UN TENTATIVO D’ANALISI QUANTITATIVA
dati raccolti, interpretati e commentati a cura della Dr. Lucia Giannelli (l'impaginazione e le didascalie alle immagini sono redazionali) |
© L. Giannelli e Iura communia, 1998 |
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I volti distanti di dignitari e membri della Corte granducale, appesi a far mostra di sé nelle sale del Palazzo reale pisano, son qui posti di fronte alla moltitudine dei personaggi che affollano le statistiche criminali cittadine: uomini, quest’ultimi, invece senza volto, di cui soltanto il nome, e non altro, si è conservato nelle carte criminali del Commissario pisano e del suo Vicario. Iura Communia - © 1998-08-31 |
A. Un’analisi di breve periodo
L’analisi abbraccia il triennio intercorrente tra il gennaio 1786 e il gennaio 1789, e si caratterizza subito, quindi, per essere deliberatamente di breve periodo. Conseguentemente, sarà impossibile fornire dei dati tendenziali, sia per quanto riguarda la criminalità, sia per quanto riguarda l’andamento della giustizia criminale.
Ci si propone, piuttosto, di individuare un primo punto di partenza per ulteriori approfondimenti, oltre che di offrire un complesso di elementi utili per indagare l’assetto della criminalità e della giustizia criminale a Pisa negli anni immediatamente successivi alla emanazione della Leopoldina, anche al fine di consentire una prima valutazione d’impatto della riforma leopoldina stessa : i dati qui prodotti sono quindi privi di dimensione diacronica e temporale, né possono essere in qualche modo considerati come forniti di una qualche complessiva rilevanza di carattere statistico.
Tutto ciò vien detto, in ogni modo, nella consapevolezza, acutamente messa in evidenza e descritta da Mario Sbriccoli (1)
, che le fonti giudiziarie si prestano ad utilizzazioni diverse e consentono letture su più livelli, oltre a non essere in grado di lumeggiare la realtà socio-criminale che sta alle spalle dei comportamenti criminosi.
Per quanto riguarda gli illeciti (2)
ed i loro tipi, come espone la Tabella 1, si può notare che l’illecito più ricorrente è il furto, se si considerano come appartenenti ad una categoria unitaria le espressioni di volta in volta usate nelle comparse per descrivere il fatto criminoso perseguito (3) : si parla infatti genericamente di furto in 21 casi, ai quali possiamo aggiungere, considerandole ipotesi speciali, la "crassazione" (4) (o "grassazione", come si è trovato nelle filze), che si presenta in 4 casi ; l’accusa di "borsaiolo" (2 casi), di cui si darà più oltre la definizione, ed infine l’abigeato (1 caso). In tutto, quindi, si hanno 28 casi che, pur se diversamente atteggiati, possono tuttavia ricollegarsi generalmente all’ipotesi del furto.L’altro illecito più frequente, se considerato singolarmente, è la trasgressione di tabacco, che riguarda 16 casi. D’altra parte, se si unisce questa particolare ipotesi agli altri casi di contrabbando, cioè a quelli aventi ad oggetto il sale, si va a 30 casi, superiori per quantità anche alla somma dei vari tipi perseguiti di furto.
Gli altri tipi d’illecito più frequenti sono costituiti dalla defraudata gabella, con 15 casi, e dallo stupro, con 14. Se si sommano i casi di contrabbando di sale, di tabacco e quelli di frode alla gabella, si vede che le trasgressioni, cioè quelli che oggi definiremmo come "reati contravvenzionali", sono presenti con un totale di 45 casi, e si manifestano come particolarmente incidenti sul carico della giustizia pisana.
D’altronde, la maggiore frequenza di certi illeciti rispetto ad altri vale ad evidenziare subito un dato di fondo: sembrano, infatti, prevalere su tutti gli altri illeciti che hanno un collegamento col patrimonio, o perché essi sono espressamente diretti contro il patrimonio in senso stretto (come il furto), o perché vedono comunque coinvolte le strategie patrimoniali ed economiche dei soggetti, ancorché collidenti con le pubbliche sanzioni poste a garanzia degli interessi del fisco (come nel caso del contrabbando e della frode alla gabella). In quest’ottica, sembrerebbe non essere un caso che l’altro illecito più commesso sia lo stupro, se si considera che questo crimine aveva rilevanti risvolti economici, tali da far supporre spesso una querela "a scopo matrimoniale", più che a scopo repressivo (5)
.Concludendo, si possono quindi evidenziare due dati statici (non certamente tendenziali): i crimini più frequentemente commessi non sono quelli contro la persona (ci sono solo 4 omicidi e 10 ferimenti), ma sono quelli contro il patrimonio (col prevalere del furto) (6)
, unitamente a quelli che, pur non offendendo un bene giuridico, ma contrastando con un determinato interesse di tipo finanziario dell’amministrazione granducale, ineriscono direttamente alle condizioni economiche del trasgressore. In altre parole, sembrerebbe che l’attitudine a delinquere fosse più portata alle trasgressioni piuttosto che ai delitti più gravi, che ci fosse, in sostanza, una criminalità di tipo non particolarmente aggressivo né particolarmente pericoloso per la sicurezza sociale considerata nel suo complesso.Tabella 1: tipi di illecito
numero di accuse proposte per ciascuna imputazione |
|
attentato |
3 |
defraud. gabella |
15 |
delaz. archibugio |
7 |
delazione arma bianca |
4 |
resistenza |
3 |
esplosione |
3 |
ferimento |
10 |
furto |
21 |
grassazione |
4 |
inoss. confino |
9 |
inoss. esilio |
7 |
omicidio |
4 |
stupro |
14 |
trasgr. di giuoco |
3 |
trasgr. sale |
14 |
trasgr. tabacco |
16 |
13 |
|
* nota illustrativa: insulto (2), sodomia (1), ammenagioni (1), "borsaiolo" (2), sgrillettamento (2) calunnia (1), abigeato (1), infanticidio (1), truffa (1), colombicidio (1) torna alla testa di questa tabella |
|
Grafico 1: comparazione percentuale dell'incidenza statistica dei diversi tipi di d'illecito
2. I modi d’introduzione del processo
Per quanto riguarda i modi d’introduzione del processo criminale (7)
, basterà notare che la stragrande maggioranza dei processi è introdotto con querela pubblica (esattamente l’84%), mentre un numero piuttosto basso di essi è aperto da una querela privata (il 14%); soltanto un processo è introdotto d’ufficio, ossia "per ordine di S. A. R." (8). Si può notare, infine, anche un processo introdotto per referto medico (9).Il palazzo della Carovana dell'Ordine dei Cavalieri, sede di uno dei molti sistemi autocefali di
iurisdictio - e di conseguente privativa giurisdizionale - allora presenti in Pisa e concorrenti con con gli ordinamenti istituzionali di diretta emanazione granducale
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Il dato che si ricava, cioè il prevalere assoluto delle querele pubbliche, non deve stupire, perché la maggioranza degli illeciti è rappresentata appunto da fatti perseguibili pubblicamente; del resto, già a livello legislativo, la procedibilità di parte riguarda solo le ipotesi in cui sia stato offeso un bene "personalissimo", la cui tutela processuale imponga anche una qualche suggestione di scandalo, per cui sarà la parte offesa a decidere se agire o no. Si ha una conferma di ciò osservando che sulle totali 20 querele private rinvenute nei processi, ben 13 riguardano casi di stupro.
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Il palazzo della Sapienza, sede dello Studio pisano, un altro ancora dei molti sistemi autocefali di iurisdictio - e di conseguente privativa giurisdizionale - allora presenti in Pisa, e concorrenti con con gli ordinamenti istituzionali di diretta emanazione granducale |
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Concludendo, si può aggiungere che le querele pubbliche sono fatte solitamente dal Bargello di Pisa (10) oppure, prevalentemente quando si tratta di contrabbando, da guardie della dogana, da stradieri o vice-stradieri. Questi ultimi, infatti presidiavano le varie porte della città, ovvero i confini con altri Stati, e fermavano quindi eventuali introduttori di merci non consentite. Le querele private, invece, sono fatte sia dalla parte offesa (come accade normalmente nei processi di stupro) sia, talvolta, dai familiari di essa.
Tabella 2: Modi di introduzione del processo
Modi d'introduzione del processo |
|
d’ufficio |
1 |
querela privata |
20 |
querela pubblica |
116 |
referto medico |
1 |
L’analisi svolta a questo proposito (11)
è diretta soltanto ad evidenziare quanti processi si chiudono con una condanna e quanti invece con una decisione diversa dalla condanna, comprendendo in quest’ultima categoria le decisioni di "tenersi il processo aperto ", di "tenersi sospesi gli atti ", di "non doversi procedere ulteriormente" ovvero di "non darsi ulteriore molestia ", o di "circondare l’inquisizione" o non esservi stato né esser tuttora "luogo a procedere".Si può rilevare che sono moltissimi i processi che terminano con una decisione che non è una condanna, ma che può essere un proscioglimento definitivo ovvero anche soltanto una mera "sospensione" del procedimento, motivata ad esempio dal fatto che non si conosce l’identità della persona, oppure dalla necessità di acquisire nuovi elementi probatori (12)
.Si può dunque, in estrema sintesi, osservare che non c’è un’ansia esasperata di carattere punitivo, ma prevale piuttosto la volontà di avere un quadro fattuale-giuridico il più possibile completo prima di accingersi ad una decisione.
Tabella 3: Veduta riassuntiva dei dati del repertorio
Accusa |
N° tot. |
Tipo d'attività |
Luogo origine |
Modo d'introd. |
Decisione |
Attentato |
3 |
AG = 1 C = 1 S = 1 |
Civoli = 1 Pisa = 1 Vecchiano = 1 |
q. pr. = 2 q. pu. = 1 |
|1| = 1 |3| = 2 |
Defraudata gabella |
15 |
AG = 1 C = 4 L = 1 S = 7 A = 1 |
Pisa = 4 Ponte a Signa = 1 Pontedera = 1 S. Croce = 1 S. Maria del Giudice = 1(F) S. Miniatello = 1 Santo Pietro = 1 Settimo = 1 Signa = 1 Spicchio = 1 Vecchiano = 1 |
q. pr. = 0 q. pu. = 15 |
|2| = 2 |3| = 7 |4| = 1 |6| = 3 |
Delazione d’archibugio |
7 |
AG = 4 S = 2 A = 1 |
Asciano = 1 Montuolo = 1(F) Pisa = 2 Ripafratta = 1 Vecchiano = 2 |
q. pr. = 0 q. pu. = 7 |
|2| = 1 |3| = 6 |4| = 1 |
Delazione d’arma bianca |
4 |
AG = 1 AR = 1 S = 2 |
Livorno = 1 Lucca = 1(F) Pisa = 1 Tassignano = 1(F) |
q. pr. = 0 q. pu. = 4 |
|3| = 2 |6| = 2 |
Resistenza |
3 |
AG = 1 C = 1 S = 1 |
Civoli = 1 Pisa = 2 |
q. pr. = 0 q. pu. = 3 |
|2| = 1 |3| = 1 |8| = 1 |
Esplosione |
3 |
AG = 1 C = 1 P = 1 |
Colignola = 1 Pietrasanta = 1 Vecchiano = 1 |
q. pr. = 0 q. pu. = 3 |
|3| = 3 |
Ferimento |
10 |
AG = 6 AR = 1 C = 3 |
Colignola = 1 Gello = 1(C) Pescia = 1(C) Pisa = 3 Pugnano = 1 S. Giovanni al Gaetano = 1 Vecchiano = 2 |
q. pr. = 4 q. pu. = 6 |
|1| = 1 |2| = 1 |3| = 3 |4| = 1 |7| = 3 |
Furto |
21 |
AG = 1 AR = 4 C = 2 P = 1 S = 7 A = 1 |
Capannori = 1(F)(C) Cesena = 1(F) Civoli = 1(C) Compito = 1(F) Firenze = 1(C),1 Lastra a Signa = 1 Lucca = 1(F) Montecastello = 1 Pisa = 5 Ripoli = 1 Torino = 1(F) Viareggio = 1 |
q. pr. = 1 q. pu. = 20 |
|1| = 1 |2| = 4 |3| = 5 |4| = 1 |7| = 4 |8| = 6 |
Grassazione |
4 |
AR = 1 C = 1 S = 1 |
Corsica = 2(F) Sicilia = 1(F) S. Piero a Sieve = 1 |
q. pr. = 0 q. pu. = 4 |
|3| = 1 |7| = 2 |8| = 2 |
Inosservanza di confino |
9 |
S = 8 A = 1 |
Cascina = 1 Mezzana = 1 Pisa = 4 Ripoli = 1 |
q. pr. = 0 q. pu. = 9 |
|7| = 2 |8| = 7 |
Inosservanza di esilio |
7 |
AG = 1 AR = 1 C = 1 S = 2 A = 1 |
Cesena = 1(F) Ferrara = 1(F) Massa Carrara = 1 Pisa = 2 Pontedera = 1 Ripoli = 1 |
q. pr. = 0 q. pu. = 7 |
|7| = 4 |8| = 4 |
Omicidio |
4 |
AG = 1 T = 1 A = 1 |
Fucecchio = 1 Pisa = 1 Vecchiano = 1 |
q. pr. = 0 q. pu. = 4 |
|2| = 2 |8| = 2 |
Stupro |
14 |
AG = 3 AR = 3 P = 1 S = 5 A = 1 |
Calci = 2,2(G) Compito = 1 (F) (G) Firenze = 1 (C), 1 (M) Mezzana = 1(G) Pisa = 1,1(G) Putignano = 1(G) S. Giusto a Campo = 1(M) Vecchiano = 2 (C) (G) |
q. pr. = 13 q. pu. = 1 |
|1| = 3 |2| = 2 |3| = 1 |5| = 2 |6| = 6 |8| = 2 |
Trasgressione di giuoco |
3 |
AG = 1 AR = 1 C = 1 |
Pisa = 1 San Vittorio a Campo = 1 Stato di Genova = 1(F) |
q. pr. = 0 q. pu. = 3 |
|3| = 3 |
Trasgressione di sale |
14 |
AG = 3 C = 1 L = 6 S = 1 A = 1 |
Avane = 1 Calci = 1 Campo = 1 Filettole = 2 Garfagnana = 1(F) Lammari = 1(F) Lunata = 1(F) Pisa = 1 Ripafratta = 1 S. Lorenzo a Vaccoli = 1(F) S. Maria del Giudice = 1(F) |
q. pr. = 0 q. pu. = 14 |
|2| = 2 |3| = 4 |4| = 1 |6| = 6 |7| = 1 |8| = 3 |
Trasgressione di tabacco |
16 |
AG = 5 AR = 1 C = 1 S = 4 |
Arena = 1 Asciano = 1 Barga = 1 Lucca = 3(F) Pescia = 1 Pieve a Pelago = 1(F) Pisa = 1 Pontedera = 1 Pugnano = 1 Rocca a Pelago = 1(F) S. Anna a Pelago = 1(F) S. Maria del Giudice = 1(F) Santo Pietro = 1 |
q. pr. = 0 q. pu. = 16 |
|2| = 1 |3| = 9 |4| = 3 |6| = 3 |8| = 1 |
Altri |
13 |
AG = 2 AR = 2 C = 1 S = 5 A = 1 |
Arquata = 1 Bulciano = 1 Calci = 1 Filettole = 1 Firenze = 1(C) Lucca = 1(F) Pisa = 2 Ponte alla Pergola = 1 Ripafratta = 2 Vecchiano = 1 Viareggio = 1 |
q. pr. = 3 q. pu. = 8 ref. med. = 1 d’uff. = 1 |
|1| = 1 |2| = 4 |3| = 1 |4| = 4 |6| = 1 |7| = 3 |8| = 2 |
nota: il numero dei tipi di attività e dei luoghi di origine può non corrispondere a quello delle accuse o perché mancano i dati relativi nelle schede d’archivio o perché si tratta ripetutamente di una medesima persona.
Il numero delle decisioni può essere superiore a quello delle accuse perché molti processi si chiudono con una pluralità di dispositivi, che sono stati considerati unitariamente.
Si fa riferimento in questa sede alle Tabelle
4.a, 4.b, 4.c e al grafico relativo, il quale contiene l’indicazione del numero di condanne per gli anni 1786-1787-1788, suddivise in quattro gruppi : pene pecuniarie, pene detentive, pene espulsive, pene corporali.Pisa, l'odierno Giardino Scotto, che fu dapprima fortezza medicea di controllo militare della Città, e divenne infine sede del Bagno penale, luogo di espiazione della condanna per forzati e galeotti, invivibile e penoso, dove "si muore sempre, e non si muore mai", secondo diceva una supplica dei galeotti di età della Reggenza
|
quelle espulsive (confino e esilio) ben 29. Considerando la pena pecuniaria solo come pena unica, la situazione pisana sembrerebbe quindi confermare l’osservazione secondo la quale la pena espulsiva "nella Toscana leopoldina […] è di gran lunga la più utilizzata per la punizione dei delitti più disparati, ma sempre di una certa gravità" (14)
.
Tabella 4.a. Singoli tipi di pena nel triennio 1786-1788
Tipi di pena |
|
1786 |
1787 |
1788 |
Pene pecuniarie |
unica |
3 |
3 |
8 |
|
aggravio |
0 |
0 |
4 |
Pene detentive |
carcere |
3 |
1 |
8 |
|
pubblici lavori |
3 |
1 |
1 |
Pene espulsive |
esilio |
3 |
4 |
7 |
|
confino |
1 |
5 |
9 |
Pene corporali |
|
0 |
0 |
0 |
Tabella 4.b. Gruppi di pene nel triennio 1786-1788.
Tipi di pena |
1786 |
1787 |
1788 |
Pene pecuniarie (uniche) |
3 |
3 |
8 |
Pene detentive |
6 |
2 |
9 |
Pene espulsive |
4 |
9 |
16 |
Grafico 2: Pene irrogate nel triennio 1786-1788
Tabella 4.c. Totale delle pene irrogate nel triennio 1786-1788
Tipi di pena |
Totale |
Pene pecuniarie (uniche) |
14 |
Pene detentive |
17 |
Pene espulsive |
29 |
Pene corporali |
0 |
5. Gli imputati per settori d’attività
Può essere interessante vedere quale fosse il mestiere, e quindi anche la probabile estrazione sociale, di coloro che subivano processi criminali in quegli anni a Pisa (15)
.Per poter classificare i numerosissimi dati relativi ai mestieri estratti dalle filze, è stata utilizzata una suddivisione per settori di attività: agricoltura (in cui sono stati compresi tutti i lavori legati alla terra), artigianato, commercio (in cui sono state comprese tutte le attività legate alla produzione ed allo smercio dei prodotti di manifattura), lavori da donna (in cui sono stati compresi tutti i lavori prevalentemente femminili), professioni, servizi (in cui sono stati compresi tutti i mestieri legati a servizi), tessile, ed infine una categoria residuale in cui sono state collocate tutte quelle attività che non potevano essere catalogate altrimenti.
Da questa classificazione, si vede come i settori più presenti siano quelli dei servizi e dell’agricoltura: contadini, braccianti, navicellai, vetturali sono i principali protagonisti di questi processi. Dunque, c’è una base sociale abbastanza omogenea, ed è significativo del resto il fatto che uno solo degli imputati abbia una posizione sociale: di rilievo: nelle carte si dice infatti che egli "vive delle sue entrate" (16)
: per il resto, si tratta evidentemente di lavoratori impegnati in attività prive di qualificazione professionale e di non grande redditività economica.
Tabella 5. Suddivisione degli imputati per settori di attività.
Tabella 5. Suddivisione degli imputati per settori di attività. |
|
Agricoltura |
28 |
Artigianato |
16 |
Commercio |
15 |
Lavori da donna |
6 |
Professioni |
3 |
Servizi |
36 |
Tessile |
1 |
Altri |
11 |
1. Modello statico e modello pragmatico
L’obbiettivo del particolare tipo di studio di cui si dà qui un primo provvisorio saggio — e che si potrebbe definire in prima approssimazione, come "un’analisi orientata", delle norme della Leopoldina — è quello di dare un’interpretazione il più possibile circostanziata del processo criminale leopoldino, fondata sull’analisi della struttura dei processi celebrati davanti al Tribunale di Pisa e sul rapporto applicativo che tale processo stabilisce con la normativa leopoldina.
In questo modo — ed è questo il tentativo che si farà nelle prossime pagine — dovrebbe essere possibile creare un modello di processo criminale "pragmatico", vale a dire legato esclusivamente alle caratteristiche emergenti dal dato testuale degli atti criminali, che registravano pedissequamente quanto accadeva in concreto nel Tribunale territoriale, di fronte ai giusdicenti provinciali, ai notari criminali, agli Esecutori di giustizia (i moderni agenti di polizia giudiziaria).
Ed è particolarmente importante, dal nostro punto di vista, proprio guardare alle figure del processo criminale, in particolare al Vicario. La prima cosa che si nota di lui, e che si può subito evidenziare, è che egli si trova inserito tra altri due soggetti che ne riducono fortemente lo spazio operativo: da un lato l’attività istruttoria è svolta dal Notaro criminale, per cui il Vicario si trova davanti un quadro probatorio già formato, senza aver sentito le dichiarazioni dalla viva voce dei protagonisti; dall’altro c’è il Supremo Tribunale di Giustizia, al quale devono essere partecipate tutte le cause (tranne quelle con pena pecuniaria inferiore alle 100 lire, per le quali la partecipazione non è necessaria), che è giudice superiore.
S’impone, dunque, una precisazione preliminare: poiché l’enucleazione del modello processuale pragmatico si fonda sull’interpretazione del mèro dato testuale ed empirico, cioè delle parole scritte sui fogli che compongono gli atti criminali, si ripropongono in questa sede tutti i problemi che riguardano normalmente il trattamento delle fonti e del materiale d’archivio in generale di cui si è parlato precedentemente. Perciò, la ricostruzione di un modello "pragmatico" porta, intrinsecamente, il limite che è proprio di ogni forma di documentazione giudiziaria, che, per essere sempre inevitabilmente una rappresentazione mediata, non può far emergere i dati dinamici, soprattutto per quanto riguarda gli interrogatori; ed in più, si può ipotizzare un limite derivante dal fatto che il ministro redigente l’atto poteva essere impreciso, giacché la sua attività non era sottoposta ad alcun regime rituale di controllo formale e gerarchico della regolarità dei suoi atti.
Tuttavia, nonostante la consapevolezza di questi problemi metodologici generali — sempre presenti quando si affronta lo studio di documenti giudiziari o di polizia (17)
—, è interessante cercare di enucleare quello che sopra si è definito come "un modello pragmatico di processo", analizzando in particolare e diffusamente i processi che presentano una maggior frequenza, e che proprio per questo fatto sembrano mostrare un più forte legame col territorio e con chi lo abitava.L’analisi prende quindi esordio dai processi per stupro, data la loro forte consistenza quantitativa, e considerate anche la particolare complessità di svolgimento, la rilevanza sociale — se non altro, dal punto di vista degli interessi economici e di costume da esso evocati — che il fenomeno delle querele per stupro metteva in evidenza.
Lo stupro, come si può evincere dal numero dei processi pisani che lo riguardano, doveva corrispondere ad un dato sociale molto diffuso, ad un tipo di comportamento evidentemente molto "normale" tra i giovani e le giovani del luogo.
Per poter capire questo dato, è necessario precisare in cosa consisteva lo stupro all’epoca, poiché si trattava di una condotta completamente diversa dalla nozione moderna di violenza sessuale: era stupro la congiunzione carnale con fanciulla o donna onesta non sposata o vedova. In questo senso, il Cremani dice che "stuprum si tamen anguste accipiatur, significat concubitum cum ea, quae nec stupratori, nec caeteris uxor est, sive cum virgine, aut vidua, quae honeste vivit" (18)
.Dunque, lo stupro è identificato ed integrato dalla lesione di uno specifico status, quello di donna onesta, per l’appunto (19)
. Di conseguenza non si tratta — perlomeno non necessariamente — di un atto compiuto contro la volontà del soggetto passivo: non c’è un problema preliminare di consenso, ma tutto è incentrato essenzialmente sullo status della vittima, in sostanza sulla sua considerazione ed integrità morale e sociale. Si può ricordare, semmai, che la Leopoldina non fa distinzione di classe per quanto riguarda il soggetto passivo dello stupro: basta che la donna sia una donna onesta, non ha nessun rilievo la sua condizione sociale. Le donne umili — che nel diritto romano, per quanto riguarda lo stupro, erano equiparate alle meretrici (20) — possono legittimamente essere considerate soggetto passivo di stupro.L’honestas, quindi, è al centro dell’indagine sullo stupro: la cosa più importante da stabilire per il celebrante del processo è se la fanciulla o la donna siano oneste, se cioè esse abbiano avuto fino a quel momento una condotta morale-sessuale irreprensibile. Naturalmente, in sede di interrogatorio, questa è la prima cosa che si cerca di scoprire, sia dalla stuprata, sia dal querelato (il quale, ovviamente, tende sempre a connotare negativamente la figura della donna, cercando di metterne in evidenza la libertà di costumi o comunque la sua precedente frequentazione di uomini), sia dai testimoni.
Inoltre, alcune volte, a quello che possono dichiarare coloro che partecipano al processo, si aggiunge anche il contributo e l’opinione di una figura sociale rivestita di particolare autorevolezza morale: si tratta di un prete, più precisamente del parroco della comunità ecclesiale cui appartiene la stuprata. Nei parroci, evidentemente, quali portavoce particolarmente qualificati del popolo, insieme ai capi famiglia, si manifestava la base di quel comune senso del pudore che era legato alla tutela del buon costume e della moralità pubblica, e la cui lesione era manifestata dal verificarsi nella pubblica opinione di una situazione che si definiva letteralmente come di "pubblico scandalo".
La presenza processuale del parroco è subito evidente dalla lettura di alcuni processi di stupro contenuti nella prima filza (21)
: nelle carte relative, infatti, è cucita, insieme agli atti processuali veri e propri, una lettera inviata dal curato della parrocchia di appartenenza della stuprata, volta a "certificare" l’onestà della ragazza, ed a sottolinearne i suoi buoni costumi e la frequentazione della dottrina cristiana (22). Un’altra cosa che si può notare, per inciso, riguardo a queste lettere, è che, in qualche caso, esse attestano anche la condizione di miserabilità della ragazza (23). Probabilmente, questo è uno dei tanti segni da cui si può cogliere l’incidenza sociale dell’illecito.La circostanza del parere richiesto al parroco sull’honestas della stuprata permette, inoltre, di rilevare come la publica fama, ancora nel processo leopoldino, avesse mantenuto una sua ben precisa rilevanza processuale, particolarmente nei processi per violazione di status, come appunto quelli di stupro (24)
. Non a caso, se si scorrono le carte processuali, si nota come immancabilmente venga chiesto al reo, oltre che se egli conosca e abbia amicizia con la stuprata, se la reputi una persona onesta, degna di fede e capace di dire la verità. Anche nell’interrogatorio dei testimoni, del resto, questo è un punto cruciale.Dunque, la reputazione di cui la donna sedotta gode presso il popolo, o presso suoi rappresentanti particolarmente autorevoli, rimane elemento decisivo dell’accertamento di quell’elemento determinante della configurazione dell’illecito che è l’honestas, ed in ciò manifesta evidentemente una sua prolungata, persistente vitalità quell’idea di publica fama che costituiva un retaggio del passato, ed alla quale anche il Cremani attribuiva un certo valore probatorio, anche se la includeva tra gli indizi (25)
.Se l’honestas costituiva il bene giuridico aggredito con lo stupro, e quindi l’esistenza dello status di donna onesta, alla cui verifica si tendeva appunto ascoltando e dando valore probatorio alla voce pubblica che correva sulla reputazione della donna, costituiva un presupposto della sussistenza stessa del crimen, l’altro elemento indispensabile che doveva essere verificato dal giudice era la consumazione dell’illecito, identificabile con il fatto della congiunzione carnale dell’uomo con donna onesta, non sposata o vedova.
Il momento cruciale del processo era dunque quello in cui si identificava, ricostruiva e stabiliva la vicenda consumativa del reato. Da questo punto di vista, i processi pisani sono particolarmente significativi. In ognuno di essi, infatti, ha uno spazio importante l’accertamento circa l’avvenuta congiunzione carnale, e questo accertamento è affidato in via privilegiata al racconto della stuprata. Ed il dato che più colpisce di questi racconti è l’uso di un linguaggio a dir poco esplicito, sia nei termini, sia nelle cadenze espressive di cui si fa uso in tal caso.
Il compimento dell’atto sessuale è descritto senza tralasciare nessun particolare (anche con esplicita e forte crudezza lessicale), probabilmente per non lasciare alcun dubbio all’inquisitore circa l’avvenuta consumazione del crimen. L’impressione che si ricava dalla lettura di questi racconti fatti dalle donne sedotte è proprio quella di una preoccupazione costante diretta a realizzare la certezza dell’avvenuto rapporto sessuale, e quindi del momento consumativo dell’illecito. Probabilmente, in questa chiave è possibile valutare la dovizia di particolari profusa nella descrizione del primo convegno amoroso di quelli che di fronte al giudice sono ormai soltanto degli antagonisti processuali.
Infatti — e qui si coglie un’altra particolarità del processo per stupro nel territorio pisano in quegli anni — la descrizione particolareggiata dell’avvenuta congiunzione carnale è fatta sempre con riferimento al primo rapporto avvenuto tra i due. La querelante racconta sempre il primo rapporto, aggiungendo magari dopo che ad esso ne sono seguiti altri, o ne è nata una vera e propria relazione.
Elemento cruciale sul quale ruota la descrizione del primo rapporto è sempre la defloratio, benché questa non fosse necessaria per la consumazione e quindi per integrare il reato (26)
. Probabilmente, questa componente doveva servire ad avvalorare agli occhi dell’inquisitore l’onestà della donna, e di conseguenza la veridicità delle affermazioni circa la sua moralità fatte dai testimoni o dal parroco. Allo stesso scopo, è mirato anche il racconto, che le stuprate di solito fanno, delle lusinghe ricevute da parte dell’uomo, delle sue dichiarazioni amorose e delle promesse di matrimonio fatte per indurle a cedere al tentativo di seduzione.Un’altra dimostrazione dell’importanza di stabilire il momento consumativo nel reato di stupro viene dalla perizia effettuata sulla donna sedotta da due ostetriche ufficialmente incaricate della consulenza (27)
. Anche l’attestazione delle resultanze di questa indagine sulle querelanti costituisce un momento ricorrente nel processo pisano per stupro. L’attività peritale consiste in un esame di tipo fisico: le due ostetriche, ognuna separatamente dall’altra, devono ispezionare il corpo della donna, allo scopo di verificare sia quella che nelle carte pisane è chiamata "la rottura dei veli virginali" ovvero del "claustro virginale", sia l’eventuale stato di gravidanza. I risultati di questa attività sono portati davanti a colui che conduce l’inquisizione: le due ostetriche, in due interrogatori separati, espongono quanto hanno potuto verificare. Si può notare che quasi sempre le loro dichiarazioni sono volte a confermare sia l’avvenuta defloratio, sia la presenza di uno stato di gravidanza.Ed è proprio la gravidanza l’altro motivo ricorrente dei processi pisani per stupro: su quattordici procedimenti, in ben otto (28)
di essi la stuprata è in stato di gravidanza (29) . Questa circostanza, evidentemente, porta il discorso ben oltre l’accertamento del momento consumativo dello stupro e del valore complessivo dell’attività delle due ostetriche, e motiva semmai una valutazione globale del rilievo sociale dello stupro, che era evidentemente una manifestazione particolare delle complessive strategie matrimoniali seguite allora da quelle popolazioni. Il fatto che più della metà delle querele riguardasse donne gravide sembra avvalorare il sospetto che la proposizione della querela di stupro in quegli anni, almeno nel pisano, avesse in realtà, più che un intento punitivo, un evidente scopo matrimoniale (30) . In effetti, in due casi c’è anche con sicurezza la notizia dell’avvenuto matrimonio tra i protagonisti del processo (31).A questo punto, si può fissare qualche conclusione. Innanzitutto, il processo pisano per stupro è un processo che rispecchia, in linea di massima, quello che era il processo per stupro in quegli anni, ossia un processo per violazione di status, in cui si manteneva centrale l’importanza della publica fama non solo a fini probatori, ma anche per la sostanziale integrazioni degli elementi costitutivi della condotta punita. D’altronde, anche la perizia delle due ostetriche era tipica della mentalità dell’epoca e dell’ambiente, e su di essa la legge criminale del 30 novembre non è intervenuta. Ma questo non deve stupire, poiché la riforma, aveva modificato soltanto il trattamento sanzionatorio dello stupro, senza toccarne né i profili sostanziali né quelli processuali.
In secondo luogo, c’è da dire che l’impressione che si trae dalla lettura dei processi pisani per stupro — considerato anche l’alto numero delle gravidanze che non di rado inducevano le donne alla querela solo dopo anni di relazione col querelato — è che si trattasse di un processo in cui confluivano elementi che non erano strettamente giudiziari, ma che toccavano peculiari interessi socialmente rilevanti, ossia quelli legati al valore economico della verginità, o dell’onestà, delle donne (32)
. L’impressione, in altri termini, è un po’ quella di essere di fronte a querele fatte, più che per lavare l’offesa subita, per ottenere un contrapasso "matrimoniale", soprattutto quando si prevedeva la nascita di un figlio altrimenti illegittimo.
Il furto aveva avuto, come del resto lo stupro, una consistente elaborazione dottrinale, i cui risultati si possono apprezzare in maniera particolarmente efficace nelle pagine che Carmignani dedica al cosiddetto "furto proprio" (33)
. Egli definisce il "furto vero e proprio" come "l’ablazione di altrui cosa mobile, commessa dolosamente contro la volontà del padrone, e con animo di trarne lucro". È evidente che Carmignani ha mutuato la definizione data dal Cremani, il quale afferma che "unde nil mirum, si hodie in definiendo furto plerique tantisper recedant a Romanis iurisconsultis, illudque nil aliud esse doceant, quam rei alienae mobilis ablationem dolosam factam invito domino, atque animo consequendi lucri"(34). Dunque, il furto si caratterizza, oltre che per la sottrazione e per l’altruità della cosa, per un elemento che oggi definiremmo dolo specifico, in quanto si riferisce al fatto tipico e non alla colpevolezza: il fine di trarne profitto. In sostanza, la struttura del furto in quest’epoca è già simile a quella moderna, per la quale il furto si ha quando qualcuno si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, allo scopo di trarne profitto.Carmignani, dopo averlo definito, indica le varie specie di furto proprio, riconducendole alla suddivisione di base tra furto semplice e furto qualificato: il furto semplice è quello che "lede solo il dominio", quello qualificato è quello che, "oltre il dominio, lede qualche altro diritto" (35)
; il furto qualificato è reso tale dall’intervento di una serie di circostanze precise ("violenza, prave arti, qualità dei luoghi, tempo, relazioni di fiducia tra il ladro e il derubato") (36).Ma la cosa più importante è, dal nostro punto di vista, che il furto, semplice o qualificato che fosse, era un reato perseguibile d’ufficio. E lo riconosce espressamente anche Carmignani, laddove evidenzia come, in opposizione a quanto avveniva presso i Romani, "secondo la legislazione toscana il furto proprio costituisce un delitto pubblico, talché alla sua repressione si procede pubblicamente ex officio" (37)
.E proprio collegandosi al profilo del modo di attivazione del processo, si può fare la prima osservazione sui processi per furto pisani, scoprendo che questi sono perfettamente in linea con quanto previsto dalla riforma criminale (§ III, Cod. Leop.). Infatti, questi sono introdotti, nella quasi totalità dei casi, con querela pubblica: su 21 processi, ben 20 sono introdotti con querela pubblica, generalmente presentata dal Bargello di Pisa (38)
. Di solito, la comparsa contiene la descrizione delle "robe furtive", del luogo dove sono state sottratte o ritrovate, del possibile autore del furto, a meno che questo non sia "incognito" (39).Per quanto riguarda la struttura processuale, i giudizi per furto presentano una certa linearità di svolgimento; in particolare, l’inquisizione, che normalmente costituisce la gran parte del processo, si svolge secondo la procedura ordinaria incentrata sulla dinamica "esame del reo-esame dei testimoni". Una particolarità che si può rilevare, semmai, è la frequente presenza della perizia sulle cose derubate, allo scopo di stimarne il valore, effettuata da esperti di volta in volta diversi a seconda della qualità delle cose rubate (40)
.Una cosa che colpisce non appena si leggono vari processi per furto pisani è — tralasciando il furto classico di denaro — la qualità spesso modesta delle cose rubate: la condotta di furto non di rado è integrata dalla sottrazione di lenzuola (41)
oppure di oggetti "domestici" (42), o ancora di materie di prima necessità (43).D’altra parte, a possibile temperamento di questa che non è altro che una sensazione provocata dalla lettura delle carte criminali, si può ricordare il fatto che nelle carte si rinvengono alcuni casi di particolari furti aggravati, la cui denominazione nel repertorio che apre le filze non è quella di furto, bensì è costituita da uno specifico nomen iuris: si pensi all’abigeato, al "borsaiolo" e alla "crassazione". Occorre a questo punto, prima di passare a vedere i processi, precisare cosa sono il "borsaiolo" e la "crassazione". Il "borsaiolo" è un furto qualificato da "prave arti", secondo la suddivisione di Carmignani, il quale definisce i borsaioli e tagliaborse come "coloro che "nei luoghi di gran concorso di gente soglion con mirabile destrezza tagliare ai meno accorti le tasche, o tirar fuori sottomano dalle altrui borse quel che vi trovano; e tutti coloro i quali hanno tanta agilità di mano nel rubare, che […] tutto il loro ingegno sembra nelle lor dita concentrato" (44)
. La "crassazione" è un assalto ai viandanti allo scopo di derubarli, che il Carmignani inserisce tra i furti "qualificati dal luogo", definendo i grassatori come "coloro che per per professione assalgono a mano armata nelle vie publiche i viandanti per ispogliarli" (45).Tornando all’esame dei processi pisani, si può notare che l’abigeato è presente soltanto in un processo (46)
, i casi di accusa di "borsaiolo" sono due (47), le ipotesi di "crassazione" quattro (48). Non si possono dimenticare, inoltre, che nelle filze criminali sono riscontrabili anche alcuni casi di furto domestico (49), specie di furto che il Carmignani include tra i furti qualificati "dalle relazioni di fiducia tra l’offensore e l’offeso" (50), definendolo come il furto che "si commette eziandio dai parenti, affini, ospiti, o famigliari che si valgono dell’opportunità della coabitazione; o dalle persone che si trovano in servizio mercenario" (51).
Le trasgressioni di sale e di tabacco sono dal Carmignani classificate tra le trasgressioni contro l’erario pubblico, e definite rispettivamente come "l’introdurre nel nostro Stato sale straniero, o il vendere privatamente del sale nostrale", e "l’importare o ritenere tabacco straniero" (52)
. I processi per trasgressione di sale e quelli per trasgressione di tabacco costituiscono, insieme, ben trenta casi, cioè nove casi in più dell’illecito più frequente, che è appunto il furto. Evidentemente, molte persone dovevano essere coinvolte in questa attività, che doveva essere diffusa particolarmente tra gli strati più bassi della popolazione, ed anche tra le donne.Il primo dato che salta all’occhio è proprio la forte presenza delle donne come imputate in questo tipo di processi. Mentre negli altri illeciti la componente femminile dei rei è estremamente ridotta, nelle trasgressioni di sale e di tabacco spesso l’inquisitore si trova ad esaminare una donna: in sette casi di trasgressione di sale (53)
, e in quattro di tabacco (54), il reo è una donna. Questo fatto fa supporre che — a parte la considerazione che indubbiamente si tratta di illeciti di facile perpretazione anche da parte di una donna — effettivamente il contrabbando fosse una forma primaria di reperimento di risorse alimentari, e che come tale avesse una notevole diffusione tra la popolazione.In effetti, ancor prima della Leopoldina, molti tentativi erano stati fatti dal governo (55)
per cercare di arginare questo fenomeno largamente diffuso, che trovava origine nella privativa pubblica che gravava sul sale e sul tabacco, in quanto sottoposti al pubblico monopolio. D’altra parte, se si guarda ad un contesto decisamente più vasto, si può vedere che nel Settecento il contrabbando è diffusissimo in molte aree dell’Europa, dove costituisce un tipo di crimine diffuso soprattutto tra gli strati più bassi della popolazione, ed affonda le sue radici anche nella compromessa situazione economica delle masse popolari (56).Per quanto riguarda in particolare la trasgressione di sale, la situazione a Pisa era caratterizzata anche dal tipo di sistema adottato per la vendita del sale. Qui, infatti, fino al 1788, il sale veniva distribuito in maniera forzata in base al numero delle bocche, mentre i prezzi e le misure erano diversi, per cui ciò aveva fortemente incrementato la pratica del contrabbando. Nel 1788, una nuova normativa, pur mantenendo il monopolio pubblico, regolamentò la vendita, affidandola in via esclusiva a canovieri sottoposti al magistrato comunitativo, che vendevano il sale in 6 nuove canove, 3 in centro, e 3 fuori città (57)
.Per quanto riguarda il processo per contrabbando, vediamo che tutti i processi pisani sono aperti con querela pubblica, fatta generalmente da stradieri o vice-stradieri o guardie della dogana, cioè a dire da poliziotti che sorvegliavano le porte della città allo scopo di fermare chi tentasse di introdurre illecitamente in città sale o tabacco. C’è quindi un sostanziale rispetto di quanto previsto dalla Leopoldina circa l’apertura del processo. Ed il rispetto riguarda anche il presupposto che la stessa legge ha posto per poter procedere giudizialmente per inquisizione, ossia l’invenzione della merce (§ CVII Cod. Leop.). Nei processi pisani, infatti, c’è, in linea di massima, il riferimento all’invenzione della merce, la quale, una volta sequestrata ai trasgressori, veniva sigillata e portata in corte. Davanti alla corte, apparivano cartocci di tabacco in polvere oppure sacchetti di sale "forestiero", tutti sigillati "con cera rossa di Spagna" e con sigillo esprimente vari soggetti (58)
. La presenza della merce sequestrata è evidentemente essenziale, se anche le comparse descrivono minuziosamente cosa è stato ritrovato addosso, o sul barroccio, del trasgressore, e come ciò è stato sequestrato e sigillato.In ultima analisi, si può aggiungere ai casi di contrabbando quelli di "defraudata gabella", ben quindici nei processi pisani. Si tratta in questo caso di merci sottoposte a imposizione daziaria, relativamente alle quali si è tentato di sottrarsi al pagamento della dogana. I trasgressori, non a caso, sono prevalentemente navicellai (59)
o vetturali (60) o negozianti (61), cioè persone che tentano di introdurre merci sottoposte a gabella eludendo i controlli fiscali, ovvero negozianti che cercano di evitare di pagare l’imposta su determinate merci da loro vendute. Si può notare che particolarmente presente è la frode alla gabella imposta sulle telerie (62).Un tale accostamento tra trasgressioni di sale e tabacco e defraudata gabella non è evidentemente inopportuno, ed anzi si ritrova anche in Carmignani, il quale annovera sia la defraudata gabella sia il contrabbando di sale e tabacco tra quelle che egli chiama le "trasgressioni contro l’erario pubblico" (63)
. Più precisamente, egli sostiene che alcune "merci straniere son soggette unicamente alla gabella che si paga non solo nei confini dello Stato ma anche in certi luoghi dell’interno dalla legge designati, dove si paga la gabella per alcune merci nostrali ancora" (64).Concludendo, si può rilevare un dato di fondo della criminalità pisana di quegli anni: una parte consistente dei reati commessi è costituita da trasgressioni, ossia da illeciti che costituiscono il sintomo di un’economia (anche criminale) di sussistenza. Le trasgressioni sono reati contravvenzionali; evidentemente, se si considera anche la non gran presenza dei delitti "di sangue" (gli omicidi sono quattro, i ferimenti dieci), si può concludere, anche se con una certa approssimazione, che la situazione criminale pisana non era complessivamente molto preoccupante, e che vi avevano essenziale rilievo soprattutto delle azioni sostanzialmente prive di carica criminale come le trasgressioni che, "senza essere contrarie al diritto naturale, ed ai principi dell’etica universale, e pur restando in sé stesse indifferenti, violano però le leggi che per maggior bene della società o le comandano o le vietano" (65)
.
Il processo criminale, in virtù delle significative novità introdotte dalla Leopoldina in tema di modi d’introduzione del processo, non può più essere aperto d’ufficio dal giudice, ma deve essere introdotto necessariamente da una querela, pubblica — cioè presentata da esponenti della polizia — o privata — se presentata da cittadini —, o da referto medico. Il processo criminale rimane così pur sempre un processo inquisitorio, ma con questa rilevante mitigazione, costituita dal fatto che chi deve giudicare non può più essere anche colui che accusa e provoca l’apertura del processo.
La querela è contenuta in quell’atto, che deve essere presentato alla corte, e che si chiama comparsa, che contiene, in linea di massima, la descrizione degli estremi del fatto criminoso, la sua attribuzione ad un soggetto, anche non identificato, e la richiesta che si proceda criminalmente contro l’autore del fatto.
Basandosi sulle informazioni ricevute dal querelante e dal reo, il Tribunale comincia l’istruttoria, che è la fase più delicata del processo, condotta solitamente dal Notaro criminale, e caratterizzata dal principio di segretezza (66)
. Tale segretezza appare però temperata, a seguito della Leopoldina, da due istituti posti a garanzia dei diritti dell’imputato, in cui si realizza una parvenza di contraddittorio. Il primo temperamento è dato dalla operatività ex officio della ripetizione dei testimoni (§ XXVI Cod. Leop.), la quale consiste nel ripetere in presenza dell’imputato le deposizioni rese precedentemente dai testimoni; il secondo si sostanzia nel diritto dell’imputato sottoposto a carcerazione preventiva ad essere confrontato col testimone a carico (§ XXIII).Proseguendo nell’analisi del processo, incontriamo i testimoni, ossia i protagonisti decisivi del processo criminale. I loro interrogatori sono sempre determinanti per la definizione del quadro fattuale-probatorio, in quanto non si limitano ad indagare gli estremi del fatto criminoso, e quindi la fondatezza della comparsa, ma contengono anche elementi valutativi della personalità o della reputazione del reo (e, eventualmente, del querelante privato, com’è di particolare evidenza nei processi di stupro), o circa quello che si è sentito dire dal pubblico sul fatto criminoso in questione. Dunque, come si è visto in maniera paradigmatica sempre per i processi di stupro, la publica fama conserva nondimeno un suo pur limitato spazio processuale.
L’escussione della prova testimoniale occupa gran parte delle carte criminali pisane: pagine e pagine di domande e risposte, che si aprono solitamente con la formula "Se sappia o si immagini la causa del suo presente esame" (la stessa che apre solitamente anche l’interrogatorio del reo).
Una volta terminata sia l’escussione delle testimonianze, sia l’inquisizione del reo, scatta la pubblicazione di tutti gli atti processuali compiuti fino a quel momento, che devono quindi essere copiati.
Successivamente, si ha l’assegnazione del termine per la difesa, in modo da consentire la redazione delle scritture difensive.
A questo punto il processo passa dalle mani dell’organo inquisitore a quelle del giudice, ossia del Vicario, il quale dovrà decidere, non prima però di avere "partecipato" la causa al Supremo Tribunale di Giustizia. Il giudice superiore dovrà formulare un parere, e inviarlo all’ufficio del giudice a quo. A questo punto il Vicario è in grado di emettere la decisione (67)
.Il Vicario, in quanto giudice, è il soggetto in cui si forma il convincimento relativo alla causa. Egli ha davanti a sé un determinato quadro probatorio, ed in base a questo deve emettere una decisione. Ma è proprio il profilo probatorio quello che più lega ancora il processo criminale di questi anni a concezioni del passato. Il processo criminale toscano è, infatti, un processo sostanzialmente indiziario. E gli indizi, d’altra parte, non sono distinti dalle prove storiche (68)
, bensì sono ritenuti prove storiche a tutti gli effetti, sulla cui base quindi è ammessa l’emissione di una condanna nonostante l’insufficienza di prova. È questa, infatti, la base su cui si può irrogare una pena straordinaria, fondata su una prova cosiddetta semipiena. Dunque, l’assetto probatorio è aggravato dalla riconosciuta operatività delle prove legali, che contrasta in maniera stridente col principio del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove. La Leopoldina, nonostante il notevolissimo sforzo compiuto per razionalizzare gli istituti ed i meccanismi processuali, non aveva potuto ancora mutare radicalmente le fondamenta del sistema probatorio tradizionale.
Per chiudere questa breve sintesi analitica, si può accennare al sistema punitivo adottato in concreto dai giudici sul territorio, traendo spunto ed analizzando le condanne emesse davanti al tribunale del Commissariato di Pisa. L’analisi può partire dalla statistica relativa alle varie categorie di pene — pene pecuniarie, pene detentive, pene espulsive, pene corporali — rappresentata nella
tabella 4.a, alla quale si rinvia.Andando a guardare le varie categorie di pene più da vicino, si può notare che la pena pecuniaria poteva essere irrogata sia come unica pena, sia come aggravio accessorio di un’altra pena, detentiva o espulsiva. Secondo quanto emerge dalle sentenze dei processi pisani, di solito la pena pecuniaria è irrogata come unica pena nelle trasgressioni di sale o tabacco e nelle defraudate gabelle (72)
, mentre talvolta è irrogata come aggravio di pene espulsive contro forestieri (73).Per quanto riguarda le pene detentive, si nota che il ricorso al carcere, sempre nei processi pisani, avviene prevalentemente nei delitti di furto e ferimento, e che il carcere, inoltre, talora si accompagna ad una pena espulsiva. Per quanto riguarda gli stabilimenti di pena, a Pisa i detenuti erano rinchiusi nelle carceri pubbliche e segrete, le quali, durante gli anni ‘80, erano state restaurate e rese più salubri, e se n’erano ingrandite le finestre e ripulite le celle (74)
.Per quanto riguarda i pubblici lavori, si può osservare che questo tipo di pena veniva irrogato soprattutto contro coloro che si rendevano inosservanti della pena dell’esilio o del confino alla quale erano stati precedentemente condannati (75)
.Passando poi a vedere il trttamento riservato alle pene espulsive, si può infine aggiungere che l’esilio veniva irrogato per la repressione di parecchi delitti, in particolare furti, ma anche per le accuse di "borsaiolo", e per quelle di abigeato e di "crassazione" e contro imputati forestieri che avessero commesso anche illeciti di poca gravità, come trasgressioni di sale o di tabacco. Il confino veniva irrogato, oltre che per furto, omicidio, "crassazione", soprattutto per l’inosservanza del confino già previsto. Esilio e confino, pur essendo entrambi manifestazione della volontà pubblica di allontanare coloro che delinquevano dalla comunità sociale, avevano una diversità: l’esiliato, pur perdendo evidentemente lavoro, casa e famiglia, poteva muoversi liberamente al di fuori dei confini vietati; il confinato invece, pur avendo in teoria libertà di movimento entro i limiti stabiliti, si trovava in realtà a dover vivere in luoghi alquanto inospitali, come nel caso del confino a Grosseto, vale a dire in una Maremma ancora paludosa e insana (76)
.
Il § LXXIV fornisce il trattamento sanzionatorio del furto semplice, stabilendo che se questo non supera i cinquanta scudi, la pena è minore dei pubblici lavori, mentre se invece passa questa cifra, si irroga in ogni caso la pena dei pubblici lavori, la cui durata varia, a seconda dell’entità del furto, da un minimo di tre anni ad un massimo di venti.
Il § LXXV, sulla stessa linea, stabilisce il trattamento sanzionatorio dei furti qualificati, che sono particolari furti aggravati. Stabilisce che, se si tratta di "furti qualificati da scasso, scalamento, o chiave falsa, furti domestici, in quelli commessi da borsaioli, negli abigeati, nel peculato, e nei furti ancora che si commettessero in occasione di qualche incendio, rovina, o naufragio", basta che l’entità del furto sia di scudi venticinque perché siano irrogati i pubblici lavori.
Il § LXXVI disciplina invece i furti violenti: "se si tratterà di violenza, che non ecceda i termini di semplice rapina, o semplice concussione, avrà luogo la detta pena dei pubblici lavori, qualora il valore del tolto passi le lire cinquanta".
Proseguendo, il § LXXVII disciplina l’ipotesi di "crassazione" (che è l’assalto commesso su vie pubbliche a scopo di rapina) e altre ipotesi di rapine commesse con armi o con altri strumenti offensivi: se la rapina è stata commessa in vie pubbliche "o con offesa della persona violentata", ma senza armi, basta che l’entità della sottrazione sia di lire dieci per poter irrogare i lavori pubblici; se invece c’è stato uso di armi o altri strumenti offensivi, non ci sarà limite di somma e i pubblici lavori potranno arrivare fino all’ultimo supplizio.
Può essere utile ricordare l’opinione di Condorcet sulla disciplina del furto nella legislazione leopoldina: egli riconosce che gli articoli LXXIV-LXXVIII sono "rédigés d’après les vues les plus humaines et les plus sage", ma non può fare a meno di criticare due spazi lasciati all’arbitrio del giudice: il primo, per quanto riguarda la condanna ai lavori pubblici dai tre ai venti anni; il secondo, per l’indeterminatezza delle circostanze aggravanti che avrebbero potuto giustificare l’ultimo supplizio nell’ipotesi di assalto sulle vie pubbliche. Il furto è disciplinato dagli articoli LXXIV-LXXVIII, che comprendono anche la rapina.
È solo il caso di dire che la bibliografia sulla Leopoldina è veramente sterminata : basti qui rinviare ai tredici volumi del congresso dedicato proprio alla Leopoldina in occasione del suo secondo centenario e pubblicato a Milano nel 1989 (La "Leopoldina".. Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, a cura di L Berlinguer e F. Colao)].
Il testo della Leopoldina è stato visto nell’edizione critica, curata da Dario Zuliani, La riforma penale di Pietro Leopoldo, 2. Voll., Milano 1995 (La "Leopoldina".. Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, 2) ; ma se ne veda anche il testo in appendice a "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria, a cura di Franco Venturi, Torino 1965, 258-300.
Della precedente bibliografia si possono qui ricordare in particolare: M. Da Passano, La giustizia penale e la riforma leopoldina in alcuni inediti di Condorcet, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", vol. V, Bologna 1975; V. Piano Mortari, Tentativi di codificazione nel Granducato di Toscana nel sec. XVIII, Napoli; S. Salmonowicz, Leopoldina: il codice penale toscano dell’anno 1786, in "Rivista italiana per le scienze giuridiche", vol. XCVI, 173 ss., 1969; G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, vol. I: Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna 1976; A. Wandruszka, Pietro Leopoldo. Un grande riformatore, Firenze 1968.
Tra gli scritti d’autori ottocenteschi si ricordano qui in particolare: A. ZOBI, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLVIII, tomo II, Firenze 1850; T. Branchi, Elementi del diritto civile secondo l’ordine delle Istituzioni di Giustiniano, vol. I, Firenze, Bencini, 1852; F. Forti, Libri due delle istituzioni di diritto civile, Firenze, Cammelli, 1863; C. Calisse, Storia del diritto penale italiano dal secolo VI al XIX, Firenze 1895.
Andando oltre l’esame del contenuto normativo del § I, un’altra opportuna considerazione concerne i due obblighi che esso sancisce espressamente: uno è l’obbligo, sia per il querelante pubblico sia per quello privato, di firmare la querela, l’altro è l’obbligo di registrare le querele, gravante sul ministro. Si può annotare come Cercignani avesse approvato la massima relativa a questo § (e che in gran parte vi è confluita) che gli era stata sottoposta. Egli, anzi, aveva proposto di utilizzare a questo proposito il sistema francese, che prevedeva l’obbligo del pubblico querelante di tenere un registro di tutte le querele, che devono essere firmate dal querelante stesso (Zuliani, 2, 33-4). Passando alla disposizione successiva, vediamo che il § II continua il contenuto del primo, stabilendo che "Quest’atto [la registrazione della querela ] servirà perché chi avrà presentato la querela sempre, e a tutti gli effetti, ne sia il debitore per tutti i casi che l’imputato ritrovato innocente si dovesse procedere contro l’accusatore per la calunnia, ben inteso però sempre che il querelante pubblico non sia tenuto che alla calunnia espressa ovvero a dire chi gli ha dato la notizia". Dunque, la querela impegna chi la compie non solo dal punto di vista morale, ma anche da quello giuridico penale, creando una vera e propria responsabilità. Per capire a fondo la portata della norma, possono essere utili le osservazioni, in parte divergenti, sia di Cercignani che di Tosi in proposito. Cercignani si richiama, e suggerisce di adottarlo anche per la Toscana, al sistema francese, nel quale, se non si riesce a provare il delitto, l’accusatore ha l’obbligo di manifestare la "spia", in modo che si possa agire per la calunnia. Il Tosi, invece, distingue una calunnia "vera" (si ha quando l’accusatore è perfettamente consapevole dell’innocenza dell’accusato oppure non sa assolutamente se egli è colpevole o no) da una calunnia "presunta" (quando semplicemente non si riesce a provare l’accusa): nel caso di calunnia "presunta" il querelante pubblico non subisce alcuna conseguenza, mentre il querelante privato non può essere condannato per calunnia, ma solo alla refezione dei danni. Leggendo il § II, si vede come Pietro Leopoldo avesse approvato le osservazioni dei suoi collaboratori. Nel testo di esso, infatti, si parla di "debitore", alludendo in questo modo ad una responsabilità per danni, si fa espressa menzione della calunnia, e si circoscrive la responsabilità del querelante pubblico imponendogli il solo obbligo di rivelare chi gli ha fornito le informazioni (Zuliani, 33-6). Proseguendo con il § III, vediamo che questo, oltre a prevedere un altro modo d’introduzione del processo (il referto del cerusico), disciplina la procedibilità per i delitti, sancendo una regola generale di procedibilità d’ufficio e delineando in maniera specifica le ipotesi — eccezionali — di procedibilità di parte. L’articolo, infatti, stabilisce che in tutti i delitti "si potrà e si dovrà procedere ex officio", ma che "da questa disposizione restano eccettuate però le ingiurie tanto verbali, che scritte, le leggiere percosse, o altre semplici offese della persona seguite in rissa […], e gli stupri, e adulterii senza violenza, nelle quali cause non sarà permesso l’accettar querela se non è della parte a cui compete l’azione di querela re". La norma prosegue con l’elencazione delle persone cui spetta quest’azione; in particolare, nello stupro spetta "alla stuprata, al padre, in mancanza del padre alla madre, fratello, tutore, o curatore, o altro più prossimo congiunto". Per questi delitti il § prevede, e così si chiude, la possibilità che la parte cui spetta la querela, dopo l’inizio del processo ma prima che sia stata emanata la sentenza, possa rinunciare ovvero possa fare quietanza al querela to, in modo che non si procede ulteriormente in causa. C’è qui, evidentemente, per quanto riguarda questo gruppo specifico di delitti, il riconoscimento di interessi disponibili delle parti, per cui, se esse non hanno interesse all’azione penale ovvero non ve ne hanno più, il processo può tranquillamente chiudersi. Al contrario, la regola generale della procedibilità ex officio di tutti i delitti sta a dimostrare la volontà pubblica di perseguire comunque e sempre i comportamenti che sono ritenuti particolarmente pericolosi dall’ordinamento giuridico. I delitti a procedibilità di parte, invece, o sono delitti meno gravi, che non recano offesa considerevole né alla persona (ingiurie, "leggiere percosse", "altre semplici offese della persona seguite in rissa"), né al patrimonio (turbative, danni dati in campagna escluso l’incendio, piccole truffe, stellionati non eccedenti le 70 lire); ovvero sono delitti gravi ma in cui l’interesse tutelato è un interesse che potremmo definire "personalissimo" e che comunque va a provocare una qualche suggestione di scandalo, ragion per cui è necessario agire con la massima cautela (ed è il caso dello stupro e degli adulteri senza violenza). Condorcet, commentando questo § alla nota 3, propone di aggiungere all’elenco dei delitti perseguibili a querela della parte offesa anche il furto semplice "sans effraction". Egli, inoltre, cerca di individuare i motivi che hanno ispirato questo articolo, e ne individua due fondamentali: il primo è quello di lasciare alla parte offesa la libertà di querela re sia quando il delitto non tocca che debolmente l’ordine pubblico, sia quando con un processo la parte offesa stessa si espone a "s’avilir" nell’opinione pubblica; c’è poi un altro possibile motivo, secondo Condorcet, che consiste nel non accordare la querela se non alla persona che può avere una reale conoscenza del delitto (Da Passano, La giustizia penale., 424). Gli articoli IV e V sono norme di chiusura, che riguardano la quietanza: la prima stabilisce che, se nonostante la quietanza, "costerà dell’imputazione", il tribunale dovrà darne notizia al Presidente del Buon Governo, all’Auditore fiscale di Siena e al Commissario di Grosseto (per i rispettivi territori), in modo che il querelato rimanga segnalato come persona sospetta. A quest’ultimo riguardo, è particolarmente significativa la nota di Condorcet relativa al controllo esercitato sulle persone sospette: egli depreca questa controllo e parla di delazione e di spionaggio, definendolo "moyen odieux, que toute législation sage et humaine doit proscrire" (cfr ancóra Da Passano, 424).
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