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NOTE A MARGINE DI UN RECENTE CONVEGNO SUL DIRITTO COMUNE VIGENTE

di Andrea LANDI

Si è svolto a Pisa nei giorni 29 e 30 settembre 1995 un interessante incontro internazionale di studi sul Diritto Comune vigente, al quale hanno preso parte studiosi italiani e spagnoli; un convegno dedicato soprattutto all'analisi dei due ordinamenti giuridici europei ancora viventi a diritto comune, cioè la Repubblica di San Marino e il Principato d'Andorra1. L'argomento di per sé si presta ad un duplice approccio: sia dal punto di vista dello storico del diritto che vede in quei paesi funzionare un ordinamento, almeno in larga parte, riconducibile all'Ancien Régime; sia dall'ottica del giurista positivo che, confrontandosi con una realtà viva, vede risolvere i problemi quotidiani senza le comodità a cui il codice ci ha ormai abituato. Nell'incontro pisano, dunque, hanno discusso insieme sia storici del diritto, sia anche "operatori" (giudici ed avvocati) che in pieno XX secolo utilizzano ancora lo ius commune per le controversie che quotidianamente sono chiamati, nelle loro rispettive funzioni, ad esaminare. Ma si può parlare ancora di diritto comune, almeno nel significato che la storiografia giuridica attribuisce a tal termine ?

UN DIRITTO COMUNE MA NON UNIVERSALE

Pur non entrando nei problemi definitori che hanno affaticato la dottrina storico giuridica di quest'ultimi sessant'anni, sin dalla famosissima prolusione catanese del Calasso2, è evidente che se c'è una caratteristica, o meglio una qualitas del diritto comune che non può essere contestata da nessuno è la sua universalità, cioè la sua applicabilità (in che termini e con che modalità, se come diritto meramente sussidiario o come criterio informante tutto il sistema, non sta a me dire3) in tutto l'orbe cristiano. Una universalità che, all'ingrosso, si può dire non scalfita neppure dalla Riforma e dalla divisione che all'interno della Societas Christianorum ne conseguì. Ora, appare proprio paradossale che a San Marino - ma il discorso potrebbe farsi specularmente per l'esperienza andorrana4 -, quello che fu l'utrumque ius si trova irrimediabilmente confinato in un'enclave tutta circondata dal diritto codificato, con quello che ne consegue in ordine all'applicazione di principî ordinari di interpretazione delle leges come per esempio quello dell'auctoritas rerum similiter iudicatarum o della lex loci vicinioris. Per tacere poi del problema della vigenza di un diritto sicuramente non riconducibile - se mai lo è stato5 - alla Ratio Imperii Romani, cosa che ha presumibilmente dato spazio ad espressioni come 'diritto romano consuetudinario' o 'diritto comune consuetudinario', le quali hanno giustamente attratto gli strali degli interpreti più accorti6. E certamente sono questi problemi non di poco conto, che non possono trovar soluzione solo considerando che la Rivoluzione Francese si è fermata ai piedi del Titano e sostenendo che l'ordinamento sammarinese attuale sarebbe rimasto fermo al sistema delle fonti prerivoluzionario7.

UN SISTEMA MUTILATO: L'ASSENZA DELLA SCIENTIA IURIS E LA FORTE GIURISPRUDENZIALIZZAZIONE DEL SISTEMA

Ad aggravare ancor più la modificazione del tradizionale sistema delle fonti vi è poi l'assenza di un'attiva scientia iuris, con la sua funzione creatrice del diritto e la sua continua interpretatio della littera giustinianea8. Ciò ha portato a consegnare detta interpretatio alla sola giurisprudenza dei tribunali, accompagnata semmai - per i gradi più alti - dalla presenza di consilia sapientis iudicialia o dalla "circostanza attenuante" che - perlomeno a San Marino - la carica di giudice delle appellazioni è stata ricoperta da insigni giuristi di cattedra come Vittorio Scialoja, Guido Astuti, Arturo Carlo Jemolo e Giovanni Cassandro. Questo fatto porta poi a considerare il problema del reperimento delle fonti scritte rappresentate dalla vecchia dottrina di diritto comune: quale deve essere in altri termini il criterio di scelta nelle allegazioni delle auctoritates? Se il Richeri e il Voet sono fra gli autori più allegati nel fòro sanmarinese, viene da porsi la domanda - alla quale peraltro è stata data una risposta in senso negativo proprio nel convegno pisano da Aldo Mazzacane - viene da porsi, dicevo, la domanda se non si debba utilizzare anche la pandettistica tedesca, perlomeno fino al BGB. Perché non si comprende, almeno ab externo, come mai il diritto comune debba fermarsi agli autori settecenteschi, che peraltro sono stati da taluni storici indicati come autori di diritto patrio.

E' una considerazione che mi pare coinvolga la funzione del giurista in quell'ordinamento e, al proposito, mi sembrano da sottoscrivere le osservazioni di un odierno consiliator, quando egli ha scritto che in questo delicatissimo lavoro è impegnata e messa duramente a prova la creatività interpretativa e la responsabilità del giurista, il quale - proprio perché giurista di diritto positivo - non è di certo una specie di trovarobe arruffone che prende su alla rinfusa dal gran mucchio delle opiniones, che nei secoli si sono adagiate nell'esperienza di diritto comune e concludeva dicendo che sarebbe un pessimo giurista di diritto comune vigente quel giudice o quell'avvocato che, dovendo risolvere un serio problema "pratico", si mettesse a saccheggiare il Bertachini, il Toschi o il Savelli alla ricerca della massima "giusta". Questo sarebbe fare male quello che nel Vangelo a tutt'altro proposito è scritto; se il giurista si contentasse d'essere qui profert de thesauro suo nova et vetera piluccando a caso in biblioteca, il suo diventerebbe davvero uno strano diritto comune vigente»9.

Non a caso questo modo di sentire era stato percepito da un illustre giudice delle appellazioni, il quale in una decisione che è stata definita magistrale10, insegnava che l'interprete dovrà cogliere ogni legge per vedere se essa, oltre la sua lettera, non introduce in realtà principî nuovi, perché sarebbe un falsare lo spirito di quei diritti (i diritti positivi cioè) e togliere il loro pregio, il decidere oggi una causa così come avrebbe potuto essere decisa nel secolo XVII e sarebbe un non attingere alla coscienza storica sammarinese ed alla sua tradizione di libertà, il pensare che qui i rapporti tra potere sovrano, sudditi e stranieri si siano immobilizzati sicché la discrezionalità possa esplicarsi in forme che in ogni altro paese sarebbero considerate arbitrarie11.

DI UN'ATTRAZIONE FATALE

La situazione diventa ancor più complicata allorquando si consideri la grande forza attrattiva rappresentata, oltreché dalla codificazione del diritto civile, anche dal Costituzionalismo (da intendersi, con larga approssimazione, come affermazione di principî inderogabili della persona umana e individuazione dei meccanismi di funzionamento della res publica); fenomeno che ha portato in entrambi gli ordinamenti in esame all'adozione di leggi fondamentali, assimilabili alle moderne costituzioni12. La codificazione del diritto civile - per quanto non attecchita nella Repubblica del Titano, nonostante il progetto del romanista Brini13 - ha dato però la stura ad un aumentare fitto di legislazione speciale modellata sui testi italiani, non ultima la legge sulle società, mutuata - verrebbe la tentazione di dire acriticamente riprodotta - dal codice civile italiano del 194214.

E' forse in questa ricerca del codice (se non piuttosto dell'idea di codice) che si spiega la preferenza dei pratici verso i sistematori del tardo diritto comune, veri e propri "surrogati" del codice stesso e d'altra parte si comprende l'utilizzazione che si è fatta in passato e ad oggi si fa della giurisprudenza della Cassazione italiana in ambito sammarinese, pur essendo sotto gli occhi di tutti la differenza fra un giudizio di legittimità in un sistema a diritto codificato e le decisiones dei grandi tribunali nel sistema di diritto comune15.

Ma allora - per ritornare alla domanda iniziale - quanto resta del vecchio sistema del diritto comune e in che termini dunque si può parlare di vigenza del diritto comune?

La risposta al quesito - per quanto possa apparire lapalissiana - richiede a mio avviso di dover considerare come ogni ordinamento sia in funzione di una certa società e pertanto come non v'è mai stato né possa esservi un ordinamento cristallizzato nel tempo16: per gli attuali ordinamenti di San Marino ed Andorra credo che avesse colto nel segno il Redenti, quando notava l'evoluzione continua dell'ordinamento di ius commune nelle sue varie componenti dai Glossatori fino ai nostri giorni ed individuava il diritto comune vigente da applicare nel grado di svolgimento che ha raggiunto all'atto dell'applicazione17.

Nell'individuazione di questo diritto vigente (ma si potrebbe forse dire vivente, come sottolineato da Eugenio Ripepe nel convegno pisano) consiste proprio l'alta funzione del giurista. Si può in definitiva continuare a parlare di diritto comune, purché sia chiaro - una volta di più - che non si è in presenza d'una riedizione del diritto romano ammodernato18, né d'un diritto comune preservato intatto dall'Ancien Régime fino ai nostri giorni, quanto piuttosto d'un'esperienza giuridica che, mercé la continua interpretazione giurisprudenziale, con la propria sensibilità e con quella coscienza comune di cui parlava Jemolo19, utilizza ancora con profitto il venerando prodotto normativo di un ordinamento carico di secoli.

1 Gli atti sono ancora in corso di pubblicazione presso l'editore Giappichelli di Torino.

2 Che si può leggere in F. CALASSO, Introduzione al diritto comune, Milano 1951, pp. 31-76. Un panorama riassuntivo delle varie tesi della dottrina storico giuridica riguardo al diritto comune in G. ERMINI, Corso di diritto comune. I. Genesi ed evoluzione storica - Elementi costitutivi - Fonti, II ed., Milano 1946, pp. 117-133. Da ultimo, interessante per la prospettiva, in certo senso nuova, di ricostruzione del pensiero calassiano e del sistema di diritto comune: P. COSTA, "Ius commune", "ius proprium", "interpretatio doctorum": ipotesi per una discussione, in "El dret comú i Catalunya". Actes del IV Simposi Internacional, Barcelona, 27-28 de maig de 1994, ed. A. Iglesia Ferreirós, Barcelona 1995, pp.29-42.

3 Sul punto si può rinviare a M. BELLOMO, L'Europa del diritto comune, IV ed., Roma 1989, pp. 147-157 e anche ID., Parlando di "ius commune", in "Rivista internazionale di diritto comune", Anno V (1994), pp. 187-195.

4 Per questa comunanza di destini nell'Europa contemporanea, si vedano i due volumi degli "Actes del I simposi jurídic Principat d'Andorra/República de San Marino. El "ius commune" com a dret vigent: l'experiència judicial d'Andorra i San Marino", ed. A. Iglesia Ferreirós, Andorra 1994 ed in particolare il contributo di V. CRESCENZI, Communis opinio doctorum, II, pp. 675-698.

5 E' noto che l'argomento della Ratio Imperii fu rinvenuto dal Calasso per individuare nell'Impero il referente istituzionale del ius commune, necessario per "far quadrare" la teoria romaniana degli ordinamenti giuridici applicata all'esperienza medievale; la questione è ricostruita in U. SANTARELLI, Ius commune e iura propria: strumenti teorici per l'analisi di un sistema, in "Studi in memoria di M. E. Viora", Roma 1990, pp. 635-647 e anche in "Rivista di storia del diritto italiano", Anno LXII (1989), pp. 417-428.

6 Espressioni del genere sono utilizzate dal commissario della legge sammarinese di inizio secolo Torquato Carlo Giannini o dal guardasigilli italiano di fine Ottocento Cassinis, nonché dalla giurisprudenza italiana d'inizio secolo. La contraddizione è stata messa in evidenza da S. CAPRIOLI, Autonomia ed eteronomia nel diritto delle imprese, in La legislazione societaria sammarinese, Rimini 1990, pp. 15 nt.13, 21, al quale si rinvia per le indicazioni bibliografiche.

7 Cfr. S. CAPRIOLI, Il diritto comune nelle esperienze di San Marino, in "Rivista internazionale di diritto comune", Anno V (1994), pp. 91-168, partic. pp. 91-95, e anche ID., Autonomia ed eteronomia, pp. 18-19.

8 Una lucida e suggestiva analisi di questa attività dei giuristi bassomedievali in P. GROSSI, L'ordine giuridico medievale, Roma-Bari 1995, pp. 162-175. La mancanza di un'attuale dottrina di diritto comune è sottolineata dal CAPRIOLI, Autonomia ed eteronomia, p. 28.

9 U. SANTARELLI, Cinque lezioni sul diritto comune delle società, in "Miscellanea dell'Istituto giuridico sammarinese", fasc. 2, Agosto 1992, pp. 5-43; il brano riportato è a p. 9.

10 Da S. CAPRIOLI, Autonomia ed eteronomia, p. 22 nt. 48.

11 Giudice delle Appellazioni (Avv. Prof. Arturo Carlo Jemolo), 15 luglio 1953, Klimes - Ecc. Camera della Repubblica di San Marino, in "Giurisprudenza sammarinese", Anno I (1963), I, (rist. an. Rimini 1989), pp. 34-37; la citazione è a p. 34.

12 Per Andorra si veda: Legislació constitucional del Principat d'Andorra, Andorra La Vella 1995, con una presentazione di M. M. Pujadas Domingo; mentre per San Marino si faccia riferimento alla Legge 8 luglio 1974 n. 59 "Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principî fondamentali dell'ordinamento sammarinese".

13 G. BRINI, Schema per un codice civile nella Repubblica di Sammarino (sic!), Bologna 1898 (rist. an. Rimini 1991 per cura dell'Istituto giuridico sammarinese) che praticamente cadde nel vuoto, anche (ma non solo) per l'ostilità della giurisprudenza. L'intera vicenda è ricostruita da C. PECORELLA, Un codice mancato, in "Archivi per la storia", Anno III n. 2 (1990), ora in ID., Studi e ricerche di storia del diritto, Torino 1995, pp. 541-580. Incidenter tantum si noti che il Brini precisava nella relazione indirizzata ai "consoli", di aver cercato al possibile di conservare e riprodurre il diritto vigente sia tradizionale, sia di recente introdotto, nella Repubblica; e, talora, di rinverdirne l'antico (p. 4).

14 Cfr. La legislazione societaria sammarinese, Saggio di S. CAPRIOLI, Testi legislativi coordinati da Lamberto Emiliani, Rimini 1990; all'analisi di questa legge è in larga parte dedicato U. SANTARELLI, Cinque lezioni sul diritto comune delle società, cit.

15 Mi sembra non debba passare inosservato il fatto non secondario che gli odierni "operatori" del diritto di San Marino ed Andorra sono stati formati nelle università italiane e spagnole sui codici civili di quegli Stati; cosicché è inevitabile l'acquisizione - più o meno consapevole - di una certa forma mentis codicistica. Sulle differenze cui si accenna nel testo si possono vedere le sintetiche notazioni di U. SANTARELLI, La funzione del giudice nell'esperienza giuridica. Lezioni di storia del diritto, Pisa 1983, pp. 49-59.

16 Non inutili considerazioni al riguardo in U. SANTARELLI, Auctor iuris homo. Introduzione allo studio dell'esperienza giuridica basso-medioevale (parte prima - edizione provvisoria), Torino 1997, pp. 19-32.

17 Il passo del giovane Redenti è stato segnalato da S. CAPRIOLI, Autonomia ed eteronomia, p. 15 nt. 15, e si può leggere integralmente in "Giurisprudenza sammarinese", Anno III (1965), I, p. 138 (rist. an. Rimini s. d.). I rapporti del Redenti con la Repubblica di San Marino sono stati, con il consueto acume, studiati dal CAPRIOLI, Il diritto comune nelle esperienze di San Marino, pp. 95-112.

18 L'espressione è comunemente fatta risalire al BRUGI, Per la storia della giurisprudenza e delle università italiane. Nuovi saggi, Torino 1921, p. 180.

19 Nella decisione indicata supra alla nt. 11.

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