ecco, comunque, un raro esempio di cartello pretridentino per
sfida privata:
Attese le tue qualità notorie, quali
non mi piace per modestia mia particolareggiare, non sono per
ridurmi teco in un publico steccato. Ma io mi contento far
quistione con te, e condurmi teco a secreta battaglia in una
camera, con larme che porterai per ammendui: de le quali ti
dò la eletta, tutto che sia mia di ragione, per conservare
quella buona openione, che sempre sè havuta di me fra le
persone honorate. Non trovando tu la camera fammelo sapere in
tempo conveniente, chio ne troverò una franca, libera,
sicura, non sospetta[194].
Ebbene, variamente negato o giustificato, il
duello privato in taluni contesti segnatamente in Spagna,
nel Meridione dItalia e nellesercito era già
una pratica consueta, seppur criminosa, fra 400 e 500
in concorrenza-antitesi con il pienamente lecito duello
giudiziario donore.
Nel clima post-tridentino, ormai rarissima la concessione del
campo franco per il duello pubblico (come ricorda, ad esempio, il
Massa[195]), non per questo
scomparvero i duelli donore. Già Annibale Romei[196] ed il menzionato Giuseppe Ludovisi sottolineavano
il dilagare del duello privato. Ed il conte Alberto Pompei
raccontava che, dopo il Concilio, erano venuti a mancare
campi sicuri e che ormai si usava procedere per
confidenti, cioè in virtù di trattative fra cavalieri
delegati da ciascuna delle parti al fine di concordare un duello
privato, ormai lunica forma di duello in uso[197].
Nelle pagine dei giuristi del 600 il
duello solenne o alla macchia che fosse era ormai
un mero problema di diritto criminale. Solo i teologi potevano
permettersi di procedere in elucubrazioni sempre più minute sul
rilievo del duello come peccato in relazione al suo dolo
specifico. Conformemente alla loro consueta metodologia
approfondirono, in vivaci dibattiti, tutta una serie di
eccezioni, casus excepti, al generale divieto del duello,
tema di grandissimo interesse, ma su cui dobbiamo oggi limitarci
a qualche esempio.
Si pensi al caso di generica dichiarazione
di venire alle armi con il proprio nemico appena lo si
incontrasse, (actus agentis non operatur praeter eius
intentionem) ed al caso di un duello reso necessario
dallinopinata aggressione del provocatore nonostante il
precedente rifiuto del provocato[198].
Si pensi alla tesi sostenuta ad
esempio dal tedesco Heinrich Boher della liceità del
duello in difesa dellonore per stato di necessità da
mancanza di copia iudicis in una respublica male
ordinata, quando, cioè, non ci fosse un giudice cui
rivolgersi per tutelare il supremo bene dellonore[199].
Si pensi alla categoria dei cosidetti duella
mentalia, tenuti per leciti, in quanto in essi non si
intendeva veramente duellare con la controparte. Si immagini
uninappuntabile sfida a duello, che però fosse stata
concepita dalle parti senza animus duellandi, cioè con la
certezza che non ne sarebbe seguito nulla o per lintervento
di pacificatori, o per il tacito consenso a recarsi nel luogo
segreto senza però incrociarvi le spade daccordo coi
padrini: soluzione a detta di molti tuttaltro che
inconsueta con cui si salvava lonore sociale e ci si
tutelava da sgradevoli timori cruenti. Ebbene, il Pellegrini
riteneva che comunque scattasse la pena della scomunica per il
provocante. Secondo la tesi maggioritaria, invece, la
provocazione sarebbe caduta sotto il foro esterno con tutte le
pene previste, mentre nel foro interno avrebbe dato luogo ad un
peccato mortale per il pericolo assunto e lo scandalo suscitato,
ma non avrebbe comportato la scomunica per lassenza
dellanimus duellandi.
Si pensi poi allaltra massima
teologica secondo cui E lecito ad uomo onorato
uccidere linvasore che arrechi disonore, quando il disonore
non possa essere evitato in altro modo. Come già avevano
fatto gli antichi casuisti in favore del duello giudiziario, si
argomentò dalla massima, che permetteva anche lomicidio
per la salvaguardia del patrimonio. La conclusione era che
lonore, più prezioso del patrimonio, comportava la stessa
licenza. Il presupposto era in unanalisi dellingiuria
sulle orme di Cino e Baldo, per cui essa era anzitutto
unaggressione allonore, che poneva loffeso in
stato di legittima difesa.
Sotto la mole crescente delle eccezioni,
tutto siffatto lavorìo rendeva indubbiamente la posizione
canonistica assai meno netta di quanto non fosse nei testi
normativi.
A metà del 600 si manifestarono le prime reazioni. La
massima E lecito ad uomo onorato ...: cadde
sotto gli strali di Innocenzo XI[200],
ma anche molti altri casus excepti furono formalmente
condannati, oltre che dallo stesso Innocenzo XI, da Alessando VII
e poi da Benedetto XIV[201].
Per quanto attiene ai giuristi in senso
tecnico, il faentino Luca Fioroni scriveva a chiare lettere che
ormai per il giurista erano frivoli e di nessun peso
i numerosi trattati giuridici sul duello giudiziario per punto
donore[202]. Il principale
compito rimasto al giurista non era più la tramontata
costruzione del tribunale del gentiluomo, ma la tecnica analisi
delle pene e della loro applicazione al duello.
Il requisito normativo della concorde e
meditata deliberazione a duellare ex condicto et ex
composito rappresentava lautentico confine del
reato, contrassegnando il limes, il confine con il
territorio post-tridentino del non-duello, che non era più il
duello privato. Il duello si definiva, così, in dialettica, da
un lato, con i leciti casus excepti teologici e,
dallaltro, con una fattispecie criminosa più lieve: la
rissa, inossidabile rifugio giuridico di tanti duellanti di
fronte alla giustizia dantico regime[203].
La rissa era caratterizzata
dallassenza di premeditazione e di animus duellandi[204] e si distingueva quantomeno per il fatto
oggettivo dellimmediatezza dello scontro a sèguito della
provocazione, senza la temporis mora del duello: una
distanza temporale-spaziale che si faceva segnacolo di una
differenza morale[205].
I sottili dibattiti per far rientrare nella
rissa alcune fattispecie di duello stavano ad indicare un
radicale cambiamento di prospettiva.
Certo nella rissa mancava la proterva
volontà dei duellanti di farsi giustizia da soli in barba a
qualsiasi pretesa dello Stato e della giustizia pubblica. Ma
nella trattatistica giuridico-cavalleresca del 500,
fautrice di un autonomo diritto nobiliar-militare, non il duello,
ma la rissa era stata percepita in una valenza estremamente
negativa.
In contrasto con il duello quale
disciplinato tribunale del gentiluomo, in contrasto con le
consuetudini nobiliari e con lethos cavalleresco, la rissa
pareva espressione di un incontrollato furore, di unira
inconsulta, di un calor iracundiae tipico degli scontri
dosteria, completamente estranea allautodisciplina
cavalleresca ed al bon ton nobiliare.
Tuttal contrario, nella cultura
giuridica il duello apparve, progressivamente, come un crimine
ben più pericoloso e disordinante che non la rissa,
incasellandosi nella suprema categoria dei reati di lesa maestà
divina ed umana.
La rissa come termine di
comparazione/comprensione del duello, la rissa come situazione
eticamente meno spregevole in quanto indice di minor
criminosità rappresentava un diverso mondo etico e
giuridico che si veniva affermando.
[1] Senza pretesa doffrir qui un quadro bibliografico esaustivo ci limitiamo, anzitutto, ad alcuni rinvii in unottica storico-giuridica: F. PATETTA, Le ordalie. studio di storia del diritto e scienza del diritto comparato (Torino 1890); P.S. LEICHT, Ultime menzioni delle ordalie e del duello giudiziario in Italia, [1940] ora in P.S. LEICHT, Scritti vari di storia del diritto italiano II.2 (Milano 1949) pp. 425-431; H. MOREL, La fin du duel judiciaire en France et la naissance du point dhonneur, in Révue historique de droit français et étranger s. 4, 42(1964) pp. 574-639. Per un quadro complessivo cfr. K. DEMETER, Duell, in Handwörterbuch zur Deutschen Rechtsgeschichte 1 (Berlin 1967) coll. 789-790; A. ERLER, Gottesurteil, in Handwörterbuch zur Deutschen Rechtsgeschichte 1 (Berlin 1970) coll. 1769-1773; W. SCHILD, Zweikampf, in Handwörterbuch zur Deutschen Rechtsgeschichte 5 (Berlin 1997) coll. 1835-1847. Si vedano anche H. KANTOROWICZ, De pugna. La letteratura longobardistica sul duello giudiziario, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta II (Milano 1939) pp. 3-25.; G.E. LEVI-J. GELLI, Bibliografia del duello (Milano 1903); G.E. LEVI, Il duello giudiziario. Enciclopedia e bibliografia (Firenze 1932); P. FIORELLI, Duello (storia), in Enciclopedia del diritto 14 (Milano 1965) pp. 88-93; G. ANGELOZZI, La trattatistica su nobiltà ed onore a Bologna nei secoli XVI e XVII, in Atti e memorie della deputazione di storia patria per le provincie di Romagna 25-26(1974-1975) pp. 187-264 (ed ivi unutile repertoriazione di fonti). Nella più recente storiografia lopera di maggior pregio è forse quella di F. BILLACOIS, Le duel dans la société française des XVIe-XVIIe siècles (Paris 1986), ma si veda anche C. CHAUCHADIS, La loi du duel. Le code du point dhonneur dans lEspagne des XVIe-XVIIe siècles (Toulouse 1997). Unopera poi veramente suggestiva per respiro interpretativo e ricchezza di fonti è quella di C. DONATI, Lidea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII ([1988] Roma-Bari 1995). Di grande utilità per le ordalie bassomedievali è lantologia di P. BROWE, De ordaliis. I (Decreta Pontificum romanorum et Synodorum), II (Ordo et rubricae. Acta et facta. Sententiae theologorum et canonistarum) (Romae 1932-1933). Più in generale fra i più recenti contributi sullultima fase delle ordalie cfr. M. CHABAS, Le duel judiciaire en France (XIII-XVI siècles) (Saint Sulpice de Favières 1978); P. BROWN, Society and the Supernatural: a Medieval Change, in Daedalus. Journal of the American Academy of Arts and Sciences 104(1975) pp. 133-151; R.M. FRAHER, IV Laterans Revolution in Criminal Procedure: the Birth of Inquisitio, the End of Ordeals, and Innocent IIIs Vision of Ecclesiastical Politics, in Studia in Honorem Eminentissimi Cardinalis Alphonsi M. Stickler (cur. R.I. Castillo Lara; Roma 1992) pp. 97-110; G. CREMASCOLI, Sulle formule degli Iudicia Dei, in Studi in Onore di Arnaldo dAddario (cur. L. Borgia et alii; Lecce 1995) pp. 353-365.
[2] Era sorta questione fra il conte novarese Giovanni Battista Plotti ed un certo Federico, nobile tedesco che aveva criticato lonore degli italiani. Il Plotti gli aveva dato del mentitore ed aveva aggiunto per sovrappiù di essergli comunque ben più nobile. Federico lo chiamò a duello. Limperatore, investito del caso - e dubbioso se si dovesse dar luogo ad una actio iniuriarum o ad un duello od a nessuna di queste ipotesi si era rimesso al parere di due consiglieri, uno tedesco Guglielmo da Costanza - e laltro italiano, appunto Bartolo da Sassoferrato. Più che le argomentazioni bartoliane sullesclusione della responsabilità del Plotti per actio iniuriarum, ci interessano le sue osservazioni su questa curiosa sfida a duello, curiosa perchè fondata su di una causa che certamente non rientrava fra quelle tassativamente fissate nella legislazione imperiale e nel diritto feudale: è un caso dingiuria, di lesione dellonore ed oltretutto fa capolino quella mentita che nel 500 farà scorrere fiumi dinchiostro alla trattatistica specializzata e che rappresenterà uno degli snodi tecnico-giuridici di maggior suggestione. Ovviamente Bartolo nega che si possa concedere il duello, e ciò per almeno tre buoni motivi: 1. E vietato de iure divino, canonico et civili e nemmeno limperatore può derogare allordine divino; 2. Nella fattispecie manca la causa, facendo difetto lanimus iniuriandi: il Plotti intese respingere uningiusta accusa agli italiani e non certo ingiuriare Federico. Si limitò, in fondo, ad una naturalis et moderata defensio, quella cioè di ritorcere parole con altre parole, chè sarebbe stato disdicevole per un nobile come il Plotti restarsene inerte; 3. Il duello fu escogitato ad probationem veritatis in difetto di altre prove, ma nella fattispecie la verità è palese, giacchè lonore degli italiani è stato ingiustamente attaccato. Questo in sintesi il ragionamento bartoliano, che conclude in pieno accordo con il collega per linammissibilità dellactio iniuriarum e del duello (participato voto cum ipso D. Guilelmo collega meo, qui simile etiam votum subscripsit). e tiene a precisare che, benchè di solito non si desse motivazione per siffatti pareri, aveva ritenuto di derogare a tale usanza in considerazione della delicatezza della fattispecie, implicante complesse suscettibilità nazionali: Et quamvis de iure et consuetudine in consiliis decisivis, sicuti et in sententiis, consiliarii ac iudices non teneantur exprimere causam quae ipsos movet [...] tamen cum causa agatur inter italum et germanum, ne videar apud aliquos absque causa expressa votum dandum, cum sim italus, voluisse favere eidem comiti de Plotis italo, contra germanum, causam consilii ac voti mei exprimam. Cfr. Consilia seu responsa ad causas criminales recens edita [...] industria Ioan. Bapt. ZILLETTI U.I.D. veneti collecta I (Venetiis 1582) [cons. 5] f. 4rb-vb.
[3] Ed anzi il giurista non esita a ricorrere ad un uso disinvolto delle fonti romane, per dimostrare sino a che punto il Plotti fosse tenuto ad una qualche reazione dinanzi allaggressività verbale di Federico, per una sorta di legittima difesa del proprio onore, alla vita normativamente equiparato. Il conte italiano dovette reagire, a prezzo dellesclusione dal suo ceto e dalla dignità di consigliere imperiale: Fuisset enim magna verecundia et magnum dedecus d. comiti Io. Bap. de Plotis cum sit de nobili familia natus, et sit dom. imperatoris consiliarius, et sit italus, ubi contra d. Fridericum non respondisset, ergo licuit impune eidem dicere, quod d. Fridericus mentiebatur [...] cum per verbum, tu mentiris, omnis iniuria verbalis tollatur, et habeatur, ac si dicta non fuisset [...] et de iure compatiendum est illi qui causa honoris aliquid facit, vel dicit, cum causa honoris et vitae equiparentur, et perditio honoris morti est similis [...] nam honoris amissio solvit a militia [...] et ubi d. comes de Plotis honore amisisset, non erat eidem licitum imperatoris romanorum cuius est consiliarius, ingredi consistorium, nec consilium nec civitatem romanam [...] Tenebatur enim d. comes de Plotis respondere pro patria sua, et sic in honorem italorum, ac Italiae. Cfr. ibidem f. 4vb.
[4] La paternità del Plotti per questo come per altri responsi pseudobartoliani ricompresi nella raccolta dello Zilletti è stata ben dimostrata da M. ASCHERI, Diritto medievale e moderno. Problemi del processo, della cultura e delle fonti giuridiche (Rimini 1991) pp. 82-90.
[5] BALDUS, In primam Digesti veteris partem commentaria (Venetiis 1599) [ad De iustitia et iure, Ex hoc iure] f. 11ra Octavo queritur, utrum duellum inter duos sit licitum, cum alter diffamatus coram Regem non possit forte aliter recuperare gratiam Regis? Et videtur quod sic, quia necessitas facit probabile, quod alias non esset [...] Item quia licitum est infamiam suam repellere [...] In contrarium videtur, quia ut dicit Longobar. sub isto clypeo quis saepe periit. Item ius cano. prohibet. Sol. dicendum est, quod ex maxima causa est permissum de licentia superioris, alias non.
[6] BALDUS, In quartum et quintum cod. lib. commentaria (Venetiis 1599) [ad Mandati, Is penes] f. 96vb Nam non intelligitur illicitum, quod propter bonum publicum est statuto permissum, sicut non intelligitur illicitum duellum, quod permittit consuetudo generalis, ut Inst. de haered. quae ab intest. § per contrarium.
[7] BALDUS, In feudorum usus commentaria (Venetiis 1580) [ad De pace tenenda, Federicus] f. 57ra, ma si veda anche f. 57rab Quaero, numquid ille qui moritur in pugna moriatur servus poenae. Respondeo, is est similis illi, qui moritur in tormentis nondum condemnatus, et ideo non moritur servus poenae, et suum testamentum non rumpetur, et hoc probatur, quia illi qui occiduntur in bello, non moriuntur servi poenae, nec hominis, secus si capiantur et serventur. Sul rapporto fra tortura e duello si vedano le osservazioni di P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune I (Milano 1953) p. 235.
[8] BALDUS, In primam Digesti veteris [ad Ad legem Aquiliam, Si quis in colluctatione] f. 317rb Nota hic quod publicum praelium est permissum. Duellum etiam publica auctoritate concessum poenam non meretur, secus si pacto privatorum, quia hoc fieri non potest.
[9] In D.9.2.7.4 si fa eccezione allomicidio per il caso di pugili, publicum certamen e pancratium quia gloriae causa et virtutis, non iniuriae gratia videtur damnum datum, il che non aveva luogo nel caso di un servo, salvo permesso del padrone a combattere.
[10] [ed. Venetiis 1581] Ad Digestum Vetus [D.9.2.7, Nisi domino committente] p. 699a Item nota quod ex hoc § colligunt quidam quod iure romano duella non sunt prohibita.
[11] Ibidem, Ad Infortiatum [D.31.1.78, perduellionis] p. 632b Id est hostilis: nam perduelles dicuntur hostes [...] Alii dicunt ideo quia hoc solo casu permittitur duellum: quod non placet, ut ullo casu admittatur, secundum legem Romanam [...] Acc. ; Ad Institutiones [I.3.1., perduellionis] p. 194b Ideo dicit perduellionis: quia per duellum fiebat certamen, si aliquis criminis huius dicebatur reus: quod aliquid in ipsum principem, vel rempublicam fuisset molitus, secundum Pla[centinum]. Et potest dici hoc et defendi: quia secundum iura Romana videtur posse fieri debere pugna: et sunt aliqua ar. [...] his enim legibus habetur mentio de tali pugna: quae non fieret, nisi de iure esset. Vel dic perduellionis, idest hostilis criminis, nam perduelles hostes dicuntur.
[12] In proposito abbiamo la testimonianza di un giurista cinquecentesco bolognese, Dario Attendolo, autore di un trattato sul duello in cui largo spazio è offerto alle teorie del maestro perugino. A suo dire limperatore menzionato sarebbe Roberto di Baviera, conte palatino di Renania e imperatore creato, che venne in Italia contro Gian Galeazzo Visconti, mentre laltro personaggio implicato sarebbe Giacomo Isolani, dottore legista concorrente di Baldo a Pavia e poi diventato cardinale (cfr. Dario ATTENDOLI, Il duello con le auttorità delle leggi, e de dottori, poste nel margine [Vinegia 1564] [I.8] p. 40). In realtà non si può non rilevare qualche contraddizione. Anzitutto Baldo morto nel 1400 parla (cfr. nt. precedente) di un cardinalis bononiensis, quando invece lIsolani fu creato cardinale soltanto nel 1413 (su di lui cfr. G. FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi 4 [Bologna 1784] pp. 371-379) e del resto lo stesso Roberto di Baviera fu eletto re dei romani nel 1400, fu incoronato re di Germania nel 1401 e morì nel 1410.
[13] BALDUS, In primam et secundam Infortiati partem commentaria (Venetiis 1599) [ad Legatis sec., Cum filius, § Repetendorum] f. 156vb Ego audivi ab Imperatore, quod plura sunt necessaria in isto duello. Primo, quod ille, qui provocatur, sit diffamatus, vel suspectus. Secundo, quod non possit probari pro vera probatione. Tertio, quod ille, qui provocat, sit maior, videlicet par, nam minori non licet provocare maiorem, quia non licet sibi ascendere. Quarto, quod casus sit personalis, nam ubi condemnatur solum de bonis, non reciperetur duellum. Quinto et ultimo, quod non sit electa via strepitus iudicii, sed via armorum. Ita audivi ab eo, et a D. Card. Bonon. et non est aliud istorum, quod non possit probari per rationes legum; et adde de isto duello, quod not. in prima const. feudorum, 10. coll..
[14] BALDUS, In decretalium volumen commentaria (Venetiis 1595) [ad De tregua et pace] f. 133rb Treuga, et pax habent locum in bello publico, et etiam in duello privato mortali. Nam si licitum est occidere in illo secundum ius armorum, ergo et servare, et pro servo habere, quia servi a servando dicti sunt, et servire debent sola vita contenti [...] hoc tamen est verum si manu ducitur, alias non sit servus, verius est, quia de iure Romanus victus in duello non efficitur servus, quia nulla lege cavetur, et ideo retinet bona, et potest facere testamentum. Reverentiam autem semper debet victori, qui ei vitam donavit.
[15] BALDUS, In feudorum usus [ad De pace tenenda, Federicus] f. 57rb-va secundum legem Longobardam, quae olim multum viguit in Lombardia, et Tuscia Longobardorum, et adhuc multae eius consuetudines servantur in Regno Siciliae, licet pro regula daretur quod duellum non esset licitum, tamen in pluribus casibus erat permissum [...] Et no. quod super ista materia Imperator Federicus fecit quasdam constitutiones locales in Regno Siciliae, tamen quia mihi videtur, quod habeant in se naturalem rationem, quae generalis est, subiicio verbo tex. cuiusdam constitutionis, quae incipit, monomachia, quae duellum vulgariter dicitur [...] Haec sunt statuta localia Feder. tamen quia habent in se discretionem, et naturalem aequitatem, ideo ea retuli ad quandam instructionem mentis, non tanquam ius scriptum, et haec de duello et campionibus dicta sufficiant, reservatis aliis tam consuetudini, quam moribus et peritioribus in hac arte bellandi, quia unusquisque peritior in arte sua. Sullimportante normativa fridericiana in tema di duello ordalico cfr. Cfr. H. CONRAD, Das Gottesurteil in den Konstitutionen von Melfi Friedrichs II. von Hohenstaufen (1231), in Festschrift zum 70. Geburtstag von Walter Schidt-Rimpler (Karlsruhe 1957) pp. 9-21.
[16] BALDUS, In feudorum usus [ad De pace tenenda, Federicus] f. 57ra Et quod dixi de iure canonico duellum esse prohibitum, verum est nisi fiat pro defensione propriae salutis [...] Idem si pro defensione patriae [...] Idem si pro defensione filiorum, vel uxoris, vel aliorum, quorum iniuriam tenetur quis propulsare. Sed pro defensione cuiusdam extranei, non puto quod quis possit inire duellum, nisi sit eius campio. Et haec fiat auctoritate superioris [...] Dicit etiam glos. quod potest iniri duellum pro defensione iustitiae, etiam circa res.
[17] RAYMUNDUS De PENNAFORT, Summa ([1234-1241] Veronae 1744) p. 154b Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur: et dicitur duellum, quasi duorum bellum. Dicit etiam vulgo in pluribus partibus iudicium, eo quod ibi Dei iudicium expectatur: dicitur etiam monomachia, quasi unica et singularis pugna; monos enim unus, makia pugna.
[18] BALDUS, In feudorum usus commentaria (Venetiis 1580) [ad De pace tenenda, Federicus] f. 57ra. Si veda anche G. ANGELOZZI, Il duello nella trattatistica italiana della prima metà del XVI secolo, in Modernità: definizioni ed esercizi (cur. A. Biondi; Bologna 1998) pp. 13-14.
[19] Su di lui cfr. T. PERSICO, Gli scrittori politici napoletani dal 1400 al 1700 (Napoli 1912) pp. 29-42 (con analisi non molto approfondita); E. CORTESE, Sulla scienza giuridica a Napoli tra Quattro e Cinquecento, in Scuole diritto e società nel mezzogiorno medievale dItalia (cur. M. Bellomo; Catania 1985) particolarmente pp. 505-508; E. CORTESE, Dal Pozzo Paride, in Dizionario Biografico degli Italiani 32 (Roma 1986) pp. 238-243.
[20] Cfr. G. ANGELOZZI, Il duello nella trattatistica italiana pp. 14-15.
[21] Ugo de PORTA RAVENNATA, Summula de pugna et modis purgationum eius qui criminatur, in Scripta anecdota glossatorum I (cur. I.B. Palmerius; Bononiae 1913), ma sullautore cfr. H. KANTOROWICZ, De pugna.
[22] Lo si veda nella brillante edizione del Patetta che mise a frutto, oltre a tre manoscritti, i prestiti dei successivi Giovanni da Legnano, Paride del Pozzo, Iacopo Alvarotti e Iacopo del Castillo. Cfr. Rofredus BENEVENTANUS, Summula de pugna (prodit curante Friderico PATETTA), in Scripta anecdota antiquissimorum glossatorum (Bononiae 1892) pp. 73-83.
[23] Ancora oggi la migliore edizione è Giovanni da LEGNANO, De bello, de represaliis et de duello (ed. Th. Erskine Holland; Washington 1917). Su Giovanni da Legnano esiste una ricca bibliografia, ma si vedano almeno F. BOSDARI, Giovanni da Legnano canonista e uomo politico del 1300 (Bologna 1901 [estratto da Atti e memorie della r. deputazione di storia patria per le provincie di Romagna n. 29]); G. ERMINI, I trattati della guerra e della pace di Giovanni da Legnano, [1923] ora in G. ERMINI, Scritti di diritto comune (cur. D. Segoloni; Padova 1976) pp. 461-612.
[24] Sul De singulari certamine dellAlciato cfr. M. CAVINA, Gli albori di un diritto: profili del duello cavalleresco a metà del Cinquecento, in Studi Senesi 97(1985) pp. 399-429.
[25] Cfr. Iulius FERRETTUS, De re et disciplina militari aureus tractatus (Venetiis 1575). Ravennate, fu, oltre che trattatista, fecondo consiliatore specializzato in materia duellare. Chi scrive ha potuto consultare nella Biblioteca Nacional di Madrid una rara edizione di Iulius FERRETTUS, Consilia de duello (s.l. 1538), poi confluiti in Iulius FERRETTUS, Consilia et tractatus (Venetiis 1563). Su di lui cfr. F. MORDANI, Vite di ravegnani illustri (seconda ediz.; Ravenna 1837) pp. 87-90.
[26] Cfr. [Marco MANTOVA BENAVIDES] Dialogo brieve et distinto, nel quale si ragiona del duello et si decide ben cento, e più quistioni, non sanza molta utilità di cui lo leggerà a pieno, et leggendolo il considererà bene et diligentemente. Dincerto autore (Padova 1561). Su di lui cfr. Marco Mantova Benavides: il suo museo e la cultura padovana del Cinquecento. Atti della giornata di studio, 12 novembre nel IV centenario della morte (1582-1982) (cur. I. Favaretto; Padova 1984).
[27] Cfr. R. CORSO, Delle private rappacificazioni (Colonia Agrippina 1698). Su di lui cfr. G. ROMEI, Corso Rinaldo, in Dizionario Biografico degli Italiani 29 (Roma 1983) pp. 687-690.
[28] Cfr. Lancelotus CONRADUS, Commentaria de duello et pace (Mediolani 1553).
[29] Cfr. Fausto da LONGIANO, Duello regolato à le leggi dhonore. Con tutti li cartelli missivi, e risponsivi in querela volontaria, necessaria, e mista, e discorsi sopra Del tempo de cavalieri erranti, de bravi, e de letà nostra (Venetia 1551). Su di lui cfr. G. ANGELOZZI, Religione donore e ragion di Stato. Il Duello di Fausto da Longiano, in Romagna. Arte e storia 18(1987) pp. 27-42.
[30] Cfr. Petrinus BELLINUS, De re militari et de bello in partes undecim tractatus divisus, in Tractatus Illustrium in Utraque tum Pontificii, tum Caesarei Iuris Facultate Iurisconsultorum XVI (Venetiis 1584) ff. 335rb-371rb. Di Alba, studiò diritto a Perugia e svolse carriera amministrativo-militare negli anni di Carlo V. Su di lui cfr. L. MARINI, Belli Pierino, in Dizionario Biografico degli Italiani 7 (Roma 1965) pp. 673-676.
[31] Cfr. Dario ATTENDOLI, Il duello con le auttorità delle leggi, e de dottori, poste nel margine (Vinegia 1564). Di Bagnacavallo, studiò diritto a Bologna, ma seguì la carriera militare divenendo capitano delle fanterie di Carlo V. Su di lui cfr. S. CARANDO, Attendolo Dario, in Dizionario Biografico degli Italiani 4 (Roma 1962) pp. 533-534.
[32] Cfr. infra.
[33] Cfr. Marco Antonio MASSA, Contra luso del duello (Venetia 1555).
[34] Cfr. Giovan Battista SUSIO, I tre libri della ingiustitia del duello et di coloro che lo permettono (Vinegia 1558), ove è di un certo interesse la sua articolata confutazione del Possevino, ma soprattutto del Puteo: sul Susio cfr. G. TIRABOSCHI, Biblioteca modenese 5 (Modena 1784) pp. 146-155. Nella stessa temperie si veda anche Giovan Battista PIGNA, Il duello (Vinegia 1554); Giovambatista PIGNA, La pace, in Ludovico MURATORI, Opere II (Venezia 1790) e su di lui cfr. G. TIRABOSCHI, Biblioteca modenese 4, pp. 131-155.
[35] In Tractatus Illustrium in Utraque tum Pontificii, tum Caesarei Iuris Facultate Iurisconsultorum XII (Venetiis 1584): Antonius CORSETUS, De privilegiis pacis ff. 224ra-227ra; Ioannes a LIGNANO, De amicitia ff. 227ra-242ra; Gulielmus de CUNEO seu de CUMIS, De securitate ff. 242ra-243ra; Rainaldus CORSUS, De privata reconciliatione ff. 243ra-249rb (versione latina dellopera sovracitata); Ludovicus CARBO, De pacificatione, dilectione inimicorum, iniuriarumque remissione ff. 249rb-274vb; Ioannes de LIGNANO, De duello ff. 281rb-284rb; Iacobus de CASTILLO alias de VILLA SANCTA, De duello ff. 284rb-293ra; Andreas ALCIATUS, De singulari certamine ff. 293ra-303va; Marianus SOCINUS, Consilia duo in eadem materia duelli, excerpta ex ii. volumine consiliorum ff. 303va-308va; Iulius FERRETTUS, De duello ff. 308va-313va; Antonius MASSA, Contra usum duelli ff. 313va-321va. In Tractatus Illustrium in Utraque tum Pontificii, tum Caesarei Iuris Facultate Iurisconsultorum XVI (Venetiis 1584): Petrinus BELLINUS, De re militari et de bello in partes undecim tractatus divisus ff. 335rb-371rb; Ioannes de LIGNANO, Tractatus de bello ff. 371rb-385vb; Paris a PUTEO, Tractatus elegans et copiosus de re militari, undecim libris distinctus, in quibus singularis certaminis materia luculenter descripta, ac tradita est ff. 386ra-428vb; Claudius COTEREUS, Tractatus de iure et privilegiis militum ff. 428vb-456va.
[36] Scipione MAFFEI, Della scienza chiamata cavalleresca (Trento 1717) p.172.
[37] Unoscura vicenda di plagio e polemiche circonda le opere del Possevino e del Bernardi, filosofo allievo del Pomponazzi e di qualche fama nel panorama cinquecentesco. Su di lui cfr. P. ZAMBELLI, Bernardi Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani 9 (Roma 1967) pp. 148-151.
[38] Cfr. MUTIO, Il duello con le risposte cavalleresche (Venetia 1585).
[39] Cfr. F. ERSPAMER, La biblioteca di Don Ferrante. Duello e onore nella cultura del Cinquecento (Roma 1982); S. PRANDI, Il cortegiano ferrarese. I discorsi di Annibale Romei e la cultura nobiliare nel Cinquecento (Firenze 1990) particolarmente pp. 149-210; D. WEINSTEIN, Fighting or flyting? Verbal duelling in midsixteenth-century Italy, in Crime, Society and the Law in Renaissance Italy (ed. T. Dean, K.J.P. Lowe; Cambridge 1994) pp. 204-220; F. BIANCO, Mihi vindictam: aristocratic clans and rural communities in a feud in Friuli in the late fifteenth and early sixteenth centuries, in Crime, Society and the Law in Renaissance Italy (ed. T. Dean, K.J.P. Lowe; Cambridge 1994) pp. 249-273; G. ANGELOZZI, Il duello nella trattatistica italiana pp. 9-31. Al dibattito non rimasero estranei nemmeno moralisti e teologi, su posizioni ovviamente di negazione del duello pur con varie sfumature -: cfr. P. BROWE, De ordaliis; L. FALLETTI, Duel, in Dictionnaire de droit canonique 5 (Paris 1953) coll. 3-40; A. BRIDE, Duel, in Catholicisme hier aujourdhui demain 3 (Paris 1954) coll. 1149-1152; H. PLATELLE, Ordalies, in Catholicisme hier aujourdhui demain 10 (Paris 1985) coll. 153-160.
[40] Su di esso cfr. M. CAVINA, Gli albori di un diritto pp. 395-398.
[41] Cfr. M. CAVINA, Gli albori di un diritto pp. 383-384, 404-405. Sullexemplum in generale si veda Cl. BREMOND-J. LE GOFF-J. Cl. SCHMITT, LExemplum (Turnhout 1982).
[42] Marco Antonio MASSA, Contra luso del duello ff. 21r-22v.
[43] Cfr. G. ANGELOZZI, La proibizione del duello: Chiesa e ideologia nobiliare, in Il concilio di Trento e il moderno (cur. P. Prodi, W. Reinhard; Bologna 1996) pp. 271-308.
[44] Di Bologna, studiò filosofia e medicina. Su di lui cfr. M. TRONTI, Baldi Camillo, in Dizionario Biografico degli Italiani 5 (Roma 1963) pp. 465-467.
[45] Cfr. Francesco BIRAGO, Consigli cavallereschi I-II (Bologna 1686). Sullautore cfr. R. NEGRI, Birago Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani 10 (Roma 1968) pp. 584-585. Di Milano, studiò diritto a Pavia.
[46] Cfr. Gio. Battista OLEVANO, Trattato nel quale co l mezo di cinquanta casi vien posto in atto prattico il modo di ridurre a pace ogni sorte di privata inimicitia nata per cagion dhonore (Milano 1622).
[47] Sulle paci private argomento oggi assai dibattuto rinviamo qui a due classici studi in ottica storico-giuridica: A. PADOA SCHIOPPA, Delitto e pace privata nel pensiero dei legisti bolognesi. Brevi note, in Studia Gratiana 20(1976) pp. 267-287; A. PADOA SCHIOPPA, Delitto e pace privata nel diritto lombardo: prime note, in Diritto comune e diritti locali nella storia dellEuropa. Atti del convegno di Varenna (12-15 giugno 1979) (Milano 1980) pp. 555-578.
[48] Fra i moltissimi si veda soprattutto Fabio ALBERGATI, Del modo di ridurre a pace linimicitie private ([1583] Roma 1664), ma anche Giulio Cesare VALMARANA, Modo del far pace in via cavaleresca e christiana (Vicenza 1619); Leonardo AGOSTI, Il consiglier di pace (Bologna 1674); Ludovico MURATORI, Introduzione alle paci private, in Ludovico MURATORI, Opere II (Venezia 1790).
[49] Cfr. F. BILLACOIS, Le duel pp. 221-246 e passim.
[50] Cfr. ibidem.
[51] Al momento ci pare che la più suggestiva elaborazione giusnaturalista sia quella di Christianus WOLFIUS, Ius naturae methodo scientifica pertractatum 5 (Francofurti et Lipsiae 1765), ma anche 8 (Francofurti et Lipsiae 1766); Christianus de WOLF, Institutiones iuris naturae et gentium (Venetiis 1769).
[52] Taddeo Agostino PARADISI, Ateneo delluomo nobile I-V (Venezia-Lione 1704-1731).
[53] Cfr. Scipione MAFFEI, Della scienza chiamata cavalleresca (Trento 1717); C. DONATI, Scipione Maffei e La scienza chiamata cavalleresca. Saggio sullideologia nobiliare al principio del Settecento, in Rivista Storica Italiana 90(1978) pp. 30-71.
[54] E un dibattito che percorre anche il XVIII secolo italiano. Cfr. G.S. GERDIL, Trattato deduelli, [1759] in G.S. GERDIL, Opere edite e inedite III (Napoli 1854) pp. 465-559; P. VERGANI, Dellenormezza del duello (Milano 1776).
[55] In generale su questo tema cfr. M. WEBER, Economia e società. IV (Sociologia politica) ([1922, 1956] trad. ital. Milano 1999) particolarmente pp. 34-42. Si veda anche G. ANGELOZZI, Cultura dellonore, codici di comportamento nobiliari e Stato nella Bologna pontificia: unipotesi di lavoro, in Annali dellIstituto storico italo-germanico in Trento 8(1982) pp. 305-324.
[56] Cfr. L. STONE, La crisi dellaristocrazia. LInghilterra da Elisabetta a Cromwell ([Oxford 1965] trad. ital. Torino 1972) particolarmente pp. 262-269; V.G. KIERNAN, Il duello. Onore e aristocrazia nella storia europea ([1986] trad. ital. Venezia 1991); U. FREVERT, Ehrenmänner. Das Duell in der bürgerlichen Gesellschaft ([1991] München 1995); K. McALEER, Dueling. The cult of honor in fin-de-siècle Germany (Princeton 1994); L. REY LAFFERTY, The Code Duello as a Positive Legal Order, in Ratio Juris 8(1995) pp. 230-235; U. SCHULTZ, Das Duell. Der tödliche Kampf um die Ehre (Frankfurt am Main-Leipzig 1996).
[57] Per tutti cfr. L. DANTONIO, Dei delitti contro lamministrazione della giustizia, in Enciclopedia del diritto penale italiano VII (cur. E. Pessina; Milano 1907) pp. 841-878.
[58] Ad esempio cfr. Amico Franz [A.D], Nuovo codice sul duello e procedura cavalleresca (Catania 1894); A. Angelini, Codice cavalleresco italiano (terza ed.; Roma 1888); L. Barbasetti, Codice cavalleresco (Milano 1898); E. Dentale Dias, Codice del duello (Napoli 1896); J. Gelli, Codice cavalleresco italiano (quindicesima ed.; Milano 1926); E. Salafia Maggio, Codice cavalleresco nazionale e sua procedura (Palermo 1895); G.B. Viti, Codice del duello commentato (Genova 1884).
[59] Su di essa cfr. J. Gelli, Codice cavalleresco italiano (quindicesima ed.; Milano 1926) passim; G. ETTORRE, Questioni donore (Milano 1928) pp. 173-175 e passim.
[60] Iulius CLARUS, Opera omnia sive practica civilis atque criminalis (Venetiis 1640) [l. 5, §fin., q. 63] p. 526b Sed quid si dicat accusator, quod vult probare suam accusationem in singulari certamine cum accusato? Dixi in meo libello de Duello, qui nondum est impressus, in prima parte.
[61] Cfr. E. von MOELLER, Julius Clarus aus Alessandria, der Kriminalist des 16. Jahrhunderts, der Rat Philipps II. 1525-1575 ([Breslau 1911] Aalen 1977) p. 27; J. RUGGIERI, Manoscritti italiani nella Biblioteca dellEscoriale, in La Bibliofilìa 33(1931) pp. 138-139; A. MAZZACANE, Claro Giulio, in Dizionario Biografico degli Italiani 26 (Roma 1982) p. 143; P.O. KRISTELLER, Iter italicum. Accedunt alia itinera IV (London-Leiden-New York-Kopenhagen-Köln 1989) p. 500b. Sul Claro si veda anche G.P. MASSETTO, I reati nellopera di Giulio Claro, [1979] ora in G.P. MASSETTO, Saggi di storia del diritto penale lombardo (Milano 1994) pp. 61-227; G.P. MASSETTO, La prassi giuridica lombarda nellopera di Giulio Claro (1525-1575), [1979] ora in G.P. MASSETTO, Saggi di storia del diritto penale lombardo (Milano 1994) pp. 11-59; G.P. MASSETTO, Un magistrato e una città nella Lombardia spagnola. Giulio Claro pretore a Cremona (Milano 1985)
1. offese di
Ascanio Vimercato alla madre di Niccolò Borro: racconto del
fatto e della sfida s.d.;
2. documenti
intorno alla morte di Luigi Farnese: rogito del conte Ludovico
Rangone contro il conte di Santa Fiore ed altri che andavano
dicendo essere lui stato complice nella morte di Luigi Farnese e
nella sfida con spade in camicia [4 ottobre 1548,
Rocca Bianca]; risposta per rogito del conte santa Fiore che
accusa di indeterminatezza ma dà la mentita [Roma, 17 ottobre
1548]; cartello del conte Ludovico Rangone [Milano 20 ottobre
1548]; parere di Luigi Gonzaga a Ludovico Rangone [Castel
Giuffredo, 17 ottobre 1548];
3. Il
successo tra Hier.mo minutello et Scipione de giordano homini
darmi in la Compagnia del S.C.C. quale allogia in Soncino
del stato de milano, lettera al Claro di Giuliano Minutello
per un parere circa le ingiurie di Scipione a Herionimo
Minutello, malacopia di cartello contro Scipione preparato dal
Claro (patente di Ferdinando Gonzaga);
4. relazione su uno
scambio di ingiurie fra Galeazzo di Tarsia e Bernardino Rocco
calabresi carcerati nella vicaria de Napoli (responso latino del
Claro sulla qualificazione di uningiuria);
5. relazione sopra
un caso dingiurie in una festa fra gentiluomini milanesi
scolari a Pavia;
6. Cremona 1560:
relazione sul caso dingiurie fra Gio. Battista Dovara e
Gio. Battista Bonhomo con parere del Claro tutto in volgare;
7. parere del Claro
per Fabrizio Pignatelli: il parere è preceduto da uno schema dei
responsi - sul medesimo caso - del Gonzaga, di Valerio Ursino,
del Torniello, del Torelli, del Savello, di Pyrrho Colonna, del
duca dUrbino, del Tolomei (sulla vertenza donore fra
Cesare e Fabrizio Pignatelli cfr. M. CAVINA, Gli albori di un
diritto pp. 386-395);
8. pace
redatta in brutta copia dal Claro in castigliano: Concierto
entre los dos soldados de la compania del cap.an Linan [?];
9. cartelli di
Adriano Pasquier Comor e Juan de la Parra in castigliano [Milano,
23 marzo 1563];
10. brogliaccio
preparatorio al trattato sul duello;
11. lettera al duca
di Sessa incompiuta;
12. Parere e
sentenza dellIll.mo Pierluigi Farnese duca di Piagenza et
Parma nella differenza vertente fra il signor Astor Baglione ed
il Conte Giulio Lando [Piagenza, 27 marzo 1546]: di mano del
Claro intorno ad uningiuria senza carico di
honore;
13. cartelli a stampa: 25 febbraio 1550 [area napoletana], 14 febbraio 1552 [area lombarda], 19 ottobre 1556 [Firenze], 6 agosto 1559 [Mantova], 11 febbario 1560 [Cremona], 11 gennaio 1561 [Mantova], 24 febbraio 1563 [in castigliano, Asti], 23 marzo 1563 [in castigliano, Milano].
[63] Cfr. E. von MOELLER, Julius Clarus pp. 28-29.
[64] Marco Antonio MASSA, Contra luso del duello f. 21v.
[65] Su di lui cfr. C. PROMIS, Biografie di ingegneri militari italiani dal secolo XIV alla metà del XVIII (Torino 1874) pp. 140-185, ma sui manoscritti oliveriani del Leonardi cfr. Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'talia 29 (fond. G. Mazzatinti; Firenze 1923) particolarmente [nn. 215-223] pp. 211-215.
[68] c. 141r. E lincompiuto proemio allestito nella terza redazione. Le note sono di mano del Claro.
[69] La nota è richiamata ma lasciata in bianco.
[70] Andreas ALCIATUS c. 3.
[71] La nota è richiamata ma lasciata in bianco.
[72] Andreas ALCIATUS c. 4.
[73] BALDUS in De pace tenenda in de usib. feud..
[74] Andreas ALCIATUS c. 4.
[75] c. 141v.
[76] Cancellato molto.
[77] Lultimo inciso risulta cancellato.
[78] Segue linizio di un breve riassunto incompiuto dei contenuti del trattato.
[79] c. 126r.
[80] l. i. ubi BARTOLUS C. de his q. poten. nom. [C.2.14(15).1].
[81] BARTOLUS in l. si servus C. de his q. ad eccles. confug. [C.1.12.4].
[82] c. 126v.
[83] BARTOLUS in l. p.a n° 52 C. de digni. lib. xii [C.12.1.1] et in l. fi. C. de incol. lib. x [C.10.40(39).9] sequitur Paul. de Castro cons. 22 In novis col. p.a.
[84] BALDUS in l. per adoptionem ff. de adop. [D.1.7.35].
[85] c. 127r.
[86] l. cum ita legatum ff. de cond. et dem. [D.35.1.63].
[87] BALDUS in l. 3a C. de commer. et mer. [C.4.63.3]; BARTOLUS in l. p.a C. de dig. lib. xii [C.12.1.1].
[88] glo. id. l. p.a C. de digni. lib. xii [C.12.1.1].
[89] Jacobus ALVAROTTUS in tit.o quis dicatur dux § ceteri col. 4 versic. quousque. ad que. gradum.
[90] BALDUS in d. l. 3a [C.4.63.3]; Paulus de CASTRO in d. qs° 22 col. p.a.
[91] Paulus de CASTRO cons. 231 inc. qual. ad primum col. p.a et cons. 126 col. 3a In novis.
[92] ar. eius quod tradit BALDUS in d. l. 3a [C.4.63.3].
[93] c. 127v.
[94] BARTOLUS in p.a const. ffor. n° 10.
[95] BARTOLUS in l. legatis ff. de leg. 3° [D.32.[1].65] et in l. mariti § i ff. de adult. [D.48.5.30(29)]; BALDUS in trac. de marcator. in l. de constituto. n° 8.
[96] BARTOLUS in l. semp. § negotiatio ff. de iur. immu. [D.50.6.6(5)]; ALEXANDER consil. 108 in 4° vol..
[97] BARTOLUS in d. l. legatis [D.32[1].65]; BALDUS in l. p.a ff. de instito. [D.14.3.1].
[98] arg. l. si cum villico ff. de instito. [D.14.3.16]; Do. ANTONIUS in c. fi. de vita et hone. cleri. [X.3.1.16].
[99] BARTOLUS in d. l. legatis n° 3 in fi. [D.32[1].65].
[100] Fridericus de SENIS cons. 207.
[101] c. 128r.
[102] IMOLENSIS in l. qua. ff. de publica. [D.39.4.12].
[103] l. universos C. de decur. lib. x [C.10.32(31).15]; BALDUS in l. cassius ff. de senato. [D.1.9.2].
[104] ANGELUS cons. 33.
[105] l. i C. de tab. cen. lib. x [C.10.71(69).1].
[106] c. 87v.
[107] c. 88r.
[108] Iacobus CASTILLO in trac. duelli in 4° eiu..
[109] Libro I, c. p.o.
[110] c. 2°.
[111] c. 3°.
[112] c. 4°.
[113] c. 5°.
[114] c. 88v.
[115] c. 6°.
[116] c. 7°.
[117] c. 8°.
[118] c. 9°.
[119] c. 10°.
[120] c. 11°.
[121] c. 12°.
[122] Libro II, c. p.o.
[123] c. 2°.
[124] c. 3°.
[125] c. 4°.
[126] c. 5°.
[127] c. 6°.
[128] c. 7°.
[129] c. 8°.
[130] c. 9°.
[131] c. 10°.
[132] c. 11°.
[133] c. 89r.
[134] c. 12°.
[135] Libro III, c. p.o.
[136] c. 2°.
[137] c. 3°.
[138] c. 4°.
[139] c. 5°.
[140] c. 6°.
[141] c. 7°.
[142] c. 8°.
[143] c. 9°.
[144] c. 10°.
[145] c. 11°.
[146] c. 12°.
[147] c. 89v.
[148] Libro IIII, c. p.o.
[149] c. 2°.
[150] c. 3°.
[151] c. 4°.
[152] c. 5°.
[153] c. 6°.
[154] c. 7°.
[155] c. 8°.
[156] c. 9°.
[157] c. 10°.
[158] c. 11°.
[159] c. 12°.
[160] [C.7.14.5] Defamari statum ingenuorum seu errore seu malignitate quorundam periniquum est, praesertim cum adfirmes diu praesidem unumatque alterum interpellatum a te vocitasse diversam partem, ut contradictionem faceret, si defensionibus suis confideret. Unde constat merito rectorem provinciae commotum adlegationibus tuis sententiam dedisse, ne de cetero inquietudinem sustineres. Si igitur adhuc diversa pars perseverat in eadem obstinatione, aditus praeses provinciae ab iniuria temperari praecipiet. D. prid. non. Apr. AA. conss. [a. 293].
[161] Il rinvio espresso è già in Baldo: BALDUS, In feudorum usus commentaria (Venetiis 1580) Porro duellum proprie est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, secundum praefatum Ray. de penna forti; RAYMUNDUS De PENNAFORT, Summa [1234-1241] (Veronae 1744) p. 154b Duellum est singularis pugna inter aliquos ad probationem veritatis, ita videlicet, ut qui vicerit, probasse intelligatur.
[162] Cfr. Paris de PUTEO, Duello. Libro de re, imperatori, principi, signori, gentilhuomini, et de tutti armigeri, continente disfide, concordie, pace, casi accadenti, et iudicii con ragione, essempli, et authoritate de poeti, historiographi, et ecclesiastici, opera dignissima, et utilissima ad tutti li spiriti gentili (Vinegia 1544) passim.
[163] Cfr. Andrea ALCIATO, Duello fatto di latino italiano a commune utilità. Tre consigli appresso della materia medesima uno de l detto Alciato, glaltri de lo eccellentissimo e clarissimo giurisconsulto M. Mariano Socino (Vinegia 1552).
[164] Cfr. [Marco MANTOVA BENAVIDES] Dialogo brieve et distinto, nel quale si ragiona del duello (Padova 1561) p. 5.
[165] Cfr. Antonio MASSA da Gallese, Contra luso del duello (Venetia 1555).
[166] Cfr. Gregorius XIII, Ad tollendum, in Bullarum privilegiorum ac diplomatum Romanorum Pontificum amplissima collectio IV.4 (Romae 1747) [1582] p. 19b.
[167] Cfr. Luca FLORONUS, Tractatus de prohibitione duelli (Venetiis 1610) p. 2a.
[168] Cfr. Giovanni Battista POSSEVINI, Dialogo dellhonore (Vinegia 1553) [V] pp. 244, 296.
[169] Cfr. Giovanni Iacomo LEONARDI, Libro del Principe Cavalliero in duello [Pesaro, Biblioteca Oliveriana, mscr. 219] c. 4r.
[170] Cfr. Dario ATTENDOLI, Il duello con le auttorità delle leggi, e de dottori, poste nel margine (Vinegia 1564) [II.11] p. 109.
[171] Cfr. Antonio POSSEVINO, Libro nel quale sinsegna a conoscere le cose pertinenti allhonore, et a ridurre ogni querela alla pace (Vinegia 1564) [I.8] p. 36.
[172] Cfr. PARIS de PUTEO, Duello [II.20] ff. 44v-45r.
[173] Cfr. PARIS de PUTEO, Duello [II.20] ff. 44v-45r.
[174] Cfr. Lancelotus CONRADUS, Commentaria de duello et pace [Mediolani 1553] f. 79r.
[175] Cfr. Mutio IUSTINOPOLITANO, Il duello. Con le risposte cavalleresche [Venetia 1685] [III.10] Del chiamare a la macchia ff. 84v-86v.
[176] Cfr. Giulio CLARO, Trattato di duello [San Lorenzo del Escorial , mscr. g. II. 10] [I.9] cc. 114v-116v.
[177] Cfr. C. NONELL, Fortun Garcia de Ercilla y su Tratado de la guerra y el duelo (Vizcaya 1963) p. 116.
[178] Cfr. Andrea ALCIATO, Duello [c. 17] f. 22rv.
[179] Sul duello in area spagnola, da ultimo cfr. C. CHAUCHADIS, La loi du duel. Le code du point dhonneur dans lEspagne des XVIe-XVIIe siècles (Toulouse 1997).
[180] Cfr. Geronimo di URREA, Dialogo del vero honore militare (trad. Alfonso Ulloa; Venetia 1569) passim.
[181] Cfr. Gregorius XIII, Ad Romani Pontificis auctoritatem, in Bullarum privilegiorum ac diplomatum Romanorum Pontificum amplissima collectio IV.3 (Romae 1746) [1573] pp. 255a-257a, ma p. 256a.
[182] Ci limitiamo a richiamare il Brantome, che, comunque, ritiene che i francesi appresero a Napoli la procedura del duello alla macchia (cfr. [Pierre De BOURDEILLE Seigneur De] BRANTOME, Discours sur les duels, in De BRANTOME, Oeuvres XI [La Haye 1740] pp. 110-113, 229-230).
[183] Cfr. Mutio IUSTINOPOLITANO, Il duello [III.10] Del chiamare a la macchia ff. 84v-86v.
[184] Cfr. Giovan Battista PIGNA, Il duello (Vinegia 1554) [II.8] pp. 141-142.
[185] Cfr. Libro del Prin. Cavalliero in duello del sig.r Gio. Iac.o Leonardi di Pesaro Conte di Monte lAbbate [Pesaro, Biblioteca Oliveriana, mscr. 219] [V] cc. 160v-161r.
[186] Cfr. Giulio CLARO, Trattato di duello [San Lorenzo del Escorial , mscr. g. II. 10] [I.9] cc. 114v-116v.
[187] Cfr. PARIS de PUTEO, Duello [II.20] ff. 44v-45r, che pure contesta tali argomentazioni.
[188] Cfr. Marc de la BERAUDIERE, Le combat de seul à seul en camp clos (Paris 1608) [I.10] p. 21.
[189] Cfr. [Pierre De BOURDEILLE Seigneur De] BRANTOME, Discours sur les duels pp. 44-45.
[190] Cfr. Ioseph LUDOVICUS, Decisiones Rotae Lucensis (Venetiis 1609) [Decisio 11] ff. 25rb-29ra. Penso che questa fosse in buona sostanza la filosofia della repressione del duello clandestino come pratica sociale, il che dovrebbe invitare a ridimensionare lipotesi storiografica tradizionale che tende a sottovalutare la pratica entità del fenomeno duellare in Italia: la si trova ben espressa nel classico saggio di F. BILLACOIS, Le duel dans la société française des XVIe-XVIIe siècles (Paris 1986).
[191] Cfr. Gregorius XIII, Ad tollendum, in Bullarum privilegiorum ac diplomatum Romanorum Pontificum amplissima collectio IV.4 (Romae 1747) [1582] pp. 19b-20a; G. ANGELOZZI, La proibizione del duello: Chiesa e ideologia nobiliare, in Il concilio di Trento e il moderno (cur. P. Prodi, W. Reinhard; Bologna 1996) pp. 271-308.
[192] Cfr. Fausto da LONGIANO, Duello regolato a le leggi de lhonore con tutti li cartelli missivi, e risponsivi in querela volontaria, necessaria, e mista, e discorsi sopra del tempo de cavallieri erranti, de bravi, e de letà nostra [Venetia 1551] De lo steccato secreto senza solennità, e cerimonia, e de lo andare a la macchia [I.22] pp. 38-40, [IV.6] pp. 268-269.
[193] Cfr. Libro del Prin. Cavalliero in duello del sig.r Gio. Iac.o Leonardi di Pesaro Conte di Monte lAbbate [Pesaro, Biblioteca Oliveriana, mscr. 219] [V] c. 159r-160v.
[194] Cfr. Fausto da LONGIANO, Duello [IV.6] pp. 268-269.
[195] Fra i trattatisti lo ricorda, ad esempio, il Massa: non è alcuno più, che seguiti le leggi de i longobardi, et di Federico imperatore, et daltri, circa lintimare il duello per i giudici civili, come già si soleva. Nè più anchora si concede privatamente quella licentia di combattere a piacere, et appetito dognuno in qualche loco certo, et ordinato a questo ne le città dItalia: come si dice chera già a Perugia il campo di battaglia, a Napoli la Carbonara, et a Pavia un certaltro loco simile (cfr. Antonio MASSA da Gallese, Contra luso del duello [Venetia 1555] [c. 4] ff. 16v-17r).
[196] Cfr. Annibale ROMEI, Discorsi divisi in sette giornate (Venetia 1604) [quarta giornata. Delliniquità del duello, del combattere alla macchia; e del modo di accomodar le querele, e ridur a pace le inimicitie private. IV.30] pp. 177-254.
[197] Cfr. Alberto POMPEI, Essame dellhonore cavalleresco [I.11] p. 47.
[198] Cfr. Luca FLORONUS, Tractatus pp. 67a-82b.
[199] Cfr. Henricus BOCERUS, De bello et duello tractatus (Tubingae 1616) pp. 343-345.
[200] Cfr. L. FALLETTI, Duel, in Dictionnaire de Droit Canonique 5 (Paris 1953) cc. 7-28.
[201] Cfr. Benedictus XIV, Bullarium IV (Romae 1757) pp. 35b-39a.
[202] Cfr. Luca FLORONUS, Tractatus p. 10a.
[203] Per tutti cfr. Luca FLORONUS, Tractatus pp. 2b-3a.
[204] Per tutti cfr. Luca FLORONUS, Tractatus pp. 2b-3a.
[205] Cfr. Gregorius CARAFA, De monomachia [I.3.8-13] pp. 46b-53b.