IN TERRA DI
RIFORMA MATTHÄUS
WESENBECK E GLI SPAZI FORENSI D'UNA SIMPLEX DIFFINITIO
DOMINII Di
Mario Montorzi montorzi@idr.unipi.it
[pubblicato
in A
Ennio Cortese,
Scritti promossi da Domenico
Maffei e raccolti a cura
di Italo Birocchi,
Mario Caravale, Emanuele
Conte, Ugo Petronio,
voll. 1-3 Il
Cigno Edizioni - Roma 2001] |
2. La lettura di una nuova
pagina desperienza sociale
3. Il Baldo dissimulato di
Matthäus Wesenbeck e largomento del senso comune
5. La filigrana negativa del
feudo e gli spazi argomentativi del diritto forense
È ben nota[1]
linsofferenza che, in terra di Riforma, gli scrittori
giuridici manifestano fin dallinizio per luso del
metodo autoritativo e scolastico.
Si tratta non solo
delleco risentita dellinvettiva luterana che a suo
tempo si era levata aspra contro luso «dei Baldi e dei
Bartoli» della tradizione del mos italicus, ma anche
della più pacata e disincantata diffidenza di chi ormai guarda
alla biblioteca dei doctores del Diritto Comune come ad
uno strumento obsoleto e di scarsa utilità pratica, incapace di
fornire unadeguata e consapevole comprensione della
realtà.
Lo sostiene
espressamente Johann Oldendorp, un giurista di parte luterana
assai attento ai temi della giustizia e delletica sociale[2],
quando egli nota che
«
die vielen großen Bücher, die im weltlichen und geistlichen
Recht durch die Skribenten und Lehrer angerichtet sind, haben
wahrlich wenig geholfen, ja vielleicht auch geschadet und die
rechte Erfahrung der Billigkeit verhindert
»[3].
Sono forse accenti
non del tutto nuovi, se è vero che già da tempo il giurista di
Diritto Comune ha preso ad interrogarsi dubbioso sui propri
strumenti, ed a porsi conseguentemente la questione «an
expediat multos libros habere»[4] ; ma è tuttavia
decisamente nuovo quellinvito a salvaguardare «die rechte
Erfahrung der Billigkeit», che risuona adesso nelle parole di
Oldendorp, e rimanda il lettore ad una nuova dimensione etica, al
cui interno la percezione immediata della realtà, scevra di
mediazioni autoritative, pare proporsi come un valore
epistemologico autonomo e fondante, come il segno secolarizzatore
di un nuovo clima dopinione[5] che sta lentamente
prendendo corpo tra giuristi e scrittori de re publica[6].
Comincia, insomma,
a diffondersi per tal via la sensazione che anche per il doctor
sia tempo ormai di risolvere il gioco dei valori da porre a
fondamento delle normali valutazioni argomentative nel giro della
comune percettibilità empirica, in modo che il senso comune, prima
ancóra che lauctoritas delle scuole, ne garantisca
ed accrediti agli occhi di tutti la legittimità ed il
fondamento.
Sono idee non solo
giuridiche che entrano in tal modo in circolazione, frammenti che
lentamente si ricompongono in ordine concettuale, ed inaugurano
perciò nuove prospettive di analisi e sistemano anche i contorni
di nuove determinazioni e distinzioni.
Ed il transito pare
in tal caso svolgersi lungo un percorso neo-stoico, a suo tempo
acutamente illuminato dagli studi di Gerhard Oestreich :
laddove la traccia di posizioni talvolta ciceroniane [7],
talaltra seneciane [8] come già
avevano visto per diversi aspetti sia Wilhelm Dilthey[9], sia anche Josef
Bohatec[10] porta lungo
un crinale speculativo, in cui i sentimenti privati ed il senso
comune divengono quasi naturalmente il paradigma collettivo ed il
metro sociale della normale valutazione dinteresse[11].
Già Louise Sommer,
daltronde, in uno studio ormai remoto ma senzaltro
ancóra prezioso[12], aveva
opportunamente messo in evidenza come proprio Giusto Lipsio, nei
suoi Manductionis ad stoicam philosophiam libri tres[13], avesse dato nuova linfa ad
alcune antiche idee di tradizione stoica, rimettendo soprattutto
in circolazione la dottrina delle notiones communes e
dellistinto naturale, che in particolare si voleva
anticipatore, rispetto allesperienza empirica, d'un sistema
mentale di koinai\ e)/nnoiai, indicate perciò come garanti e
latrici per generi e speci delle comuni categorie della
percezione empirica.
Si vorrebbe
tuttavia in questa sede, piuttosto che stabilire primogeniture e
paternità filosofiche, individuare uno spazio, un ruolo
despansione culturale, stabilire insomma le modalità ed i
tempi d'un complessivo mutamento dopinione, che pervade in
questa stagione di turbamenti materiali oltre che spirituali non
solo la coscienza dei filosofi, ma anche la più dimessa e
quotidiana consapevolezza degli scrittori addetti a cose di
pratica e di diritto .
È infatti
abbastanza evidente come il riferimento al senso
comune nella crescente diffusione che esso incontra
prenda allora ad esser utilizzato come un vero e proprio
strumento di persuasione retorica : una ricorrente clausola
ideologica che, metodicamente invocata dagli autori a sostegno
dellargomentazione che è in via di svolgimento, finisce in
tal modo per esonerare il discorso da ogni ulteriore esigenza
fondativa, sul presupposto indimostrato ed implicito della
assoluta naturalità[14] dei
concetti in esso esposti.
Il «senso comune»
diviene in tal modo il normale sistema di riferimento che
linterprete invoca al momento in cui egli deve formulare
giudizi ed enunciati valutativi, per avvalorarne e renderne
credibile il contenuto.
Lo avrebbe più
tardi osservato non senza un risentito tono polemico
lo stesso Immanuel Kant, in un luogo della Kritik der
reinen Vernunft risolutamente indirizzato a radicale critica
del Mißbrauch, appunto, dellargomento del
senso comune[15] : ma già
avevano fatto trapelare i documenti d'una tempestiva insofferenza
per l'uso inopportuno del to/poj alcuni significativi frammenti
della polemica bruniana[16].
Forse si trattava
di critiche provenienti da un palato troppo fino, tuttavia,
perché già il fatto di far ricorso alla cultura essoterica del
senso comune aveva comportato, come sua necessaria conseguenza,
anche l'avvio d'una radicale revisione dei fondamenti stessi
dell'esoterismo delle definizioni scolastiche, giacché aveva
anche significato la contemporanea censura dell'esclusivo
linguaggio dell'auctoritas dei savants[17] : n'era infatti scaturita la
consapevolezza che occorreva piegare anche il discorso
scientifico agli accenti quotidiani e volgari della comune
razionalità, dove l'assunzione del metro del senso comune
preliminarmente e radicalmente rimuoveva ogni fondamento di
cultura autorizzata e, con esso, d'ogni privativa dottorale[18].
In effetti, un filo
che forse all'origine fu di matrice soprattutto
agostiniana pare percorrere tutta la cultura
cinquecentesca, e portare infine come ha insegnato Eugenio
Garin[19] alla
riemersione in età di Controriforma degli «aspetti non
conformisti della cultura quattro-cinquecentesca» e delle
tematiche rinascimentali del neoplatonismo e delle «antropologie
umanistiche»[20] : un filo
sovente scomunicato o, quanto meno, eterodosso, che corre da
Ramon Sibiuda[21] fino a Tommaso
Campanella[22] e che, nel suo
dissimulato dipanarsi, pare quasi fornire il documento d'una
continuità che fu ininterrotta, anche se rimase
costantemente inespressa allinterno della tradizione
culturale europea dellidea della comune e normale
leggibilità del mondo ad opera non solo del dotto ma anche della
persona normale e dellilletterato[23] :
oltre ai polemisti religiosi, in terra di Riforma ne avrebbe
parlato anche un giurista luterano operoso in settori
amministrativi e politici oltre che daccademia come Johann
Eisermann (Johannes Ferrarius Montanus[24]),
quandegli avrebbe descritto il quadro dell'esperienza
empirica come se fosse un libro aperto, ove si documentano agli
occhi di tutti le opere del suo divino architetto e creatore, al
punto che ben si può sostenere
«die
gantrze Welt, mit allem so darinnen ist, ein Buch sey
darinn wir allein Gottes Wunder sehen, und ihn, als den ewigen
Werckmeister und Schöpfer, sollen ehren und preisenlernen[25].
Emergono allora
negli scritti e nei lavori dei giuristi di
quellàmbito desperienza gli elementi
dun chiarimento che gli autori avviano per tempo, e che
soprattutto mira a gettare nuova luce sul sistema delle relazioni
che si va ordinando nel campo turbato di quel mondo in
trasformazione.
Il quadro sconvolto
degli scenari delle guerre di religione che quegli uomini hanno
di fronte a sé, d'altronde, pare veramente la pagina
scompigliata di un libro bisognosa di una nuova lettura.
Occorre adesso
rivedere, distinguere, sistemare.
E tutto questo,
lontano dal calore infuocato delle dispute tra sapienti, e
lontano anche dallo svolgersi sfuggente di unimpenetrabile ratio
scolastica, nel cui inquieto e litigioso campo avevano fino a
allora circolato soltanto le scostanti classificazioni e le
veementi dispute dei dottori.
Occorre
insomma uscire allaria più respirabile e fresca
della razionalità quotidiana, delle sensazioni e delle opinioni
comuni, per trovare dentro i naturali contorni del linguaggio e
del senso comune i contenuti e gli strumenti di una nuova etica
sociale e di una rinnovata filosofia della prassi[26].
Se navvedono
in molti, del resto, soprattutto sul filo della nuova
sensibilità umanistica e culta che si va diffondendo tra gli
autori, e non soltanto in terra tedesca.
Edmond Mérille[27], un commentatore cuiaciano del tardo Cinquecento
francese reso avvezzo dal proprio entusiasmo di giurista culto
alle più risolute espressioni antidottorali[28],
indica ben presto la via che porta lontano dalluniverso
rissoso delle sectae scolastiche, ed invita in tal modo
piuttosto a seguire la soluzione neo-stoica della media
opinio : giacché comegli sostiene in
apertura delle sue fortunate Observationes[29], destinate a ristampe almeno
sino al primo Settecento[30] soprattutto
tra i giuristi di età romana,
«post
multas diversarum sectarum contentiones, saepe factum est ut,
remisso dissentiendi aestu, quidam mediam interponerent
sententiam
medium sequuti»[31].
Ed il rinvio al
senso comune, daltronde, può anche giovarsi dell'avallo
dei Libri legum, giacché Paolo stesso, dalle colonne del
Digesto, aveva già ricordato che
«prudentissime
iuris auctores medietatem quandam secuti sunt, ut quod fieri non
rarum admodum potest, intuerentur» [32] .
Il glossatore aveva
a suo tempo sostanzialmente frainteso tale luogo del Digesto, e
l'aveva perciò serrato in una stretta maglia di regole
dinferenza scolastica[33], ma i giuristi del
cultismo più maturo ne avrebbero invece tratto loccasione
per ribadire i princìpi di quella medietas che appartiene
piuttosto alla quotidiana saggezza del prudens, che non ai
precetti delle rationes decidendi del ragionamento
scolastico[34].
In linea con
lantico insegnamento di Cicerone, sandava insomma
verso la costruzione d'un sistema «medio» di percezione etica,
che fosse consapevolmente assestato sulle accessibili categorie
del senso comune, e sui valori della «bonitas ingenii» e della
«progressio discendi»[35].
Forse, acquisire
simili sistemi di riferimento agli strumenti della cultura
giuridica era anche un modo per ridurre il problema etico ad una
dimensione essenzialmente terminologica e linguistica[36], e per costringere parallelamente i termini
del discorso giuridico entro una linea di carattere non più
meramente ed esclusivamente disputatorio e dialettico, ma speculativo
e critico : la sintagmatica saffacciava ora
infatti in misura sempre più rilevante e consapevole tra le
istanze, le aspirazioni e gli strumenti di lavoro del giurista[37], ed era ormai necessario elaborare, per
quellarmamentario giuridico che la stagione del cultismo
andava radicalmente trasformando, termini che fossero atti
piuttosto a ordinare, che ad argomentare e disputare.
E locchio e
la sensibilità del giurista più avvertito ben presto
sallenano alle distinzioni ordinative, alle riflessioni sul
significato delle parole, che trovano il loro connettore e
fondamento nel presupposto d'un'integrazione sempre più stretta
tra senso comune e logica discorsiva.
In tal senso, ad
esempio, sera mosso già alla metà del Cinquecento
lanversano Matthäus Wesenbeck[38],
quando egli era intervenuto nei suoi Paratitla[39] su una consolidata definizione bartoliana
in tema di dominium[40], per analizzarne più da vicino contenuti e
cadenze, e radicalizzarne gli effetti ed il significato[41], determinando di fatto una svolta interpretativa
nel modo di trattare il tema dominicale.
Egli infatti
argomenta allora da un brano di Cicerone[42], per sovrapporlo alla tradizionale definizione
bartoliana di dominium[43], e
ricavarne così il profilo a prima vista scontato, ma in
realtà concettualmente dirompente, d'un'apparente
tautologia :
«
dominium
est ius quo res nostra est, est ius proprietatis
».
Per la verità,
quel modo di definire il dominium non era nuovo :
lintuizione era infatti già stata di Baldo[44], in un luogo
espressamente fondato sulla glossa civilistica[45],
ma forse suggestionato anche dalla particolare energia con
cui la riflessione canonistica aveva legato lindividuazione
della titolarità reale allenucleazione dialettica delle
opposte categorie del meum e del tuum[46], e certamente rivolto originariamente non a
configurare astratte e scolastiche definizioni del dominium, ma
soltanto a fornire criteri utili per la valutazione di risultanze
pratiche e processuali[47].
Ma Wesenbeck,
quando enunzia la sua definizione di dominium, non cita a
suo suffragio né lauctoritas, né il nome del
giurista perugino[48], e preferisce
piuttosto affidare tutta la forza del proprio ragionamento alla
citazione ciceroniana[49] e ad
unargomentazione a prima vista esclusivamente grammaticale[50].
Forse la decisione
di non citare espressamente lascendenza baldiana è per
Wesenbeck soltanto il frutto occasionale di una scelta meramente
estetica e di puro ossequio alla dominante moda culta, che rende
più convincenti le citazioni da autori della classicità latina
come Cicerone : ma certo si tratta di unomissione non
priva di significato. Tanto più che sono proprio gli spazi
linguistici della definizione di Wesenbeck, a consentirle poi una
larga versatilità applicativa nel campo dellesperienza
pratica e ad assicurarle conseguentemente un fortunatissimo Fortleben
forense : infatti tutta una linea di autori della prassi
forense tedesca non manca di cogliere loccasione propiziata
da simile formula, e se ne appropria, per approfondirne il senso
e le implicazioni applicative soprattutto in sede pratica e
giudiziale[51].
È vero, le scuole
indirizzerebbero linterprete per tutt'altra rotta
definitoria, giacché, come ammette Wesenbeck stesso,
«doctores
sic definire malunt, ut dominium ius sit de re corporali
libere disponendi
»,
nel solco del
magistero bartoliano[52] ; ed anche il
sussiego compunto della nota di commento di Rainer Bachov von
Echt al testo di Wesenbeck[53] interverrà preciso
e pignolo a mettere in ordine le categorie scolastiche turbate,
per richiamare e restaurare a margine del brano di Wesenbeck il
sistema definitorio della dottrina tradizionale del Diritto
Comune, e pagare anche, in tal modo, il tributo dovuto alla
retorica distinzione per coppie[54], che gli
interpreti solitamente, ormai per tralatizio ossequio di scuola,
tracciano tra dominium diretto e dominium utile[55].
Son questi
d'altronde i capitoli di unevoluzione e al tempo
stesso di una vera e propria «schermaglia»[56] del pensiero giuridico che gli studi di Paolo
Grossi ci hanno da tempo insegnato a vedere come cruciali nel
processo di formazione della riflessione dottrinale moderna in
tema di situazioni reali[57].
Ma proprio questo
gioco di chiaroscuro, che si apre tra il testo di Wesenbeck e
l'apparato di commento appostovi in successive edizioni da
Bachov, può aiutarci a leggere il brano in filigrana e ad
indirizzare il nostro sguardo su un campo dindagine forse
rimasto appartato, vale a dire in mezzo a pratici ed avvocati.
La posizione di
Wesenbeck pare davvero mossa da una sensibilità nuova, e
indirizzarsi conseguentemente ad incidere quella morfologia
dominicale che la dottrina tradizionale ricollega da sempre alla
materia degli effectus dominii[58],
un termine che a sua volta rimanda espressamente ai contenuti
ed ai modi espressivi della tradizionale dottrina feudistica.
Làmbito di
riferimento pratico di simile riflessione è poi quello delle
diversificate tipologie possessorie che la storia ha sparso sul
territorio, in una proliferazione di distinzioni contrattuali,
che ogni volta hanno costituito ciascuna situazione reale come
individua e tipica, perché fondata su un titolo contrattuale
altrettanto specifico e individuale.
Possessio necessariamente
titulata e non naturalis, quella di quelle
situazioni reali, il cui titolo costitutivo specifico ne
condizionava e vincolava necessariamente l'assegnatario ad una
serie di soggezioni potestative ed economiche che conseguivano
direttamente alle connotazioni di status che s'erano
determinate all'atto della collazione della Gewere sul
bene medesimo : cioè, per dirla nel lessico dei Libri
feudorum, all'atto stesso dell'investitura[59].
Ma la definizione
di Wesenbeck, con il suo brusco e perentorio richiamo linguistico
alla tautologia necessariamente insita nella descrizione dei
fatti naturali (dominium è la titolarità di ciò che è proprio,
di ciò che è nella naturale, immediata disponibilità propria
del soggetto), in realtà, inaugura una linea di pensiero che
è rivolta essenzialmente allintegrale revisione d'una
simile materia.
È come se
l'autore, utilizzando le categorie linguistiche accreditate dal
normale uso del senso comune in alternativa alla ragione
scolastica delle definizioni autoritative, ponesse le premesse
perché l'intera materia degli effectus dominii venisse
svincolata dall'immediata e determinante rilevanza del
condizionamento originario del contratto d'investitura, per
revocarla invece sotto l'impero d'una ratio costitutiva di
tipo naturale. Si ponevano con ciò implicitamente le premesse
concettuali necessarie per passare dal diritto feudale al diritto
naturale, insomma.
E l'apparente
tautologia linguistica, allora, non era tanto una superflua e
scontata notazione estemporanea, ma indirizzava invece la
sensibilità del giurista lungo una rotta che portava, per mèra
logica di senso comune, a considerare la situazione di
titolarità reale come un fatto in primo luogo naturale e
solo secondariamente, ad un livello mediato ed ulteriore, giuridico.
La posizione era
d'altronde destinata ad una risonanza pressoché immediata :
l'avrebbe ripresa, infatti, di lì a poco, Bernhard Suthold,
nelle sue dissertazioni illustrative delle Istituzioni
giustinianee[60], ove la tautologia
sarebbe infine divenuta simplex diffinitio[61], giacché
«
dominium
simpliciter definiri potest jus, quo res est nostra seu
nobis propria
»[62].
E s'apriva così la
via per impiantare una trattazione autonoma ed unitaria del tema
della situazione reale, che prescindesse dalle sistemazioni
scolastiche e dal condizionamento d'un riferimento necessario al
titolo di investitura della specifica situazione considerata.
In tale direzione
andava, ad esempio, la riflessione de verborum significatione[63] di Johann Goeddaeus,
un giurista poligrafo di Schwerte, dedito a studi anche letterari
e linguistici, oltre che giuridici[64],
che sarebbe entrato direttamente e consapevolmente nella materia
logica dell'intera questione, giacché deve essere anzitutto
chiaro come premessa preliminare e necessaria ,
«
dominium ac proprietatem differre quantum
genus et species. Est dominium jus recte dominandi rei
cuique jure patrimonii sui
»[65].
La definizione,
dunque, serviva a porre le fondamenta d'una distinzione
categorica, giacché il dominium
«
aut
proprietatis est, aut juris : proprietatis
dominium, quo res seu ipsum corpus cuiusque proprium existit
idque rursus duplex est, verum, vel quasi. Illud
revera existit, hoc creditur ; illud veritatis est, hoc
instar veritatis, illud proprie est, hoc analogice ; illud
directam in rem actionem, hoc publicianam producit
»[66].
Accanto alla
categoria del dominium iuris, dunque, si ritaglia lo
spazio contiguo, tanquam species, del dominium
proprietatis, laddove la distinzione pare in definitiva
legarsi al modo in cui il ius si raccorda al
soggetto giuridico, e si fa funzionale, piuttosto che
fondarsi sul contenuto specifico dei titoli costitutivi delle
singole situazioni reali : se dominium è la
situazione (status) di supremazia potestativa in ordine ad
una res, proprietas è invece un sistema di diritti
in ordine ad una cosa. Il primo è la proiezione d'un titolo
giuridico di investitura, la seconda la conseguenza materiale
d'una situazione naturale di appropriazione ; il primo si
colloca nei campi feudali del duplex dominium e della
contitolarità differenziata nei modi e nell'imputazione
soggettiva, ma simultanea nel tempo della Gewere ;
la seconda alligna invece nel terreno pandettario
dell'esclusività d'esercizio del diritto soggettivo[67].
Ed è forse facile
convincersene, sol che si verifichi l'eco che la posizione trova
nella dottrina e nella pratica.
Georg Frantzke
cancelliere a Gotha[68] espressamente
cita la definizione di Wesenbeck per anteporla ad ogni altra,
«quae
uti simplex, ita rotunda est[69], et omnibus
speciebus adequata.
Ius hic non causam efficientem vel
titulum aut etiam modum acquirendi, qualis est usucapio, traditio
et similes, sed effectum qui ex illis sequitur et juris nomen
meretur
quod, uti ad personam, cui acquisitum est relatum
dominium significat, ita, si ratione ipsius rei acquisitae, in
qua exercitium, illius exercitur, referatur proprietatis verbo
effertur, quippe res justo titulo acquisita nostra propria facta
est
»[70].
Sicché s'apre il
campo e si svelano infine trame e giochi definitori e,
soprattutto, si palesa anche dove mirano, contro cosa
s'indirizzano gli intenti dell'interprete. Giacché,
«
si
enim proprietas nihil aliud est quam qualitas quaedam, qua res
nostra est et id de emphyeutis et vasallis ratione fundi
emphytetutici et feudalis recte quoque enunciatur, quid obstat,
quo minus et illorum res propria dici queat, et quidem fortassis
tanto magis et nihil fere praeter exiguum canonem et paucula
interdum nulla servitia cum jure recognitionis et spe reversionis
reservatum in emphyteutam vero et vasallum, caeteroquin jus omne
cum plenissima utilitate et jure vindicandi rem contra ipsos
quoque directos dominios [sic] titulo perpetuo translatum
sit
?»[71].
Bersaglio della
scelta definitoria in tal modo operata è dunque il vincolo di
soggezione che gli innumerevoli titolari di situazioni reali
trovano nel sistema territoriale di supremazia feudale, nel cui
quadro le situazioni possessorie di cui essi son titolari
s'inscrivono. È una linea di riflessione dottrinale
indubbiamente ancóra rudimentale, quella che in tal modo prende
corpo nel tempo : forse nulla più che la risorsa
argomentativa di un'istanza di tutela pratica ed avvocatesca, ma
certo è riflessione di menti fresche e vigili : diritto
d'avvocati, forse di basso profilo scientifico, privo comunque di
alterigia accademica e tutto rivolto alla tutela di interessi di
parte, ma proprio per questo efficace, consapevole, convincente
nelle proprie determinazioni analitiche e critiche ; proprio
per questo, forse, degno oggi di un'attenzione particolare da
parte dello storico.
Sono, a ben vedere,
situazioni d'interesse apparentemente privato e particolare, che
mirano ora a collegarsi, per una via prima ancóra giudiziaria
che immediatamente speculativa e giuridica, ad un nuovo quadro
complessivo d'interessi qualificati come generali e
pubblici : il tramite scelto è quello del senso comune, la
logica praticata ed imposta è quella naturale delle
dimostrazioni fondate piuttosto sull'immediatezza dell'intuizione
empirica e linguistica, che sull'ossequio dell'adesione
scolastica.
E l'argomentazione
del momento ed anche l'interesse concreto da tutelare
è poi quella che ha sott'occhio il piccolo possesso a
base familiare, i cui titoli costituitivi non consentono ch'esso
s'inscriva nelle categorie pandettarie del dominium ex iure
Quiritum, cui quindi non competono rimedi, protezioni e
garanzie altrimenti reperibili e noti in corpore iuris.
In terra di
Germania soprattutto sotto gli occhi dei vari Wesenbeck e
Frantzke il panorama delle situazioni proprietarie e
possessorie è quanto mai differenziato : aziende domestiche
floride economicamente e felici politicamente, perché fondate
sul lavoro direttamente applicato sul fondo, che producono
ricchezza, benessere e popolazione, non sono assistite da
un'identica ed unitaria garanzia giuridica, perché, per
l'appunto, sono qualificate in primo luogo da un titolo di
soggezione particolare dal forte color feudale, che le
esclude in limine da ogni inquadramento dominicale[72].
Eppure si tratta di
fondi direttamente gestiti, posti sotto la conduzione diretta dei
loro titolari, che vi applicano, dirigono e conducono il lavoro
della loro familia[73] ;
eppure si tratta di situazioni reali liberamente alienabili,
anche contro il volere del dominus eminens[74] ; eppure il tesoro
rinvenuto all'interno di esse dal titolare spetta per intero al
titolare medesimo, mentre il dominus eminens, nel caso che
sia lui a trovarvi un tesoro, viene trattato tanquam extraneus[75].
Son tutti capitoli
d'una lunga serie di vere e proprie ricognizioni che si svolgono
dai pratici su quei titoli di possesso, per scoprire che essi
nelle modalità concrete d'esercizio, come nella specifica
funzionalità economica sono gestiti e goduti tanquam
res propria essent : sono res propria nei fatti,
anche se individuati come res aliena nel nome e nel titolo[76].
«Etsi
vero a parlare è Josse Hackmann, un giurista delle
burocrazie provinciali in un trattato de jure aggerum del
1690[77] quid inter
dominium et proprietatem discriminis sit, et quam saepe in iure
nostro, proprietatis vocabulo, nuda proprietas, a qua ususfructus
separatus est, intelligatur, non ignoremus : hoc tamen non
obstat, quo minus in materia hac quotidiana et practica, ubi non
subtilitates atque apices iuris sectari convenit, hisce dominii
et proprietatis vocabulis, tanquam aequipollentibus recte
utamur : inprimis, cum nec in jure nostrum novum, ut
dominium, sive ius de re pro arbitratu statuendi, a re quaesita proprietas
dicatur, l. adeo quidem, 7 § ex diverso. 12 ff de A.R.D.
(D.41.1.7.12)
»[78].
È dunque il
linguaggio del fòro, quello che qui si attesta e documenta, non
quello dell'accademia : ed in esso la prassi quotidiana ha
generato un rapporto di sinonimia tra dominium e proprietas[79], quale presumibile conseguenza e
figurazione d'un processo effettivo in atto nelle curie, ove la
litigiosità dei titolari di beni contadini si fa particolarmente
evidente, sensibile e animosa, giacché la materia è
naturalmente litigiosa e, come nota David Mevius (Moewe),
vicepresidente del Supremo Tribunale Regio a Wismar[80], nella sua dissertazione de pensionariis pubblicata
a Halle nel 1675[81],
«zum
oftern deßwegen sonderliche Actiones und kostbare
Processe
angestellt werden»[82].
Tale linea di
tutela giudiziaria degli interessi del possesso contadino trovava
peraltro per tempo udienza e tutela nelle aule giudiziarie, se
già nel dicembre 1618 la Facoltà giuridica di Leipzig[83] aveva rilasciato un parere in cui tirandosi
le conseguenze delle posizioni assunte da Frantzke al séguito
delle riflessioni di Matthäus Wesenbeck si sosteneva che,
quando non consta espressamente il titolo della concessione
enfiteutica, si presume de iure tantum che i beni in
questione abbiano carattere censitario, che il concessionario ne
abbia cioè il dominium plenum, salvo soltanto l'obbligo
della corresponsione del censo. In modo che il dato naturale
della conduzione proprietaria del fondo diviene fondamento d'una
presunzione dominicale, ed i piccoli possessi fondiari vedono
sempre più configurare la loro struttura giuridica al modo d'una
titolarità che ben può presumersi esclusiva e proprietaria,
salvo l'onere particolare della prestazione censitaria. Giacché,
come argomenta in tal sede la facoltà di Leipzig,
«a
contractu emphyteutico differt contractus censualis et a bonis
emphyteuticis Erbzins=Gütern, bona censualia seu
censitica Zins=Güter, quorum dominium plenum, juxta
communem ac veriorem sententiam spectat ad possessorem, ita ut
quis solum ad censum aliquem alteri solvendum ex conventione sit
obstrictus
Unde fluere quoque videtur, quod in dubio,
quando non constat bona jure emphyteutico domino in emphyteutam
translata esse, censitica seu propria possessorum, ac solum
aliquo censu onerata praesumantur»[84].
I contorni del
disegno che in tal modo prende lentamente forma attorno al
concetto di proprietas non paiono, tuttavia, disporsi
immediatamente secondo le linee coerenti d'una consapevole e
deliberata strategia definitoria. Quella figura di proprietas,
cui si arriva infine seguendo la via del senso comune, è in
realtà un oggetto anomalo, privo dunitaria configurazione,
che non è proiezione di un sistema concettuale autonomo, ma può
ricostruirsi soltanto se ogni volta se ne identifica e interpreta
preliminarmente il titolo costitutivo nel caleidoscopio delle
diversificate situazioni possessorie : essa è un posterius
storico dell'osservazione empirica, il distillato dell'esperienza
giudiziaria e probatoria, e non ancóra la sintesi di un prius
logico, preesistente già dentro le rigide categorie della
razionalità giuridica.
Nel contesto
d'esperienza osservato che si gioca essenzialmente tra
prassi contrattuale e veementi controversie forensi[85] dominium e proprietas restano
infatti nondimeno costantemente qualificati come i termini
divaricati di una polarità non risolta, entro la quale si situa
lo spazio argomentativo[86] di interpreti che
agiscono in primo luogo come tutori di privati e particolari
interessi, piuttosto che come artefici e garanti di una loro
sistemazione concettuale organica e coerente. Del resto, per
intendere una simile materia, occorre forse tentare l'azzardo di
riconsiderare certe consolidate prospettive interpretative, forse
ancóra troppo legate ad una tradizionale sensibilità di Begriffsjurisprudenz :
non varrebbe, infatti, applicare sul punto la sicurezza
definitoria di Max Kaser[87], così come
sarebbero pure limitatamente efficienti le pur felici ed
illuminanti intuizioni a suo tempo avanzate prima da Dietmar
Willoweit[88], poi da Damian
Hecker[89] .
I dati sopra
riportati, nella loro apparentemente insuperabile
contraddittorietà, narrano in realtà la vicenda di un interesse
materiale specifico (la titolarità censitica) e dei diversi
artifici argomentativi e ricostruttivi che, di volta in volta, i
suoi difensori hanno strumentalmente adottato per tutelarne gli
interessi in sede giudiziale. In un contesto come quello forense
(che già con Baldo degli Ubaldi aveva per tempo praticato e
giustificato la variatio opinionis come legittima risorsa
strategica dell'attività defensionale[90]),
è dunque ben difficile, se non addirittura impossibile, cercare
di cogliere i contorni netti ed i profili stagliati di coerenti e
sistematiche costruzioni istituzionali, né s'incontrano se non
occasionalmente puntualizzazioni perentorie di dicta
giurisprudenziali o sistemazioni di carattere scolastico.
Il diritto
forense se infine si volesse ammettere di introdurre
in campo scientifico una simile problematica formula
ricostruttiva è piuttosto un compendio di regole
dell'arte, che non un contenitore organico di autonome
individuazioni concettuali : giacché essa non sistema
astratti Begriffe, ma soltanto assembla concreti Werkzeuge,
che in tal modo si pongono a disposizione del pratico per i
più svariati ed anche contraddittori impieghi ; laddove
l'unica regola metodicamente non contraddetta è quella che tutto
quel patrimonio di regole, massime e tipologie interpretative
deve essere ogni volta piegato al servizio ed alla tutela del
concreto interesse in gioco, e non di superiori istanze di
coerenza sistematica.
Se ora torniamo a
concentrarci sulla materia della polemica proprietaria sinora
osservata, sarà poi possibile registrare come gli observata
degli autori del diritto forense, consegnati a quella letteratura
quasi d'occasione, tutta mirata sull'analisi di casi particolari
e su una trattatistica dalla forte selezione tematica, pervengano
infine nonostante tutto anche in assenza di una loro
deliberata e metodica strategia di sistemazione istituzionale
a individuare e diffondere nuove e peculiari tipologie
dell'esperienza giuridica : a mutare, in sostanza, la
complessiva sensibilità in materia proprietaria ed a portare a
termine per ripetere una formula che fu a suo tempo
suggerita da Diethmar Willoweit[91] il cammino
dal dominium alla proprietas.
Giacché quegli
scritti d'avvocato, se non elaborano e non avrebbero alcun
interesse a farlo, d'altronde una nuova sistemazione della
materia del dominium, pervengono tuttavia a fissare una
regola defensionale delle situazioni di titolarità reale,
ove lo schema del dominium feudale serve quasi da comune
riferimento polemico ed unifica perciò per relationem
attorno a situazioni concrete altrimenti eterogenee l'immagine di
un'omogenea condizione proprietaria.
Parrebbe quasi,
insomma, che il concetto di proprietas andasse allora
rendendosi disponibile presso tali autori della prassi forense
per essere il contenitore linguistico di una serie altrimenti
differenziata e non omologabile di situazioni reali che sotto il
profilo formale non parevano riconducibili in maniera autonoma ad
una tipologia giuridica unitaria : il cui termine
dunificazione a ben vedere consisteva in
definitiva nella loro comune contrapposizione processuale alla
signoria feudale. L'operazione era solo a prima vista
esclusivamente linguistica, perché in realtà si traduceva in
una metodica strategia giudiziaria di tutela di tali situazioni
reali, e fondava quindi i presupposti di un'operazione di respiro
ben più ampio, che svincolava tutte quelle situazioni reali dal
condizionamento feudale del loro titolo costitutivo, e le
indirizzava perciò verso l'inquadramento entro le «naturali»
categorie del Diritto Romano[92].
La proprietas
si aggrega nella prassi dell'agonistica giudiziaria come un
sistema di legittimazioni reali a contenuto negativo, di
vere e proprie sicurezze feudali, che di volta in volta
ritagliano al possessore censitico spazi dautonoma
identificazione giuridica : forse si può anche sostenere
che, per questa via, il feudo ha contribuito a fornire una
filigrana negativa per costruire il moderno concetto di
proprietà.
Mario Montorzi
(*) ABBREVIAZIONI : ADB = Allgemeine Deutsche
Biographie, München und Leipzig 1875-1912 ; Adam =
Adam, Melchior, Vitae germanorum jureconsultorum et
politicorum : qui superiori seculo, et quod excurrit,
floruerunt : concinnatae a Melchiore Adamo. Cum indice
triplici : personarum gemino, tertio rerum,
Heidelbergae, impensis heredum Jonae Rosae, excudit Johannes
Georgius Geyder, 1620 ; AGL = Jöcher, Christian G., Allgemeines
Gelehrten Lexicon, Leipzig-Delmehorst-Bremen, 1750-95 (rist.
an. Darmstadt 1961) ; BAV = Biblioteca Apostolica
Vaticana. ; BSP = Bollettino Storico Pisano ;
DBA = Deutsches biographisches Archiv : eine Kumulation
aus 254 der wichtigsten biographischen Nachschlagewerke für den
deutschen Bereich bis zum Ausgang des 19. Jahrhunderts-German
biographical archive, hrsg. von Bernhard Fabian. Bearb.
unter d. Ltg. von Willi Gorzny. Microfiche-Edition,
München u.a. Saur ; Estor = Johan Georg Estor, Notitia
doctorum iuridicorum in gratiam auditorum conscripta, Marburg
1748 ; HJ = Historisches Jahrbuch ;
Kleinheyer-Schröder = Gerd Kleinheyer - Jan Schröder, Deutsche
Juristen aus fünf Jahrhunderten. Unter Mitarb. von Erwin Forster
..., 2. neubearb. u. erw. Aufl., Heidelberg 1983 (UTB,
578) ; LWI = Leopold Wenger Institut für
Rechtsgeschichte, München ; NBG = Nouvelle Biographie
Générale, Parigi 1856-66 ; ÖNB = Österreichische
National Bibliothek ; QF = Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno, Milano 1972 ss. ;
ZSS RA = Zeitschrift der Savigny-Stiftung für
Rechtsgeschichte. Rom. Abt.
[1] Almeno a
partire da una lontana prolusione di Rudolph Stintzing, che aveva
indicato come allorigine del diffuso pregiudizio
antigiuridico stesse la comune constatazione di un insanabile
contrasto tra la naturale semplicità del linguaggio e del
precetto evangelico e le mille opportunità fraudatorie offerte
invece dal linguaggio dei giuristi (Das Sprichwort
Juristen böse Christen in seiner geschichtlichen
Bedeutung. Rede
beim Antritt des Rectorates der
Universität Bonn am 18. October 1875, Bonn 1875, 6-9 in
particolare) ; sicché la polemica luterana avrebbe avuto
buon gioco a colpire la iustitia di cui parlavano i
giuristi come un valore tutto sommato strumentale e particularis,
destituito anzi radicalmente di quelle caratteristiche di
universalità ed assolutezza di cui pretendevano rivestirlo
invece le argomentazioni dei giuristi stessi (Johannes Heckel, Lex
Charitatis. Eine juristische Untersuchung über das Recht der
Theologie Martin Luthers, München 1953, «Abhandlung. Der
Bayer. Akademie der Wissenschaften. Phil.-hist.-Klasse. Neue
Folge», Heft 1936, 87 e nt. 636). Sulla sostanziale «rottura
metodologica» che segna in questo periodo la cultura giuridica
G. Kisch, Humanismus und Jurisprudenz, Basel 1955, 70 e
160 nt. 154 (Basilius Amerbach contro il metodo autoritativo die
Commentatori), 161 nt. 54 (Claude Chansonnette contro il metodo
autoritativo); id., Erasmus und die Jurisprudenz seiner Zeit,
Basel 1960, 102 ss. (Claude Chansonnette e la sua ritrosia «in verba
magistri zu schwören»); F. Wieacker, Privatrechtsgeschichte
der Neuzeit: unter besonderer Berücksichtigung der deutschen
Entwicklung, Göttingen 1967, 162 ss., trad. it., Milano
1980, I, 236 ss. ; V. Piano Mortari, Gli inizi del
diritto moderno in Europa, Napoli 1980, 382.
[2] Sulla cui figura, dopo
lapprofondito quadro analitico a suo tempo delineato da
Erik Wolf (E. Wolf, Grosse Rechtsdenker der deutschen
Geistesgeschichte, Tübingen 1963, 138 ss.), si veda
lampia e sintetica ricostruzione bio-bibliografica proposta
in Kleinheyer-Schröder, 199-201.
[3] Johann Oldendorp, Was billig und
recht ist, ed. in Quellenbuch zur Geschichte der deutschen
Rechtswissenschaft, hrsg. E. Wolf, Frankfurt/M 1950, 52-3 in
particolare.
[4] Montorzi, Fide s, 217 ss.
[5] Per luso di questo concetto in sede
storiografica mi si consenta qui di rinviare a M. Montorzi, Diritto
feudale nel basso medio evo. Materiali di lavoro e strumenti
critici per l'esegesi della glossa ordinaria ai Libri feudorum,
Torino 1991, 58 nt.
[6] Giacché «billig ist es endlich nel quadro
che in tal modo si delinea in allen Sachen nach der
Wahrheit und nach der Gelegenheit der
Umstände zu verfahren», e ben savverte che «in
dieser Regel lebt noch das altdeutsche Rechtssprichwort, wonach
das Recht die Wahrheit selbst ist
» (Wolf, Grosse
Rechtsdenker, 149-50).
[7] M. Tulli Ciceronis De officiis, 2.10. «
ad opinionem communem omnis accommodatur oratio
».
[8] L. Annaei Senecae Epistularum moralium - ad
Lucilium - liber I, 5.4. «
Hoc primum philosophia
promittit, sensum communem, humanitatem et congregationem
».
[9] Gesammelte Schriften, II, Weltanschauung
und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation, 5.
Aufl., Stuttgart u. Göttingen 1957, 153 ss., Einlfluß der
römischen Stoa auf die Ausbildung des natürlichen Systems in
den Geisteswissenschaften, 154 in particolare (Cicerone e
Seneca) ; Anthropologie des 16. u. 17 Jh.s., 443 ss.
(Justus Lipsius).
[10] Budé und Calvin. Studien zur Gedankenwelt des
französischen Frühhumanismus, Graz 1950, 244 ss. (Cicerone
e Seneca), 348 ss. (Die antiken und humanistischen
Bestandteile in der Ethik Calvins).
[11] G. Oestreich, Politischer Neustoizismus und
niederlandische Bewegung in Europa und besonders in
Brandeburg-Preussen. Ein Beitrag zur Entwicklung des modernen
Staates, in «Bijdragen mededelingen van het Historisch
Genootschap, Bd. 79, Groningen 1965, 47 ss., ora anche in
id., Geist und Gestalt des frühmodernen Staates. Ausgewählte
Aufsätze, Berlin 1968, 101 ss. ; e vedi soprattutto
id., Neostoicism and the early modern state, ed. B.
Oestreich-H.G. Koenigsberg, Cambridge 1982, 29 ss. in particolare
(neostoicismo, razionalità ed impegno politico).
[12] Die österreichischen Kameralisten in
dogmengeschichtlicher Darstellung, II, 4, nt. 2. Neudr. der
Ausgabe 1920-5, Aalen 1967 («Studien zur Sozial-, Wirtschafts-
und Verwaltungs-Geschichte, 12-3»).
[13] Antwerpen 1610, Dissert. 1 in particolare,
65 ss.
[14] per cui si potrà sostenere che «
il
senso comune è un giudizio senzalcuna riflessione,
comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da
tutta una nazione o da tutto il gener umano
»
[Giambattista Vico, Princìpi di Scienza nuova, Lib.1,
sez.2, 12.1, cpv. 142, pag. 439, in id., Opere, a cura di
F. Nicolini, Milano-Napoli 1953 (« La lett. it. St. e testi»,
47)]).
[15] Kritik der reinen Vernunft, Transz. Methodenlehre,
IV. Haupstück, § 3 in particolare : 855-6 1a
ed. Riga 1781 ; 883-4 2a ed. Riga 1787 ; 858-9 Reclam
Universal-Bibliothek, 6461, Stuttgart 1966 ; per cui cfr. da
ultimo M. Savi, Il concetto di senso comune in Kant, Milano
1998, 20 ss. in particolare.
[16] Giordano Bruno, De la causa, principio e uno, Dialogo
secondo (id., Dialoghi italiani, I, Dialoghi metafisici,
ed. G. Gentile, terza ed. a cura di G. Aquilecchia, Firenze 1958,
239) : «
il senso più comune non è il più vero
non bastarà a far una cosa vera
».
[17] Anche se non si possono sottovalutare le
considerazioni e perplessità di K. R Popper, che giustamente ha
messo in guardia dal pensare che quella stagione di pensiero che
va da Descartes a Montaigne abbia davvero potuto rinunciare al
principio d'autorità (K. R. Popper, Congetture e
confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, trad.
it., Bologna 1997, 33 ss. in particolare).
[18] Ha ragione Leonardo Amoroso (id., Nastri
vichiani, Pisa 1997) quando, ripercorrendo i capitoli del
«senso comune» da Vico a Kant, illustra sia l'innegabile
polisemìa di tale espressione (74 ss.), sia soprattutto (79s.)
il suo fondamentale conflitto con le culture d'impianto topico e
precettistico di coloro che Vico stesso, nella sua apologia
anticartesiana del metodo induttivo e critico [De antiquissima
Italorum sapientia, in particolare in prooemio, pag.
4, ed. Napoli 1710 = pag. 403 nella rist. an. a cura di Giovanni
Adamo, Firenze 1998 («Lessico intellettuale europeo», vol.
74)], chiama «docti imprudentes» : i quali «fanno riferimento
solo a una verità astratta, senza rapporto col mondo reale degli
uomini» (Amoroso, 79). Quando poi è ben chiaro che il campo del
senso comune è anche quello ove ha allignato per tempo, già
prima di Vico (R. Mondolfo, Il «verum-factum» prima di Vico,
Napoli 1969, «Studi vichiani», 1, vedi, ad esempio, 33 ss.
in particolare), l'empirìa del verum-factum (ora anche F.
W. Lupi, Scepsi barocche, Pisa 1989, 22 ss.).
[19] Da Campanella a Vico, già in Atti conv.
Campanella e Vico, Roma 1969, 11-34, ora in id., Dal
Rinascimento allIlluminismo. Studi e ricerche, Pisa
1970, 79-118, 85 ss. in particolare.
[20] Garin, Da Campanella, 86.
[21] Dilthey, Die Autonomie des Denkens, der
konstruktive Rationalismus und der pantheistische Monismus nach
ihrem Zusammenhang im 17. Jh., in Gesammelte Schriften II,
cit. (supra, nt. 9), 284 in particolare; Montorzi, Fides,
259-63 ; 421-62.
[22] Garin, cit.
[23] che a suo tempo ha impegnato le ricerche di H.
Blumenberg, Die Lesbarkeit der Welt, Frankfurt/M 1986, STW
592, 58 ss. in particolare, Der illitterate Laie als Leser des
Weltbuches.
[24] Johann Eisermann [Johannes Ferrarius Montanus] era
nativo di Amönenburg, villaggio montano nei dintorni di Mainz,
donde avrebbe tratto il soprannome di Montanus ed è
infatti più noto per la sua denominazione latinizzata di
Johannes Ferrarius Montanus : egli fu non solo
giureconsulto, ma si dedicò anche alla teologia (in cui
conseguì il baccalaureato) e, per di più, prima si licenziò e
poi si addottorò anche in medicina ; fu rettore a
Wittemberg sino al 1523, per passare poi a Marburg, ove sarebbe
stato attivo come consulente, giurista e professore, divenendo il
primo rettore di quella nuova Università ; fece anche parte
del locale consiglio cittadino, traendo da tale attività lo
spunto per intensificare i propri studi giuridici ; sarebbe
morto il 25 VI 1558 [Adam, 119 ; ADB, 6, 719 ; Estor,
81 nr. 105 ; Jöcher, AGL, 2 ; F. W. Strieder, Grundlage
zu einer hessischen Gelehrten- u. Schriftsteller- Geschichte, Bd.
4 (1784), DBA, 314, 406-13 ].
[25] J. Eisermann [Johannes Ferrarius Montanus], Vom
gemeinen Nutzen, III, 29 ; cito dall'ed. Tractatus de
re publica bene instituenda, das ist : ein sehr nützlicher
vom gemeinen Nutzen : Darinnen angezeigt wirdt, wie sich so
wol die Regenten, als Unterthanen verhalten sollen, gestelt durch
Johannem Ferrarium I.U.D. weyland Fürstlichen Hessischen Rhat
und Professorn, etc., Hernacher gebessert durch M. Abraham
Saurium, Gedruckt zu Franckfurt am Mayn. bey Wolffgang
Richtern, in Verlegung Nicolai Steinij, Anno Christi 1601 ;
esemplare consultato : BSB, 8. Pol. g. 714/2.
[26] Proprio sul filo di tale sensibilità, avverrà
poi nel 1617 la fondazione a Weimar sul modello della
italiana Accademia della Crusca (R. Pascal, German Literature
in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, Westport 1979,
71 ss.) della famosa Fruchtbringende Gesellschaft, che
programmaticamente assocerà lattività dello studio e del
perfezionamento linguistico «zu Erbauung wolanständiger
Sitten» [così secondo le parole di Georg Neumark, che ne
avrebbe scritto la storia già nel 1668, Der Neu-Sprossende
Teutsche Palmbaum. Oder Ausführlicher Bericht / Von der
Hochlöblichen Fruchtbringenden Gesellschaft
, Nürnberg
1668, 12 (traggo la citazione da : H. Henne, Deutsche
Lexikographie und Sprachnorm im 17. und 18. Jahrhundert, già
in Festgabe Schmitt, Berlin 1968, 80-114, ora in Deutsche
Wörterbücher des 17. und 18, Jahrhunderts. Einführung und
Bibliographie, Hsgb. V. Henne, Hildesheim- New York, 1975,
1-38, 8 in particolare ; e vedi anche Oestreich, Neostoicim,
124]. Maturerà poi per tempo la convinzione vichiana di una
organica omologia tra lingua e cultura (Vico, Sc. nova,
Introduz., cpvv.33-4, 389 ss. ed. Nicolini cit. ), al
punto da generare la consapevolezza che bisogna «scoprire nel
linguaggio, inteso come creazione umana, lorigine dei
rapporti e degli istituti sociali» [L. Rosiello, Linguistica
illuministica, Bologna 1967, 30 ; vedi anche O. Apel, Die
Idee der Sprache in der Tradition des Humanismus von Dante bis
Vico, Bonn 1963, 344 ss. (« Archiv f.
Begriffsgesch. », 8)], giacché il linguaggio stesso viene
ora considerato come «a social institution that reflects the
world of its speakers» e, conseguentemente, ogni questione di
indagine linguistica finisce per tradursi ed anzi postulare una
connessa riflessione sulle istituzioni e sul connesso sistema di
relazioni sociali (H. Aarsleff, From Locke to Sausurre. Essays
on the Study of Language and Intellectual History, University
of Minnesota Press, Minneapolis 1982, 27). Sè insomma
rotto il postulato della riflessione dellontologismo
linguistico medievale, per cui «nomina sunt consequentia rerum»
(Montorzi, Fides, 24 ss. ; R. Ajello, Lesperienza
critica del diritto, I, Napoli 1999, 185 ss.), e
lassunzione razionalistica dellarbitrarietà del
segno linguistico (N. Chomsky, Cartesian Linguistics. A
Chapter in the History of Rationalist Thought, New York 1966,
63 ss.) dirotta ogni ottica dindagine conseguente dal campo
della percezione fisica a quello dellesperienza sociale e
storica.
[27] Estor, 29, nr. Xxviii ; NBG, 35, 65-6 ;
Alphonse Rivier, Introduction historique du Droit Romain, Bruxelles
1881, 616-7.
[28] che avrebbero sollevato il risentito astio della
scuola, di cui ci racconta anche il prezioso manuale biografico
di Johann Georg Estor (42, nr. Xcii ; sull'Estor in
particolare cfr. poi : ADB, 6, 390-2 ;
Kleinheyer-Schröder, 327, nr. 22), narrandoci della risposta che
le posizioni di Mérille suscitarono nellorleanese
maggiorente accademico François Ory, il quale, «doctor regens
Academiae Aurelianensis, ditissimus multique laboris et ingenii,
composuit contra Merillium dispunctorem sub nomine Osii
Aurelii a 1642. Male habebat Merillium iactari passim,
iurisprudentiam Cuiacii scriptis et praelectionis adeo excultam
esse, ut frustra in scholis professores adeantur
» .
[29] Emundi Merillii [Edmond Mérille] Iurisconsulti
Consiliarii regii Antecessoris Academiae Biturigum Primicerij Observationum
libri sex
, Parisiis 1626 [esemplare consultato :
LWI].
[30] È il caso dell'ed. di Napoli del 1720, che
riscontro sul catalogo della BAV (Emundi Merilli ... observationum
libri viii ; notae philologicae in Passionem Christi ;
expositiones in L. decisiones Justiniani ; variantium ex Cujacio
libri III ; differentiarum iuris ex libris Julii Pauli liber
singularis ; oratio de tempore in studiis iuris prorogando ...,
Neapoli, sumtu Bernardini Gessari, 1720. : [36], 360 p. ; 24
cm. ; BAV Segn. Pul. Stampati Mon. 188.D.11)
[31] E. Mérille, Observationum lib. I,
cap. VI, 10-11 in particolare.
[32] D.5.4.3, Paul. 17 ad Plaut.
[33] gl. Medietatem, in l. Antiqui, ff. Si pars
haereditatis petatur (D.5.4.3, Paul. 17 ad Plaut.) :
«Sic ergo media via eligitur, ut institu. qui manu. non pos. §
eadem. [Inst., 1.6.4]. Sed argu. contra supra de nego. gest., l.
Nesennius in fi. [D.3.5.33 (34)]. Item nota quod subijcit, quod
ea quae raro fiunt non curant iurisconsulti, ut hic et supra, de
leg. et senatuscon. l. ex his [D.1.3.4], et l. nam ad ea
[D.1.3.5], et in authen. ut sine prohi. ma. debi. et cred. §
quia vero coll. 7 [Nov. 94 - Auth. Coll. 7.4]».
[34] Dénis Godefroy, in v. medietatem, D. 5.4.3
(Corpus iuris civilis
cum notis integris Dionysii
Gothofredi
, to. II, Coloniae Munatianae 1781, pag.
201, nt. 8) : «medium tenere prudentis est, ut hic».
[35] M. T. Ciceronis De Officiis 3.3, «
Haec enim officia, de quibus his libris disputamus, media Stoici
appellant; ea communia sunt et late patent, quae et ingenii
bonitate multi assequuntur et progressione discendi
».
[36] Lavrebbe detto ancóra lo stesso Giusto
Lipsio, nella prefazione al suo De constantia (cito
dalled. Amsterdam 1631, fo. A4 ss.), che nel discorso non
contava lo stile dellargomentazione, ma soltanto la forza
della verità enunciativa, giacché «
de verbis quid
turbant? Non quo stilo ea scripta sunt, sed quo sensu
videant : nec an usitate, sed an vere
sum enim ex iis
sosteneva egli , quibus pietas in corde magis, quam
in ore» (il corsivo è aggiunto).
[37] Piano
Mortari, 356 ss .
[38] Matthäus Wesenbeck nasce il 25 ottobre 1531 ad
Anversa, tredicesimo figlio della ricca e devota famiglia di un
maggiorente locale ; a 14 anni passa a Löwen (Lovanio) per
studiare diritto, e si licenzia in iure il 18 giugno 1550,
per andare poi a perfezionarsi a Parigi. Nel 1552, tornato in
patria, si fa luterano, con grave suo danno finanziario ;
per non abiurare, passa quindi a Jena, ove nel 1558 è il primo doctor
in utroque a professarvi diritto, è quindi chiamato a
Wittenberg ; Geheimrath e Appellationsgerichtsrath
del Principe Eletettore, è poi anche nobilitato da Massimiliano
II nel 1571 ; muore il 5 giugno 1586 [AGL, 4, 1907-9 ; ADB,
42, 134-9; Adam, Vitae, 270-7; Johannes Günther, Lebensskizzen
der Professoren der Universität Jena, 1858 (DBA, 1357,
112)].
[39] Matthaei Wesenbecii Commentaria in Pandectas Iuris
civilis et Codicis Iustiniani libros, olim Paratitla dicta, ex
postrema recognitione Academiae Duacenae ; cum notis, et
animadversionibus Reinhardi Bachovii Echtii I.C. et in Academia
Heidelberg. Professoris
, Coloniae Agrippinae 1650
[esemplare consultato : LWI, H313].
[40] «Quid ergo est dominium? Respondeo :
dominium est ius de re corporali perfecte disponendi nisi
lege prohibeatur» [Bartolo da Sassoferrato, in l. Si quis vi,
§ Differentia, ff. De acquirenda possessione (D
41.2.17.1), nr. 4, fo. 95va, ed. de Tortis, Venetiis 1516-29,
rist. an. Roma 1998] ; Valentin Wilhelm Förster, nel suo De
dominio liber singularis (cap. IV, nrr. 1-21, pp. 11-8, ed.
Witteb., sumptibus Clementis Bergeri Bibliop., 1620, esemplare
consultato : BSB, 4. J. Rom. m. 83), fornirà una
dettagliata disamina delle discussioni dottrinali sulla
definizione di dominium ; sulla definizione
bartoliana cfr. F. Piccinelli, Studî e ricerche intorno alla
definizione : dominium est ius utendi et abutendi re sua,
quatenus iuris ratio patitur, Firenze 1886 (a p. 60 cita la
definizione di Wesenbeck, e si limita a trattarla come di stretta
osservanza bartoliana) ; H. Coing, Zur Eigentumslehre des
Bartolus, ZSS RA 70 (1953), 348-71 ; D. Willoweit, Dominium
und proprietas. Zur Entwicklung des Eigentumsbegriffs in der
mittelalterlichen und neuzeitlichen Rechtwissenschaft, HJ 94
(1974), 131 ss. ; Damian Hecker, Eigentum als
Sachherrschaft. Zur Genese und Kritik eines besonderen
Herrschaftsanspruchs, München-Wien-Zürich 1990 (Rechts- und
staatswissenschaftliche Veröffentlichungen der
Görres-Gesellschaft ; N.F., H. 57), 36-41].
[41] «
dominium est ius quo res nostra est, est
ius proprietatis
doctores sic definire malunt, ut dominium
ius sit de re corporali libere disponendi Bart. num. 4. In l. fi.
Si quis ut. 17. § differentia infr. De acquirenda possessione
» [Matthäus Wesenbeck, in Digestorum lib. XLI, De
acquirendo rerum dominio, tit. I, § III., p. 568b-9a ed. Coloniae
Agrippinae 1650 (Hecker, 42ss.)].
[42] M. T. Ciceronis ad familiares, 7.30.2
(«Cicero Curio s. d. ) : « Haec tibi ridicula videntur;
non enim ades. Quae si videres, lacrimas non teneres. Quid si
cetera scribam? sunt enim innumerabilia generis eiusdem; quae
quidem ego non ferrem nisi me in philosophiae portum contulissem
et nisi haberem socium studiorum meorum Atticum nostrum. Cuius
quoniam proprium te esse scribis mancipio et nexo, meum autem usu
et fructu, contentus isto sum; id enim est cuiusque proprium
quo quisque fruitur atque utitur
» (il corsivo è
aggiunto).
[43] Vedi, supra, nt. 40.
[44] «Nihil aliud est dominium, nisi praedicatio
pronominis possessivi, id est meum, et tuum et illius
» [in
l. Possessiones, C. De probationibus (C.4.19.2),
nr. 12, fo. 42vb, ed. Venetiis apud Juntas 1572].
[45] Quando si allega dal glossatore [gl. Dominium,
in l. Possessiones, C. De probationibus (C.4.19.2)]
la posizione pilliana, per cui si sostiene «proprie poni et
presumi possessorem dominum
», onde ne argomenta
poi Baldo [in l. Possessiones ( cit. nt. prec.)]
«homines praesumunt quod iste qui possidet, et fructus
percipit, sit dominus rei
».
[46] Nella famosa gl. Omnium (in. c. Communis,
12. q. 1) di cui scrisse già Kuttner [S. Kuttner, Gratian and Plato, in: Church
and Government in the Middle Ages: Essays presented to C. R.
Cheney, ed. C. N. L. Brooke et al. (University Press;
Cambridge 1976), 93-118 ; ora in id., The History of
Ideas and Doctrines of Canon Law in the Middle Ages, London
1980], ove si esprime la natura della proprietà appunto con
lendiadi «meum et tuum» («
quietissime viverent
homines in hoc mundo, si de medio sublata essent duo verba,
scilicet meum et tuum»).
[47] Nel luogo in questione, Baldo tratta in realtà
non della definizione del dominium, ma della sua probatio
per testes [«
Tu dic quod possessor praesumitur
dominus praesumptione hominis, unde homines praesumunt
quod iste qui possidet, et fructus percipit, sit dominus rei,
et ideo testes deponunt de dominio per causam possessionis
et est testimonium probabile, non necessaria inferens
»
(Baldo degli Ubaldi, in l. Possessiones, cit., supra,
nt. 44, nr. 11)] : lelemento linguistico non è quindi
da lui addetto allindividuazione della struttura
necessaria della relazione dominicale del soggetto con la res,
ma soltanto alla valutazione esterna e probabile del relatum
testimoniale de possessione. Lo strumento della
valutazione linguistico-lessicale del relatum testimoniale
(«
dominium est ius quo res nostra est
»)
gli viene probabilmente suggerito dalla tradizione canonistica,
formatasi a margine di un brano di S. Agostino su S. Giovanni
accolto poi nel Decretum Gratiani [c.1, Quo iure,
Dist. 8 (Aug., tract. VI ad c. 1, § 25 Ioannis, v.32-3)],
che aveva utilizzato laggettivo possessivo come
discriminativo dellesercizio della titolarità dominicale,
quando aveva saldato al campo esclusivo del diritto civile e non
di quello divino i fondamenti della proprietà privata («
Tolle iura imperatoris, et quis audet dicere hec villa mea
est, hoc servus meus est
?») : la gl. Mea
est (ivi) avrebbe poi chiosato il brano, utilizzandolo
per saldare la funzionalità semantica dellaggettivo
possessivo allaffermazione di titolarità dominicale in
senso tecnico ed esclusivo («Mea est. Hec verba
meum et suum spectant ad dominum, non ad bonae fidei
posses sorem
»). La massima avrebbe subito trovato eco in
àmbito pratico e forense per la mano di un giurista attento ai
due iura come Roffredo [Roffredo Epifanio da Benevento, Libelli
de iure civili, rub. De bonorum possessione que datur ex
edicto Divi Hadriani, § Sed illud queritur, in id., Tractatus
libellorum, Avenione 1500 (rist. an. Aosta 1968), fo. Cxxxij
vb (= p. 274 della rist. an.) : «
per hec verba
meum, tuum, suum, alterius dominium denoto
»].
[48] Che pure viene da Wesenbeck espressamente citato
nel capoverso appena successivo, in un brano in cui Baldo
senza introdurre elementi di valutazione linguistica
ricollega la definizione di dominium alla posizione
bartoliana, per individuarne la natura nel concorso nel medesimo
soggetto della «plena proprietas» della cosa (locuzione in cui
si traduce il requisito della definizione bartoliana del ius
abutendi e perfecte disponendi) e la connessa,
conseguente potentia alienandi esercitata dal soggetto
sulla cosa medesima. Laddove lallegazione che Wesenbeck fa
di questo particolare brano baldiano, per il contesto in cui essa
si colloca, sembra piuttosto riferirsi ad unulteriore
precisazione degli effectus dominii, che non ad una
complessiva determinazione concettuale del dominium stesso ;
e la stessa definizione di Baldo sembra in tal caso priva di
particolare originalità, ma espressamente destinata piuttosto ad
integrare e correggere la posizione di Bartolo, che non ad
introdurvi specifici elementi di novità, come invece Baldo fa
nellaltro brano (supra, nt. 44), che Wesenbeck
evidentemente tiene presente, anche se non lo cita espressamente,
preferendogli lallegazione ciceroniana [«
quid est
ergo dominium absolute dictum, et certe dominium est plena
proprietas cum alienandi potentia. Bar. ponit ff. de acqui. poss.
l. si quis vi. §. Differentia (per cui, supra, nt. 40),
sed non allegat hunc textum
» (Baldo degli Ubaldi, in l.
Foeminae, § Illud, C. De secundis nuptiis,
(C.5.9.3.1 i.c.), nr. 1, ed. cit. (supra,
nt. 44), fo. 194vb)]. Sarebbe poi giustamente intervenuto il
Förster (De dominio, cap. IV, nr. 6, p. 13, ed. cit.,
supra, alla nt. 40) per ricondurre la posizione di
Wesenbeck alla lezione di Baldo.
[49] Supra, nt. 42.
[50] Per cui, appunto, è oggetto di dominium la
cosa che si predica come nostra.
[51] Infra, § 4.
[52] Supra, nt. 40.
[53] Civilista in Heidelberg, ove fu anche rettore,
visse tra il 1575 ed il 1640. A differenza di Wesenbeck, Bachov
fu invece un uomo che preferì peregrinare tra le confessioni
religiose, piuttosto che tra i territori, e mutò ripetutamente
la propria adesione religiosa, pur di mantenere il proprio
insegnamento in Heidelberg (Kleinheyer-Schröder, 322 ; ADB
1, 756 ; Estor, 33, nr. 40).
[54] Sulla figura retorica del ragionamento per coppie,
cfr. : Chaïm Perelman - Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato
dell'argomentazione. La nuova retorica, trad. it., Prefaz. di
N. Bobbio, Torino 1976, II, 432 ss. ; G. Preti, Retorica
e logica. Le due culture, Torino 1969, 2.a ed., 48
ss.
[55] «Videtur [scil. Wesenbeck] dominium et jus
proprietatis accipere pro iisdem. Quod non satis cum eo convenire
videtur, quod ipse dominium mox aliud plenum, aliud minus plenum
facit : adeo quaedam species dominii saltem videantur pro
proprietate accipi posse
», annota infatti perplesso e
poco convinto il Bachov [Rainer Bachov von Echt, annot. ad M.
Wesenbecii Commentaria in Digestorum lib. XLI. De acquirendo
rerum dominio (D.41.1), ed. Coloniae Agrippinae 1650, p. 569
a].
[56] Così P. Grossi, La categoria del dominio utile
e gli homines novi del quadrivio cinquecentesco, già in QF,
19 (1990), ora anche in Il dominio e le cose. Percezioni
medievali e moderne dei diritti reali, Milano 1992, 247 ss.,
248 in particolare.
[57] I cui travagliati sviluppi, in particolare, sono
stati descritti in id., Ideologia e tecnica in una definizione
giuridica (La definizione obertina di Feudo dai Glossatori a
Cujas), già in QF 19 (1990), ora anche in id., Il dominio
e le cose, 221 ss.
[58] Cfr. Rainer Bachov von Echt, annot. ad M.
Wesenbecii Commentaria in Digestorum lib. XLI. De acquirendo
rerum dominio (D.41.1), cit. cit. (supra, nt. 55),
p. 569a. Degli effectus dominii, come anche della
definizione delle diversificate tipologie di Gewere riconnesse
allo status di dominus, avevano dato a suo tempo
dettagliata esposizione due luoghi in particolare dell'apparato
ai Libri feudorum : sia una nutrita trattazione
monografica, che prima di stabilirsi definitivamente nella
glossa accursiana alla rubrica De alienatione paterni feudi (L.F.,
2.39) aveva anche trovato sistemazione nei
mss. (ad es., Wien, ÖNB, Lat. 2110, fo. 238vb; Wien, ÖNB, Lat.
2094, fo.66rab; Hamburg, Cod. in scrin.3, fo.251va) a
fianco della rubr. De prohibita feudi alienatione per
Fridericum [L.F., 2.4 (55)] ; sia anche il testo della
glossa De manso (L.F., 1.4.6 ; cfr. M. Montorzi, Diritto
feudale nel basso medio evo. Materiali di lavoro e strumenti
critici per l'esegesi della glossa ordinaria ai Libri feudorum,
Torino 1991, 314-5, nr. 477 ; 233, nr.114) ; sul
punto, serve a poco il pandettismo rigoroso e
concettualiaaazzante della «Darstellung der Lerhe vom Eigenthum
nach dem Dogma der Glosse», approntata a suo tempo da Ernst
Landsberg (Die Glosse des Accursius und ihre Lehre vom
Eigenthum. Rechts- und dogmengeschichtliche Untersuchung, Leipzig
1883, ix e, in particolare, sul tema della definizione di un
«generale» Begriff des Eigenthums, a 92 ss.) ;
molto più affidabile il coevo scetticismo definitorio di Anton
Randa (Das Eigenthumsrecht nach österreichischem Rechte mit
Berücksichtigung des gemeinen Rechtes und der neueren
Gesetzbücher, Leipzig 1884), che è ben consapevole, invece,
sulla scorta dell'insegnamento di Jhering, della necessaria,
diversificata relatività di quel concetto di dominium .
[59] Rinvio alla trattazione della gl. Sed de iusta,
in c. Investitura, Quid sit investitura (L.F.,
2.3. pr.), che vincola l'efficacia dell'investitura alla
sussistenza d'un esplicito e specifico titolo di legittimità
della possessio, giacché ne indica come presupposto
essenziale il fatto ch'essa abbia ad oggetto una res iuste et
legitime possessa.
[60] Bernhard Suthold, Dissertationes undeviginti,
quibus universum ius Institutionum ex principiis explicatur ea
brevitate, ut instar compendii, ea item perspicuitate, ut in
locis obscurioribus vice commentarii esse possunt. Edit. II.
Priore emendatior, Lugd. Batavorum, ex officin. Elzeviriorum,
1623 (esemplare consultato : BSB, 8 Jus rom. c. 306).
[61] Sulla relazione proprietaria come relatio
simplicissima tra soggetto dominicale e cosa stava d'altronde
sviluppandosi su altro versante anche la riflessione dei teologi
della Seconda Scolastica [Paolo Grossi, La proprietà nel
sistema privatistico della Seconda Scolastica, già in «La
Seconda Scolastica nella formazione del diritto privato moderno
Incontro di studio, Milano 1973», ora anche in id., Il
dominio e le cose, 281 ss., 309 in particolare], sul filo di
un complessiva rimeditazione delle attribuzioni e della stessa
costituzione del soggetto dominicale.
[62] B. Suthold, Dissertationes undeviginti, Diss.
IV, nr. 3, p. 118.
[63] Johann Goeddeaeus, Commentaria repetitae
praelectionis in tit. Xvi. libri L. Pandectarum de verborum et
rerum signficatione, ed. quinta, Herbornae Nassoviorum,
excudebat Christophorus Corvinus, 1614 (esemplare
consultato : BSB, 8 J. Rom.m.230).
[64] Estor, 36, nr.l.
[65] Johann Goeddeaeus, in l. Recte dicimus, 25,
D. De verborum significatione, (D.50.16.25), nr. 7, 354-6.
[66] Id., ibid.
[67] Damian Hecker, Eigentum als Sachherrschaft. Zur
Genese und Kritik eines besonderen Herrschaftsanspruchs, München-Wien-Zürich
1990 (Rechts- und staatswissenschaftliche Veröffentlichungen der
Görres-Gesellschaft ; N.F., H. 57), 28 ss., 75 s. in
particolare.
[68] 1659, nato il 15 Aprile 1594 a Leobschüz
in Slesia, studiò dapprima a Brieg, poi a Frankfurt/M, passando
infine a Königsberg, ove cominciò dapprima a studiare filosofia
e teologia e, infine, passò a studiare diritto, divenendo poi
I.U.D. Fu consigliere giuridico del conte Karl Günther v.
Schwarzburg, poi operò a Weimar, divenendo infine Cancelliere a
Gotha nel 1659 [Estor, 94 nr. 206 ; ADB, VII, 274 ;
AGL, 2, 730 ; L. A. Hesse, Verzeichnis Schwarzburgischer
Gelehrten u. Künstler aus dem Auslande, III, 1833 ; K.
G. H. Berner, Schlesische Landsleute (1901) (DBA, 339,
419)].
[69] Non è forse privo di significato notare come le
parole del Frantzke utilizzino stilemi tirati direttamente dalla
lingua dei Libri feudorum : cfr. L.F., 2.23.pr.
(Lehmann 142, 31-3), nel punto in cui il testo dell'epistola
obertina ammonisce «
dummodo memineris, causas illas [scil.
amissionis feudi] sub aliqua certa regula aut definitione rotunda
non posse comprehendi» (il corsivo è aggiunto).
[70] G. Frantzke, Variarum resolutionum libri duo,
in quorum priori materia censuum, seu annuorum reddituum,
cessionum, rerum litigiosarum, excussionum, compensationum,
tutelarum et cautelarum, investiturarum renovandarum, collectarum
et aliarum rerum tractatur
, Gotae, sumptibus Johann.
Bercknen Bibliopolae Erffurtensis, Typis Reynherianis 1657
(esemplare consultato : BSB, 8° Jur. opp. 18 m).
[71] G. Frantzke, Variae resolutiones, : lib.
III, resol. VII, nr. 52, pp. 363 ss. (vedi nt. prec.).
[72] Ahasver Fritsch ( 1701), un devoto e
prolifico trattatista giuridico di parte luterana, nato il 16
Dicembre 1629 a Mügeln, I.U.D. a Jena (1661), poi Comes
Palatinus (1669), Canzley-Director e Consistorial-President
(1679) ed infine Canzler (1682), avrebbe inserito nella
folta serie delle sue pubblicazioni di argomento teologico e
giuridico, tra le più copiose del suo tempo e pionieristica
addirittura in materia di pubblica amministrazione [cfr. Johann
Caspar Wetzel, Historischeslebesbeschreibung der berühmtesten
Liederdichter, Bd. I. 1719 (DBA, 352, 364-74) ; Carl
Gottlob Friedrich Hirsching, Historisch-literarisches
Handbuch, Bd. 2, 1795 (DBA, 352, 384-6) ; AGL, 2,
s.v. ; ADB, VIII, 108], anche un dettagliatissimo ed
informato Tractatus de statu ac iure pagorum Germaniae,
Jenae, impensis Johannis Bielken, 1673 (esemplare
consultato : BSB, 4 J. Germ. 56 ; una silloge di tutta
la sua trattatistica feudale e censitica in Ahasveri Fritschi
Sylloge variorum tractatuum, iuris publici et privati : continens
tractatus de iure praesidii, Besatzungs-Recht, de iure intradae,
Eintritt, de iure excubiarum, Wacht-Recht, de iure et privilegiis
hospitalium, de iure idiomati, de iure congrui, Gespilde-Recht,
de statu et iure pagorum, de messe, Erndt-Recht, de feudo solari,
Sonnen-Lehn, de iure boscandi seu lignandi,
Beholtzungs-Gerechtigkeit, de literis commendatitiis, de
novellarum usu et abusu, supplementum Speidelio-Besoldinum.
Accessit Paraenesis de cavenda et fugienda in refutandis aliorum
scriptis, Jenae, Bielcke, 1678 ; esemplare
consultato : BSB 4 J.germ. 105 h) : nel De iure
pagorum, il Fritsch avrebbe quindi espressamente trattato dei
diversi status dei contadini in Germania, che erano
estremamente vari e differenziati tra loro, a seconda delle
consuetudini e tradizioni locali, : «Alibi namque melioris,
alibi deterioris solent esse conditionis, melioris in Thuringia,
Saxonia superiore, Misnia, et nonnullis aliis in locis :
durioris autem in Holsatia, Pomerania, Livonia, Palatinatu ad
Rhenum, Bavaria etc.», per concludere «
intelligo Rusticorum
in Germania non omnes unius sunt generis, quidam enim, ut in Westphalia
et locis finitimis,
deterioris sunt conditionis et verius
fere originariis et ascriptitiis similes, et hodie homines
proprii dicuntur. Quidam econtra, qui in Marchia, Thuringia
et Saxonia, ut vocant, superiori degunt, melioris
et pinguioris sortis, et vere ratione superiorum, liberi Frey
Bauren, qui libere agriculturam exercent, et successores habent,
et bona sua libere vendunt alioque se conferunt, nec quatenus ex
communi jure successionis tenentur nobilibus suis et dominis
qidquid faciunt, et non raro illos, si ultra conventionis
consuetudinisque leges quidquam ab illis exigunt, in jus vocant,
et longo sufflamine litis libertates suas tuentur» (A.
Fritschius, Tractat. de iure pagorum Germaniae, cap. VI,
§ 2, 3-15, De varia Rusticorum Germaniae conditione, pp.
non num., nr. 15 in particolare). Già Paolo Grossi indicò a suo
tempo con acuta lucidità l'area di riferimento e la categoria
dell'usus facti, come quella più utile a qualificare
tutte quelle situazioni in cui al di là dell'effettiva e
formale qualificazione d'esse in termini di titolarità
dominicale ne derivava tuttavia al soggetto una percezione
d'utilità, per c.d., para-dominicale (P. Grossi, Usus facti,
La nozione di poprietà nella inaugurazione dell'età nuova,
QF, 1972, 272 ss., ora in id., Il dominio e le cose, 123
ss., «Per la storia del pensiero giuridico moderno, 41»). Sul
punto del posssesso censitico si segnala da ultimo la
dissertazione di Andrea Landi, Itinerari dottrinali e pratici
in materia di censo nell'Usus modernus Pandectarum. Le
Dissertazioni accademiche De censibus (discussa in data 19
maggio 1997 nel quadro del IX ciclo del dottorato di ricerca in Storia
del diritto, delle Istituzioni e della Cultura giuridica
medievale, moderna e contemporanea, con sede amministrativa
presso lUniversità di Genova).
[73] Si legga l'apologia del possesso agricolo a base
familiare nelle pagine latine de bono communi di Eisermann
[Johannes Ferrarius Montanus] (Lib. VI, cap. VI, p. 101B ;
cito dall'ed. Basel, 1556 ; esemplare consultato : BSB,
2. Pol.g.22.5): «Et hercle pleraque sunt, quae rerum dominium
utile esse persuadent. In primis, quia diligentius
curantur : quandoquidem ad res nostras magis adficimur, quam
quae etiam sunt alienae : maxime quando ad liberos nostros
atque haeredes eas descensuras scimus. Quae et causa fuit, ut
bona beneficiaria, quae prius cum clientibus desinebant, demum in
posteritatem (filios puta, agnatos, et masculinam prosapiam)
devolvi, per Principem fuerit constitutum. Adeo rebus quae apud
nos mansuerunt praecipue oblectamur, et salvas esse cupimus.
Deinde natura docemur, illi gratias referre, quae de nobis est
meritus : quod de nostris bonis rectissime fiet. Nam de
alienis amicum velle devincire sibi, minus esset acceptum. Parum
enim liberalitas prae se ferret, manente etiam adagio : ex
aliena aure corrigias facile scindi».
[74] È quanto sostenuto in Johannes Goeddaeus, De
verborum et rerum significatione, in l. In conventionibus (D.50.16.219),
nr. 3, pp. 1149-50 (Commentarius repetitae praelectionis in
tit. XVI. libri L. Pandectarum de verborum et rerum
significatione, Ed. quinta, Herbornae Nassoviorum, Excudebat
Christophorus Corvinus, 1614 ; esemplare consultato :
BSB 8.rom.m.230).
[75] «
quid obstat, quo minus et illorum res
propria dici queat, et quidem fortassis tanto magis dum et nihil
fere praeter exiguum canonem et paucula interdum nulla servitia
cum jure recognitionis et spe reversionis reservatum in
emphyteutam vero et vasallum caeteroquin jus omne cum plenissima
utilitate et jure vindicandi rem contra ipsos quoque directos
dominios (!) titulo perpetuo translatum sit, adeo ut etiam
ratione thesauri a vasallo et emphyteuta inventi, is totus, aut
si inventio ab ipso domino facta sit illi tanquam extraneo, non
nisi dimidium cedat
?» (G. Frantzke, Variae
resolutiones, III. Vii, nr. 52, pp. 363 ss. ; allega a
sostegno : Heinrich v. Rosenthal, Synopsis feudalis,
5.93, nr. 2, per cui cfr. l'ed. Taurini 1616, 112).
[76] Un consilium di Matthäus Wesenbeck
interviene a decidere la questione insorta per il canone di
alcuni prati : «Nobiles volunt augere censum quorundam
pratorum quasi a se tantum elocatorum, quae vicini rustici iam
longissimo et ab immemoriali tempore pro uniforme canone hactenus
possederunt. Quaeritur, quid iuris?» (M. Wesenbeck, cons. 67, Utrum
bona praesumuntur censualia an conducta, lib. 2, coll.
165-74, 166 in particolare). Il risultato è una sorta di
riduzione del censo ad imposta, corrisposta in mèra
ricognizione del superiore ed eminente dominium-iurisdictio,
piuttosto che ad una prestazione d'altro tipo, assimilabile
magari ad una mèra tassa di riconoscimento dell'altrui
proprietà sui beni censitici. Abbastanza esplicite quelle che
Wesenbeck sintetizza ed espone come le proprie «Rationes
decidendi. His tamen non obstantibus restando cioè
indubitata la notoria e comprovata titolarità da parte dei
nobili del dominium--iurisdictio sui fondi (nnr.
2-5, coll. 166-7) pro rusticis possessoribus, qui iam ab
imemmorabili tempore haec prata sub uniformi canone possederunt,
puto concludendum et eos ab intentata actione judico absolvendos
esse. Nam ipsi potius ut indubitati possessores domini
praesumuntur
Et cum sine querela hactenus ibi pecudes suas
pastum duxerint, praesumuntur hoc jure sui dominij fecisse, non
servitutis, quoniam in alienum pascere non licet l. ult. C. de
lege Aquil. l. Quintus (rectius : D.9.2.39)
» (M. Wesenbeck, Tractatuum et responsorum, quae vulgo
consilia appellantur, pars prima et secunda, per Martinum Colerum
I.U.D. auctoris generum, Witebergae. Excudebat Laurentius
Seuberlich, anno 1601 ; esemplare consultato : BSB,
2°, Decis. 381.2).
[77] Jodocus Hackmann, Tractatus juridicus de jure
aggerum, von Teichen und Dämmen, und deren Gerechtigkeit, Stadae,
Literis Casparis Holweini, anno 1690 ; il frontespizio
dell'opera qualifica l'autore come «Stadensis, J.U.D. ac
Reip.patriae Pro-Consul, Consiliarius Provincialis et
Archidicasterii Regii in Ducatibus Bremensi et Verdensi
Assessor» (esemplare consultato : BSB, 4° J. Germ.
72 ; AGL, 2, 1305).
[78] J. Hackmann, De jure aggerum, cap. 11,
nnrr. 2-4, pp. 337-8.
[79] Unilluminante indicazione a indirizzare
lindagine in tale direzione quella della «prassi
inveterata che è divenuta schema mentale e vocabolario tecnico
nelle pagine dei giuristi» fu data per tempo già da
Paolo Grossi, che lucidamente insegnò a parlare del «dominio
utile come espressione della prassi giuridica» [id., La
categoria del dominio utile, 253 e 259 in particolare].
[80] Estor, 207, nr. 267 ; ne è segnalata, ivi,
la data di morte al 17 settembre 1670 ; AGL, 3, 488.
[81] David Mevius, Tractatus de pensionariis oder
Gründliche Erörterung der führnehmsten Controversien, welche
von Pacht- und Arrende-Contracten, zwischen Locatoren und
Conductoren bey zulegenden Liquidationibus entestehen können.
Anitzo wegen der Materie täglich pacticablen Nutzbarkeit von
neuen wieder aufgelegt und mit einem Indice verbessert,
Stude, verlegt und anzutreffen bey Ernesto Gohlen, Buchändler
hieselbst, Anno 1675 [Halle 1675] ; esemplare
consultato : BSB, 4° Diss. 8/1714 .
[82] D. Mevius, De pensionariis, quaest. II, nr.
1, p. 50.
[83] Allgemeines Juristisches Oraculum, oder des
Heil. Römisch-Teutschen Reichs, nach denen im Corpore iuris
civilis romani befindlichen Büchern und Titeln derer Pandecten,
auch dahin zugleich in Institutionibus, Codice und Novellen
einschlagenden Materien,
Responsa, Consilia, Decisiones,
enunciata, observationes so wohl in den höchsten Reichs- als
andern Gerichten entworfene Relationes, und brauchbare Actiones
mit deren Rechts-Formeln prachtisch erläutert
, Die
Hochteutsche Rechtsgelehrte Societät, Sechszehnder Band, Leipzig
1754, in Verlag Johann Samuel Heinsii sel. Herben (esemplare
consultato : LWI).
[84] Allgemeines Juristisches Oraculum, cit.,
dec. CCCLX, Wie Erbzins-Güter von Zins- und Laß
Gütern unterschieden sind?, pag. 661.
[85] Della cui generalizzata diffusione ci dice
l'Estor : «Nihil fere magis obvium in foro est, nihil
tribunalia iudicum frequentius exercet, et calamos advocatorum
saepius fatigat, quam creberrimae, eaeque gravissimae rusticarum
aut cum territorii dominis lites, aut cum nobilibus, tam mediatis
quam immediatis, de praestandis operis exortae controversiae.
enim rustici quaeruntur de nimiis operis et
incredulitatetm domini, indeterminatas operas exigentis,
debacchantur» [I. G. Estor, in : Melch. Dethm[ar] Grolmann,
De operarum debitarum mutatione dissertationum triga,
Praefationem de praesumptione contra rusticos in causis operarum
harumque redemptione licita adiecit Io. Georg Estor, Giessae,
apud Eberhard H. Lammers Acad. Typogr., Band 1, 1734 Nachdr. d.
Ausg. 1707 (esemplare consultato : BSB, 4.° Diss. 198.6),
§ 1, p. 4].
[86] Può essere interessante, al riguardo, considerare
anche l'opera di un funzionario d'apparato, il Vizekanzler
David Georg Struben (1694-1775), che intraprende un tentativo di
definizione di un particolare tipo di contractus villicalis, quello
di Mayer (D. G. Struben, Commentatio de jure villicorum
vulgo von Meyer-Recht
, Hildesiae 1735, cap. 2, §§
5-8 ) : l'autore, che è inequivocamente schierato a
tutelare l'integrità del dominium eminens (§ III, p.
39 : «non deprehendo dominii particulam in villicos
translatam
ergo ponitur villicum esse conductorem
» ; cfr. soprattutto § XI, p. 57), deve tuttavia
ammettere a malincuore : «non tamen abnuo, jam olim fuisse
etiam colonos, qui hereditario et reali iure gauderent, Erben-Zinß-Leute.
Penuria servorum, et agri sterilitas, aut nimia abundantia
nonnunquam adegit dominos, pinguiores conditiones stipulari
colonis. Praesertim qui terras primi ad culturam redegerunt,
perpetuum jus adepti sunt saepius
».
[87] Per cui dominium e proprietas sono
senzaltro sinonimi e significano, a partire almeno dalla
tarda età repubblicana, la completa signoria sulla cosa (Max
Kaser, Eigentum und Besitz im älteren römischen Recht, 2.
Aufl., Köln u. Graz 1956, § 37 Dominium und Proprietas).
[88] Cfr., supra, alla nt. 40.
[89] Hecker, 30 ss. in particolare (Die Dogmatik des
Eigentums).
[90] Baldo degli Ubaldi, cons. 317, Factum, lib.
I, sine nr. (ed. Venetiis 1491, Angelo e Jacopo de
Britannici, fo. non nr. ma 130 r ab, H* 2329, IGI 9930; le
edizioni più tarde, ad es. quella Venetiis 1575, rist. an.
Torino 1970, recano il consilium come nr. 119 del lib. 3).
[91] Cfr., supra, alla nt. 40.
[92] È la via che si batterà ancóra con
prospettiva giudiziaria, ma anche con pretese di sistemazione
categorica da parte di certi autori del Diritto Comune del
crepuscolo che, in piena stagione codificatoria, introdurranno
l'istituto della proprietà presunta come momento di integrazione
complessiva delle diversificate situazioni reali di possesio
titulata entro l'omogenea categoria pandettaria del dominium
[F. Del Rosso, Saggio di diritto privato romano attuale
preceduto da introduzioni di diritto naturale e seguìto da note
perpetue di Gius romano, I/II, Pisa 1844, § 181, 105 ss. Sul
Del Rosso, cfr. ora F. Alunno, Federigo Del Rosso. un giurista
leopoldino tra Antico Regime ed età della Restaurazione,
già in BSP, 1995 (LXIV), 193 ss., ora anche disponibile in rete,
all'indirizzo http ://www.idr.unipi.it/iura-communia/al-delrosso.html].