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Un post-print su una vicenda processuale a lungo rimasta sconosciuta : il processo per giacobinismo contro Filippo Mazzei, dall'articolo
 

Mario Montorzi I processi contro Filippo Mazzei ed i liberali pisani del 1799

(Ragguagli bio-bibliografici su un ritrovamento archivistico)

 

[già pubblicato in "Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno", 9 (1981), pp. 53-80 ; poi recentemente ripubblicato in Mario Montorzi, Giustizia in Contado. Studi sull’esercizio della giurisdizione nel territorio pontederese e pisano in età moderna,Pisa 1997, Pacini editore, pp. 289-300] 

 

Il recente, rinnovato interesse editoriale e scientifico per la figura di Filippo Mazzei trova una motivazione ricorrente nel fascino della sua personalità cosmopolita e tende conseguentemente a mettere in evidenza il carattere irrequieto ed erratico della sua personalità (1). È questo, indubbiamente, il dato saliente di un'avventurosa vicenda personale tesa fra le corti d'Europa e le colonie del Nuovo Mondo che si interruppe soltanto quando il Mazzei si ritirò in Pisa nel giro ristretto di poche e fidate amicizie, mettendo a loro disposizione il proprio patrimonio di affascinanti ricordi di viaggiatore e la propria ricca corrispondenza con l'Italia e con l'estero, piena di notizie interessanti e di succose indiscrezioni politiche (2).

Quello del Mazzei fu un pensionamento in provincia che aveva in sé qualcosa di emblematico: in quella vivace Pisa di fine Settecento, scissa fra gli entusiasmi "giacobini" della scolaresca universitaria, dei suoi professori e della nascente borghesia moderata da una parte (3), e le tensioni "sanfediste" di una plebe urbana tradizionalmente rissosa, superstiziosa e violenta dall'altra parte (4), quel vecchio carico di vitalità nonostante i suoi settant'anni rappresentò con la sua ironica bonomia ed il suo affabile paternalismo il punto di riferimento di una cerchia ristretta e vivace di giovani intellettuali riformatori.

Egli non si intromise mai nelle cose pubbliche e si limitò piuttosto - come disse poi significativamente il Bargello di Pisa - a farla "da Socrate", discorrendo amabilmente nella libreria Migliaresi (5) o nei salotti dei liberali pisani (6) degli avvenimenti che si verificavano in quei tempi tumultuosi ed impressionanti. Ed a tale appartato ruolo di illuminato consigliere ed informatore paterno il Mazzei seppe mantenersi fedele anche nel 1799, quando arrivarono in città le truppe della Francia repubblicana: mentre le gazzette gli tributavano generici onori e davano notizia della stampa del suo opuscolo sulla mendicità (7), il viaggiatore di Poggio a Caiano, fattosi ormai scettico e disincantato (8), non chiese l'investitura di alcuna carica pubblica (9), né si fece avanti a fornire pubblici sostegni alle traballanti ed impotenti istituzioni "giacobine" pisane (10).

Dopo la loro caduta e la fuga dei Francesi, il Mazzei si limitò poi soltanto a commentare con favore le imprese e la figura del generale Moreau, su cui forniva agli amici pisani Castinelli (11) e Vaccà le notizie che gli comunicavano da lontano i suoi corrispondenti (12). Fu una prova ulteriore del suo singolare intuito politico, che gli aveva fatto capire una volta di più come stesse girando il corso degli avvenimenti: infatti quel generale rappresentava l'ala vincente del partito dell'ordine e della moderazione che di lì a poco avrebbe preso il potere in Francia con il colpo di stato del 18 brumaio, dal Moreau stesso favorito ed appoggiato (13).

Ma quel continuo discorrere di politica venne ben presto in odore di "giacobinismo" presso l'arcigno e sospettoso Bargello di Pisa e valse perciò a coinvolgere il Mazzei stesso nella repressione poliziesca e giudiziaria che - alla cacciata dei Francesi - colpì tutti i Pisani sospetti di simpatie democratiche.

Fino ad oggi, gli atti di questi processi antigiacobini, ed in particolare di quello contro Filippo Mazzei, erano rimasti sconosciuti quasi completamente (14): ciò a causa delle precauzioni che il Commissario di Pisa Gherardo Maffei (15), tacciato ripetutamente di slealtà e tradimento dai municipalisti pisani (16), prese per porre al sicuro una materia scottante come il contenuto di quelle carte processuali (17). Egli, infatti, non le lasciò nel Tribunale del Commissariato pisano, ma preferì portarle via con sé e le ripose in seguito nel suo archivio di famiglia, poi versato presso la Biblioteca Comunale "Guarnacci" di Volterra.

A rileggerne oggi gli atti, il processo contro Filippo Mazzei pare per la verità un episodio abbastanza banale (18); il consumato viaggiatore e uomo di mondo che aveva conosciuto gli intrighi delle corti di Francia e di Polonia ebbe indubbiamente buon gioco a rispondere con ostentata ed evasiva noncuranza alle domande fin troppo innocue di quel "ministro processante" ingenuo e bigotto, forse perfino intimorito dalla fama e dalle dignità ricoperte in passato da quel singolare imputato.

Se ci decidiamo quindi a dar notizia del ritrovamento di quegli atti è soltanto per colmare una lacuna di carattere documentario in una biografia così suggestiva e ricca di fascino. In realtà, ciò che conta di più è il contorno di quel processo, il singolare campione umano e sociale che balza fuori vivace quant'altri mai dall'entourage "giacobino") in cui fu coinvolta quasi per caso la persona del Mazzei.

La limitata economia di questa breve comunicazione non può che dare un saggio frammentario e limitato dell'interesse di quelle carte; certamente, però, i "giacobini" pisani di quell'epoca - così come sono ritratti nei documenti finora sconosciuti dell'Archivio Maffei ed in quelli già ampiamente noti delle carte Manzi di Pisa - potranno offrire allo studioso la singolare ventura di analizzare da vicino la fase critica del processo di evoluzione culturale e sociale di una élite politica profondamente legata alla ideologia riformatrice della Toscana lorenese.

Appare abbastanza evidente anche ad una prima sommaria analisi di tale massa documentaria che da quelle vicende sconvolgenti prese le mosse un vero e proprio processo di aggregazione sociale e culturale, che avrebbe alla lunga portato ad una profonda modificazione del costume politico di quella intellettualità di provincia: la politica avrebbe cessato infatti di essere il retaggio di un gruppo ristretto di notabili e funzionari, per divenire invece l'oggetto dell'impegno "militante" ed attivo di un'intera classe emergente, che stava maturando un'autonoma coscienza sociale e tentava di esprimere tale sua autonomia attraverso appropriate forme di organizzazione culturale e politica.

Senza anticipare frettolosamente i risultati di una ricerca che richiederà ben altro impegno ed approfondimento, possiamo per il momento tentare di accreditare una simile prospettiva di studio ponendo in rilievo le figure di alcuni dei personaggi che emergono con più netto vigore dalla cerchia delle amicizie mazzeiane e dalla schiera dei pisani inquisiti per "giacobinismo". Il discrimine tra il vecchio mondo dei notabili ed il nuovo impegno organizzativo e militante di quei giovani intellettuali pare infatti incarnarsi sovente nella biografia e nella fortuna sociale di alcuni di quei patrioti.

Si pensi soltanto al differente destino che toccò da una parte ai membri della famiglia Vaccà (19), che furono celebrati organizzatori di cultura e promotori nella nascente borghesia toscana di un attivo impegno politico e ideologico, e, dall'altra parte, alla fortunosa ed amara vicenda di Tito Manzi; questi, infatti, che era all'epoca professore di diritto criminale nello Studio pisano, avrebbe continuato ad incarnare l'ideale individualista dell'avventuriero settecentesco, avvezzo più agli intrighi delle corti e dei ministeri, che all'impegno politico in quei clubs ed associazioni che furono quasi le matrici dei moderni partiti politici.

È indubbiamente significativa la parabola della vita del Manzi, che per tanti versi è ancor oggi oscura e controversa: da brillante professore, fornito di un inquieto e passionale temperamento di Stürmer, a ministro del regno di Re Gioacchino, a corrispondente poi dei napoleonidi esiliati, a confidente infine del Metternich, costretto in un'amara solitudine e malvisto sia dai liberali che dagli Austriaci (20).

Del resto, appare abbastanza evidente che l'esperienza politica di quegli anni va assumendo formule e moduli organizzativi profondamente nuovi. I rapporti del Bargello cominciano a contemplare un neologismo che arriva d'Oltralpe ed accenna inequivocabilmente ad un nuovo modo di impegnarsi nelle cose pubbliche: anche a Pisa, si comincia a parlare di clubs e riunioni abituali di persone unite da un legame ideologico.

Ed è in questo progressivo modificarsi del costume politico che forse deve collocarsi anche l'apparizione di un altro fenomeno organizzativo in altri tempi inusitato per Pisa: protetta dalle armi napoleoniche, si apre in casa dell'ebreo Aghib una loggia massonica, frequentata per lo più da ufficiali francesi e da qualche pisano, tra i quali Ottavio Morandini, che non si è lasciato atterrire dai timori e dalla diffidenza che circondano quella associazione (21).

Ciò che rappresenta il vero elemento di novità, al di là degli apparati rituali (22), è il fatto che nella loggia convivano gli ufficiali napoleonici, il " democratico " Morandini e, con ogni probabilità, anche un emigrato francese, l'avvocato Villecrose, da tempo noto per le sue idee monarchiche (23). La cosa può forse stupire, ma certamente non è priva di significato: la Massoneria, durante il Settecento, ha fornito un tessuto connettivo al mondo cosmopolita e nobiliare dei viaggiatori e propagatori di idee come il Mazzei (24); ora, inserita in un contesto fortemente istituzionalizzato come quello francese, essa si trova a costituire il punto di confluenza e di ritrovo di persone diverse per estrazione sociale e politica, animate dall'evidente fine di favorire, attraverso il misticismo egalitario che anima quella società, un'omologazione culturale al di sopra delle differenti culture di ceto (25).

Questi tentativi di inserzione di gruppi massonici in Pisa e Livorno sono forse da ricondurre ai primi sforzi di promuovere un'alleanza politica tra gli elementi più illuminati della tradizione d'Antico Regime ed i nuovi liberali. Non è dato di sapere quanto questa ipotesi, che pure non è incredibile, possa considerarsi vicina al vero, ma è comunque certo che, anche se quella loggia del 1801 non riuscì ad allignare nel diffidente ambiente pisano (26), a molti parve essere quella la linea organizzativa da seguire per far sì che la "rivoluzione" fosse "assisa sul trono della moderazione e condotta con saviezza" (27).

Son proprio le carte di un processo celebrato in Pisa in quello stesso 1800 contro lo studente Pietro Cercignani (28), che sarebbe diventato già nel 1806 uno degli appartenenti di maggior rilievo alla Massoneria livornese, a restituirci gli appunti di un discorso che il giovane tenne nel 1799 ai suoi colleghi nel caffè dell'Ussero (29) in Pisa. Già allora le sue parole mettevano in evidenza come stessero maturando le direttive di un simile indirizzo politico:

 

"È dovere dunque dei democratici di ... cooperare al mantenimento del buon ordine. Di più: è loro interesse. E la quiete e il buon ordine, e non i sanguinosi rumori di una rivoluzione, al sostegno del buon governo. Le rivoluzioni sono accompagnate sempre da dei delitti e dalle stragi. Queste rendono sempre numerosi ceti di persone malcontente perché ne sentono il peso, ed in conseguenza alieni dalla causa della democrazia. Ecco dunque che coi rumori e colle sedizioni non si fa che allontanare dalla causa di un governo delle persone che forse vi sarebbero state molto portate" (30).

 

Era questa la linea di condotta fondamentale che avrebbe preso piede nell'opinione comune della borghesia moderata e che, riuscendo a superare le varie vicissitudini della storia politica toscana, avrebbe poi determinato la nascita del movimento liberale risorgimentale.

La bonaria ed acuta figura del settuagenario Filippo Mazzei resta ormai estranea a tutte queste vicende: egli ha fatto politica con i suoi viaggi, le conversazioni, le lettere; questi giovani, invece, faranno politica con un impegno comune organizzato su una ristretta base geografica, in funzione di un principio nazionale. E proprio dallo studio del variegato campionario umano di quei "giacobini" di provincia, che conobbero tra il 1799 ed il 1800 le ire del Commissario Gherardo Maffei, potrà forse balzare fuori il tramite per ricostruire con maggior dettaglio e precisione l'orizzonte culturale e sociale entro cui maturarono i semi nuovi dell'esperienza risorgimentale in Toscana.

 

Note

1 Numerosi gli scritti che si sono recentemente occupati di Filippo Mazzei, molti dei quali a carattere puramente celebrativo. I contributi critici più importanti restano: S. Tognetti Burigana, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico. Esperienze del "cittadino americano" Filippo Mazzei. Con appendice di documenti e testi, Roma 1965; A. Aquarone, nella sua Introduzione alla ristampa delle Memorie della vita e delle peregrinazioni del fiorentino Filippo Mazzei, Milano 1970, I, pp. 5-24. Una nutrita edizione di inediti mazzeiani si è avuta recentemente, in concomitanza colla scadenza del bicentenario degli Stati Uniti d'America, in: M. Marchione, Philip Mazzei: Jefferson's "Zealous Whig", New York 1975 (si deve però lamentare che la parte più interessante di quest'opera consista prevalentemente di sole riproduzioni fotografiche degli inediti, a volte persino di difficile lettura come, ad esempio, alla p. 107; molto utile e dettagliata, invece, la rassegna delle fonti manoscritte e della bibliografia alle pp. 67-69). La pubblicazione di molte delle carte dell'archivio privato del Mazzei stesso, pervenuto per discendenza femminile alla famiglia Maruzzi di Pisa, è stata curata in: G. Guelfi Camajani, Un illustre toscano del Settecento. Filippo Mazzei, Medico, Agricoltore, Scrittore, Giornalista, Diplomatico, Firenze 1976 (inediti dell'archivio Maruzzi erano già stati pubblicati in: H. R. Marraro, Philip Mazzei and his Polish friends, estratto dal "The Quarterly Bulletin of the Polish Institute of Arts and Sciences in America", April 1944, s.n.t.); anche lo studio del Camajani reca una nutrita rassegna bibliografica, destinata ad integrare quella fornita dalla Marchione (pp. 215-223). Ancóra di M. Marchione, Filippo Mazzei "livornese", in "La Canaviglia. Livorno nella storia, nella narrativa, nell'arte", III (1978), pp. 98-100, con la pubblicazione di alcuni inediti livornesi. Puramente celebrativo è invece I. Imberciadori, L'opera di Filippo Mazzei per la nascita e l'adolescenza degli Stati Uniti, in "Dall'età preindustriale all'età del capitalismo", Parma 1977, pp. 203-210.

[Dopo l'uscita di questa breve nota, che è del 1980, la materia della storia del 'giacobinismo' toscano è stata affrontata organicamente nella vasta ed illuminante opera di Carlo Mangio, I patrioti toscani fra Repubblica etrusca e Restaurazione, Firenze 1991; egli poi - che già aveva affrontato l'argomento in uno studio particolare (Politica toscana e rivoluzione: momenti di storia livornese, 1790-1801, [Pisa] 1974) e se n'era occupato anche di riflesso, studiando la storia della polizia toscana [La Polizia toscana: organizzazione e criteri d'intervento (1765-1808), Milano 1988 (La 'Leopoldina': criminalità e giustizia criminale nelle riforme del '700 europeo, 6)] - ha di recente donato uno sguardo complessivo a tutta la materia nel libro a più mani di Furio Diaz, Luigi Mascilli Migliorini, Carlo Mangio, Il Granducato di Toscana., 2: I Lorena dalla reggenza agli anni rivoluzionari, Torino 1997. Per stare poi a temi più specifici, anche la bibliografia mazzeiana è nel frattempo cresciuta prepotentemente, sia in senso quantitativo, sia soprattutto in senso qualitativo, in particolare per l'importante studio di Edoardo Tortarolo del 1986, ed anche per l'incessante ed infaticabile attività di ricerca e di editing di Margherita Marchione: Margherita Marchione, Philip Mazzei. The conprehensive microform edition of his papers, 1730-1816: guide and index, Margherita Marchione, editor, Barbara Oberg, associate editor, Published: Millwood, N.Y., Kraus International Publications, 1981; Filippo Mazzei, Lettres de Philippe Mazzei et du roi Stanislas-Auguste de Pologne, Roma, Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, 1982; Filippo Mazzei; Istruzioni per essere liberi ed eguali, a cura di Margherita Marchione, Giuseppe Gadda Conti; introduzione di Ettore A. Albertoni, Milano 1984; Edoardo Tortarolo, Illuminismo e rivoluzioni: biografia politica di Filippo Mazzei, Milano 1986, Dipartimento di storia dell'Università di Torino; 1 (dapprima egli aveva pubblicato in itinere: Filippo Mazzei agente virginiano in Europa. I rapporti con il Conte di Vergennes, in RSI, XCII 1980, pp. 707-537); Guido Gerosa, Il fiorentino che fece l'America: vita e avventure di Filippo Mazzei, 1730-1816, Milano [1990]; Filippo Mazzei, Ricerche storiche e politiche sugli Stati Uniti dell'America Settentrionale Š, tr. it., Firenze 1991; Bibliografia su Filippo Mazzei: avventuriero della libertà, a cura di Luigi Corsetti, Renzo Gradi, Poggio a Caiano, Centro Iniziativa Culturale "Filippo Mazzei" 1993; Margherita Marchione, Philip Mazzei: world citizen (Jefferson's "zealous Whig") Lanham u.a., Univ. Press of America, 1994; Filippo Mazzei: mostra di cimeli e scritti in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Poggio a Caiano a Suor Margherita Marchione. Poggio a Caiano, Palazzo comunale 3 luglio - 25 luglio 1996, a cura di Andrea Bolognasi, Luigi Corsetti, Luigi Di Stadio. - Poggio a Caiano 1996; Filippo Mazzei, Selected writings and correspondence, Selected writings and correspondence, a cura di Margherita Marchione, Prato, Ed. del Palazzo, s.a].

2 Sulla vita pisana del Mazzei, cfr.: F. Mazzei, Memorie, cit., II, pp. 408sgg.; S. Tognetti Burigana, Tra riformismo, cit., p. 7 e nota 1; BNCFi, G. Capponi, 384, f. 481v, sgg.: lettere a Re Stanislao di Polonia scritte dal Mazzei dal suo soggiorno pisano a partire dal 27 settembre 1792. Il 23 marzo 1800, interrogato dal ministro processante, il copista dello studio Castinelli Vittorio Ceccarelli avrebbe dato questa colorita descrizione di come il Mazzei portava le sue informazioni agli amici pisani: "Il Mazzei veniva nello studio Castinelli per lo più nei giorni di posta; andava col D.e Giuseppe Castinelli nel suo stanzino, sentivo che discorrevano tra loro, e questionavano di nuove vittorie, vedo che il Mazzei portava dei fogli, ma cosa questi contenessero, che cosa discorressero io non lo so da vero. Dal Castinelli stava il Mazzei qualche volta a desinare" (BCGVlt, Archivio Maffei, 122, Processo Mazzei, f. 5v).

3 L'Università di Pisa, che fu considerata centro di irradiazione di idee eterodosse fin dalla prima metà del Settecento [F. Sbigoli, Tommaso Crudeli e i primi Frammassoni in Firenze, Milano 1884; rist. an. Bologna 1967, p. III dell'appendice, e pp. VI, XVII-XXI, XXXVI-XXXVII; N. Rodolico, Stato e Chiesa in Toscana durante la Reggenza Lorenese (I737-I765), Firenze 1972 (rist. xerogr.), pp. 2-19], sebbene essa non fosse ancóra affrancata del tutto da "premesse teologiche e filosofiche di natura conservatrice" (A. Mazzacane, Carmignani Giovanni, in "Dizionario biografico degli italiani", Roma 1960 sgg., XX, p. 415), ebbe un ruolo importante nella preparazione di una classe politica toscana di idee riformatrici. Parte attiva di tale processo furono alcuni fra i suoi professori più vivaci, come Francesco Vaccà, con i suoi figli Andrea e Leopoldo, e come Tito Manzi. Della figura e dell'importanza di questi insegnanti si farà cenno più oltre, per ora basti soltanto registrare la memoria del legame ideologico che univa quei docenti ai loro allievi. Francesco Vaccà "... in qualcuna delle lezioni, che dava ai suoi scuolari, faceva ad essi distinguere quanto pregievole fosse il governo democratico in cui non vi era distinzione di titoli, e che la libertà e l'uguaglianza erano le basi sopra delle quali si fondavano le principali leggi degli uomini nel di cui cospetto tutti erano uguali niuno eccettuato, e che soltanto l'abilità era considerata nel nuovo sistema ..." (ASPi, Università di Pisa, B. II. 8, f. 88r-89r, 88v in partic., lettera del 9 settembre 1799 al Supremo Tribunale di Giustizia; analogo testo, ivi, f. 90r-91v, lettera al Vicario Regio di Pietrasanta; il corsivo è aggiunto). Evidentemente, tale messaggio politico doveva riuscire assai bene accetto a chi, come quegli studenti, era animato dalla cultura di una borghesia professionale che aveva preso lentamente consistenza ed autonomia politica durante la stagione delle riforme leopoldine, con l'impulso da esse dato alla nascita di un ceto di funzionari e professionisti abile e preparato (N. Carranza, L'Università di Pisa e la formazione culturale del ceto dirigente toscano del Settecento, in "Bollettino storico pisano", XXXIII-XXXIV, 1964-1966, pp. 469-537, p. 479 e nota 22 in particolare). Le lezioni di Francesco Vaccà in cui quel professore si lasciava andare a simili tirate ideologiche terminavano non di rado nel tripudio e con l'applauso della scolaresca (cfr. ancóra: ASPi, Università di Pisa, B. II. 8, f. 88v-89r). Tanto forte era l'unione che legava gli studenti ai professori novatori, che Tito Manzi avrebbe scritto, in una sconfortata lettera a suo zio Giuseppe Antonio Slop, professore anch'egli all'Università di Pisa [cfr.: G. Turi, "Viva Maria". La reazione alle riforme leopoldine (I790-I799), Firenze 1969, p. 130 e nota 2]: "... sapete ... ch'era già gran tempo che il mio essere nauseato avea detto un tacito addio alle cose dell'Università, ché non mi ci riteneva ormai più che il piacere sì giusto, sì permesso e sì poco di vedermi amato ed apprezzato dalla mia scolaresca" (BUPi, ms. 167, ins. 20, lettera di T. Manzi a G. A. Slop del 6 agosto 1799).

4 La frattura politica fra l'Università ed il resto della cittadinanza è registrata in una lettera di Leopoldo Vaccà a Tito Manzi (ASPi, Carte Manzi, V, ins. "Leopoldo Vaccà a Tito Manzi", Pisa, il 27 marzo 1799): "A Pisa ... si manifesta della divisione fra gli scolari, che son pieni di patriottismo, e i Pisani, che son pieni di pregiudizj e d'ignoranza". La violenza della plebe pisana fu sperimentata in prima persona dagli ex-municipalisti pisani, quando, arrestati e rinchiusi in carcere, si videro sottoposti alle violenze di essa, e lasciarono nelle loro lettere un sofferto resoconto delle angherie e degli insulti ricevuti (cfr.: ASPi, Carte Manzi, V, lettere del Conte Andrea Agostini Venerosi a Tito Manzi, lettera n. 5; Pisa, dal Carmine, 19 agosto 1799); una vivace testimonianza delle intemperanze dei popolani pisani in quell'epoca è conservata anche in una anonima postilla manoscritta apposta all'esemplare di F. Gaeta, Relazione delle sacre funzioni eseguite in Pisa in rendimento di grazie all'Altissimo per la prodigiosa liberazione della Toscana dalle armi francesi, Pisa 1799, conservata in BUPi misc. 938, op. 10: "... il docilissimo <popo>lo pisano faceva le pattuglie con forche, manovelle etc. <arre>stavano spontaneamente senza ordine del Governo, in<som>ma in quel tempo tutto era lecito, e qual peggiore <anarchia> è mai stata peggiore di questa?" (le integrazioni fra parentesi uncinate suppliscono alle mutilazioni inferte al testo dal taglierino del legatore).

5 "Tenevano sinedrio in detta bottega e gabinetto" di Luigi Migliaresi l'abate Pietro Manzi, il senatore Francesco Maria Gianni, Luigi Schippisi, il "figlio maggiore di Francesco Adorni", Ottavio Morandini, Vincenzo Pugli, l'impiegato postale Guerci, Pietro Bevilacqua, l'abate Bucci; dopo l'arrivo dei Francesi, nel 1799, si aggiunsero ad essi i municipalisti Castinelli e Certellini (ASPi, Università di Pisa, B. II. 8, Copialettere n. 31, f. 97v-98v; lettera al Supremo Tribunale di Giustizia di Firenze del 17 marzo 1800, concernente le testimonianze di Ranieri Favilli e Francesco Montelatici). Dell'avventurosa vita di Luigi Migliaresi, prima impiegato in una banca a Costantinopoli e poi, a Livorno ed a Pisa, culto ed erudito libraio e editore, parla con abbondanza di notizie F. Tribolati, Un novellatore toscano del secolo XVIII, in "La nuova antologia", XXVII (1874), pp. 537-580, pp. 554-561 in particolare. Sullo smercio praticato dal Migliaresi di opere francesi sin dal 1795, cfr.: C. Mangio, Politica toscana e rivoluzione. Momenti di storia livornese. 1790-1801, Pisa 1974, p. 98 e p. 171 e nota; sull'attività editoriale di lui: F. Vicentini, Notizie sulle stamperie pisane dalle origini al 1800, in "Bollettino storico pisano", VIII (1939), p. 48 e nota 1.

6 Nelle carte processuali e nei rapporti di polizia è rimasta qualche traccia della ridotta vita mondana e politica condotta da Filippo Mazzei a Pisa. Se ne ricava l'immagine di un'esistenza abbastanza monotona e paesana, ove le riunioni politiche si mischiano volentieri con le chiacchiere di salotto e si tengono prevalentemente, oltre che nei luoghi deputati alle relazioni sociali, nelle case dei vari amici, in maniera assai familiare e domestica, con le donne che parlano da una parte per conto loro e gli uomini dall'altra che discorrono di politica. Del resto, si vive in un luogo piccolo, perciò è "d'impossibilità dimostrata - come dirà Tito Manzi al ministro processante che lo interrogherà appunto sui suoi rapporti con il Mazzei - il poter assegnare il tempo, le occasioni di aver veduto le persone in un paese come Pisa in cui è si facile d'incontrarsi al teatro, al caffè ed al passeggio. Il Mazzei in tutto il tempo della mia conoscenza, venuto due, o tre volte a trovarmi in aria di complimento, sarà stato incontrato mille volte per via" (ASPi, Carte Manzi, IV, fascicolo del processo contro Tito Manzi, interrogatorio di lui, domande n. 90-98, f. 204v-206v). Dopo la stagione turbolenta dell'insorgenza e della repressione antidemocratica, le riunioni abituali ripresero, quasi come una naturale conseguenza della ripristinata normalità della vita sociale, "nelle case Vaccà, Castinelli, Manzi, Palmieri, Andreini, e nelle botteghe Giamanaggi (!), Peverata e Mantellassi ..." (ASPi, Commissariato, appendice, 24, Rapporto del Bargello di Pisa del 2 ottobre 1801). Fu anzi nel corso di esse che si tentò di riorganizzare le fila del gruppo moderato pisano nel quadro delle nuove istituzioni toscane. La sera di sabato 7 novembre 1801, in casa di Filippo Mazzei in via della Carriola a Pisa, si discusse a lungo del nuovo Re d'Etruria: tra i molti c'erano Luigi Certellini con sua moglie, che già era stato municipalista di Pisa (G. Turi, "Viva Maria", cit., p. 157, nota 1; per la detenzione da lui sofferta durante la repressione: ASPi, Commissariato, appendice, 10, ins. I, suppliche della moglie di lui del 9 e 12 ottobre 1799), Giuseppe Castinelli, il Provveditore dell'Uffizio dei Fossi Bernardi e Vincenzio Bardelli. L'ambiente era generalmente diffidente nei confronti della bigotta monarchia borbonica ed il Certellini cercò di smuovere gli animi dei patrioti pisani, sostenendo che "le cose per loro non anderanno male, che bisognava tenere una buona condotta: che il re non era anche esperto delle cose di Stato, ma che col tempo lo sarà: che i suoi ministri non erano tanto contrari ai patriotti, eccettuato il sig.re Viviani ..."; egli cercò anche di fugare i timori di quei suoi amici che, appena sortiti dalle repressioni del "Viva Maria", temevano ora nuove discriminazioni ed umiliazioni. Quelle parole e la sua insistenza, che traspare anche dalle confidenze dell'informatore della polizia, ottennero qualche risultato positivo, tanto che il Bargello avrebbe annotato: "il d.o Certellini, nel tempo che si è trattenuto qua ha tenuto dei segreti colloqui con diversi patriotti, e particolarmente con Castinelli, Tito Manzi, Vaccà ed altri, e la di lui presenza gli ha fatti ravvivare" (ASPi, Carte Manzi, IV, Rapporto del Bargello di Pisa del 13 novembre 1801). Quelli di cui resta traccia nei rapporti di Polizia sono dunque i primi tentativi in Pisa di creare una solidarietà politica di segno moderato, che fosse tale da darsi anche un minimo di organizzazione. Ma i tempi non erano ancóra maturi e, del resto, gli umori dei salotti pisani erano in realtà decisamente critici nei confronti del "governo chiarentino", al punto che l'eco polemica delle conversazioni tenute in casa Giacomelli ed in casa Vaccà, con interlocutori i vari Lazzerini, Vaccà, Castinelli, Bernardi, il professore di anatomia Paolo Mascagni e Filippo Mazzei, sarebbe di lì a poco rimbalzata nuovamente all'orecchio del Bargello di Pisa (ASPi, Carte Manzi, IV, Rapporto dell'11 dicembre 1801; altra notizia di riunioni in casa del cerusico Uccelli, ivi, in un rapporto del 15 gennaio 1802; su Filippo Dario Uccelli cfr., infra, nota 17).

7 Cfr. "Gazzetta Universale", n. 52, 11 messifero VII (29 giugno 1799), p. 508, ove si definisce il Mazzei come persona sollecita "continuamente del bene de' suoi simili e del modo di salvare l'umanità indigente e di togliere al cuore, e agli occhi del filosofo umano, lo spettacolo doloroso dell'uomo mendico". Cfr. anche "Il monitore fiorentino", II trimestre, n. 6, 14 messifero VII (2 luglio 1799), pp. 23-24. Fu Bernardo Lessi a consigliare al Mazzei la pubblicazione dell'opuscolo sulla questua (F. Mazzei, Mermorie, cit., I, p. 268; II, pp. 387-388), che fu stampato poi dal Migliaresi stesso (F. Mazzei, Riflessioni su i mali provenienti dalla questua e su i mezzi di evitarli, Pisa 1799); recentemente esso è stato nuovamente edito in appendice al volume della Tognetti Burigana (Tra riformismo, cit., pp. 59-92).

8 Questo fu un punto di forza della successiva difesa processuale del Mazzei: "Io sotto il Governo Francese - disse infatti nel suo interrogatorio del 30 gennaio 1800 - sono stato un ente passivo, né mi sono mescolato in cosa alcuna ..." (BCGVlt, Archivio Mazzei, 122, Processo Mazzei, f. 7r, in fi.).

9 Era stata una scelta metodica del Mazzei, da lui seguìta anche in America, quella di rifuggir dalle cariche pubbliche, scegliendo piuttosto di "esser di qualche utilità, impiegando il tempo a scriver delle idee utili, e discuterle nelle conversazioni private d'uomini sensati" (F. Mazzei, Memorie, cit., I, p. 233): fu appunto questo lo stile cui il Mazzei si sarebbe sempre adeguato.

10 È possibile raccogliere agevolmente significative espressioni relative all'impotenza delle istituzioni "giacobine" direttamente dalle parole dei municipalisti stessi: Iacopo Nardi, preso da un momento di scoramento, avrebbe invocato, di fronte al pericolo di anarchia, "un governo provvisorio dei Caligoli dei Neroni degli Eligabali (!), ma un governo. Tutto è meglio che niente, e la nostra Municipalità è uguale a niente" (ASPi, Carte Manzi, V, ins. "Lettere di Iacopo Nardi a Tito Manzi", lettera n. 5, da Pisa, 5 aprile 1799). Ed anche il moderatissimo Fanucci (cfr. ASPi, Commissariato, appendice, 10, ins. I, supplica di G. B. Fanucci del 22 ottobre 1799; G. Turi, "Viva Maria", cit., p. 153, nota 4; p. 157, nota 1) cercherà di discolparsi adducendo proprio il fatto che le municipalità erano "magistrature vicine al nulla" (G. B. Fanucci, Mio rendimento di conto al Principe ed alla nazione, Pisa 22.VII.1799, stamperia Prosperi, foglio volante). Lo stesso Manzi municipalista, il 17 aprile 1799, confiderà all'amico Paolo Greppi: "Se tu potrai gradatamente preparare la mia dimissione dovrò alla tua amicizia un'obbligazione di più; io non ho salute per molto occuparmi, e nessun talento per occuparmi con utilità delle cose a cui mi chiama l'impiego che mi han destinato"; già il 9 marzo, del resto, si era lasciato sfuggire una frase significativa: "io comincio a sentirmi proprio scoraggito" (copia delle due lettere in: BUPi, ms. 828, A. D'Ancona. Scritto per Tito Manzi. Carteggio di lui, notizie biografiche, lettere n. 12 e 13, f. 27rv).

11 Su Giuseppe Castinelli, cfr.: S. Tognetti Burigana, Tra riformismo, cit., p. 14, nota 16 e, da ultimo, la documentata voce di M. Timpanaro Morelli in DBI, 22, pp. 181-183. Il suo opuscolo Prudente consiglio ai Toscani. Discorso I (s.l., 1799), di netta ispirazione leopoldina (cfr. pp. 21-22), fu ampiamente criticato nella citata lettera di Iacopo Nardi, secondo il quale esso non faceva male "che alla reputazione dell'estensore" (lettera cit., supra, nota 10). Figlio del Dottor Giovanni, Giuseppe Castinelli esercitava la procura in Pisa e si era laureato in quell'Università il 23 maggio 1782 (ASPi, Univ. di Pisa, D. II. 8, atto n. 1395, f. 93r); la sua residenza era a Cisanello (L. Vacca Giusti, Dal bene il meglio ..., Pisa 1888, p. 35); sostituì temporaneamente tra il 1800 ed 1801 Tito Manzi nella cattedra pisana di diritto criminale [Francesco Vaccà?], Istoria delle variazioni e peripezie accadute nell'Università di Pisa dal dì 28 novembre 1800, fino al 27 giugno 1801, s.n.t., pp. 9 e 41; F. Buonamici, Della scuola pisana del diritto romano o dei più chiari professori di diritto romano nella Università di Pisa dalla sua origine all'anno 1870, in "Annali delle Università toscane", XIV (1874), p. 28, p. XV e nota 92; E. Massart, Tito Manzi professore nell'Università di Pisa (1793-1801), in BSP, XXXIII-XXXV, 1964-1966, pp. 313-346, 322 in part. Sullo studio Castinelli, cfr. anche: ASFi, Segreteria di Gabinetto, 158, ins. 6, Parere della Magistratura dei Consoli del Mare di Pisa del 6 giugno 1806 (al Dr. Giovanni Castinelli ed al Dr. Luigi Papanti "sogliono i negozianti di Livorno affidare la difesa delle loro cause" in materia di diritto della navigazione).

12 ASPi, Carte Manzi, IV, fascicolo del processo contro Tito Manzi, f. 14v; testimonianza di Giovan Battista Tempesti, studente di legge: "... gli dirò di più che antecedentemente all'invasione della Toscana veniva spesso allo studio Castinelli un noto Filippo Mazzei ... e confabulava segretamente con d.o Lazzerini, e il d.e Giuseppe Castinelli e Andrea Vaccà nella stanza istessa del Castinelli, e per quanto potessi intendere esso Mazzei portava delle novità e delle lettere in francese contenenti affari di governo, giacché le sentivo leggere qualche volta, ma poi non capivo che qualche parola, giacché io non so la lingua francese, e lette che aveva il d.o Mazzei queste lettere che portava, confabulavano tutti tra di loro, ma non so cosa dicessero perché si ritiravano in d.a stanza, e ciò seguiva sì di giorno, che di sera, giacché il d.o Mazzei era in casa Castinelli, ma poi non so in che modo avesse dette lettere il Mazzei né da chi gli fossero scritte e mandate, e intanto io dico che potessero contenere affari di governo, perché, letto qualche periodo, il d.o Mazzei parlava in italiano e intendevo allora qualche parola che mi faceva capire che fossero fogli contenenti novità di governo per rapporto ai Francesi, ma siccome l'uscio di detta stanza ove seguiva detto colloquio era socchiuso, non intendevo mai bene, e non mi azzardavo ad accostarmi troppo per non esser veduto". Bartolomeo Lazzerini, membro della Municipalità pisana (ASFi, Segreteria di Gabinetto, 674, Diario di Ansano Perpignani, 18 giugno 1799), era nativo di Treggiaia presso Pontedera; si laureò in utroque il 21 maggio 1793 (ASPi, Università di Pisa, D. II. 8, f. 139r; atto n. 2194) ed entrò nel ruolo dei sostituti procuratori il 28 settembre 1795 (ASFi, R. Consulta, 867, ad nomen), passando poi in quello dei procuratori nel 1802, il 23 dicembre (ivi); nel frattempo, durante l'occupazione francese del 1799, egli era stato nominato Soprintendente generale a tutti i Tribunali amministrativi, pubblici e comunitativi sottoposti alla Municipalità pisana (ASFi, Segreteria di Gabinetto, 675, Diario Perpignani, cit., vol. II, 7 dicembre 1799). Sotto la monarchia borbonica, il Lazzerini avrebbe tentato di ottenere la nomina a curatore perpetuo nel Magistrato dei Consoli del Mare di Pisa per le cause di avarìa e danno dato (ASFi, Segreteria di Gabinetto, 158, ins. "Rappresentanza della Consulta relativa alla Cancelleria dei Consoli del mare"). Nel periodo napoleonico egli sarebbe poi divenuto Presidente del Tribunale di Prima istanza e, durante il tempo della Restaurazione, sarebbe stato attentamente sorvegliato dalla polizia granducale [M. Luzzati, Orientamenti democratici e tradizione leopoldina nella Toscana del 1799. La pubblicistica pisana, in "Critica storica", VIII (1969), pp. 466-509, in particolare p. 477 e nota 21; A. Baretta, Le società segrete in Toscana, Bologna 1978 (rist. an. dell'ediz. del 1912), p. 107].

13 A. Soboul, La rivoluzione francese, tr. it., Bari 1966, II, pp. 552-553; cfr. anche: "Nouvelle Biographie Générale", Paris 1857 sgg., XXXVI, coll. 483-495, 487-488 in particolare; G. Six, Dictionnaire biographique des généraux et amiraux français de la Révolution et de l'Empire (1792-1814), Paris 1934, II, pp. 227-228.

14 Finora, l'unica notizia che s'aveva del processo pisano del Mazzei era dovuta al Mazzei stesso, ché egli ne parlò con compiaciuta noncuranza in una lettera al suo illustre amico americano Thomas Jefferson del 6 dicembre 1800, continuata il 5 febbraio 1801 (conservata in: Library of Congress, Washington, Th. Jefferson's Papers, vol. XXVII). Essa, già parzialmente pubblicata e tradotta in H.R. Marraro, Unpublished Mazzei's Letters to Jefferson (in "The William and Mary College Quarterly", 3a serie, I, ottobre 1944, e II, gennaio 1945, p. 387), è stata da ultimo pubblicata, nella parte riguardante il processo del Mazzei, in S. Tognetti Burigana, Tra riformismo, cit., pp. 12-13, nota 14. Le uniche carte ripetutamente studiate, nelle filze dei processi contro i "giacobini" pisani, sono quelle del voluminoso fascicolo degli atti contro Tito Manzi (APSi, Carta Manzi, IV), cfr.: BUPi, Tesi, p. 776, G. Tacchi, I Francesi a Pisa nel 1799 (tesi di laurea circa del 1910; inedita); S. Tognetti Burigana, Tra riformismo, cit., pp. 12-13, note 14-15; E. Massart, Tito Manzi professore nella Università di Pisa, cit., passim; G. Turi, "Viva Maria", cit., passim.

15 Gherardo Maffei, appartenente ad una famiglia nobiliare volterrana "punto amata nel paese volendosi dare dell'aria e dell'autorità sopra le altre" (Pietro Leopoldo D'Asburgo Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, Firenze, 1969-1974, III, p. 230), entrò al servizio nella marina toscana circa nel 1766 (ASPi, Carte Manzi, V, inst. "G. Maffei a Tito Manzi", lettera di G. Maffei da Pisa, il 31 maggio 1799); quindi, a detta sua, fu proposto da Acton "per passare a Napoli prima di qualunque altro toscano" (ivi). Ma tale richiesta, in realtà, non dovette avvenire per particolari meriti di servizio, giacché nel 1775, prendendo in esame la situazione dell'amministrazione livornese, Pietro Leopoldo avrebbe annotato le lamentele del capitano Acton sull'indisciplina del Maffei (Pietro Leopoldo, Relazioni, cit., III, p. 290). Dalle dipendenze dell'Acton - che evidentemente non ne desiderava più la vicinanza - il Maffei passò quindi alla Segreteria di Stato come segretario per gli affari di guerra (ASPi, Carte Manzi, V, ins. e lett. citt.). Anche qui, però, ebbe modo di emergere il suo carattere scontroso, poco adatto alla condizione di subordinato; ne resta memoria negli appunti presi da Pietro Leopoldo nel 1790, poco prima di lasciare la Toscana: "Capitano Maffei, uomo di talento e capacità, in specie nei dettagli, esatto, ma anche lui ha i suoi amici a cui ha piacere di far godere la sua protezione, benché in piccole cose, ma non è punto unito col Generale Strasoldo" (Pietro Leopoldo, Relazioni, cit., I, p. 89). Con un eufemismo velato di involontaria autoironia, il Maffei avrebbe definito quel suo carattere come il frutto di una sua "maniera d'agire senza la minima esteriorità" (ASPi, Carte Manzi, V, ins. e lett. citt.). Certo è che egli incarnò la figura del nobile di provincia reazionario e bigotto, sensibile soprattutto alle questioni di prestigio e decoro personale. Come confessava infatti in quella lettera conservata nelle Carte Manzi, egli non aveva esitato durante il suo soggiorno pisano a indebitarsi oltremisura per mantenere il tenore di vita consono alla carica da lui ricoperta: al punto che gli era poi toccato rivolgersi impaurito alla Municipalità pisana perché intercedesse a suo favore presso i Francesi che lo volevano privare dello stipendio. Dimentico di tale intercessione, e, forse, ancor più inacerbito contro i democratici per avergli messo a repentaglio posto, carriera e stipendio. il Maffei avrebbe poi infierito con inaudita acrimonia contro quei municipalisti cui egli aveva già indirizzato le sue richieste d'aiuto.

16 I libri della Municipalità pisana, al momento della partenza dei Francesi, furono dai municipalisti Agostini e Nardi sigillati e inviati al Maffei; nello stesso tempo, si pubblicò un indirizzo in cui, reinvestendo il Commissario dei suoi poteri, i municipalisti lo costituivano depositario di quei libri stessi, confidando che in base ad essi si sarebbe potuto documentare ampiamente la loro rettitudine disinteressata di amministratori. "Vane misure! - avrebbe però sconsolatamente annotato l'Agostini stesso in una lettera al Manzi - ... confidenza mal a proposito esternata a riguardo d'un traditore! Quell'essere debole, abietto e meschino non solo ha soppresso l'indirizzo stampato, con cui al passare dei Francesi gli è stata da noi rimessa l'autorità già toltagli al loro arrivo in Toscana; ma ha impedito pur anco, per quanto ho luogo di credere, che si stampi la lettera da cui risulta la consegna fattagli dei tre libri, che sono le armi, con cui dovremo combattere contro i nostri nemici. Fremo di sdegno in pensando che un'anima vile e ambiziosa, come costui, non si prepari di già a negare d'avergli ricevuti, o a simularne sotto qualche pretesto lo smarrimento ..." [ASPi, Carte Manzi, V, ins. "Lettere del Conte Agostini Venerosi (Andrea) a Tito Manzi", lettera n. 1, del 22 luglio 1799, "Dal luogo del mio asilo"]. La diffidenza esternata dall'Agostini in quella lettera era ben motivata, ma anch'egli fu poco accorto, ché si lasciò convincere proprio dal Maffei a costituirsi. Mal gliene incolse: contravvenendo ai patti, il Commissario di Pisa lo fece imprigionare assieme ai suoi colleghi, sottoponendolo poi ad un trattamento rigoroso e severo e non garantendogli neppure i diritti della difesa (ASPi, Carte Manzi, V, ins. cit., A. Agostini a T. Manzi, lettera n. 4, Pisa, dal Carmine, 8 agosto 1799). I condannati all'esilio furono dal Maffei espulsi immediatamente dopo la sentenza, senza il "compenso legale dei 15 giorni" e senza il passaporto, in esito a processi camerali ove era loro stato completamente impedito di difendersi (ivi). "Animalaccio", lo definì l'Agostini (ivi) e fu forse il più moderato, ché Lorenzo Manzi, con colorito disprezzo, lo aveva definito come "un magistrato che, per quanto cogl., pure è in grado di essere informato" (ASPi, Carte Manzi, V, ins. "Lettere di Lorenzo Manzi a Tito Manzi", lettera n. 25, 3 luglio, s.a., ma 1799). Di Gherardo Maffei si veda anche una lettera a G.A. Slop del 30 aprile 1800, in ordine alle traversìe politiche dello Slop stesso (BUPi, ms. 167, ins. 16).

17 Sulle vicende delle filze processuali asportate dal Commissario Gherardo Maffei, cfr. la nota manoscritta del Dott. Raffaello Scipione Maffei, in: BCGVlt, Arch. Maffei, 102. I pezzi dell'Archivio Maffei di maggior interesse per l'argomento che ci interessa sono in particolare tre: n. 26, Atti economici per attentati contro la sovranità e ordine pubblico (799); n. 102, Processi politici del 1799; n. 122, Processi politici al Tribunale di Pisa nell'anno 1802. Tra i numerosi processati, si segnalano in particolare: Giovanni Domenico Anguillesi (su cui cfr.: N. Carranza, DBI, cit., III, pp. 314-315, ad vocem), per il quale fu così deciso: "avvertirsi seriamente a sfuggire in qualunque altro riscontro sino l'apparenza di non leale verso il suo Sovrano, e far ritirare nelle forme tutte le copie del di lui opuscolo intitolato Ai cittadini Oratori del popolo Pisano, per quindi gettarsi pubblicamente alle fiamme" (BCGVlt, Arch. Maffei, 102); il Dott. Giovanni Castinelli, che se la cavò a buon mercato con la decisione: "oltre un serio avvertimento, non molestarsi di vantaggio" (BCGVlt, Arch. Maffei, ms. 102); il cerusico dott. Filippo Dario Uccelli, settore dell Università, che aveva pubblicato con rimaneggiamenti un'Istruzione d'un cittadino a' suoi fratelli meno istruiti del Cesarotti (Pisa, Peverata 1799, pp. 29; su F. D. Uccelli, cfr.: ASPi, Università di Pisa, B. II. 8, f. 94rv; ASPi, Carte Manzi, IV, rapporto del Bargello di Pisa del dì 15 gennaio 1802), subì il seguente verdetto: "ferma stante la perdita dell'impiego e l'inabilitazione a qualunque altro regio e comunitativo, condannarsi ad esser rinchiuso per sei mesi nella Fortezza di Pistoja e quindi all'esiglio dal Granducato a beneplacito, colla pena di un anno di carcere e della reincidenza non obbedendo" (BCGVlt, Arch. Maffei, 102); Giovanni Rosini, professore di Belle lettere nell'Università pisana (cfr.: M. Ferrucci, Elogio del Cav. Professore Giovanni Rosini recitato il dì 11 novembre 1855, in "Annali delle Università toscane", parte prima, scienze noologiche, IV, 1855, pp. 23-51, in particolare pp. 38-39, note 1-3 per notizie biografiche; A. v. Reumont, Biographische Denkblätter nach persönlichen Erinnerungen, Leipzig 1878, pp. 142-184; G. Nannini, Vita ed opere di Giovanni Rosini, letterato pisano del sec. XIX, Pisa s.a.), cui aveva nociuto la pubblicazione sia pure anonima di un suo componimento "patriottico" ai tempi della Municipalità pisana: [G. Rosini], Inno alla Libertà, s.n.t., ma Pisa 1799; attribuz. ms. in BUPi, misc. 311, op. 6. Egli però non risentì granché della procedura a suo carico, che si risolse ben presto in un "non esser luogo a procedere per le resultanze degli atti" (BCGVlt, Arch. Maffei, 102). Non è purtroppo possibile render dettagliata informazione di tutte le altre procedure conservate nelle tre voluminose filze. [L'ha poi fatto C. Mangio, in uno studio in cui si avviò la ricerca che avrebbe poi avuto compimento nel già ricordato volume sui Patrioti toscani: id., I patrioti pisani. Primi risultati di un'indagine sugli atti dei processi "per attentati contro la sovranità ed ordine pubblico", BSP LI (1982), pp. 147-178].

18 Anche il risultato del processo fu del tutto irrilevante, dato che il Tribunale decise del Mazzei "ammonirsi convenientemente che ad ogni nuovo segno di sentimenti favorevoli per la democrazia saranno prese sopra di esso misure efficaci, con farsi vegliare intanto diligentemente sulla sua condotta" (BCGVlt, Arch. Maffei, 102).

19 Sulla famiglia Vaccà Berlinghieri, si veda l'excursus bio-bibliografico n. 1 in appendice.

20 Su Tito Manzi, si veda l'excursus bio-bibliografico n. 2 in appendice.

21 ASPi, Commissariato, appendice, 24. Rapporti del Bargello di Pisa del 14 dicembre 1801 e del 19 marzo 1802. Sono possibili aderenti alla loggia i pisani Ottavio Morandini, Ippolito Tiribilli, impiegato in dogana, e Vincenzio Bardelli. Altro rapporto del Bargello di Pisa del 2 aprile 1802, relativo alle protezioni che garantivano gli aderenti alla loggia che fossero cittadini francesi, in: ASPi, Carte Manzi, IV. Sul Tiribilli, cfr.: F. Ferrari, Le prime Loggie di Liberi Muratori a Livorno e le persecuzioni del Clero e della Polizia. Spigolature d'archivio con documenti inediti, rist. an., Livorno 1973, p. 20; sul Morandini, cfr.: A. Baretta, Le Società segrete, cit., p. 107.

22 Questa la descrizione dell'interno della loggia, dopo la parziale effettuazione della decorazione di essa commissionata a dei pittori locali: "Una di dette stanze è stata dipinta da Nabili, Bani ed altro pittor romano ad uso teatrale col celo (!) rappresentante una tribuna in tela trasparente; da una parte è il sole, dall'altra la luna, nel centro le stelle. In mezzo a detta tribuna vi è il trono del presidente e lateralmente tre colonne simbolo della stabilità, colle sue gradinate di manganella per trentasei seggiole per parte. Tutto comparisce a notte con lumi trasparenti dietro la tribuna medesima. In altre due stanze doveva dipingersi delli scheletri, una grotta, ed altre figure analoghe alla loggia ...". Nello stesso rapporto, si designano come capi della loggia "monsieur Chevalier comandante d'Artiglieria, monsieur Rombò fornitore francese (ora partito per Pistoja) e un emigrato pure francese di cui peranche non è noto il nome" (ASPi, Carte Manzi, IV, Rapporto del Bargello di Pisa del 26 febbraio 1802). Sulla diffusione di logge massoniche in Toscana ad opera del Murat e sulla contemporanea nascita di società segrete filoinglesi, cfr.: G. Drei, Il Regno d'Etruria, Modena 1935, pp. 54-57. Sui progressi della massoneria nella vicina Livorno, cfr.: C. Mangio, Politica toscana e rivoluzione, cit., p. 144 e nota 132. Su Carlo Ottavio Morandini, cfr.: ASFi, Presid. Buon Governo, 228, affare 181 del periodo granducale del 1799 (sua partecipazione all'erezione dell'Albero della Libertà in Vico; copia di una sua "ode" recitata per l'occasione); "Il monitore fiorentino", n. 23, I° Fiorile VII (20 aprile 1799), p. 91 (cronaca più succinta dello stesso avvenimento); C. Mangio, Politica toscana, cit., p. 273 e nota 281.

23 "Il presidente della consaputa loggia frammassonica si rileva essere l'avvocato Villecrose, francese, uno dei primi emigrati di Francia e che, per il suo attaccamento alla monarchia, fu tanto perseguitato dai democratici, allorché trovavasi a Livorno, inclusive col precetto d'esilio della Toscana nel termine di ore 24 per ordine del governo francese" (ASPi, Commissariato, appendice, 24, Rapporto del Bargello di Pisa del 5 marzo 1802). Sulla figura di Villecrose, che forse fu un nobile abate francese emigrato, già pensionato ed agente degli inglesi, cfr.: C. Francovich, Albori socialisti nel Risorgimento. Contributo allo studio delle società segrete (1776-1835), Firenze 1962, p. 18 e nota 37. La loggia pisana, nonostante vi avesse parte anche tale soggetto probabilmente filoinglese, era emanazione della massoneria francese: "Si pretende che i capi di questa loggia abbiano ricevuta la costituzione delle madri loggie di Marsiglia ..." (ASPi, Commissariato, appendice, 24, rapporto del Bargello di Pisa del 12 marzo 1802).

24 Sulla funzione di coagulo di tendenze e culture diverse svolto in Europa dalla Massoneria settecentesca, cfr.: E. Freschi, L'utopia nel Settecento tedesco, Napoli 1975, pp. 82-83. Della Massoneria pisana si è anche occupato per incidens F. Catalano, Patrioti e giacobini a Pisa e a Bologna nel 1802-1803, in "Belfagor", IX (1954), pp. 445-446 in particolare. Altre notizie sulla loggia massonica pisana, sorta dapprima in casa di Aghib e poi trasferita nella "Dispensa vecchia", in: ASPi, Carte Manzi, IV, Rapporto del Bargello di Pisa del dì 18 dicembre 1801; ASPi, Commissariato, appendice, 24, Rapporti del Bargello di Pisa dei giorni: 22 gennaio, 22 febbraio, 19 marzo 1802.

25 Il ruolo politico del misticismo massonico è analizzato in: R. De Felice, Note e ricerche sugli "Illuminati" e il misticisrno rivoluzionario (1789-1800), Roma 1960, pp. 48-50. Acute osservazioni al riguardo anche quelle di G. Berti, in RSI, LXXVI (1964), pp. 825-826.

26 Un'altra loggia massonica avrebbe in seguito funzionato in Pisa nel 1806, presso l'Ospedale dei Francesi. Vi aderivano impiegati italiani e francesi di detto ospedale e, inoltre, il chirurgo Gaeti, un certo Gori pisano e due forestieri dimoranti a Pisa, tali Bougard e Sobolowski. La sede era nella casa dell'ebreo Montel, ove una donna, "avendo avuto luogo di vedere una volta fuggiascamente l'interno della stanza dell'adunanza, aveva osservato molti fogli sul tavolino e sparsi ancóra in terra, una figura con la testa di morto al muro sotto una finestra con intorno dei candellieri (!) e candele ed altre cose che non seppe specificare" (ASPi, Commissariato, appendice, 29, f. 267r-270v).

27 Il repubblicano per massima ai popoli dell'Etruria, Pisa 1799, p. 14; il Luzzati (Orientamenti democratici, cit., p. 480) ne ipotizza l'attribuzione a Giovanni Salvatore De Coureil.

28 Su Pietro Cercignani, si veda l'excursus bio-bibliografico n. 3 in appendice p. 299.

29 Tra la fine del Settecento ed i primi decenni dell'Ottocento, l'Ussero fu al tempo stesso caffè ed albergo: vi scesero infatti viaggiatori famosi, come il Mazzei stesso ed il Casanova (F. Mazzei, Memorie, cit., II, p. 405; G. Casanova, Storia della mia vita, tr. it., Milano 1964 e sgg., IV, p. 210, nota 9 del curatore dell'edizione italiana P. Chiara). L'aneddoto del Cercignani potrebbe far pensare che già allora quel locale fosse punto di ritrovo di studenti e patrioti. Quando però - verso il 1830 - l'Ussero cambiò gestione, il nuovo proprietario fu ritenuto una spia della polizia: per ritorsione, gli studenti liberali promossero il boicottaggio del locale (ASPi, Auditore di Governo, 33, ins. "Affari di polizia anni 1832-1833", minuta di una lettera del 18 novembre 1832, inviata con ogni probabilità al Presidente del Buon Governo; altra minuta del 21 dicembre 1832 indirizzata allo stesso; rapporto del Capitano Bargello di Polizia del 12 dicembre 1832 con annesso l'esemplare di un volantino ms. diffuso dagli studenti per incitare al boicottaggio).

30 BCGVlt, Arch. Maffei, 122, Processo Cercignani, Rapporto del Bargello di Pisa del 30 ottobre 1799.

 

Appendice

 

 

1) Il rapporto del Bargello di Pisa sul comportamento di Filippo Mazzei

(BCGVlt, Arch. Maffei, 122).

 

Rapporto

 

A dì 24 Settembre 1799

 

Evvi da qualche tempo in questa città certo Signore Filippo Mazzei, toscano, abitante in via Carriola, stato in America ed in altre parti del mondo, ed in ultimo si è stabilito qui in Pisa. Questo soggetto, corredato di sentimenti repubblicani, amava con eccesso la Democrazia, per cui, e per aver luogo di poterne trattare, era del club del Migliaresi, nella di cui bottega intervenivano tutti quei soggetti forniti di perverse massime, ove si formavano dei conciliaboli e dei progetti in favore della Libertà. Amico intrinseco di Castinelli e dei Vaccà, era sovente alle loro case a tenere conferenze sopra questa materia poiché, essendo stato in America dove esiste il governo repubblicano, la pretendeva da Socrate e, per conseguenza, da render ragione sopra questo particolare, seguendo la sua inclinazione a quest'aborrito sistema.

Si era anche determinato di dare alle stampe un liberculo, come di fatti lo diede, trattante le riflessioni sui mali provenienti dalla questua e sui mezzi da evitarsi, che si esitava dal suo amico Migliaresi ed in altri negozi di sua corrispondenza, come resulta dall'avviso tipografico segnato nella Gazzetta Universale de' 29 Giugno prossimo passato 1799, per ostentare in tal guisa i suoi sentimenti portati al repubblicanismo.

L'istesso avviso lo reputa autore dell'opera classica intitolata "Ricerche istoriche e politiche sopra gli Stati Uniti d'America settentrionale", caratterizzandolo per uno degli attori della rivoluzione di America, per cui erasi meritata l'amicizia dei primi fondatori della Libertà francese.

Nemico acerrimo dell'Inglesi, altrettanto portato a garentire le operazioni dei Francesi, in guisa che, nel suo capo, compariva Morau (!) per uno dei migliori conduttori d'armata, talché, quando gli giungeva in giorno di posta di Genova delle notizie, si portava da Castinelli e quivi coi Vaccà teneva dei conciliaboli in tutto ciò che riguardava gli affari della Repubblica, rapporto alle vicende della guerra.

 

Andrea Fabbrini Bargello

 

 

2) Interrogatorio di Filippo Mazzei, imputato di "giacobinismo"

(BCGVlt, Arch. Maffei, 122)

 

A dì 30. Gennaio 1800. [...]

 

Cost. pers. av.

 

Un uomo vestito pulitamente all'uso di città etc. al quale monit. fu

D. Delle sue qualità personali.

R. Mi chiamo Filippo Mazzei, figlio di Domenico Mazzei, nativo del Poggio a Cajano, dimoro in Pisa dal fine dell'anno 1792., ho 70. anni, ho moglie ed una figlia piccola vivo delle mie rendite e sono Consigliere intimo del fu Augusto Stanislao di Pollonia (!) e Ciambellano del medesimo.

D. Se sappia e s'imagini la causa del suo presente [esame].

R. Io non l'imagino.

D. Qual sia stato il contegno tenuto da L. C. in tempo del governo francese in Toscana e quali amicizie abbia coltivate e quali luoghi pubblici abbia frequentati.

R. Io, sotto il governo francese, sono stato un ente passivo, né mi sono mescolato in cosa alcuna ed ho deplorato la disgrazia del mio paese. Le amicizie che ho coltivato in tempo della [invasione] sono state le medesime che avevo prima dell'invasione. Io sono intervenuto ai luoghi pubblici nei giorni della Democrazia come vi andavo innanzi, se non che vi assistevo con l'aflizione dello spirito a motivo dei disastri che eramo costretti a soffrire.

D. Se L. C. abbia conosciuto e tenuto corrispondenza con alcun partitante del sistema francese et qual.

R. Io ho trattato col Dottor Giuseppe Castinelli, perché egli era mio procuratore ma, quando ho avuto occasione di parlar seco lui di cose politiche, ci siamo trovati di differente consiglio. Ho trattato così Andrea Vaccà e con il Lazzerini: il primo avea obbligato la mia gratitudine per avermi salvata la moglie da una pericolosissima malattia; il Lazzerini era il mio notaro e seco ho maneggiati gl'interessi della mia famiglia. Ad ambedue, poi, professo una particolare stima, a motivo dei talenti che li distinguono e, come amante delle scienze, sono stato ammiratore della loro abilità e solo gli ho compianti allorché li veddi ingolfarsi nella carriera repubblicana che, per la pratica che avevo nelle cose del mondo, per le cognizione acquistate alle Corti diverse presso le quali sono stato, comprendevo che non era il sentiero da battersi da persone di senno.

D. Se L. C. abbia pubblicato alcuno scritto in tempo della Democrazia toscana et qual.

R. Ho pubblicato un libretto, il cui titolo è "Riflessioni sui mali provenienti dalla questua, e sui mezzi da evitarli".

D. Se sappia che di detto libro sia stato parlato in alcun foglio o gazzetta repubblicana et qual.

R. Io non sono informato, né so che del mio suddetto opuscolo ne sia stato parlato in alcun pubblico foglio, perché non leggo mai gazzette. Sono però persuaso che da quel mio libretto risalteranno chiaramente i giusti sentimenti che io nutrisco e qual sia la mia maniera di pensare intorno al bene della società.

Dl.e Che della amicizia che L. C. ha confessato di avere con il Dottor Castinelli, con il Vaccà, con il Lazzerini, la Corte ha motivo di credere che L. C. medesimo fosse addetto al partito democratico, che dai nominati individui pubblicamente si sosteneva, per il che sono rimasti processati e puniti dalla Giustizia, onde etc.

R. Io sono stato amico del cuore e dei talenti del D.r Castinelli, del Vaccà, e del Lazzerini; ma sono poi stato contrarissimo alle loro opinioni politiche. La nostra amicizia era molto antica e, quando il cuore me l'avesse permesso, sarebbe stata una somma imprudenza se io l'avessi stroncata in quei critici tempi.

Dl.e Che la Corte ha motivo di confermarsi nel sentimento che L. C. fosse uno dei partitanti e fautori del sistema repubblicano dai Francesi introdotto, perché come tale vien dipinto ed encomiato in una gazzetta, nella quale, oltre all'elogio della sua persona, si tesse ancor quello dell'opuscolo da lui dato alla luce, che però etc.

R. A me non costa che sia stato fatto alcun elogio della mia persona in fogli pubblici o, se esistono, io non vi ho avuto la minima parte e mi dispiace di non averlo potuto impedire, perché simili elogi fanno piuttosto torto, perché tendono a supporre contro l'autore medesimo e a riputarlo colmo di vanità.

Monit. li fu riletto l'esame etc. quale firmò di proprio pugno

 

Filippo Mazzei mano propria

 

Indi fu licenz. dopo fattagli l'intimazione dell'arresto in casa fino a nuova disposizione, d'ordine etc.

 

D.r. Ercole Farolfi Coadiutore Delegato.

 

 

3) Excursus bio-bibliografici

 

i) Rassegna bibliografica sulla famiglia di Francesco Vaccà Berlinghieri.

 

A parte la pur interessante e documentata operetta celebrativa di Laura Vaccà Giusti, Andrea Vaccà e la sua famiglia. Biografie e memorie, Pisa 1878, mancano degli studi approfonditi sul ruolo svolto nella cultura e nella vita politica toscana da Francesco Vaccà Berlinghieri e dai suoi figli Leopoldo, Giuseppe e Andrea, in vario modo legati al contempo alla storia dell'Università pisana ed a quella del movimento liberale italiano. L'indole di questa breve comunicazione non consente certamente di affrontare in questa sede l'analisi delle loro figure e della loro importanza; si consenta tuttavia di supplire parzialmente alla lacuna storiografica con una breve rassegna bibliografica: su Francesco Vaccà Berlinghieri (Ponsacco, 1732 - Montefoscoli, 1812), lettore di chirurgia teoretica a Pisa dal 1766 al 1803, cfr.: F. Tantini, Pensieri, reminiscenze ed elogj, Amburgo 1833, pp. 193-209 (sua biografia; alle pp. 195-199 il catalogo della sua produzione scientifica); E. Micheli, Storia dell'Università di Pisa dal MDCCXXXVII al MDCCCLIX, in "Annali delle Università toscane", XIV (1879), pp. 53-54 (idem); L. Vaccà Giusti, Andrea Vaccà, cit., pp. 3-17 (id.); una supplica inedita del padre di lui, il Dottor Giovanni Andrea Vaccà, in: ASFi, Segreteria di finanze sec. XVIII, 1072, ins. "Ponsacco", fasc. "salariati". Su Leopoldo Vaccà Berlinghieri (Pisa, 1768 - Lerici, 1809), lettore di fisica sperimentale a Pisa dal 1795 al 1799 e poi ufficiale superiore nell'esercito napoleonico, cfr.: Sur la vie et les ouvrages de Léopold Vacca, introduzione anonima, firmata par un capitain français, a Léopold Vaccà Berlinghieri, Examen des opérations et des travaux de César au siège d'Alesia, Lucque 1812, pp. 3-54 (biografia, con catalogo delle sue opere); E. Micheli, Storia, cit., p. 70 (biografia, con il catalogo delle pubblicazioni scientifiche); L. Vaccà Giusti, Andrea Vaccà, cit., pp. 21-37 (biografia), poi ripubblicata a parte in Biografia del Dottor Leopoldo Vaccà di Ponsacco-Pisa, Pontedera 1881; una sua lettera inedita al bibliotecario francese Miller in: BNCFi, Autografi palatini, I, 151, da Pisa, il 13 maggio 1796. Su Giuseppe Vaccà Berlinghieri (Pisa, 1772 - Pisa, 1803), lettore di diritto civile a Pisa nel 1803, cfr.: L. Vaccà Giusti, Andrea Vaccà, cit., pp. 43-44. Su Andrea Vaccà Berlinghieri (Pisa, 1772 - Pisa, 1826), lettore in Pisa di clinica esterna dal 1803 al 1826, cfr.: "Gazzetta di Firenze", 1826, n. 108, p. 104 e n. 128, p. 6; G. Carmignani, Necrologia [di A. Vaccà], in "Nuovo giornale de' letterati", Parte scientifica, XIII (1826), fasc. 29, pp. 144-146; R. Comandoli, Storia della malattia per la quale morì il cav. Professore Andrea Vaccà Berlinghieri, Pisa 1826; G. Barzellotti, Elogio del Cav. Andrea Vaccà Berlinghieri pubblico Prof. di clinica esterna nell'I. e R. Università Pisana scritto dal D. Giacomo Barzellotti P.P. di Medicina pratica nell'I. e R. Università di Pisa e letto ai suoi discepoli nel novembre 1826, Pisa s.d.; Cenni biografici intorno Andrea Vaccà Berlinghieri, Trento 1827, anonimo; G. Rosini, Tributo di dolore e di lode alla memoria del professore Andrea Vaccà Berlinghieri Cav. del merito di S. Giuseppe ec. ec., seconda edizione, Pisa 1827; G. Montani, sua recensione ai due scritti citati del Barzellotti e del Rosini in "Antologia", XXV, gennaio-febbraio-marzo 1827, pp. 101-136; L. Vaccà Giusti, Andrea Vaccà, cit., pp. 47-84; L. Vaccà Giusti, Dal bene il meglio, cit., (si tratta di scritti, necrologie ed elogi di interesse prevalentemente biografico). A. Baretta, Le società segrete, cit., pp. 107 e 123; A. Linaker, La vita e i tempi di Enrico Mayer. Con documenti inediti della storia della educazione e del Risorgimento italiano (1802-1877), Firenze 1898, I, p. 105; P. Prunas, L'Antologia di Gian Pietro Vieusseux. Storia di una rivista italiana, Roma-Milano 1906, pp. 63 e 166; E. Michel, Maestri e scolari dell'Università di Pisa nel Risorgimento Nazionale (1815-1870), Firenze 1949, pp. 7, 40-41 e nota 2 (con notizie relative all'impegno civile e politico di A. Vaccà). V. Monti, Epistolario, Firenze 1928-1931, VI, p. 259, lettera di Samuele Jesi a Vincenzo Monti, da Lucca, il 14.II.1827; U. Carpi, Letteratura e società nella Toscana del Risorgimento. Gli intellettuali dell'"Antologia", Bari 1974, p. 122 (sulle vicende relative all'elogio funebre del Vaccà scritto dal Giordani). G. Rosini, Pel solenne discoprimento del cenotafio scolpito dal Thordwalsen alla memoria di Andrea Vaccà nel gran Camposanto pisano la mattina del di XIV febbrajo 1830, in Opere, Pisa 1837, pp. 183-207; P. delle C., Intorno al monumento di Andrea Vaccà Berlinghieri, ed alla inaugurazione del medesimo nel Campo Santo pisano il dì 14 febbraio corrente, in "Antologia", XXXVII (febbraio 1830), fasc. 110, pp. 108-112; Ragguaglio di quanto è avvenuto in Pisa, pel monumento in marmo, eretto nel Camposanto di questa città, alla memoria del defunto professore Andrea Vaccà Berlinghieri, cavaliere dell'Ordine del Merito, Pisa 1830, poi recensito ne "Il nuovo giornale de' letterati", XX (1830), fasc. 49, pp. 74-78 (redazionale) e fasc. 50, pp. 153-157 (a firma Y.); R. Tempesti (probabile pseud. di Giovanni Carmignani), Lettere di Ranieri Tempesti, Introduttore e guida de' forestieri nel Campo Santo pisano al Sig. P. delle C., Pisa s.d.; G. Vieusseux, Intorno al monumento di Andrea Vaccà, articoli anonimi estratti dal Nuovo Giornale de' Letterati di Pisa ed osservazioni del Direttore dell'Antologia, in "Antologia", XXXVII (1830), fasc. III, pp. 161-173; L. Vaccà Giusti, Andrea Vaccà, cit. pp. 99-107 (sul monumento funebre ad A. Vaccà del danese A. Thorwaldsen, attorno al quale si accese tra i letterati toscani un'accanita disputa sull'arte neoclassica). Della produzione non scientifica di A. Vaccà, si veda in particolare: Risposta del Citt. Andrea Vaccà ai suoi calunniatori, ne "Il monitore fiorentino", n. 32, 12 fiorile VII (1° maggio 1799), p. 134, pubblicato anche come opuscolo a sé dalla stamperia Peverata a Pisa nel 1799 (un esemplare in: BUPi, misc. 711, op. 10). Due sue lettere inedite a Gino Capponi, una delle quali relativa alla salute di Pietro Colletta, che era stato visitato dal Vaccà stesso, in: BNCFi, G. Capponi, XIV, 35 (Pisa, 10 febb. e 10 nov. 1826); altra lettera inedita a Lorenzo Marmoni, Presidente del Collegio chirurgico di Firenze, in: BNCFi, Carteggi vari, 121, 38 (Pisa, 30 gen. 1807). Dopo la morte di Andrea Vaccà, il salotto di casa rimase aperto per merito della sua vedova Sofia Caudeiron, ed ospitò tra l'altro anche Giacomo Leopardi durante il suo soggiorno pisano, cfr.: lettere di G. Leopardi a G. P. Vieusseux: da Pisa il 16 novembre e il 31 dicembre 1827 (in: G. Leopardi, Tutte le opere, Firenze 1969, I, pp. 1299 e 1305). Per ulteriori indicazioni bibliografiche, relative soprattutto alla personalità scientifica di Leopoldo e Andrea Vaccà, cfr.: Archivio Di Stato Di Pisa, Catalogo della mostra storica dell'Università di Pisa (29 maggio - 31 ottobre 1946), a cura di Mario Luzzatto e Bruno Casini, Pisa 1946, pp. 40-46.

 

ii) Silloge biografica di Tito Manzi

 

1769: nasce a Pisa o nel suo contado da Filippo Manzi e da Flavia Doddsworth;

1784, 14 agosto: invia al Bettinelli copia di un suo studio critico sul Metastasio (copia della lettera di accompagnamento in: BUPi, ms. 828, cit.; l'originale è nei carteggi bettinelliani della Biblioteca Comunale di Mantova);

è poi studente a Pisa con Giuseppe Bonaparte e Cristofano Saliceti;

1789, 4 giugno: si laurea in utroque all'Università di Pisa (ASPi, Univ. Pisa, D.II.8, atto n. 1873, f. 12Iv);

fa quindi le sue pratiche legali presso l'avvocato Frullani di Firenze;

1791: suoi primi tentativi per ottenere una cattedra nello Studio pisano;

1792: pubblica la biografia di G. Vecchiani in "Memorie istoriche di più uomini illustri pisani", Pisa 1790-1792, IV, pp. 303-350;

1799: professore di Diritto Criminale all'Università di Pisa; 1796: subisce un processo camerale per il contenuto egalitario delle sue lezioni

1796-1797: il governo toscano lo adopera per missioni presso Saliceti, inviato napoleonico in Italia;

1799: entra a far parte della Municipalità pisana; alla partenza dei Francesi fugge poi a Venezia, ove viene arrestato e estradato a Firenze per il processo (ASPi, Carte Manzi, IV);

1800: è liberato del carcere al secondo arrivo dei Francesi; si trova colpito da un grave dissesto economico, a causa del fallimento di alcuni banchieri toscani;

1801: viene giubilato come professore all'Università di Pisa;

1806: segue a Napoli gli amici G. Bonaparte e C. Saliceti. Ivi diviene, fin dalla data della sua fondazione, segretario generale del Consiglio di Stato; con il Cuoco, il Venanson, il Taddei, fonda nell'estate il "Corriere di Napoli", che avrà vita fino al 1811, anno della sua forzata fusione con il salicetiano "Monitore napolitano";

1808: appartiene all'Accademia Pontaniana, fondata in casa di Giustino Fortunato sr.;

1808-1815: entra a far parte della commissione nominata dal Murat per riordinare l'istruzione pubblica; collabora con il Cuoco alla redazione del Progetto di decreto per l'ordinamento della Pubblica Istruzione nel Regno di Napoli;

1812, 25 aprile: viene nominato giudice della Gran Corte di Cassazione; in seguito, è anche nominato Consigliere di Stato;

1813-1814: inviato in missione a Roma, segue poi a Bologna e Reggio il Murat; è tra coloro che convincono Re Gioacchino all'alleanza con l'Austria;

fa parte in séguito della Commissione per la riforma del codice penale e di procedura penale;

1815: abbandona Napoli dopo la caduta del Murat; prende successivamente contatto con il Metternich, su incarico del quale svolge un viaggio esplorativo negli stati italiani;

comincia il suo carteggio con i napoleonidi in esilio;

rientra infine a Firenze ove, nella sua casa, viene fondata la Società letteraria di storia patria;

1817-1818: suo carteggio con Vincenzo Monti relativo alle polemiche letterarie sul purismo linguistico;

1818: fornisce a Gino Capponi, in procinto di partire per un lungo viaggio, numerose lettere commendatizie;

1820, 16 luglio: è a Milano, ospite di V. Monti;

1836, 27 giugno: muore in Firenze.

 

Bibliografia: "Gazzetta di Firenze", 1836, n. 82 di sabato 9 luglio, p. 4 (necrologio di T. Manzi); V. Monti, Opere, a cura di G. A. Maggi, Milano 1839-1842, VI, pp. 314, 325-327 e passim; F. Buonamici, Della scuola pisana del diritto romano, cit., pp. XV-XVI, nota 93; F. Palermo, Pietro Colletta uomo di stato e scrittore, in ASI, III (1856), n.s., pp. 61-78; E. Micheli, Storia, cit., p. 48; Mémoires, documents et écrits laissés par le prince de Metternich, Paris 1880, III, pp. 76-93 (rapporto presentato dal Metternich su informazioni fornitegli da T. Manzi dopo la sua missione in Italia del 1815); F. Tribolati, Un novellatore, cit., p. 537 e pp. 551-552; G. Carmignani, Carmignani e Manzi nella storia del diritto penale. Notizie tratte da documenti editi ed inediti a cura di Giuliano Carmignani, Pisa 1889, passim; A. Neri, Gino Capponi e Vincenzo Monti, in "Antologia italiana. Rivista quindicinale", Genova 1886, I, 1, pp. 18-27, 18-19 in partic.; A. Lumbroso, nell'Introduzione di "Miscellanea napoleonica", Roma 1898, serie V, p. XIX, seguito nota 2 da p. XVIII; F. Nicolini, Niccola Nicolini e gli studi giuridici nella prima metà del secolo XIX, Napoli 1907, pp. 145-146, 152; B. Croce, Una lettera di Tito Manzi a Giustino Fortunato, in "Il Risorgimento italiano", VI, 1913, pp. 720-723; A. D'Ancona, Memorie e documenti di storia italiana dei secc. XVIII e XIX, Firenze 1914, pp. 517-522; G. Fortunato, L'ultimo autografo politico di Re Gioacchino Murat, in "Rassegna nazionale", anno XXXIX, IIa serie, fasc. del 10 maggio 1917, pp. 2-15, in particolare 11-15; N. Cortese, Tito Manzi e gli avvenimenti toscani e napoletani del 1799 e del 1815, in "Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa", Napoli 1926, pp. 583-602, 583-591 in particolare; V. Monti, Epistolario, a cura di A. C. Bertoldi, Milano 1928, IV-VI, passim; D. Spadoni, La conversione italiana del Murat, in "Nuova rivista storica", XIV (1930), pp. 217-252, in partic. 231-233 e nota 1; P. Pedrotti, Le vicende di una lettera di Napoleone inviata da S. Elena a Maria Luisa, in "Rassegna storica del Risorgimento", XVIII (1931), pp. 637-674, in partic. 640-644; P. Pedrotti, Tito Manzi era una spia dell Austria?, in BSP, IX, 1940-1941, pp. 111-120; C. De Laugier, Concisi ricordi di un soldato napoleonico, a cura di R. Ciampini, Torino 1942, pp. 95 e 108; P. Pedrotti, I rapporti di Tito Manzi col governo austriaco in alcuni documenti viennesi, estratto dalla "Rassegna storica del Risorgimento", XXIX, fasc. I, gennaio-febbraio 1942, Roma 1942, p. 6 e nota 2; Archivio Di Stato Di Pisa, Catalogo, cit., p. 41; N. Nada, Il Regno di Napoli nell'età della Restaurazione secondo i giudizi di Tito Manzi, in "Rassegna storica del Risorgimento", XLVIII (1961), pp. 627-645, 628-629 in partic.; S. Tognetti Burigana, Tra riformismo, cit., pp. 13-14; E. Massart, Tito Manzi, cit., pp. 315-316 e 323 sgg.; A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Torino 1965, p. 255 e note 4 e 5; G. Capra, Il giornalismo nell'età rivoluzionaria e napoleonica, in "La stampa italiana dal Cinquecento all'Ottocento", a cura di V. Castronovo e N. Tranfaglia, Bari 1976, pp. 505-506.

Il ricco carteggio di Tito Manzi è andato in gran parte disperso; cfr. comunque: BNCFi, N.A., 906.IV.25, n. 2, Tito Manzi a Fortunata Sulgher Fantastici, da Pisa, il 4 ottobre 1789; BUPi, ms. 167, ins. 20, Tito Manzi a Giuseppe Antonio Slop, il 6 agosto 1799; BUPi, ms. 775, Autografi Rosselmini Gualandi, ins. 110, Melchiorre Delfico a Lorenzo Manzi, da Napoli, il 16 novembre 181O (si parla di Tito Manzi e dei Vaccà); BNCFi, G. Capponi, IX, 37, n. 1 (T. Manzi a Gino Capponi, da Firenze, il 30 ottobre 1818) e n. 2 (T. Manzi a Gino Capponi, s.l., 1 nov. 1818, in francese); BNCFi, G. Capponi, XX.8.8 (T. Manzi al Gen. Lagouvoujon in Parigi, da Firenze il 31 ottobre 1818, lettera commendatizia per il Capponi); BUPi, ins. 775, Autografi Rosselmini Gualandi, ins. 257 (Vincenzo Monti a Tito Manzi, Milano, 30 dicembre 1818; cfr.: V. Monti, Epistolario, cit., V, pp. 144-145; A. Neri, Gino Capponi, cit.) ed ins. 214 (Luigi De Potter a Tito Manzi, da Parigi il 7 maggio 1823); BNCFi, Carteggi Vieusseux, 61.102 (T. Manzi a G. P. Vieusseux, da Pisa, forse nel dicembre 1832). Numerose copie di lettere di Tito Manzi a Paolo Greppi, trascritte dagli esemplari custoditi nell'archivio della famiglia Greppi, sono conservate in: BUPi, ms. 828, A. D'Ancona. Scritto per Tito Manzi. Carteggio di lui, notizie biografiche (lettere a Paolo Greppi, comprese tra il 1798 ed il 1799; vi si trovano interessanti notizie relative alle esperienze politiche ed alle vicende sentimentali del Manzi in quel periodo); nella stessa busta delle carte D'Ancona è anche la copia di una lettera di T. Manzi all'abate Bettinelli (Pisa, 14 agosto 1786), relativa ad uno studio giovanile del Manzi sul Metastasio, estratta dai manoscritti e carteggi bettinelliani della Biblioteca comunale di Mantova (cfr. A. D'Ancona, Memorie e documenti, cit., pp. 519-520, nota 1). Uno speciale cenno a parte meritano le lettere conservate in BNCFi, Palatino 1206 ("striscia" 1368), contenenti numerosi documenti, in parte editi, in parte inediti, relativi alle vicende del Manzi durante gli ultimi tempi del regno murattiano ed al successivo carteggio da lui tenuto con i napoleonidi in esilio. Vi sono inoltre delle missive di Carolina d'Austria, moglie di Ferdinando II, ch'ella scrisse dal suo esilio palermitano attorno al 1808 ad un suo emissario bene introdotto negli uffici governativi del Regno di Murat. A tali lettere è acclusa anche la copia di un'altra compromettente missiva riservata, il cui originale si dice conservato nell'archivio di Lord Vernon: in una breve epigrafe, il copista ne identifica il compiacente destinatario nella persona dello stesso Tito Manzi. Il patriota pisano era forse in contatto per qualche oscuro motivo con la regina di Borbone in esilio? Il problema storico è tutto da chiarire. Interessanti notizie e giudizi sulla figura del Manzi sono infine rinvenibili in una lettera di Emanuele Greppi ad Alessandro D'Ancona, conservata in BUPi, ms. 884, Lettere di scrittori, amici e discepoli ad A. D'Ancona, lettera n. 90 (Milano, 7 marzo 1883).

 

iii) Silloge biografica di Pietro Cercignani

 

1781, 22 ottobre: nasce a Vicopisano da Filippo Cercignani di Pomarance, Vicario "destinato" di quel paese, ed Elisabetta di Benedetto Traversari da Portico; lo tiene a Battesimo Giovan Battista Mortani di Santa Sofia, Vicario uscente di Vicopisano (APVp, Liber baptizatorum ab anno 1755 usque ad annum 1813 D., atto n. 976);

1798-1799: studia all'Università di Pisa, ove frequenta fra l'altro il corso di diritto criminale di Tito Manzi, proprio nel periodo in cui si fanno più forti i toni egalitari e democratici delle lezioni da lui impartite agli studenti (ASPi, Univ. Pisa, 128, f. 526r-527r, rassegne di P. Cercignani);

1799, 30 ottobre: un rapporto del Bargello di Pisa lo dipinge come moderato e riferisce di un suo discorso tenuto agli altri studenti nel Caffè dell'Ussero (BCGVlt, Arch. Maffei, 122);

1799-1800: suo processo per "giacobinismo", conclusosi con la seguente decisione: "correggersi più d'una indifferenza mostrata e di un rischio al quale spontaneo si espose che di genio democratico" (BCGVlt, Arch. Maffei, 102);

1801, 19 novembre: si laurea in utroque, dopo che in un primo tempo gli era stata negata la facoltà di laurearsi a causa della chiusura dello Studio per l'occupazione francese (ASPi, Univ. Pisa, D.II.8, f. 170r, atto n. 2746; ASPi, Univ. Pisa, 128, f. 526r-527r);

fa in seguito le sue pratiche legali presso lo studio Sermolli di Firenze;

1804: apre il suo studio di procuratore legale in Livorno;

1806: è venerabile di una delle logge massoniche livornesi;

1807: rifiuta la nomina a Procuratore Imperiale offertagli dal Presidente della Corte Imperiale;

avvia in seguito una lucrosa attività professionale in Livorno;

nel periodo della Restaurazione è tenuto costantemente sotto sorveglianza dalla polizia granducale a causa della sua passata attività massonica e filo-liberale;

1848, 28 marzo: è chiamato alla presidenza della "consultazione" di esperti legali eletta in Livorno per risolvere i problemi derivanti dall'applicazione della nuova legge elettorale e tutelare anche il diritto di voto dei singoli elettori;

è poi eletto deputato al Parlamento nazionale toscano e ne diviene anzi il Presidente provvisorio, fino a che non ne è eletto il Presidente effettivo nella persona di Giuseppe Cosimo Vanni;

1848, 28 agosto: interviene nel Comitato segreto del Parlamento assieme al Deputato Rontani contro la proposta di dichiarare a Livorno lo stato d'assedio;

1848, 20 settembre: prende nuovamente la parola in difesa della sua città;

1848, 18 ottobre: prende la parola in Parlamento a favore del diritto di riunione, con un intervento in cui facilmente si intuisce l'eco delle persecuzioni da lui subite in passato per la sua appartenenza massonica;

1856, 10 febbraio: ridotto ormai in miseria dalla sua prodigalità, muore per apoplessia a Livorno (ACMLi, Libro delle sepolture, periodo ottocentesco, alla detta data); è seppellito con poca spesa il giorno dopo ma, di lì a poco, si organizza una colletta per apprestargli una tomba più decente; viene quindi dissepolto l'8 marzo e traslato in un loculo privilegiato del Cimitero della Misericordia di Livorno; détta la lapide il Guerrazzi dal suo esilio in Corsica.

 

Bibliografia: Scritti legali e discorsi di Pietro Cercignani: Per i signori Groen e figlio contro i signori Danty e Antony. Informazione di fatto e di ragione e risposta alla consultazione che comincia "In dipendenza", Livorno 1822 (a stampa; unico esemplare noto in: BLLi, misc. B. 37, n. 21); Informazioni di fatto e di ragione per il sig. Andrea Fantozzi contro la Società Svizzera e LL. CC. e risposta alla consultazione che comincia "Pervenne in Alessandria", Livorno 1822 (BLLi, Misc. B. 87, n. 13); Le assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati. Toscana, Roma 1911, I, pp. 28, 30-49, 656; II, pp. 82-83, 334, 438. Notizie relative a P. Cercignani in: Nuova guida civile e commerciale della città e porto-franco di Livorno, Livorno 1845, p. 41; Antonio Mangini, Per i funerali di Pietro Cercignani avvocato. Orazione funebre, Livorno s.d., ma 1856; F. D. Guerrazzi, Lettere, a cura di G. Carducci, Livorno 1882, II, p. 252; E. Pera, Nuove curiosità inedite o rare, Firenze 1899, p. 406; Adolfo Mangini, Avvocati e giornalisti, XVI marxo MCM, in "Livorno nell'Ottocento. Prima serie di letture fatte al circolo filologico nel mese di marzo MCM ...", Livorno 1900, pp. 105-138, in particolare 110-111; E. Ferrari, Le prime loggie, cit., p. 21; A. Baretta, Le società segrete, cit., pp. 35 e 42; Adolfo Mangini, La vita forense di F. D. Guerrazzi, in F. D. Guerrazzi, Memorie legali e scritti giuridici, Livorno 1923, pp. 1-216, in particolare e pp. 68, 143 e 167.

 

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