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di un articolo destinato a comparire negli "Studi in onore di Piero Bellini", attualmente in corso di stampa:Processi di ‘standardizzazione’ testuale:
Sommario:-1) Occasione di questa scheda di riflessioni-2) Alle origini di una tecnica scrittoria. Passaggio dalla prassi erudita e cortigiana alla retorica ecclesiastica-3) Dalla centonizzazione alla scrittura abbreviata-4) Àmbiti scrittori e cerchie di lettura: il testo abbreviato è un prodotto interno ad un gruppo di lettori professionali-5) I lettori come socii: per le scritture standardizzate un processo capovolto di produzione testuale-6) Un primo inventario lessicografico, in traccia di un’antonomasia-7) Il bacino d’utenza della pratica professionale
1) Occasione di questa scheda di riflessioni
Come molti sanno, è possibile trovare con una certa frequenza tra le opere della produzione letteraria e scientifica di età basso medievale dei componimenti intitolati con il nome di margarita. Almeno a prima vista, tuttavia, non pare sia altrettanto agevole cogliere, nel variegato ricorrere di un simile modo onomastico, un filo unitario che individui al suo interno un nucleo credibile e significativo di omogeneità tipologica: si sa per esperienza che la margarita è un’opera di carattere al tempo stesso antologico e monografico, ma si intuisce anche quasi subito che non ci si possono porre al riguardo molte domande in più.
Se si passano infatti in una rassegna anche superficiale i cataloghi delle biblioteche ed i repertori bibliografici a noi oggi disponibili, se ne ritrae l’impressione che l’impiego da parte degli autori di tale stile di intitolazione fosse rimesso non tanto all’applicazione d’un rigoroso canone scolastico o d’una norma di compilazione altrettanto stretta, quanto all’apparente, casuale capriccio d’una scelta forse soltanto estetica, certo essenzialmente arbitraria.
Per tale via pare insomma assodarsi soltanto che con il termine margarita non può individuarsi un’opera fornita di una peculiare regola di pertinenza disciplinare o di una propria specifica destinazione funzionale: si trovano infatti i tipi più vari di margaritae, sicché nel tempo si passa da compilazioni che sono state redatte sotto tal denominazione in materia di teologia(1) e di devozione(2), a scritti di filosofia e medicina(3), naturalmente a testi giuridici, e poi anche a veri e propri componimenti di aneddotica letteraria(4) o, comunque, di cultura grammaticale(5) o retorico-poetica(6), ed infine a scritti della prassi cancelleresca(7) – tutti indifferentemente contrassegnati dalla denominazione di margarita, appósta nel corpo del titolo, e variamente integrata a sua volta da indicazioni concorrenti e aggiuntive in ordine al contenuto del testo che appunto si raccoglie ed espone in tal forma.
In àmbito giuridico in particolare, una delle prime compilazioni a recare autonomamente ed in maniera significativa una simile intitolazione è la Margarita feudorum di Dullio Gambarini: uno scritto tuttora inedito(8), di probabile età ed ambiente angioini(9), su cui – dopo una sommaria scheda di Enrico Besta(10) – avevano per tempo richiamato l’attenzione con maggiore precisione sia Hermann(11), sia Ernst Kantorowicz(12) e che, dopo i primi significativi lumi che in Italia furono apportati alla figura del suo autore da Giuliana d’Amelio(13), fino ad oggi è nondimeno rimasto sostanzialmente oscuro, noto soltanto per pochi e sporadici accenni della dottrina storico-giuridica(14).
Proprio il proemio di tale opera(15), sia per il tono complessivo della pur ridotta elocuzione che lo introduce, sia anche per l’uso antonomastico del nomen ‘margarita’ che lo caratterizza, lascia tuttavia intendere come le opere così intitolate avessero ormai acquisito presso i lettori una loro complessiva riconoscibilità formale, e che al loro interno fossero attivi i modelli retorici e gli standards compositivi di una prassi scrittoria già consolidata e rispondente ad una precisa domanda di consumo presente nel pubblico letterario.
2) Alle origini di una tecnica scrittoria. Passaggio dalla prassi erudita e cortigiana alla retorica ecclesiastica
Quando si ha a che fare con una margarita – qualunque sia il campo disciplinare di sua afferenza –, si ha infatti netta la sensazione di trovarsi in presenza di un prodotto specifico e particolare, destinato ad un commercio lettorio estremamente qualificato e distinto, tipico di quella Hilfsliteratur(16) che si consumava prevalentemente all’interno delle cerchie professionali e di mestiere.
In sostanza, l’autore di una margarita mirava soprattutto alla realizzazione di un Nebentext(17) da affiancare in posizione servente ed ausiliaria ad un testo autoritativo principale, al fine di renderne più facile al lettore la consultazione, l’apprendimento, l’applicazione. Essa era dunque una sorta di testo di seconda istanza, compilato e redatto con i materiali di riporto prodotti dall’opera di semplificazione espositiva e di sintesi esercitata su un altro preesistente testo.
Per la verità, la pratica di incastonare – al modo appunto di una sequenza di perle e di pietre preziose – in un’unica serie espositiva elementi di prosa notevoli raccolti cursivamente in testi di più antica confezione è senz’altro molto risalente(18) ed ha origini letterarie assai lontane: essa, infatti, risale con ogni probabilità allo stile retorico di certa produzione altomedievale – soprattutto di cancelleria e di corte –, che trovò nella centonizzazione(19) allegorica di mirabilia ed esempi di vita virtuosa la base compositiva di una tecnica narrativa che è stata definita di stampo manieristico(20), e fu essenzialmente destinata all’elaborazione di testi panegirici di santi o di potenti(21), ovvero alla stesura di laudes civitatum(22).
3) Dalla centonizzazione alla scrittura abbreviata
Ne deriva nel tempo un tipo letterario dalle caratteristiche piuttosto sfuggenti e dalla regola di composizione non precisamente determinata – forse, come già s’è detto, più un modo tradizionale e tralatizio(23) di denominazione, che non un tipo compositivo vero e proprio –, il quale riunisce talvolta sotto il nome di una pietra preziosa o, comunque, di un gioiello (di volta in volta ‘gemma’, ‘margarita’, etc.) una centonizzazione concettuale, di struttura genericamente descrittiva e narrativa: con essa si mira in sostanza ad esporre in serie tematica una scelta dei migliori dati testuali che è stato possibile reperire e raccogliere su un soggetto determinato(24).
Il nome stesso di ‘centone’ evoca – come ben si sa – l’immagine di un multicolore "patchwork" (25) che, appunto come una coperta fiorita di exempla e di citazioni letterarie, tesse la sua trama narrativa collegando in un’unica superficie espositiva frammenti, immagini e fiori retorici di varia provenienza ed autore.
È forse possibile ipotizzare l’esistenza di un legame tra simili, più antichi processi di centonizzazione e di composizione letteraria per via di assemblaggio di frammenti di disparata provenienza, ed il successivo svilupparsi di forme di organizzazione testuale del tipo della ‘margarita’ o, più in generale, di tecniche di scrittura abbreviata.
Ed il punto conseguente è quindi quello di chiedersi come una simile metodica sia potuta pervenire nel tempo agli usi della scrittura prima teologica, poi anche giuridica: come dalle centonizzazioni auliche e devote di carattere essenzialmente celebrativo ed agiografico si possa essere passati infine alla redazione di prodotti di cernita ed organizzazione testuale, destinati essenzialmente al mondo della pratica, sia didattica, sia anche giuridica – come dall’opus musivum, meramente narrativo e descrittivo, di cui già parlava il Viscardi(26), si sia potuti transitare infine al complesso reticolato logico ed alla più raffinata tessitura razionale delle centonizzazioni e dei florilegi addetti ad un uso specializzato e particolare non solo di sintesi, ma anche di applicazione concreta di un determinato sistema testuale ai casi della pratica(27).
Forse, per tentare di soddisfare una simile curiosità, potrà ora essere utile riflettere almeno per un attimo sui meccanismi retorici che presiedono al funzionamento di questi strumenti di elaborazione testuale, giacché una simile operazione può tornare utile per intendere più a fondo i motivi della successiva fortuna di tali modi di scrittura abbreviata e di standardizzazione testuale anche in campo giuridico.
4) Àmbiti scrittori e cerchie di lettura: iltesto abbreviato è un prodotto interno ad un gruppo di lettori professionali
A dire il vero, l’analisi dei prodotti di una simile attitudine scrittoria riguarda non soltanto l’elaborazione di tipologie compilatorie minori – se non addirittura minime – come quello delle margaritae e delle gemmae: essa individua piuttosto il profilo costitutivo di un complessivo, consapevole atteggiamento scrittorio che nel tempo matura dapprima soprattutto in àmbito ecclesiastico, e trasforma il momento della lectura nel capitolo iniziale di un articolato processo di compilazione testuale. Il testo abbreviato diviene insomma il sedimento scrittorio dell’opera preliminare di apprendimento e di comprensione di un certo complesso testuale e della sua successiva semplificazione per via di scrittura a fini didattici e memorativi(28).
È questo un percorso che, se passa per le margaritae, accenna anche da lontano agli itinerari di scrittura che son stati per tempo battuti da molti compilatori di àmbito ecclesiastico, per cui sovente la breviatio semplificativa da loro realizzata in sede di lettura di un testo o di un complesso di testi canonici ha generato poi l’ordito di scrittura di un nuovo dettato, che si candidava in tal modo a diventare anch’esso autonoma sede autoritativa(29).
A ben vedere, infatti, la caratteristica più evidente che pare accomunare questi differenti metodi compilatori – la centonizzazione dapprima, le tecniche di compilazione attive in àmbito canonistico più tardi – sta in primo luogo nelle forme e poi nel loro obbiettivo: in tutti e due i casi ci si trova in presenza di scritture estratte da altre scritture ed ambedue tali scritture, poi, sono geneticamente indirizzate ad un pubblico selezionato di lettori.
La stessa tecnica della centonizzazione palesa difatti già in origine una propria naturale vocazione per così dire d’élite, qualificandosi quasi sùbito per necessità di cose come una forma scrittoria estremamente selettiva e ristretta nella propria destinazione d’uso, condizionata inevitabilmente e naturalmente nella propria diffusione dalle ridotte attitudini culturali di una società come quella altomedievale che era – come ben si sa – sostanzialmente analfabeta(30), ed al cui interno soltanto una sparuta cerchia di persone aveva accesso diretto ai testi prodotti per uso di lettura.
Una scrittura per pochi, che era tuttavia suscettibile di numerosi e proficui impieghi pratici. Difatti, anche se l’utenza immediata e diretta del testo in tal modo assemblato per via di centoni era quindi assai ridotta e limitata, i destinatari mediati e indiretti del messaggio retorico in esso contenuto parevano essere al contrario ben più numerosi: essi costituivano infatti l’uditorio(31) più vasto di una vera e propria Prunkrede – come è stato efficacemente sostenuto(32) –, che si imbastiva sulla base di quelle stesse elaborazioni testuali, e veniva di volta in volta addetta a nobilitare e decorare di fiori retorici e prestigiose citazioni classiche la genealogia di nobili famiglie di potenti, ovvero a rafforzare di accenti letterari ed a colorire di compunti ed accorati toni devoti l’ordito ispirato e suggestivo di minuziose narrazioni agiografiche.
La centonizzazione funzionava come un compendio di argomenti e tøpoi narrativi e retorici: essa serviva insomma a fornire materiale prestigioso ed autorevole per la narrazione di un mito, ed a proporlo nella sua veste più seducente non solo alla cerchia ristretta dei suoi lettori diretti, ma anche al pubblico più vasto di coloro che ne avrebbero percepito poi per via orale, attraverso prediche, concioni o narrazioni, il racconto e la favolosa esposizione. Essa era, infatti, soprattutto strumento di celebrazione e, quindi, alla lunga anche di propaganda.
Già all’origine, quindi, il meccanismo di efficacia di tale tecnica compositiva si svolgeva articolandosi in due distinti livelli di utilità. In primo luogo, infatti, il testo di centonizzazione era immediatamente percepito e – come si dice ancóra da taluno con termine ormai logoro – direttamente "fruito" dalla élite dei lettori ; in secondo luogo, poi, il contenuto di tale prodotto di sintesi trovava ulteriore divulgazione per via diversa da quella della scrittura presso l’uditorio più vasto e meno selezionato del pubblico dei non lettori.
I prodotti elaborati con tale metodo si destinavano insomma all’uso lettorio di poche persone(33), ma consentivano tuttavia – sviluppando un meccanismo moltiplicatore di natura squisitamente retorica – di amplificare la risonanza del proprio contenuto presso un pubblico ed in relazione ad un numero differenziato di casi in realtà estremamente più vasto di quello da essi immediatamente attinto. Quel tipo particolare di scrittura abbreviata – che solo più tardi si sarebbe legato alle denominazioni retoriche del genere "margarita" e "gemma" – serviva in fin dei conti già all’origine non tanto e non solo a produrre un testo, ma soprattutto a generare nel tempo ed a seconda delle circostanze ‘occasioni narrative’ e ‘casi espositivi’. Essa si atteggiava insomma come un meccanismo testuale atto a raccordare di volta in volta un determinato e preesistente sistema di tøpoi retorici alle necessità ed alle occorrenze delle più disparate contingenze di fatto(34).
Era indubbiamente uno strumento versatile e ricco di numerose possibili applicazioni, che pareva naturalmente destinato ad una singolare fortuna soprattutto in àmbito ecclesiastico, se non altro per le risorse di divulgazione e di propaganda da esso offerte: non c’è quindi da stupirsi, se tale procedura compositiva, che pure fu essenzialmente laica e secolare all’origine, pervenne poi appunto all’uso ecclesiastico, specializzandosi nel tempo sotto il profilo culturale e – si potrebbe forse anche dire – ideologico, tanto da allontanarsi sempre più nei suoi contenuti dalla primitiva "Kreuzung von Panegyricus und Epos" (35) che inizialmente l’aveva caratterizzata.
Essa cessò dunque ben presto dal fiorito gioco profano e letterario, che era stato tipico delle proprie origini, per riconcentrarsi invece sul filo più sommesso e scabro(36) di una retorica di origine devota e religiosa, in cui la centonizzazione e la silloge dei tøpoi dell’allegoresi evangelica, biblica e teologica(37) non serviva soltanto a porre a disposizione dei flores retorici utili per la semplice confezione testuale(38), ma s’avviava piuttosto a fornire la giustificazione e la ratio strumentale di una lettura critica e selettiva – e, perciò, alla lunga certamente anche creativa(39) – del textus autoritativo e scritturale(40).
Il trapasso verso nuovi modelli espositivi e retorici pareva particolarmente sensibile e consapevole in àmbiti in cui la redazione testuale era espressamente finalizzata ad una sua efficacia pratica e concreta di ammaestramento o di informazione: non gli àmbiti cortigiani o quelli frequentati dai letterati di mestiere, dunque, bensì quelli notarili e dei pratici delle curie e del fòro. È infatti lì che si incontrano talvolta i segni evidenti di una mentalità che, sollecitata anche da una coscienza professionale sempre più viva, evolve in parallelo nella direzione di una nuova sensibilità retorica.
Sorprendono non poco per la loro decisa e consapevole presa di posizione, ad esempio, alcuni luoghi di Paolino da Milano – biografo di S. Ambrogio, di cui egli era stato anche notarius negli ultimi suoi anni di vita (394-7) (41) – ove volutamente venivano disdegnate le pompe e gli orpelli della prosa paludata di fiori e di citazioni, per preferire invece ad essi il linguaggio meno evocativo e più realistico dei fatti e della storia.
I fatti dovevano incastonarsi nel discorso, per scacciarne le false apparenze e gli ornamenti dei giochi verbali – i "verborum fuci" come diceva Paolino –, e lasciar quindi spazio soltanto alle res: proprio le cose e gli avvenimenti concreti, e non i preziosismi letterari delle esteriorità cortigiane, in effetti, erano il bene veramente prezioso che si intendeva con ciò trasmettere "breviter strictimque" al lettore.
Il compilatore, insomma, dismetteva lentamente nel tempo la prassi di una scrittura meramente esornativa ed aulica, per rivolgersi invece a modelli di stampo più nettamente funzionale, più dichiaratamente indirizzati all’utilità pratica dell’ammaestramento(42), dell’educazione e della parenesi(43).
Il mutamento non era soltanto di stile, bensì soprattutto di contenuti espositivi, quindi anche di pubblico elettivo, di finalità e di cifra espressiva(44).
La brevitas divenne dunque un pregio non solo letterario, ma anche funzionale del testo scritto ; ed il linguaggio addetto a dar corpo a tale ritrovata semplicità di stile si legò per forza di cose all’esercizio di un sermo humilis d’impronta, d’indole e temperamento decisamente realistici(45).
Il testo dei Vangeli si diffuse e stabilizzò in tal modo nell’uso scrittorio comune come un modello linguistico e letterario privilegiato, e si propose per tal via come indispensabile strumento di ammaestramento etico e di regola di vita(46): non solo il linguaggio dell’esortazione devota, ma anche quello della divulgazione teologica finirono così per ritrovare nelle parole dell’Evangelista una riserva pressoché inesauribile di moduli espressivi, di schemi argomentativi, di formule retoriche di organizzazione testuale.
Come si rilevò d’altronde autorevolmente da Martin Grabmann(47), il diffondersi sempre crescente di una raffinata ed abile prassi compilatoria di semplificazione e divulgazione testuale ha infatti evidenti matrici teologiche, e trova origine nello sviluppo che ebbe attorno al secolo XII la produzione di tabulae e florilegi sui testi della teologia positiva, al fine di fornire agli studiosi un complessivo e sintetico libro di lettura, che accorpasse "brevi volumine "(48) le opere della dottrina, e ne consentisse quindi lo studio senza dispendio eccessivo di energie e di tempo(49) da parte del lettore.
Parlando di tale metodica, ancóra Martin Grabmann ha appunto distinto già per tempo(50) il criterio della Anordnung testuale – cioè il metodo meramente compilatorio di riorganizzare per ‘catene’ di sintesi l’esposizione di testi preesistenti e dati – da quello della Entwicklung, dal metodo cioè della elaborazione contenutistica, caratterizzato invece a sua volta da un più marcato principio di originalità dell’opera(51), e basato non soltanto sulla risistemazione sintetica di una massa testuale data, bensì sullo sviluppo anche sostanziale di un nuovo sistema di argomentazione espositiva e concettuale.
Se considerato in tale prospettiva, quindi, per quanto esso si identifichi in un processo di produzione scrittoria, il tipo margarita – al pari di ogni altra breviatio, anche diversamente nominata – parrebbe tuttavia essere stato soprattutto la variante molto smaliziata e raffinata di una mèra tecnica di lettura(52): essa sembrerebbe, insomma, essere il prodotto tipico ed usuale che si poneva normalmente in servizio ed utilità di un pubblico scelto di lettori. La selezione all’inizio fu materiale, nel senso che la élite di lettura veniva individuata dall’alto tasso di analfabetismo presente nella società altomedievale ; ma divenne poi ben presto essenzialmente e soprattutto cetuale, giacché lo strumento individuato dalla tecnica della breviatio(53) si identificò sempre più come la peculiare risorsa di lettura e di apprendimento di gruppi professionalmente qualificati di utenti librari.
5) I lettori comesocii: per le scritture standardizzate un processo capovolto di produzione testuale
Ma su questo argomento varrà la pena di portare un po’ oltre le nostre considerazioni.
L’originario e già notato(54) meccanismo retorico – che legava immediatamente il prodotto testuale di centonizzazione soltanto ad una ristretta élite di lettori – pare ora riprodursi immutato nel fatto che il testo di lettura abbreviato è necessariamente, per destinazione funzionale e scelta compositiva, un prodotto per pochi, e il dato non è necessariamente quantitativo, ma squisitamente qualitativo: essa è infatti un prodotto per un gruppo selezionato di persone.
La domanda conseguente ad una simile osservazione potrebbe poi essere questa: come si sviluppa una tecnica editoriale che porta alla elaborazione di una simile breviatio?
Proviamo a fissare, se possibile, qualche elemento di riconoscibilità esterna.
Che una margarita – o, comunque, ogni analogo tipo di scrittura abbreviata o standardizzata, anche diversamente denominata – presupponga necessariamente, per la propria realizzazione, l’esistenza di un Leserkreis è in definitiva un fatto che le deriva naturalmente dalla sua stessa regola strutturale: infatti, come già detto, presupposto necessario della sua redazione è la preesistenza di un textus che, per motivi di autorità, di scuola od anche soltanto di successo letterario, possegga già un pubblico dato. Sono in realtà le esigenze di lettura di tale preesistente pubblico a giustificare ed anzi a postulare la redazione di una margarita.
Se nel normale circuito di produzione letteraria è lo scrittore che con la qualità del proprio prodotto mira a crearsi un pubblico di lettori(55), nel caso di una margarita il processo di produzione testuale è invece capovolto: l’esistenza di un Leserkreis(56) è il presupposto storico della redazione testuale, anziché esserne la naturale conseguenza.
Si può anzi notare che, nella cifra retorica degli esordi proemiali delle margaritae a noi oggi disponibili, è ricorrente quasi al modo di un requisito formale la menzione del rapporto di societas che passa tra l’autore della margarita stessa e la cerchia dei suoi destinatari d’uso – che son personaggi soprattutto desiderosi di sgravarsi del peso o anche soltanto della perdita di tempo conseguenti alla lectura di un testo difficile ad apprendersi o, comunque, impegnativo a mandarsi a memoria(57).
Sicché il messaggio conseguente – ed anche la destinazione retorica d’uso – che deriva dall’intitolazione di un’opera come margarita è in definitiva che il testo in questione nasce per utilità specifica di un gruppo di persone dato, storicamente preesistente al testo stesso.
6) Un primo inventario lessicografico, in traccia di un’antonomasia
E forse, proprio per meglio investigare i profili d’impiego della forma letteraria in questione, può quindi essere utile una breve digressione sui presupposti insieme lessicali e ideali dell’uso antonomastico editoriale del nomen ‘margarita’
Visibilmente, infatti, dietro la genesi di una simile denominazione redazionale, sta il processo di specializzazione tecnico-retorica del dettato di due luoghi del Vangelo di Matteo(58), in cui l’immagine della ‘perla’ – appunto della ‘margarita’ – si propone come la metafora della cosa di pregio intrinseco assoluto, e diviene segno e simbolo del ‘bene’ prezioso che l’uomo nel tempo deve cercare, selezionare e conservare a preferenza di ogni altro oggetto.
Sulla scorta del dettato evangelico il lemma considerato si specializza progressivamente negli usi retorici degli scrittori cristiani ed altomedievali secondo una propria peculiare, marcata individualità semantica(59), e perviene per tale via di canonizzazione metaforica alla scolastica medievale, grazie soprattutto ad un autore come Prudenzio – il quale, come noto, avrebbe a lungo costituito per la cultura medievale un normale modello topico ed una vera e propria riserva di luoghi retorici(60).
Ed è forse proprio attraverso tale autorevole veicolo testuale, che la metafora in questione – coadiuvata senz’altro in ciò dalla parallela diffusione delle volgarizzazioni della traduzione biblica di S. Girolamo(61) – entra ben presto nel giro linguistico degli scrittori in volgare italiano.
Del termine margarita, infatti, si serve ripetutamente già Dante, sia nella Comedia(62), sia nel Convivio(63), anche se si tratta di un uso tutto sommato letterario e ricercato(64), poco significativo dei valori retorici – intendi di organizzazione testuale – che si possono essere nel frattempo trasferiti sul modello semantico espresso dall’immagine della margarita(65).
Significativa invece in tal senso, soprattutto per l’àmbito retorico notarile di originaria pertinenza del suo autore, è l’espressione di Guido delle Colonne, che nel secolo xiii(66), nell’àmbito della scuola siciliana, usa il termine margarita per indicare il ‘meglio’ – appunto la ‘perla’ che il dettato evangelico invitava a raccogliere e segregare dalla laida compagnia dei sues(67) – di una disciplina scientifica o, comunque, di un sistema di conoscenze(68); cui fa riscontro significativamente, ancóra in ambiente dittatorio e scrittorio, il bolognese Guido Faba(69), che nella formula di un’epistola tra compagni di studio trasmette de socio ad socium l’invito ad andare a Bologna "ad acquirendam scientie margaritam"(70).
È dunque per questa particolare via che i modi della tipizzazione retorica finiscono ben presto per accorpare attorno al lemma margarita un nucleo di significato antonomastico per cui ne viene individuato non solo ciò che è fornito di valore in modo assoluto – come appunto una perla od un oggetto intrinsecamente prezioso –, ma anche ciò che viene considerato tale in via relativa, per valutazione comparativa di una parte rispetto al tutto.
Il tøpoq evangelico esprime dunque la propria esemplarità retorica ("nolite dare sanctum canibus neque mittatis margaritas vestras ante porcos") con l’invito all’applicazione di una vera e propria ‘regola di segregazione’: ciò che è visibilmente migliore deve essere scelto, distinto e separato dalla sordida compagnia delle cose più vili.
Il gioco della metafora(71) instaura insomma un vero e proprio modello di ordinamento scrittorio. Margarita: il testo in tal modo prodotto sulla base di un tropo della retorica d’estrazione evangelica ricorda dunque per denominazione, tecnica di confezione e regola compositiva, l’immagine di una collana di perle.
I nuovi frammenti logici di cui si compone la struttura così realizzata producono un loro particolare ordinamento organizzativo, proprio come avviene quando si confeziona un monile(72) di preziosi: le singole perle – latinamente appunto margaritae – mantengono inalterato il loro originario pregio individuo, ma contemporaneamente ne realizzano anche uno nuovo, per così dire strutturale. Giacché ora esse possono venire considerate come parti di un manufatto funzionalmente superiore, il cui pregio essenziale risiede nel mèro dato funzionale della sua aggregazione formale.
7) Il bacino d’utenza della pratica professionale
Nell’àmbito dei tribunali e dei banchi d’avvocato si sarebbe aperto però lo spazio per un singolare potenziamento d’efficacia delle strutture testuali in tal modo prodotte ed elaborate. Ben presto, infatti, nell’uso che ne fece la pratica professionale(73), i Nebentexte di breviatio espositiva divennero tuttavia in molti casi dei testi di prima ed unica lettura: dei veri e propri Grundtexte, che concorsero a disegnare ed introdurre con le loro sintesi espositive nell’uso professionale un quadro di principi e di massime, sul cui semplificato reticolo brocardico s’andò assestando nel tempo la routine argomentativa della prassi decisoria e defensionale, attivando dei fenomeni di vera e propria standardizzazione giuridica.
La cosa non sfuggì d’altronde ad un osservatore acuto ed attento come Baldo degli Ubaldi(74), il quale avrebbe difatti lasciato intendere – parlando della margarita di Alberto Galeotti di Parma(75) – che quel particolare tipo di prodotto letterario aveva assunto in campo giuridico una propria peculiarità tipologica e strumentale, ed era in realtà divenuto un repertorio di tøpoi e citazioni testuali, addetto soprattutto a scopi d’utilità argomentativa e di inquadramento concettuale, al modo quasi di una summula quaestionum: non più dunque soltanto di un’opera di mèro rinvio – "… solum remittens", bensì anche un testo, in qualche modo, "di prima mano", e perciò dedicato essenzialmente alla trattazione e risoluzione di punti tecnici specifici ("… imo principalius, et longe amplius decidit causidica et instruit advocatos" (76).
Sulla qualificazione di questi prodotti letterari e della loro autonomia tipologica, è poi – come è noto – forte l’incertezza nella storiografia delle fonti, che è stata forse fin troppo sollecita, talvolta, di fissare regole, tipi e coordinate: più che di canoni formali, metterebbe infatti conto di parlare piuttosto di modalità d’uso scrittorio e compositivo, per insistere soprattutto sull’incidenza di ceto, d’ambiente culturale e professionale di certe prassi di elaborazione testuale, che non su una loro astratta formulazione ideale. Si ha, insomma, la netta sensazione di incontrarsi con prodotti che non sanno d’accademia, e sono lontani da canoni scolastici, opere – come è stato detto assai efficacemente ed autorevolmente – che erano buone per lettori "desiderosi più di una preparazione tecnica in vista dell’attività professionale che non di sottigliezze esegetiche adatte ai voli della scienza pura"(77).
È un ulteriore documento – senz’altro secondario, ma comunque sia significativo – di quel complesso di relazioni e di trasformazioni culturali che portarono il pubblico del testo giuridico a transitare da un àmbito che dapprima fu essenzialmente accademico, ad un giro che alla fine fu soprattutto professionale e forense.
Mario Montorzi
Note bibliografiche
P: marg. sup. centr. (di mano seriore): Dulius Gambarinus de feudis // quoniam cunctos] P: in nomine Domini nostri Iesu Christi amen. quoniam cunctos; V2: in nomine Domini amen. quoniam cunctos // indefesso] S: indeffenso // Dulius] S: Dullinus // de Alexandria] P, S, V2 om. // poterant] om. S; quod] om. S; V2: quid; // adipisci] V: adipici // et consuetudinibus feudorum] S: consuetudinibus feudorum // sint precincti] P: sint precinti ; S: sint preconiti ; V: sint predicto precincti. (P = Parma, Biblioteca Palatina, 1227 ; S = Sankt Gallen, ms. 748 ; V = Vendôme, ms. 87 ; V2 = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. vat. lat. 6935).
"Exemplum est alicuius facti aut dicti cum certi auctoris nomine propositio. Id sumitur eisdem de causis quibus similitudo. Rem ornatiorem facit, quum nullius rei nisi dignitatis causa sumitur. Apertiorem, quum id, quod sit obscurius magis dilucidem reddit. Probabiliorem, quum magis veri similem facit. Ante oculos ponit quum exprimit omnia perspicue ut res prope dicam manu factu tentari possit" [Rhet.Her. IV (VI), 49 (§ 62) ;
cfr. anche E. Kessler, Das Problem des frühen Humanismus. Seine philosophische Bedeutung bei Coluccio Salutati, München 1968 ("Umanistische Bibliothek, Abhandlungen und Texte, Reihe I: Abhandlungen, Bd. 1), 168ss. ; sulla diffusione degli usi retorici degli exempla nella letteratura medievale vedi poi l’ampia documentazione offerta dalle tavole di J. Th. Welter, L’exemplum dans la littérature religieuse et didactique du Moyen Âge, Paris-Toulouse 1927, passim e 1-140 in particolare].
"Incipit breviarium ad omnes materias in iure canonico inveniendas, verborum superficie penitus resecata, de talento credito nobis relinquo sociis margaritam ut qui stomacho lacescente nisi possunt vigilias crucibuli substinere presens opusculum amplectentur et sint cingulo iuris canonici in momento precincti, quod per multa tempora sine maximo labore non poterant adipisci".Ma v’è pure sintonia d’intonazione – e soprattutto di motivazione – anche con il prooemium di un’ars dictandi redatto da Alberto di Samaria che fu èdito a suo tempo dal Kantorowicz (Kantorowicz, E. H., Anonymi "Aurea Gemma", 260 in particolare), sulla scorta di due manoscritti (Oxford, Bodl. ms. Laud. Misc. 569; Leipzig, Univ. Libr., ms. 350):
"Sociorum assidua pulsatione coactus, naturalis etiam rationis incitamento astrictus, aggressus sum rem arduam, sed professionis officio iniunctam et prosaicas orationes fingere cupientibus saltis idoneam, opus difficile, sed tamen perutile. … Verum, quia ab hominibus nostrorum temporum spernuntur aspera et spinosa dictamina et non amplectuntur diffusa sed brevia, quedam pro capacitate ingegni sub brevitate perstrinximus, et compendiosa traditione sociis nostris tradere dignum duximus …". Ed il tÒpoj della prex sociorum ricorre anche nel prooemium – èdito egualmente da E. H. Kantorowicz (ivi, 261-3) – di una Summa dictaminis attribuita alla mano di un Henricus Francigena (per cui Johann Albert Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis, cum suppl. Ch. Schoettgenii, Ed. prima italica a P. Jo. D. Mansi… correcta, Patavii 1754, III, 674-5 ; U. Chevalier, Répertoire des sources historiques du Moyen Âge. Bio-Bibliographie, I, 2081) e indirizzata ad un canonico Pietro:"Crebris vestre dilectionis, dilectissime Petre – esordisce infatti l’autore del prooemium –, fatigatus precibus, honestissime vestre peticionis opere precium duxi nullatenus denegare, quod meam parvitatem dudum, scilicet opuscula dictandi componere, promisisse recolo …" (dai manoscritti Par. lat. n. acq, 610, fo. 27; Par. lat. 2904, fo. 111; Wolfenbüttel, 56. 20 Aug. 8°, fo. 66).
"Dixisse pauca sit satis de mysticis
nostrae salutis deque processu spei;
iam iam silebo: margaritas spargere
Christi uetamur inter inmundos sues,
lutulenta sanctum ne terant animalia.". [Prudentius, Peristephanon, 646-50 (ed. J. Bergman, CSEL, 61, 394).
Parev’a me che nube ne coprisse
lucida, spessa, solida e pulita,
quasi adamante che lo sol ferisse.
Per entro sé l’etterna margarita
ne ricevette, com’acqua recepe
raggio di luce permanendo unita.
Dante Alighieri, Par., VI, 124-9:
"Cum ego Albertus Galleotti legum doctor Parmensis essem Mutinae in studio constitutus, et essem a sotiis meis sepissime rogatus, ut quandam summulam de quaestionibus facerem ad perennem memoriam ut C. de quaestionibus l. divo Marco in fine (C. 9. 41. 11), volens ipsorum iustas praeces exaudire ut ff. de servitutibus rusticorum praediorum, l. [Et] Attilicinus (D. 8. 3. 35), ideo praesentem summulam quaestionum tam ex quaestionibus in glosulis ordinariis positis, quam in extraordinariis quas ex facto vidi duxi breviter componendam, et si quid inveniatur minus perfecte positum, veniam postulo a lectore, quia omnium habere memoriam divinitatis potius est quam humanitatis, ut C. de veteri iure enucleando, l. 2, § primum quidem (C. 1. 17. 1)" (cito dall’ed. a cura di Brunorus a Sole, Venetiis 1567, pag. 107 in particolare).
Della prex sociorum che occasionò la scrittura della margarita di Alberto Galeotti fanno menzione sia il Diplovataccio [ed. Schultz-Kantorowicz-Rabotti, "Studia gratiana", X (1968), 154, 11], che evidentemente ripete in maniera pedissequa le note proemiali di Alberto stesso; sia la prosopografia dei professori bolognesi di Sarti-Fattorini, I, 131 (i quali citano a loro volta espressamente di seconda mano dal Diplovataccio).
"Tertius sit Albertus Galeottus Parmensis, cuius utile opus, licet Margarita vocetur, non tamen ab ipso. Illud enim vocavit summulam quaestionum: nec fuit margarita, solum remittens, imo principalius, et longe amplius decidit causidica et instruit advocatos …"