CONCLUSIONE

L'impostazione data a questa ricerca non permette di tracciare con sicurezza una conclusione che delinei pienamente un determinato passaggio nella genesi dell'organizzazione della polizia.
Una simile pretesa celerebbe l'intento di volere arrivare forzatamente a facili conclusioni oppure una sciocca presunzione dal momento che illustri studiosi hanno recentemente posto in luce la difficoltà della materia e, soprattutto, la mancanza di lavori organici che mostrino chiaramente il funzionamento della polizia ottocentesca.
Occorre, quindi, ricercare materiale e successivamente fare un'analisi comparata tra i vari ordinamenti giuridici per specificare con completezza le mutazioni che l'istituzione subì nel passaggio dal Polizeistaat al moderno stato di diritto ed evidenziarne la sua autonomia (dove vi fu e se vi fu) dal campo penalistico.
Certo, per il Granducato di Toscana una parziale risposta è riscontrabile nelle riforme di Pietro Leopoldo, ma ciò costituisce solo l'inizio di un'indagine che deve spingersi più a fondo: in riferimento a quel periodo non si può certo parlare di totale distinzione tra i poteri dello stato (si pensi alla figura dei vicari) e per cercare di comprendere se una tale evoluzione avvenne bisognerà addentrarsi nell'analisi dei documenti normativi dedicati alla polizia che non mancarono nell'ultimo lustro di vita del Granducato, così come non mancarono degli specifici trattati in materia che ricevettero il plauso dei contemporanei, ma che oggi sono ignoti ai più.
Questo lavoro, allora, ponendosi nella sopra citata direzione, vuole offrire un piccolo contributo per un generale e doveroso ripensamento dell'attività di polizia, strumento che permise alle organizzazioni statali del periodo di perseguire un obiettivo essenziale alla loro autoconservazione: il disciplinamento sociale attraverso le minute puntualizzazioni dei molteplici aspetti della vita quotidiana.
Il campione preso in esame potrebbe essere scarsamente probante a causa della limitatezza spazio temporale e nella peggiore delle ipotesi il risultato sarà rappresentato da un saggio di storia locale; tuttavia, partendo da quella fragile base ed avendo usufruito dei commenti dottrinali e dei regolamenti di polizia, si può azzardare una conclusione di carattere generale.
Il vecchio impianto di Pietro Leopoldo era duro a morire: la confusione terminologica, il non completo separarsi delle misure di prevenzione rispetto alle pene vere e proprie, l'affidare la repressione delle trasgressioni di polizia alla giustizia criminale ordinaria erano tutti sintomi di un'evidente confusione.
Probabilmente l'intento era quello di adattare le funzioni di polizia ai mutati bisogni della società e per questo, a partire dagli anni quaranta, nacquero i regolamenti di polizia e le leggi ad essi collegate, ma sia il rivedere certe proprie decisioni da parte del legislatore, sia la conseguente applicazione pratica portarono a risultati differenti dalle iniziali aspettative.
Come altrimenti giustificare quell'attitudine allo spionaggio, alla delazione reciproca, a dare soverchia importanza ai sospetti e ad introdursi tra le pareti domestiche da parte della polizia?
Una polizia 'pettegola' molto, anzi, troppo attenta ai 'si dice' e ai giudizi di stampo morale e religioso così vicina alle idee di Pietro Leopoldo e così lontana dalla semplice tutela della sicurezza dei cittadini, come deve accadere in uno stato di diritto.
E lo strumento principe della polizia, il processo economico, spesso assunse il carattere di un giudizio penale minore, un procedimento speciale, paragonabile a quelli previsti dall'attuale codice di procedura penale, usato a causa delle proprie caratteristiche per giungere in maniera rapida all'irrogazione sia di piccole penalità, sia di misure di sicurezza.
Insomma, al di là di tutte le teorizzazioni, una comoda scorciatoia.
La costituzione di un diritto penale amministrativo invece, avrebbe imposto la completa depenalizzazione delle trasgressioni di polizia nel senso di affidare la loro cognizione al solo magistrato di polizia che avrebbe dovuto applicare delle misure di prevenzione per dei comportamenti la cui reale portata offensiva non era tale da meritare una sanzione afflittiva ben più grave, cioè la pena.
Ma i tempi erano maturi?
C'era la cultura giuridica necessaria per un passo del genere?
E, soprattutto, a livello pratico, esisteva una classe di funzionari pronta a recepire tutto ciò?
Forse il piccolo stato toscano aveva dormito sonni fin troppo tranquilli negli ultimi decenni e il paternalismo illuminato non era più sufficiente a reggere le sorti dell'amministrazione di un ordinamento dove, per giunta, tra non molto sarebbero scoppiate (come nel resto d'Italia) forti tensioni sociali dovute agli squilibri economici creati dalla tarda ricezione del modello industriale.
Sotto questo aspetto, tuttavia, lo stato liberale che assorbì il Granducato non fu certamente indenne da critiche per avere più volte evidenziato mancanza di coerenza nell'applicazione dei propri principi.
Dal punto di vista storiografico, la ricerca ha confermato l'assenza di manifestazioni violente al momento della caduta dei Lorena.
Nel contado pisano il "partito leopoldino" iniziò ad attivarsi grazie all'operato del clero e di altri pochi nostalgici, in genere braccianti, contadini ed altri soggetti appartenenti alla classi subalterne ma la situazione non degenerò mai e le autorità nei loro rapporti sembravano quasi sempre sicure di avere tutto sotto controllo.
degna di attenzione, piuttosto, l'alternativa politica e religiosa rappresentata dal gruppo dei protestanti-mazziniani pontederesi.
Un esame più approfondito potrà ricostruire le radici del movimento e verificare se esso lasciò una qualche eredità ai posteri (già a partire dai turbolenti anni della seconda metà dell'Ottocento) oppure se questi individui rappresentarono un semplice 'episodio' il cui ricordo si perpetua ormai solo attraverso le polverose carte d'archivio.
Ma anche in tale caso sarà interessante constatare quali tracce, queste manifestazioni lasciarono al livello dell'autorità politica centrale e la lettera (riportata in appendice) spedita dal Barsali ad Ubaldino Peruzzi costituisce un primo passo in questa direzione e, allo stesso tempo, conferma la bontà di questa opzione.