Giorgio Zordan
In ricordo di
Adriano Cavanna
(6 agosto 1938 6
gennaio 2002)
Commemorazione tenuta il 21
febbraio 2002
durante la seduta del
Consiglio di Facoltà
di Giurisprudenza
dellUniversità degli
Studi di Padova
Stroncato da un male che in troppi casi ancora siamo costretti a
chiamare incurabile, il 6 gennaio scorso si è spento nella sua
casa milanese Adriano Cavanna. Allo sconforto indicibile della
moglie Annamaria e della figlia Benedetta ha fatto subito eco il
cordoglio unanime della comunità degli storici del diritto per
la perdita, repentina e prematura, di uno dei suoi componenti
più autorevoli.
La facoltà di Giurisprudenza dellUniversità di Padova
ovEgli ebbe ad insegnare, sia pure in altra stagione, quale
professore dapprima straordinario e quindi ordinario, ha
giudicato doveroso ricordarlo a quanti lo conobbero personalmente
e a quanti sono venuti dopo; chi inoltre si assumerà ora il
compito di richiamarne brevemente la memoria ha ritenuto
opportuno farlo in questa sede, sine
strepitu; rendendogli sommessa
testimonianza, tra colleghi e rappresentanti degli studenti,
prima di iniziare la trattazione dellodierno ordine del
giorno: lunico modo, forse, che non sarebbe del tutto
spiaciuto a unindole schiva come la sua. Ad altri il
compito di commemorarlo ufficialmente, in sedi più
istituzionali, con discorsi anche scientificamente più elevati e
miglior cognizione di causa.
Nato ad Alessandria in Piemonte il 6 agosto 1938, dopo gli studi
classici Adriano Cavanna si iscrisse alla facoltà di
Giurisprudenza dellUniversità di Pavia ove si laureò, nel
1962, con una tesi intorno agli Statuti di Vercelli, relatore
Giulio Vismara. Forgiandosi, dunque, alla scuola esigente e
severa di tale Maestro, Egli iniziò la gavetta accademica sempre
a Pavia nel modo più tradizionale, ma con risultati scientifici
subito considerevoli: assistente volontario nel 1963, assistente
ordinario dal 1964, il servizio militare, una breve parentesi
dedicata allinsegnamento storico-filosofico negli Istituti
superiori, poi il duro lavoro per condurre a termine il primo
volume monografico. Fara sala arimannia nella
storia di un vico longobardo (1967) lo fece
subito conoscere al mondo scientifico non solo nazionale,
attirandogli numerosi consensi e qualche critica, ragionevole e
ragionata, comè logico che sia per chi sa esporre non solo
fatti ma anche idee, per lo più personalissime e stimolanti
(rimase memorabile una annosa controversia con Giovanni Tabacco).
In tempi in cui, per dirla maliziosamente con Arturo Carlo
Jemolo, la storia del diritto finiva con la scoperta
dellAmerica, durante i quali intendo il
moderno era ancora un campo scarsamente arato ad
opera di uno sparuto manipolo di cultori della disciplina, non
sorprende che Cavanna nasca alla scienza come
longobardo, ovvero che gli originari interessi siano
stati prevalentemente medievistici. Allo stesso periodo
dellassistentato si riconducono infatti altri due saggi, di
notevole spessore, concernenti letà di mezzo, da cui
risultano palesi laffinamento filologico, lacribia,
la rigorosa logica giuridica dellAutore: Nuovi
problemi intorno alle fonti dellEditto di Rotari (1968);
Il problema delle origini del tentativo nella
storia del diritto italiano (1970). Al
medioevo tornerà di quando in quando anche più avanti nel
tempo. Ma ben può definirsi, quello, un amore giovanile che, nel
giro di alcuni anni (1968-1971), gli fece conseguire la libera
docenza e quindi lidoneità nel concorso a cattedra.
Già incaricato dellinsegnamento della Storia del diritto
italiano nellUniversità di Genova, dalla.a. 1972/73
lo troviamo professore straordinario nellUniversità
Statale di Milano; componente, fra laltro, del Comitato
scientifico per listituzione della Facoltà di Scienze
politiche. Di quellesperienza serbò un ricordo alquanto
sgradevole. Erano tempi duri: gli anni della contestazione
giovanile avevano già assunto i colori lividi del piombo. Chiese
il trasferimento del ruolo presso lUniversità di Trieste,
ma lo mantenne per pochi mesi del 1974 ed eccolo, dal 1°
novembre di quellanno, in Padova, ove fissò anche la
residenza, chiamato a succedere a Carlo Guido Mor giunto al
termine naturale della propria attività didattica.
Cavanna amava ripetere (e lasciò anche scritto) che
lanziano Maestro milanese gli aveva significato le
motivazioni che lo spingevano a indicare alla Facoltà proprio in
quel giovane collega la persona più idonea alla successione con
una battuta delle sue. Gli avrebbe detto: «Come storico del
diritto non chiamerei mai te al mio posto: ti occupi di età
moderna e hai dimenticato il Medioevo. Ma come alpinista che va
in Valsesia e sul Rosa devo scegliere te». E Adriano chiosava:
«tra noi due, quel giorno, nella lontana Padova, quei nomi
creavano unintesa e quasi una sorta di complicità per
tutto ciò che di iniziatico essi evocavano» (Carlo
Guido Mor e la Valsesia medievale, 1992).
Alle arrampicate, possibilmente settimanali, sopra le
sue montagne non rinunciò mai, sin quasi
allepilogo. Erano attività fisica, coraggiosa e spesso
solitaria, erano esigenza spirituale, ancor meglio:
rappresentazione efficace di uno studioso e di un docente che,
pur dedicandosi con solerzia e slancio alla ricerca ed
allinsegnamento, mai avrebbe inteso esaurire in tutto ciò
i propri interessi e la propria vita. La natura aspra e forte del
paesaggio alpino non suoni retorico aveva temprato
luomo e luomo, scrittore di razza per doti innate
rilevantissime, divenuto storico del diritto per scelta
professionale, traeva particolare forza espressiva allorché gli
accadeva di inserire un qualsiasi evento storico in un contesto
ambientale a lui familiare per lunga frequentazione. Si scorrano,
per averne conferma, le pagine de Il Patto di
Torre. Febbraio 1182. Gli antecedenti e la formazione della
comunità di Val Blenio (1982), vergate a
quattro mani con Giulio Vismara; ci si soffermi sul suo incipit
felicissimo: «Quando il Ticino comincia a scorrere
nellaltopiano di Bellinzona, è già carico di storia e di
leggenda. Sono le memorie e i miti millenari delle valli alpine
del Sopraceneri che esso porta con sé»; oppure si sfogli il
più recente volume Ticino medievale. Storia
di una terra lombarda (1990), scritto sempre
con Giulio e con Paola Vismara. Di certo a Padova quei monti gli
mancarono parecchio.
Mor non sbagliava neppure nellaccusa, bonaria e scherzosa,
di
alto tradimento al Medioevo. Sapeva infatti, avendo
ascoltato nel 1973 una sua relazione prodromica, presentata al
terzo Congresso internazionale della Società italiana di Storia
del diritto svoltosi a Firenze, che Cavanna stava ormai
concludendo la stesura del libro che, di lì a poco, gli avrebbe
fatto conseguire lordinariato: La
codificazione penale in Italia. Le origini lombarde
(1975). Lampio, documentatissimo lavoro riguardava le
vicende storiche e il contenuto giuridico di un progetto
settecentesco di codice penale per la Lombardia austriaca, sino
ad allora affatto ignoto, ne dava ledizione e, in buona
sostanza, proiettava lAutore fra i massimi esperti di
protostoria e di storia delle codificazioni nonché, più in
generale, della cultura giuridica europea innervata in quei
turbinosi decenni posti a cavallo tra Sette e Ottocento.
La Facoltà patavina cooptò ed imparò a conoscere uno studioso
già scientificamente affermato, ma che certo non aveva ancora
espresso il meglio di sè: una persona dal tratto aristocratico,
cortese e riservato a un tempo, non facile alla confidenza ed
allamicizia immediata, al punto che taluno poteva ritenerlo
algido ed un poco scostante. Fu con buona
approssimazione un pessimista arguto, dedito talora al più
cupo (e pertanto risibile) catastrofismo. Volle e seppe mantenere
per tutta la vita un distacco olimpico nei confronti di
qualsivoglia camarilla accademica: quanti pranzi congressuali
consumati, noi due assieme, a tavoli defilati nel tentativo,
talora vano, di sottrarci persino allascolto di immancabili
affabulazioni tattiche o strategiche in vista di sempre imminenti
concorsi! Si spiega anche così il rifiuto, convinto e pervicace,
di far scuola, di circondarsi di allievi da avviare, a loro
volta, alla carriera universitaria: troppa responsabilità
diceva troppi compromessi. Poi (ma in anni recenti)
capitolò, non tanto perché Egli avesse avuto accesso da tempo
alla stanza dei bottoni, ma perché finalmente la sua
vita aveva incrociato qualcuno sul quale puntare e per il quale
valeva la pena di mettersi in gioco.
Neppure quelli padovani (poco più di un lustro), politicamente
parlando, si mostravano anni facili: gli toccò in sorte
avventurata, ad esempio, essere uno dei primi a soccorrere sotto
casa, in via dei Rogati, Angelo Ventura fatto bersaglio
dellattenzione cruenta degli Autonomi di turno.
Cionondimeno, tra le pareti domestiche o quelle sufficientemente
ovattate del Bo, furono anni di grande impegno intellettuale e di
grande produttività. Raggiunto lordinariato, confidò agli
intimi che finalmente si sentiva libero di scrivere quel che
voleva e come voleva. Esclusi improbabili propositi
eversivi o stravaganze di sorta, ferme cioè restando la
scientificità e la robustezza dei temi affrontati, questo
significò sottrarsi definitivamente ad un linguaggio austero e
paludato, il solo politicamente corretto per gli immancabili
benpensanti che, di norma, affollano le commissioni giudicatrici
e dare libero corso alla propria vivacissima vena scrittoria: la
prosa si sarebbe fatta più efficace ed incisiva, il gusto per la
metafora e per liperbole più accentuato vuoi per autentico
diletto personale, vuoi per rendere i concetti espressi più
icastici, vuoi per offrire una lettura complessiva più
accattivante e sapida.
Le prime avvisaglie di questo mutamento di stile si colgono
appieno nellopera (tutta geneticamente legata alla città
del Santo) che più gli darà lustro e lo renderà noto, oltre ai
soliti addetti ai lavori, a schiere di studenti iscritti a vari
Atenei italiani. Convinto in cuor suo che «Le venerande, ma
metodologicamente datate trattazioni generali di storia del
diritto italiano, per altro costruite anchesse secondo un
prevalente interesse medievistico, erano inutilizzabili», con
baldanza ancora affatto giovanile e vincendo «la soggezione per
la grande Patristica della storiografia giuridica», si cimentò
a redigere un nuovo manuale, ovvero il testo che «per
lidentità peculiare dei suoi destinatari, costituisce il
paradigma in assoluto del compito più alto delleducazione
universitaria». I tempi di stesura ebbero del prodigioso: una
prima edizione provvisoria, progressivamente ampliata, uscì, per
i tipi della CLEUP, tra il 1977 ed il 1978; Giuffrè pubblicò
nel 1979 ledizione definitiva: Storia
del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico.
Nel manuale, dedicato a Giulio Vismara, si segue «una direttiva
privilegiata: quella della storia della giurisprudenza (che è
come dire storia della cultura giuridica, storia delle operazioni
intellettuali dei giuristi e dei loro prodotti, o addirittura
storia dellesperienza giuridica)». La scelta è modernista
e rifiuta una visione italocentrica ormai angusta e obsoleta, ma
non può certo prescindere da un appoggio sui precedenti
medievali, a partire dal XII secolo: «il grande secolo decisivo
per le sorti della tradizione giuridica occidentale e della
scienza moderna del diritto». Vi si ragiona di ius
commune e degli sforzi secolari operati dal
giusnaturalismo e dal razionalismo giuridico per superarne il
sistema, ovvero il particolarismo giuridico da esso prodotto,
onde ottenere un corpus
normativo completo ed autosufficiente a destinatario unico. En
attendant Godot, verrebbe da commentare: in
attesa del codice, o meglio, dei codici. Di questi si sarebbe
occupato il secondo volume alla cui redazione lAutore si
dedicherà, tra mille altri impegni scientifici, tra periodi di
entusiasmo ed attimi di scoramento, negli anni a venire,
giungendo quasi al termine di un lavoro più volte annunciato e
da più parti atteso. Mors omnia solvit:
mi auguro sinceramente che non sia così per questo figlio non
nato.
Del suo manuale Cavanna, senza falsa modestia, andò fiero. In
occasione di un incontro di studio organizzato da Paolo Grossi a
Firenze nel novembre 1992 su Linsegnamento
della storia del diritto medievale e moderno,
a circa quindici anni dalla prima uscita alle stampe, ne traeva
un bilancio, tutto sommato, positivo: «più di una vela è
lacera, più di un pennone è spezzato. Il fasciame tiene. Un
po di soggiorno in cantiere per il rattoppo delle avarie
non nuocerebbe
Ciò che per ora non cambierei è appunto la
struttura portante del vascello. Né cambierei la rotta che egli
segue» (Problemi e prospettive
dellinsegnamento in Italia. Quale «Manuale» per quale
storia del diritto, 1993).
Egli stesso, poco oltre, decrittando quellultimo suadente
traslato, parlava di progetto educativo e cioè di messaggio
pedagogico, ben enunciato nelle Premesse introduttive del volume
e consonante con quanto esposto in un lavoro pressoché coevo: Il
ruolo del giurista nelletà del diritto comune
(Unoccasione di riflessione sullidentità del
giurista di oggi) (1978). Il manuale
intendeva (e intende) focalizzare una particolare immagine di
giurista da proporre come modello ai lettori, ovvero a giovani
che stanno maturando la loro formazione giuridica in ambito
universitario. Larchetipo è quello di un uomo di legge
«che si sente chiamato in quanto tale ad una qualche
progettazione
un giurista colto
affrancato senza
complessi dalle illusioni formalistiche», sempre in equilibrio
tra il bisogno di rivendicare la legittimità delle valutazioni
etico-politiche operate dallinterprete e la necessità di
riconoscere il primato ontologico del diritto.
Per motivi strettamente familiari, tra il 1979 ed il 1980,
Cavanna maturò il desiderio di lasciare il Veneto e ricondursi
in Lombardia. Chiamato per trasferimento dalla Facoltà di
Giurisprudenza dellUniversità Sacro Cuore di Milano, dal
1° novembre 1980 succedette a Ugo Nicolini collocato fuori
ruolo. Da quella cattedra prestigiosa Egli continuò ad elargire
il suo magistero, affiancando allinsegnamento della Storia
del diritto italiano quello di Esegesi delle fonti del diritto
italiano, sino ai nostri giorni. Linvito a passare alla
Statale sempre di Milano, una volta conclusasi la docenza di
Giulio Vismara, non gli parve, infatti, proposta allettante. Sia
pur rammaricato di deludere lantico Maestro, non se la
sentì di entrare in un ingranaggio che, per quanto oliatissimo,
avrebbe potuto comprimere il suo anelito alla piena autonomia.
Di Padova e, soprattutto, della nostra Facoltà serbò sempre un
ricordo vivido e, per molti aspetti, nostalgico.
Poco è lecito dire, in questa sede, intorno al ventennio
milanese: il tempo della piena maturità scientifica.
Bastino, a lasciarne intuire il fervore e i principali temi di
interesse (già, peraltro, pocanzi cennati), i titoli dei
lavori più significativi, iniziando da La
codificazione del diritto nella Lombardia austriaca
(1982), cui seguiranno, a cadenze ravvicinate, La
storia del diritto moderno (secoli XVI-XVIII) nella più recente
storiografia italiana (1983); La
giustizia penale nella Milano del Settecento (unoccasione
di riflessione sulla preistoria dei diritti
delluomo) (1989 e 1990); Giudici
e leggi a Milano nelletà del Beccaria
(1990); Influenze francesi e continuità di
aperture europee nella cultura giuridica dellItalia
dellOttocento (1994 in lingua
francese, 2000 e 2001 in lingua italiana); Onora
il padre. Storia dellart. 315 c.c. (ovvero: il ritorno del
flautista di Hamelin), 1994 e 1995); Codificazione
del diritto italiano e imperialismo giuridico francese nella
Milano napoleonica. Giuseppe Luosi e il diritto penale (1996
e 2000); Mito e destini del «Code
Napoléon» in Italia. Riflessioni in margine al «Panegirico a
Napoleone legislatore» di Pietro Giordani
(1998); La coscienza del giudice
nello stylus iudicandi del
Senato di Milano (1999); Da
Maria Teresa a Bonaparte: il lungo viaggio di Pietro Verri
(1999 e 2001) e molto altro dovrà essere pubblicato postumo.
Tornò unultima volta nella nostra Facoltà il 18 ottobre
2000: pur a lungo riluttante per motivi forse comprensibili,
cedette infine alle amichevoli, iterate insistenze del preside
Alberto Burdese affinché tenesse la lectio
prima per linauguranda sede di
Treviso. Intrattenne il vasto uditorio, composto in prevalenza da
giovani neoiscritti, su Nascita delle
Università e diffusione di un sapere giuridico europeo.
Riuscì davvero brillante lectio magistralis.
Al termine della cerimonia, a un tempo solenne e festosa,
congedatosi dalle autorità e dai colleghi, si avviò
alluscita senza nullaltro attendere o aspettarsi. A
piedi, lo accompagnai in stazione.
Adriano Cavanna fu un uomo di vastissima cultura, probo e giusto.
Fu un galantuomo e un gentiluomo dantico stampo. Fu,
soprattutto, uno spirito illuminato e libero. Ai familiari ed
agli amici più intimi rimane vivo nel ricordo di parole e gesti
quotidiani; per i sodali di disciplina è pur sempre presente nei
suoi scritti; agli studenti continua ad insegnare la storia del
diritto attraverso il suo manuale padovano; con chi
ne ha testè delineato un pallido profilo intesserà un dialogo
duraturo attraverso quelleffigie fotografica con cui mi
accingo troppo presto davvero! ad arricchire nel mio
studio la galleria di Auctoritates
alle quali, indegnamente, succedo.
Giorgio Zordan
Progetto grafico a cura di
Silvia Gasparini
© Giorgio Zordan 2002