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UN TENTATIVO D’ANALISI QUANTITATIVA
 
 
 
 
 

dati raccolti, interpretati e commentati a cura della  Dr. Lucia Giannelli    
 
 

(l'impaginazione e le didascalie alle  immagini sono redazionali)

© L. Giannelli e Iura communia, 1998 


 
 
 
 

Quadreria della corte granducale a Pisa 

I volti distanti di dignitari e membri della Corte granducale, appesi a far mostra di sé nelle sale del Palazzo reale pisano, son qui posti di fronte alla moltitudine dei personaggi che affollano le statistiche criminali cittadine: uomini, quest’ultimi, invece senza volto, di cui soltanto il nome, e non altro, si è conservato nelle carte criminali del Commissario pisano e del suo Vicario. 


Iura Communia - © 1998-08-31

 
 
 
 

Sommario (clicca sull’asterisco posto a fianco delle singole voci di sommario)
 

A. Un’analisi di breve periodo *
1. I tipi di illecito *
2. I modi di introduzione del processo *
Tabella 1: Tipi di illecito *
Grafico 1: Comparazione percentuale dell'incidenza statica dei diversi tipi di d'illecito  *
Tabella 2: Modi di introduzione del processo *
3. Le decisioni *
Tabella 3,  riassuntiva dei dati del repertorio *
4. I tipi di pene *
Tabella 4.a : Singoli tipi di pena nel triennio 1786-1788 *
Tabella 4.b : Gruppi di pene nel triennio 1786-1788 *
Grafico 2: Pene irrogate nel triennio 1786-1788 *
Tabella 4.c : Totale delle pene irrogate nel triennio 1786-1788 *
5. Gli imputati per settori di attività *
Tabella  5:  Suddivisione degli imputati per settore di attività *
B. Il processo criminale *
1. Modello statico e modello pragmatico *
 i. I processi di stupro *
ii. I processi per furto *
iii. I processi di contrabbando *
2. Le caratteristiche del processo criminale *
C. Cenni sul sistema punitivo *
Note al testo *

  

 A. Un’analisi di breve periodo
L’analisi abbraccia il triennio intercorrente tra il gennaio 1786 e il gennaio 1789, e si caratterizza subito, quindi, per essere deliberatamente di breve periodo. Conseguentemente, sarà impossibile fornire dei dati tendenziali, sia per quanto riguarda la criminalità, sia per quanto riguarda l’andamento della giustizia criminale.

Stemma della dinastia Absburgo - Lorena

Ci si propone, piuttosto, di individuare un primo punto di partenza per ulteriori approfondimenti, oltre che di offrire un complesso di elementi utili per indagare l’assetto della criminalità e della giustizia criminale a Pisa negli anni immediatamente successivi alla emanazione della Leopoldina, anche al fine di consentire una prima valutazione d’impatto della riforma leopoldina stessa : i dati qui prodotti sono quindi privi di dimensione diacronica e temporale, né possono essere in qualche modo considerati come forniti di una qualche complessiva rilevanza di carattere statistico.

Tutto ciò vien detto, in ogni modo, nella consapevolezza, acutamente messa in evidenza e descritta da Mario Sbriccoli (1) vai in testa  alle note bibliografiche, che le fonti giudiziarie si prestano ad utilizzazioni diverse e consentono letture su più livelli, oltre a non essere in grado di lumeggiare la realtà socio-criminale che sta alle spalle dei comportamenti criminosi.
 


1. I tipi d’illecito


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Per quanto riguarda gli illeciti (2)vai in testa  alle note bibliografiche ed i loro tipi, come espone la Tabella 1, si può notare che l’illecito più ricorrente è il furto, se si considerano come appartenenti ad una categoria unitaria le espressioni di volta in volta usate nelle comparse per descrivere il fatto criminoso perseguito (3) vai in testa  alle note bibliografiche: si parla infatti genericamente di furto in 21 casi, ai quali possiamo aggiungere, considerandole ipotesi speciali, la "crassazione" (4) vai in testa  alle note bibliografiche (o "grassazione", come si è trovato nelle filze), che si presenta in 4 casi ; l’accusa di "borsaiolo" (2 casi), di cui si darà più oltre la definizione, ed infine l’abigeato (1 caso). In tutto, quindi, si hanno 28 casi che, pur se diversamente atteggiati, possono tuttavia ricollegarsi generalmente all’ipotesi del furto.

L’altro illecito più frequente, se considerato singolarmente, è la trasgressione di tabacco, che riguarda 16 casi. D’altra parte, se si unisce questa particolare ipotesi agli altri casi di contrabbando, cioè a quelli aventi ad oggetto il sale, si va a 30 casi, superiori per quantità anche alla somma dei vari tipi perseguiti di furto.

Gli altri tipi d’illecito più frequenti sono costituiti dalla defraudata gabella, con 15 casi, e dallo stupro, con 14. Se si sommano i casi di contrabbando di sale, di tabacco e quelli di frode alla gabella, si vede che le trasgressioni, cioè quelli che oggi definiremmo come "reati contravvenzionali", sono presenti con un totale di 45 casi, e si manifestano come particolarmente incidenti sul carico della giustizia pisana.

D’altronde, la maggiore frequenza di certi illeciti rispetto ad altri vale ad evidenziare subito un dato di fondo: sembrano, infatti, prevalere su tutti gli altri illeciti che hanno un collegamento col patrimonio, o perché essi sono espressamente diretti contro il patrimonio in senso stretto (come il furto), o perché vedono comunque coinvolte le strategie patrimoniali ed economiche dei soggetti, ancorché collidenti con le pubbliche sanzioni poste a garanzia degli interessi del fisco (come nel caso del contrabbando e della frode alla gabella). In quest’ottica, sembrerebbe non essere un caso che l’altro illecito più commesso sia lo stupro, se si considera che questo crimine aveva rilevanti risvolti economici, tali da far supporre spesso una querela "a scopo matrimoniale", più che a scopo repressivo (5)vai in testa  alle note bibliografiche.

Concludendo, si possono quindi evidenziare due dati statici (non certamente tendenziali): i crimini più frequentemente commessi non sono quelli contro la persona (ci sono solo 4 omicidi e 10 ferimenti), ma sono quelli contro il patrimonio (col prevalere del furto) (6)vai in testa  alle note bibliografiche, unitamente a quelli che, pur non offendendo un bene giuridico, ma contrastando con un determinato interesse di tipo finanziario dell’amministrazione granducale, ineriscono direttamente alle condizioni economiche del trasgressore. In altre parole, sembrerebbe che l’attitudine a delinquere fosse più portata alle trasgressioni piuttosto che ai delitti più gravi, che ci fosse, in sostanza, una criminalità di tipo non particolarmente aggressivo né particolarmente pericoloso per la sicurezza sociale considerata nel suo complesso.
 


Tabella 1: tipi di illecito


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ACCUSE

numero di accuse proposte per ciascuna imputazione 

attentato

3

defraud. gabella

15

delaz. archibugio

7

delazione arma bianca

4

resistenza

3

esplosione

3

ferimento

10

furto

21

grassazione

4

inoss. confino

9

inoss. esilio

7

omicidio

4

stupro

14

trasgr. di giuoco

3

trasgr. sale

14

trasgr. tabacco

16

altri*

13

* nota illustrativa: insulto (2), sodomia (1), ammenagioni (1), "borsaiolo" (2), sgrillettamento (2) calunnia (1), abigeato (1), infanticidio (1), truffa (1), colombicidio (1)  torna alla testa di questa tabella  

 



 

Grafico 1: comparazione percentuale dell'incidenza statistica dei diversi tipi di d'illecito


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2. I modi d’introduzione del processo 


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Per quanto riguarda i modi d’introduzione del processo criminale (7)vai in testa  alle note bibliografiche, basterà notare che la stragrande maggioranza dei processi è introdotto con querela pubblica (esattamente l’84%), mentre un numero piuttosto basso di essi è aperto da una querela privata (il 14%); soltanto un processo è introdotto d’ufficio, ossia "per ordine di S. A. R." (8)vai in testa  alle note bibliografiche. Si può notare, infine, anche un processo introdotto per referto medico (9)vai in testa  alle note bibliografiche.
 

Il palazzo della Carovana dell'Ordine dei Cavalieri, sede di uno dei molti sistemi autocefali di iurisdictio - e di conseguente privativa giurisdizionale - allora presenti in Pisa e concorrenti con  con gli ordinamenti istituzionali di diretta emanazione granducale

Il Palazzo della Carovana dei Cavalieri di S. Stefano, oggi sede della Scuola Normale Superiore

 Il dato che si ricava, cioè il prevalere assoluto delle querele pubbliche, non deve stupire, perché la maggioranza degli illeciti è rappresentata appunto da fatti perseguibili pubblicamente; del resto, già a livello legislativo, la procedibilità di parte riguarda solo le ipotesi in cui sia stato offeso un bene "personalissimo", la cui tutela processuale imponga anche una qualche suggestione di scandalo, per cui sarà la parte offesa a decidere se agire o no. Si ha una conferma di ciò osservando che sulle totali 20 querele private rinvenute nei processi, ben 13 riguardano casi di stupro.
 

Pisa, Palazzo della Sapienza, Sede dello Studio pisano, il cortile interno oggi 

Il palazzo della Sapienza, sede dello Studio pisano, un altro ancora dei molti sistemi autocefali di iurisdictio  - e di conseguente privativa giurisdizionale - allora presenti in Pisa, e concorrenti con  con gli ordinamenti istituzionali di diretta emanazione granducale

 

 Concludendo, si può aggiungere che le querele pubbliche sono fatte solitamente dal Bargello di Pisa (10) vai in testa  alle note bibliografiche oppure, prevalentemente quando si tratta di contrabbando, da guardie della dogana, da stradieri o vice-stradieri. Questi ultimi, infatti presidiavano le varie porte della città, ovvero i confini con altri Stati, e fermavano quindi eventuali introduttori di merci non consentite.  Le querele private, invece, sono fatte sia dalla parte offesa (come accade normalmente nei processi di stupro) sia, talvolta, dai familiari di essa.
 


Tabella 2: Modi di introduzione del processo 


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Modi d'introduzione del processo 

d’ufficio

1

querela privata

20

querela pubblica

116

referto medico

1

 
 



 

3. Le decisioni


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L’analisi svolta a questo proposito (11) vai in testa  alle note bibliografiche è diretta soltanto ad evidenziare quanti processi si chiudono con una condanna e quanti invece con una decisione diversa dalla condanna, comprendendo in quest’ultima categoria le decisioni di "tenersi il processo aperto ", di "tenersi sospesi gli atti ", di "non doversi procedere ulteriormente" ovvero di "non darsi ulteriore molestia ", o di "circondare l’inquisizione" o non esservi stato né esser tuttora "luogo a procedere".

Si può rilevare che sono moltissimi i processi che terminano con una decisione che non è una condanna, ma che può essere un proscioglimento definitivo ovvero anche soltanto una mera "sospensione" del procedimento, motivata ad esempio dal fatto che non si conosce l’identità della persona, oppure dalla necessità di acquisire nuovi elementi probatori (12)vai in testa  alle note bibliografiche.

Si può dunque, in estrema sintesi, osservare che non c’è un’ansia esasperata di carattere punitivo, ma prevale piuttosto la volontà di avere un quadro fattuale-giuridico il più possibile completo prima di accingersi ad una decisione.
 


Tabella 3: Veduta riassuntiva dei dati del repertorio


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per andare ai Legenda



 

 
 
 
 
 

Accusa 

N° tot. 

Tipo d'attività

Luogo origine

Modo d'introd.

Decisione

Attentato   

torna all’inizio della tabella

3

AG = 1   

C = 1   

S = 1

Civoli = 1   

Pisa = 1   

Vecchiano = 1

q. pr. = 2   

q. pu. = 1

|1| = 1   

|3| = 2

Defraudata gabella   

torna all’inizio della tabella

15

AG = 1   

C = 4   

L = 1   

S = 7   

A = 1

Pisa = 4   

Ponte a Signa = 1   

Pontedera = 1   

S. Croce = 1   

S. Maria del Giudice = 1(F)   

S. Miniatello = 1   

Santo Pietro = 1   

Settimo = 1   

Signa = 1   

Spicchio = 1   

Vecchiano = 1

q. pr. = 0   

q. pu. = 15

|2| = 2   

|3| = 7   

|4| = 1   

|6| = 3 

Delazione   

d’archibugio   

torna all’inizio della tabella

7

AG = 4   

S = 2   

A = 1 

Asciano = 1   

Montuolo = 1(F)   

Pisa = 2   

Ripafratta = 1   

Vecchiano = 2

q. pr. = 0   

q. pu. = 7

|2| = 1   

|3| = 6   

|4| = 1

Delazione d’arma bianca   

torna all’inizio della tabella

4

AG = 1   

AR = 1   

S = 2 

Livorno = 1   

Lucca = 1(F)   

Pisa = 1   

Tassignano = 1(F)

q. pr. = 0   

q. pu. = 4

|3| = 2   

|6| = 2 

Resistenza   

torna all’inizio della tabella

3

AG = 1   

C = 1   

S = 1

Civoli = 1   

Pisa = 2 

q. pr. = 0   

q. pu. = 3

|2| = 1   

|3| = 1   

|8| = 1

Esplosione   

torna all’inizio della tabella

3

AG = 1   

C = 1   

P = 1

Colignola = 1   

Pietrasanta = 1   

Vecchiano = 1

q. pr. = 0   

q. pu. = 3

|3| = 3 

Ferimento   

torna all’inizio della tabella

10

AG = 6   

AR = 1   

C = 3 

Colignola = 1   

Gello = 1(C)   

Pescia = 1(C)   

Pisa = 3   

Pugnano = 1   

S. Giovanni al Gaetano = 1   

Vecchiano = 2

q. pr. = 4   

q. pu. = 6

|1| = 1   

|2| = 1   

|3| = 3   

|4| = 1   

|7| = 3

Furto   

torna all’inizio della tabella

21

AG = 1   

AR = 4   

C = 2   

P = 1   

S = 7   

A = 1 

Capannori = 1(F)(C)   

Cesena = 1(F)   

Civoli = 1(C)   

Compito = 1(F)   

Firenze = 1(C),1   

Lastra a Signa = 1   

Lucca = 1(F)   

Montecastello = 1   

Pisa = 5   

Ripoli = 1   

Torino = 1(F)   

Viareggio = 1

q. pr. = 1   

q. pu. = 20

|1| = 1   

|2| = 4   

|3| = 5   

|4| = 1   

|7| = 4   

|8| = 6

Grassazione   

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4

AR = 1   

C = 1   

S = 1 

Corsica = 2(F)   

Sicilia = 1(F)   

S. Piero a Sieve = 1

q. pr. = 0   

q. pu. = 4

|3| = 1   

|7| = 2   

|8| = 2

Inosservanza di confino   

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9

S = 8   

A = 1

Cascina = 1   

Mezzana = 1   

Pisa = 4   

Ripoli = 1

q. pr. = 0   

q. pu. = 9

|7| = 2   

|8| = 7

Inosservanza di esilio   

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7

AG = 1   

AR = 1   

C = 1   

S = 2   

A = 1

Cesena = 1(F)   

Ferrara = 1(F)   

Massa Carrara = 1   

Pisa = 2   

Pontedera = 1   

Ripoli = 1

q. pr. = 0   

q. pu. = 7

|7| = 4   

|8| = 4

Omicidio   

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4

AG = 1   

T = 1   

A = 1

Fucecchio = 1   

Pisa = 1   

Vecchiano = 1

q. pr. = 0   

q. pu. = 4

|2| = 2   

|8| = 2

Stupro   

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14

AG = 3   

AR = 3   

P = 1   

S = 5   

A = 1

Calci = 2,2(G)   

Compito = 1 (F) (G)   

Firenze = 1 (C), 1 (M)   

Mezzana = 1(G)   

Pisa = 1,1(G)   

Putignano = 1(G)   

S. Giusto a Campo = 1(M)   

Vecchiano = 2 (C) (G)

q. pr. = 13   

q. pu. = 1

|1| = 3   

|2| = 2   

|3| = 1   

|5| = 2   

|6| = 6   

|8| = 2

Trasgressione di giuoco   

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3

AG = 1   

AR = 1   

C = 1

Pisa = 1   

San Vittorio a Campo = 1   

Stato di Genova = 1(F)

q. pr. = 0   

q. pu. = 3

|3| = 3

Trasgressione di sale   

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14

AG = 3   

C = 1   

L = 6   

S = 1   

A = 1 

Avane = 1   

Calci = 1   

Campo = 1   

Filettole = 2   

Garfagnana = 1(F)   

Lammari = 1(F)   

Lunata = 1(F)   

Pisa = 1   

Ripafratta = 1   

S. Lorenzo a Vaccoli = 1(F)   

S. Maria del Giudice = 1(F)

q. pr. = 0   

q. pu. = 14

|2| = 2   

|3| = 4   

|4| = 1   

|6| = 6   

|7| = 1   

|8| = 3

Trasgressione di tabacco   

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16

AG = 5   

AR = 1   

C = 1   

S = 4 

Arena = 1   

Asciano = 1   

Barga = 1   

Lucca = 3(F)   

Pescia = 1   

Pieve a Pelago = 1(F)   

Pisa = 1   

Pontedera = 1   

Pugnano = 1   

Rocca a Pelago = 1(F)   

S. Anna a Pelago = 1(F)   

S. Maria del Giudice = 1(F)   

Santo Pietro = 1

q. pr. = 0   

q. pu. = 16

|2| = 1   

|3| = 9   

|4| = 3   

|6| = 3   

|8| = 1

Altri   

torna all’inizio della tabella

13

AG = 2   

AR = 2   

C = 1   

S = 5   

A = 1

Arquata = 1   

Bulciano = 1   

Calci = 1   

Filettole = 1   

Firenze = 1(C)   

Lucca = 1(F)   

Pisa = 2   

Ponte alla Pergola = 1   

Ripafratta = 2   

Vecchiano = 1   

Viareggio = 1

q. pr. = 3   

q. pu. = 8   

ref. med. = 1   

d’uff. = 1

|1| = 1   

|2| = 4   

|3| = 1   

|4| = 4   

|6| = 1   

|7| = 3   

|8| = 2

 
 

AG = agricoltura
AR = artigianato
C = commercio
L = lavori da donna
P = professioni
S = servizi
T = tessile
A = altri
(C) = contumace
(F) = forestiero
(G) = gravidanza
(M) = matrimonio
q. pr. = querela privata
q. pu. = querela pubblica
ref. med. = referto medico
d’uff. = d’ufficio
 Legenda
|1| = tenersi il processo aperto
|2| = tenersi sospesi gli atti
|3| = non doversi procedere ulteriormente-
non darsi ulteriore molestia
|4| = circondare l’Inquisizione-non essere
 stato né esser luogo a procedere
|5| = sposare o dotare [solo per lo stupro]
|6| = pena pecuniaria [vi sono state compre- 
se soltanto le condanne in una somma determi-
nata]
|7| = pena detentiva [carcere, pubblici lavo-
ri]
|8| = pena espulsiva [esilio, confino]

 

torna all’inizio della tabella  

 

nota: il numero dei tipi di attività e dei luoghi di origine può non corrispondere a quello delle accuse o perché mancano i dati relativi nelle schede d’archivio o perché si tratta ripetutamente di una medesima persona.

Il numero delle decisioni può essere superiore a quello delle accuse perché molti processi si chiudono con una pluralità di dispositivi, che sono stati considerati unitariamente.
 



 

4. I tipi di pene


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Si fa riferimento in questa sede alle Tabelle 4.a, 4.b, 4.c e al grafico relativo, il quale contiene l’indicazione del numero di condanne per gli anni 1786-1787-1788, suddivise in quattro gruppi : pene pecuniarie, pene detentive, pene espulsive, pene corporali.
Il primo dato notevole è costituito dalla totale assenza di pene corporali. Questo dato può portarci a ritenere che ci fosse una certa cautela nell’irrogare pene che non potevano considerarsi propriamente umanitarie, seguendo quella nuova visione della pena che, già in parte accolta dalla leopoldina, doveva evidentemente avere una forte rispondenza sia fra i giudici operanti sul territorio, sia anche fra i giudici del Supremo Tribunale di Giustizia.
Per quanto riguarda le pene pecuniarie, occorre fare una precisazione: la pena pecuniaria può essere irrogata come unica pena, in caso di illeciti non gravi, ovvero come aggravio di un’altra pena (13)vai in testa  alle note bibliografiche. Perciò, nella Tabella 4.a sono stati distinti i casi in cui la pena pecuniaria è l’unica previsione di condanna, da quelli in cui si accompagna (aggravandola) ad una pena di diverso tipo. Guardando ai tre anni dell’indagine, se consideriamo soltanto le pene pecuniarie irrogate come pene uniche, notiamo che esse sono 14; le pene detentive (cioè carcere e pubblici lavori) sono 17;
 

Pisa, l'odierno Giardino Scotto, che fu dapprima fortezza medicea di controllo militare della Città, e divenne infine sede del Bagno penale, luogo di espiazione della condanna per forzati e galeotti, invivibile e penoso, dove "si muore sempre, e non si muore mai", secondo diceva una supplica dei galeotti di età della Reggenza

Il Bagno penale dei forzati pisani, un tempo fortezza  medicea, oggi giardino pubblico e teatro all'aperto,

 quelle espulsive (confino e esilio) ben 29. Considerando la pena pecuniaria solo come pena unica, la situazione pisana sembrerebbe quindi confermare l’osservazione secondo la quale la pena espulsiva "nella Toscana leopoldina […] è di gran lunga la più utilizzata per la punizione dei delitti più disparati, ma sempre di una certa gravità" (14)vai in testa  alle note bibliografiche.
 



 

Tabella 4.a. Singoli tipi di pena nel triennio 1786-1788


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Tipi di pena

   
 

1786

1787

1788

Pene pecuniarie 

unica

3

3

8

   
 

aggravio

0

0

4

Pene detentive

carcere

3

1

8

   
 

pubblici lavori

3

1

1

Pene espulsive

esilio

3

4

7

   
 

confino

1

5

9

Pene corporali

   
 

0

0

0

  
 


Tabella 4.b. Gruppi di pene nel triennio 1786-1788.


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Tipi di pena

1786

1787

1788

Pene pecuniarie (uniche) 

3

3

8

Pene detentive 

6

2

9

Pene espulsive

4

9

16

  


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Grafico 2: Pene irrogate nel triennio 1786-1788


Tabella 4.c. Totale delle pene irrogate nel triennio 1786-1788


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Tipi di pena

Totale

Pene pecuniarie (uniche)

14

Pene detentive

17

Pene espulsive

29

Pene corporali

0

  
 


5. Gli imputati per settori d’attività


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Può essere interessante vedere quale fosse il mestiere, e quindi anche la probabile estrazione sociale, di coloro che subivano processi criminali in quegli anni a Pisa (15)vai in testa  alle note bibliografiche.

Per poter classificare i numerosissimi dati relativi ai mestieri estratti dalle filze, è stata utilizzata una suddivisione per settori di attività: agricoltura (in cui sono stati compresi tutti i lavori legati alla terra), artigianato, commercio (in cui sono state comprese tutte le attività legate alla produzione ed allo smercio dei prodotti di manifattura), lavori da donna (in cui sono stati compresi tutti i lavori prevalentemente femminili), professioni, servizi (in cui sono stati compresi tutti i mestieri legati a servizi), tessile, ed infine una categoria residuale in cui sono state collocate tutte quelle attività che non potevano essere catalogate altrimenti.

Da questa classificazione, si vede come i settori più presenti siano quelli dei servizi e dell’agricoltura: contadini, braccianti, navicellai, vetturali sono i principali protagonisti di questi processi. Dunque, c’è una base sociale abbastanza omogenea, ed è significativo del resto il fatto che uno solo degli imputati abbia una posizione sociale: di rilievo: nelle carte si dice infatti che egli "vive delle sue entrate" (16)vai in testa  alle note bibliografiche: per il resto, si tratta evidentemente di lavoratori impegnati in attività prive di qualificazione professionale e di non grande redditività economica.
 



 

Tabella 5. Suddivisione degli imputati per settori di attività.


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Tabella 5. Suddivisione degli imputati per settori di attività. 

Agricoltura

28

Artigianato

16

Commercio

15

Lavori da donna

6

Professioni

3

Servizi

36

Tessile

1

Altri 

11

  

 


B. Il processo criminale



 

1. Modello statico e modello pragmatico


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L’obbiettivo del particolare tipo di studio di cui si dà qui un primo provvisorio saggio — e che si potrebbe definire in prima approssimazione, come "un’analisi orientata", delle norme della Leopoldina — è quello di dare un’interpretazione il più possibile circostanziata del processo criminale leopoldino, fondata sull’analisi della struttura dei processi celebrati davanti al Tribunale di Pisa e sul rapporto applicativo che tale processo stabilisce con la normativa leopoldina.

In questo modo — ed è questo il tentativo che si farà nelle prossime pagine — dovrebbe essere possibile creare un modello di processo criminale "pragmatico", vale a dire legato esclusivamente alle caratteristiche emergenti dal dato testuale degli atti criminali, che registravano pedissequamente quanto accadeva in concreto nel Tribunale territoriale, di fronte ai giusdicenti provinciali, ai notari criminali, agli Esecutori di giustizia (i moderni agenti di polizia giudiziaria).

Ed è particolarmente importante, dal nostro punto di vista, proprio guardare alle figure del processo criminale, in particolare al Vicario. La prima cosa che si nota di lui, e che si può subito evidenziare, è che egli si trova inserito tra altri due soggetti che ne riducono fortemente lo spazio operativo: da un lato l’attività istruttoria è svolta dal Notaro criminale, per cui il Vicario si trova davanti un quadro probatorio già formato, senza aver sentito le dichiarazioni dalla viva voce dei protagonisti; dall’altro c’è il Supremo Tribunale di Giustizia, al quale devono essere partecipate tutte le cause (tranne quelle con pena pecuniaria inferiore alle 100 lire, per le quali la partecipazione non è necessaria), che è giudice superiore.

S’impone, dunque, una precisazione preliminare: poiché l’enucleazione del modello processuale pragmatico si fonda sull’interpretazione del mèro dato testuale ed empirico, cioè delle parole scritte sui fogli che compongono gli atti criminali, si ripropongono in questa sede tutti i problemi che riguardano normalmente il trattamento delle fonti e del materiale d’archivio in generale di cui si è parlato precedentemente. Perciò, la ricostruzione di un modello "pragmatico" porta, intrinsecamente, il limite che è proprio di ogni forma di documentazione giudiziaria, che, per essere sempre inevitabilmente una rappresentazione mediata, non può far emergere i dati dinamici, soprattutto per quanto riguarda gli interrogatori; ed in più, si può ipotizzare un limite derivante dal fatto che il ministro redigente l’atto poteva essere impreciso, giacché la sua attività non era sottoposta ad alcun regime rituale di controllo formale e gerarchico della regolarità dei suoi atti.

Tuttavia, nonostante la consapevolezza di questi problemi metodologici generali — sempre presenti quando si affronta lo studio di documenti giudiziari o di polizia (17) vai in testa  alle note bibliografiche —, è interessante cercare di enucleare quello che sopra si è definito come "un modello pragmatico di processo", analizzando in particolare e diffusamente i processi che presentano una maggior frequenza, e che proprio per questo fatto sembrano mostrare un più forte legame col territorio e con chi lo abitava.

L’analisi prende quindi esordio dai processi per stupro, data la loro forte consistenza quantitativa, e considerate anche la particolare complessità di svolgimento, la rilevanza sociale — se non altro, dal punto di vista degli interessi economici e di costume da esso evocati — che il fenomeno delle querele per stupro metteva in evidenza.
 


i. I processi di stupro


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Lo stupro, come si può evincere dal numero dei processi pisani che lo riguardano, doveva corrispondere ad un dato sociale molto diffuso, ad un tipo di comportamento evidentemente molto "normale" tra i giovani e le giovani del luogo.

Per poter capire questo dato, è necessario precisare in cosa consisteva lo stupro all’epoca, poiché si trattava di una condotta completamente diversa dalla nozione moderna di violenza sessuale: era stupro la congiunzione carnale con fanciulla o donna onesta non sposata o vedova. In questo senso, il Cremani dice che "stuprum si tamen anguste accipiatur, significat concubitum cum ea, quae nec stupratori, nec caeteris uxor est, sive cum virgine, aut vidua, quae honeste vivit" (18) vai in testa  alle note bibliografiche.

Dunque, lo stupro è identificato ed integrato dalla lesione di uno specifico status, quello di donna onesta, per l’appunto (19)vai in testa  alle note bibliografiche. Di conseguenza non si tratta — perlomeno non necessariamente — di un atto compiuto contro la volontà del soggetto passivo: non c’è un problema preliminare di consenso, ma tutto è incentrato essenzialmente sullo status della vittima, in sostanza sulla sua considerazione ed integrità morale e sociale. Si può ricordare, semmai, che la Leopoldina non fa distinzione di classe per quanto riguarda il soggetto passivo dello stupro: basta che la donna sia una donna onesta, non ha nessun rilievo la sua condizione sociale. Le donne umili — che nel diritto romano, per quanto riguarda lo stupro, erano equiparate alle meretrici (20)vai in testa  alle note bibliografiche — possono legittimamente essere considerate soggetto passivo di stupro.

L’honestas, quindi, è al centro dell’indagine sullo stupro: la cosa più importante da stabilire per il celebrante del processo è se la fanciulla o la donna siano oneste, se cioè esse abbiano avuto fino a quel momento una condotta morale-sessuale irreprensibile. Naturalmente, in sede di interrogatorio, questa è la prima cosa che si cerca di scoprire, sia dalla stuprata, sia dal querelato (il quale, ovviamente, tende sempre a connotare negativamente la figura della donna, cercando di metterne in evidenza la libertà di costumi o comunque la sua precedente frequentazione di uomini), sia dai testimoni.

Inoltre, alcune volte, a quello che possono dichiarare coloro che partecipano al processo, si aggiunge anche il contributo e l’opinione di una figura sociale rivestita di particolare autorevolezza morale: si tratta di un prete, più precisamente del parroco della comunità ecclesiale cui appartiene la stuprata. Nei parroci, evidentemente, quali portavoce particolarmente qualificati del popolo, insieme ai capi famiglia, si manifestava la base di quel comune senso del pudore che era legato alla tutela del buon costume e della moralità pubblica, e la cui lesione era manifestata dal verificarsi nella pubblica opinione di una situazione che si definiva letteralmente come di "pubblico scandalo".

La presenza processuale del parroco è subito evidente dalla lettura di alcuni processi di stupro contenuti nella prima filza (21) vai in testa  alle note bibliografiche: nelle carte relative, infatti, è cucita, insieme agli atti processuali veri e propri, una lettera inviata dal curato della parrocchia di appartenenza della stuprata, volta a "certificare" l’onestà della ragazza, ed a sottolinearne i suoi buoni costumi e la frequentazione della dottrina cristiana  (22)vai in testa  alle note bibliografiche. Un’altra cosa che si può notare, per inciso, riguardo a queste lettere, è che, in qualche caso, esse attestano anche la condizione di miserabilità della ragazza (23)vai in testa  alle note bibliografiche.  Probabilmente, questo è uno dei tanti segni da cui si può cogliere l’incidenza sociale dell’illecito.

La circostanza del parere richiesto al parroco sull’honestas della stuprata permette, inoltre, di rilevare come la publica fama, ancora nel processo leopoldino, avesse mantenuto una sua ben precisa rilevanza processuale, particolarmente nei processi per violazione di status, come appunto quelli di stupro (24)vai in testa  alle note bibliografiche. Non a caso, se si scorrono le carte processuali, si nota come immancabilmente venga chiesto al reo, oltre che se egli conosca e abbia amicizia con la stuprata, se la reputi una persona onesta, degna di fede e capace di dire la verità. Anche nell’interrogatorio dei testimoni, del resto, questo è un punto cruciale.

Dunque, la reputazione di cui la donna sedotta gode presso il popolo, o presso suoi rappresentanti particolarmente autorevoli, rimane elemento decisivo dell’accertamento di quell’elemento determinante della configurazione dell’illecito che è l’honestas, ed in ciò manifesta evidentemente una sua prolungata, persistente vitalità quell’idea di publica fama che costituiva un retaggio del passato, ed alla quale anche il Cremani attribuiva un certo valore probatorio, anche se la includeva tra gli indizi (25)vai in testa  alle note bibliografiche.

Se l’honestas costituiva il bene giuridico aggredito con lo stupro, e quindi l’esistenza dello status di donna onesta, alla cui verifica si tendeva appunto ascoltando e dando valore probatorio alla voce pubblica che correva sulla reputazione della donna, costituiva un presupposto della sussistenza stessa del crimen, l’altro elemento indispensabile che doveva essere verificato dal giudice era la consumazione dell’illecito, identificabile con il fatto della congiunzione carnale dell’uomo con donna onesta, non sposata o vedova.

Il momento cruciale del processo era dunque quello in cui si identificava, ricostruiva e stabiliva la vicenda consumativa del reato. Da questo punto di vista, i processi pisani sono particolarmente significativi. In ognuno di essi, infatti, ha uno spazio importante l’accertamento circa l’avvenuta congiunzione carnale, e questo accertamento è affidato in via privilegiata al racconto della stuprata. Ed il dato che più colpisce di questi racconti è l’uso di un linguaggio a dir poco esplicito, sia nei termini, sia nelle cadenze espressive di cui si fa uso in tal caso.

Il compimento dell’atto sessuale è descritto senza tralasciare nessun particolare (anche con esplicita e forte crudezza lessicale), probabilmente per non lasciare alcun dubbio all’inquisitore circa l’avvenuta consumazione del crimen. L’impressione che si ricava dalla lettura di questi racconti fatti dalle donne sedotte è proprio quella di una preoccupazione costante diretta a realizzare la certezza dell’avvenuto rapporto sessuale, e quindi del momento consumativo dell’illecito. Probabilmente, in questa chiave è possibile valutare la dovizia di particolari profusa nella descrizione del primo convegno amoroso di quelli che di fronte al giudice sono ormai soltanto degli antagonisti processuali.

Infatti — e qui si coglie un’altra particolarità del processo per stupro nel territorio pisano in quegli anni — la descrizione particolareggiata dell’avvenuta congiunzione carnale è fatta sempre con riferimento al primo rapporto avvenuto tra i due. La querelante racconta sempre il primo rapporto, aggiungendo magari dopo che ad esso ne sono seguiti altri, o ne è nata una vera e propria relazione.

Elemento cruciale sul quale ruota la descrizione del primo rapporto è sempre la defloratio, benché questa non fosse necessaria per la consumazione e quindi per integrare il reato (26)vai in testa  alle note bibliografiche. Probabilmente, questa componente doveva servire ad avvalorare agli occhi dell’inquisitore l’onestà della donna, e di conseguenza la veridicità delle affermazioni circa la sua moralità fatte dai testimoni o dal parroco. Allo stesso scopo, è mirato anche il racconto, che le stuprate di solito fanno, delle lusinghe ricevute da parte dell’uomo, delle sue dichiarazioni amorose e delle promesse di matrimonio fatte per indurle a cedere al tentativo di seduzione.

Un’altra dimostrazione dell’importanza di stabilire il momento consumativo nel reato di stupro viene dalla perizia effettuata sulla donna sedotta da due ostetriche ufficialmente incaricate della consulenza (27)vai in testa  alle note bibliografiche Anche l’attestazione delle resultanze di questa indagine sulle querelanti costituisce un momento ricorrente nel processo pisano per stupro. L’attività peritale consiste in un esame di tipo fisico: le due ostetriche, ognuna separatamente dall’altra, devono ispezionare il corpo della donna, allo scopo di verificare sia quella che nelle carte pisane è chiamata "la rottura dei veli virginali" ovvero del "claustro virginale", sia l’eventuale stato di gravidanza. I risultati di questa attività sono portati davanti a colui che conduce l’inquisizione: le due ostetriche, in due interrogatori separati, espongono quanto hanno potuto verificare. Si può notare che quasi sempre le loro dichiarazioni sono volte a confermare sia l’avvenuta defloratio, sia la presenza di uno stato di gravidanza.

Ed è proprio la gravidanza l’altro motivo ricorrente dei processi pisani per stupro: su quattordici procedimenti, in ben otto (28) vai in testa  alle note bibliografiche di essi la stuprata è in stato di gravidanza (29) vai in testa  alle note bibliografiche. Questa circostanza, evidentemente, porta il discorso ben oltre l’accertamento del momento consumativo dello stupro e del valore complessivo dell’attività delle due ostetriche, e motiva semmai una valutazione globale del rilievo sociale dello stupro, che era evidentemente una manifestazione particolare delle complessive strategie matrimoniali seguite allora da quelle popolazioni. Il fatto che più della metà delle querele riguardasse donne gravide sembra avvalorare il sospetto che la proposizione della querela di stupro in quegli anni, almeno nel pisano, avesse in realtà, più che un intento punitivo, un evidente scopo matrimoniale (30) vai in testa  alle note bibliografiche. In effetti, in due casi c’è anche con sicurezza la notizia dell’avvenuto matrimonio tra i protagonisti del processo (31)vai in testa  alle note bibliografiche.

A questo punto, si può fissare qualche conclusione. Innanzitutto, il processo pisano per stupro è un processo che rispecchia, in linea di massima, quello che era il processo per stupro in quegli anni, ossia un processo per violazione di status, in cui si manteneva centrale l’importanza della publica fama non solo a fini probatori, ma anche per la sostanziale integrazioni degli elementi costitutivi della condotta punita. D’altronde, anche la perizia delle due ostetriche era tipica della mentalità dell’epoca e dell’ambiente, e su di essa la legge criminale del 30 novembre non è intervenuta. Ma questo non deve stupire, poiché la riforma, aveva modificato soltanto il trattamento sanzionatorio dello stupro, senza toccarne né i profili sostanziali né quelli processuali.

In secondo luogo, c’è da dire che l’impressione che si trae dalla lettura dei processi pisani per stupro — considerato anche l’alto numero delle gravidanze che non di rado inducevano le donne alla querela solo dopo anni di relazione col querelato — è che si trattasse di un processo in cui confluivano elementi che non erano strettamente giudiziari, ma che toccavano peculiari interessi socialmente rilevanti, ossia quelli legati al valore economico della verginità, o dell’onestà, delle donne (32)vai in testa  alle note bibliografiche. L’impressione, in altri termini, è un po’ quella di essere di fronte a querele fatte, più che per lavare l’offesa subita, per ottenere un contrapasso "matrimoniale", soprattutto quando si prevedeva la nascita di un figlio altrimenti illegittimo.
 
 


  ii. I processi per furto 


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Il furto aveva avuto, come del resto lo  stupro, una consistente elaborazione dottrinale, i cui risultati si possono apprezzare in maniera particolarmente efficace nelle pagine che Carmignani dedica al cosiddetto "furto proprio" (33)vai in testa  alle note bibliografiche. Egli definisce il "furto vero e proprio" come "l’ablazione di altrui cosa mobile, commessa dolosamente contro la volontà del padrone, e con animo di trarne lucro". È evidente che Carmignani ha mutuato la definizione data dal Cremani, il quale afferma che "unde nil mirum, si hodie in definiendo furto plerique tantisper recedant a Romanis iurisconsultis, illudque nil aliud esse doceant, quam rei alienae mobilis ablationem dolosam factam invito domino, atque animo consequendi lucri"(34)vai in testa  alle note bibliografiche. Dunque, il furto si caratterizza, oltre che per la sottrazione e per l’altruità della cosa, per un elemento che oggi definiremmo dolo specifico, in quanto si riferisce al fatto tipico e non alla colpevolezza: il fine di trarne profitto. In sostanza, la struttura del furto in quest’epoca è già simile a quella moderna, per la quale il furto si ha quando qualcuno si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, allo scopo di trarne profitto.

Carmignani, dopo averlo definito, indica le varie specie di furto proprio, riconducendole alla suddivisione di base tra furto semplice e furto qualificato: il furto semplice è quello che "lede solo il dominio", quello qualificato è quello che, "oltre il dominio, lede qualche altro diritto" (35) vai in testa  alle note bibliografiche; il furto qualificato è reso tale dall’intervento di una serie di circostanze precise ("violenza, prave arti, qualità dei luoghi, tempo, relazioni di fiducia tra il ladro e il derubato") (36)vai in testa  alle note bibliografiche.

Ma la cosa più importante è, dal nostro punto di vista, che il furto, semplice o qualificato che fosse, era un reato perseguibile d’ufficio. E lo riconosce espressamente anche Carmignani, laddove evidenzia come, in opposizione a quanto avveniva presso i Romani, "secondo la legislazione toscana il furto proprio costituisce un delitto pubblico, talché alla sua repressione si procede pubblicamente ex officio" (37)vai in testa  alle note bibliografiche.

E proprio collegandosi al profilo del modo di attivazione del processo, si può fare la prima osservazione sui processi per furto pisani, scoprendo che questi sono perfettamente in linea con quanto previsto dalla riforma criminale (§ III, Cod. Leop.). Infatti, questi sono introdotti, nella quasi totalità dei casi, con querela pubblica: su 21 processi, ben 20 sono introdotti con querela pubblica, generalmente presentata dal Bargello di Pisa (38)vai in testa  alle note bibliografiche. Di solito, la comparsa contiene la descrizione delle "robe furtive", del luogo dove sono state sottratte o ritrovate, del possibile autore del furto, a meno che questo non sia "incognito" (39)vai in testa  alle note bibliografiche.

Per quanto riguarda la struttura processuale, i giudizi per furto presentano una certa linearità di svolgimento; in particolare, l’inquisizione, che normalmente costituisce la gran parte del processo, si svolge secondo la procedura ordinaria incentrata sulla dinamica "esame del reo-esame dei testimoni". Una particolarità che si può rilevare, semmai, è la frequente presenza della perizia sulle cose derubate, allo scopo di stimarne il valore, effettuata da esperti di volta in volta diversi a seconda della qualità delle cose rubate (40)vai in testa  alle note bibliografiche.

Una cosa che colpisce non appena si leggono vari processi per furto pisani è — tralasciando il furto classico di denaro — la qualità spesso modesta delle cose rubate: la condotta di furto non di rado è integrata dalla sottrazione di lenzuola (41) vai in testa  alle note bibliografiche oppure di oggetti "domestici" (42)vai in testa  alle note bibliografiche, o ancora di materie di prima necessità (43)vai in testa  alle note bibliografiche.

D’altra parte, a possibile temperamento di questa che non è altro che una sensazione provocata dalla lettura delle carte criminali, si può ricordare il fatto che nelle carte si rinvengono alcuni casi di particolari furti aggravati, la cui denominazione nel repertorio che apre le filze non è quella di furto, bensì è costituita da uno specifico nomen iuris: si pensi all’abigeato, al "borsaiolo" e alla "crassazione". Occorre a questo punto, prima di passare a vedere i processi, precisare cosa sono il "borsaiolo" e la "crassazione". Il "borsaiolo" è un furto qualificato da "prave arti", secondo la suddivisione di Carmignani, il quale definisce i borsaioli e tagliaborse come "coloro che "nei luoghi di gran concorso di gente soglion con mirabile destrezza tagliare ai meno accorti le tasche, o tirar fuori sottomano dalle altrui borse quel che vi trovano; e tutti coloro i quali hanno tanta agilità di mano nel rubare, che […] tutto il loro ingegno sembra nelle lor dita concentrato" (44)vai in testa  alle note bibliografiche. La "crassazione" è un assalto ai viandanti allo scopo di derubarli, che il Carmignani inserisce tra i furti "qualificati dal luogo", definendo i grassatori come "coloro che per per professione assalgono a mano armata nelle vie publiche i viandanti per ispogliarli" (45)vai in testa  alle note bibliografiche.

Tornando all’esame dei processi pisani, si può notare che l’abigeato è presente soltanto in un processo (46)vai in testa  alle note bibliografiche, i casi di accusa di "borsaiolo" sono due (47)vai in testa  alle note bibliografiche, le ipotesi di "crassazione" quattro (48)vai in testa  alle note bibliografiche. Non si possono dimenticare, inoltre, che nelle filze criminali sono riscontrabili anche alcuni casi di furto domestico (49)vai in testa  alle note bibliografiche, specie di furto che il Carmignani include tra i furti qualificati "dalle relazioni di fiducia tra l’offensore e l’offeso" (50)vai in testa  alle note bibliografiche, definendolo come il furto che "si commette eziandio dai parenti, affini, ospiti, o famigliari che si valgono dell’opportunità della coabitazione; o dalle persone che si trovano in servizio mercenario" (51)vai in testa  alle note bibliografiche.



 

iii. I processi di contrabbando


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Le trasgressioni di sale e di tabacco sono dal Carmignani classificate tra le trasgressioni contro l’erario pubblico, e definite rispettivamente come "l’introdurre nel nostro Stato sale straniero, o il vendere privatamente del sale nostrale", e "l’importare o ritenere tabacco straniero" (52)vai in testa  alle note bibliografiche. I processi per trasgressione di sale e quelli per trasgressione di tabacco costituiscono, insieme, ben trenta casi, cioè nove casi in più dell’illecito più frequente, che è appunto il furto. Evidentemente, molte persone dovevano essere coinvolte in questa attività, che doveva essere diffusa particolarmente tra gli strati più bassi della popolazione, ed anche tra le donne.

Il primo dato che salta all’occhio è proprio la forte presenza delle donne come imputate in questo tipo di processi. Mentre negli altri illeciti la componente femminile dei rei è estremamente ridotta, nelle trasgressioni di sale e di tabacco spesso l’inquisitore si trova ad esaminare una donna: in sette casi di trasgressione di sale (53)vai in testa  alle note bibliografiche, e in quattro di tabacco (54)vai in testa  alle note bibliografiche, il reo è una donna. Questo fatto fa supporre che — a parte la considerazione che indubbiamente si tratta di illeciti di facile perpretazione anche da parte di una donna — effettivamente il contrabbando fosse una forma primaria di reperimento di risorse alimentari, e che come tale avesse una notevole diffusione tra la popolazione.

In effetti, ancor prima della Leopoldina, molti tentativi erano stati fatti dal governo (55)vai in testa  alle note bibliografiche per cercare di arginare questo fenomeno largamente diffuso, che trovava origine nella privativa pubblica che gravava sul sale e sul tabacco, in quanto sottoposti al pubblico monopolio. D’altra parte, se si guarda ad un contesto decisamente più vasto, si può vedere che nel Settecento il contrabbando è diffusissimo in molte aree dell’Europa, dove costituisce un tipo di crimine diffuso soprattutto tra gli strati più bassi della popolazione, ed affonda le sue radici anche nella compromessa situazione economica delle masse popolari (56)vai in testa  alle note bibliografiche.

Per quanto riguarda in particolare la trasgressione di sale, la situazione a Pisa era caratterizzata anche dal tipo di sistema adottato per la vendita del sale. Qui, infatti, fino al 1788, il sale veniva distribuito in maniera forzata in base al numero delle bocche, mentre i prezzi e le misure erano diversi, per cui ciò aveva fortemente incrementato la pratica del contrabbando. Nel 1788, una nuova normativa, pur mantenendo il monopolio pubblico, regolamentò la vendita, affidandola in via esclusiva a canovieri sottoposti al magistrato comunitativo, che vendevano il sale in 6 nuove canove, 3 in centro, e 3 fuori città (57)vai in testa  alle note bibliografiche.

Per quanto riguarda il processo per contrabbando, vediamo che tutti i processi pisani sono aperti con querela pubblica, fatta generalmente da stradieri o vice-stradieri o guardie della dogana, cioè a dire da poliziotti che sorvegliavano le porte della città allo scopo di fermare chi tentasse di introdurre illecitamente in città sale o tabacco. C’è quindi un sostanziale rispetto di quanto previsto dalla Leopoldina circa l’apertura del processo. Ed il rispetto riguarda anche il presupposto che la stessa legge ha posto per poter procedere giudizialmente per inquisizione, ossia l’invenzione della merce (§ CVII Cod. Leop.). Nei processi pisani, infatti, c’è, in linea di massima, il riferimento all’invenzione della merce, la quale, una volta sequestrata ai trasgressori, veniva sigillata e portata in corte. Davanti alla corte, apparivano cartocci di tabacco in polvere oppure sacchetti di sale "forestiero", tutti sigillati "con cera rossa di Spagna" e con sigillo esprimente vari soggetti (58)vai in testa  alle note bibliografiche. La presenza della merce sequestrata è evidentemente essenziale, se anche le comparse descrivono minuziosamente cosa è stato ritrovato addosso, o sul barroccio, del trasgressore, e come ciò è stato sequestrato e sigillato.

In ultima analisi, si può aggiungere ai casi di contrabbando quelli di "defraudata gabella", ben quindici nei processi pisani. Si tratta in questo caso di merci sottoposte a imposizione daziaria, relativamente alle quali si è tentato di sottrarsi al pagamento della dogana. I trasgressori, non a caso, sono prevalentemente navicellai (59) vai in testa  alle note bibliografiche o vetturali (60) vai in testa  alle note bibliografiche o negozianti (61)vai in testa  alle note bibliografiche, cioè persone che tentano di introdurre merci sottoposte a gabella eludendo i controlli fiscali, ovvero negozianti che cercano di evitare di pagare l’imposta su determinate merci da loro vendute. Si può notare che particolarmente presente è la frode alla gabella imposta sulle telerie (62)vai in testa  alle note bibliografiche.

Un tale accostamento tra trasgressioni di sale e tabacco e defraudata gabella non è evidentemente inopportuno, ed anzi si ritrova anche in Carmignani, il quale annovera sia la defraudata gabella sia il contrabbando di sale e tabacco tra quelle che egli chiama le "trasgressioni contro l’erario pubblico" (63)vai in testa  alle note bibliografiche. Più precisamente, egli sostiene che alcune "merci straniere son soggette unicamente alla gabella che si paga non solo nei confini dello Stato ma anche in certi luoghi dell’interno dalla legge designati, dove si paga la gabella per alcune merci nostrali ancora" (64)vai in testa  alle note bibliografiche.

Concludendo, si può rilevare un dato di fondo della criminalità pisana di quegli anni: una parte consistente dei reati commessi è costituita da trasgressioni, ossia da illeciti che costituiscono il sintomo di un’economia (anche criminale) di sussistenza. Le trasgressioni sono reati contravvenzionali; evidentemente, se si considera anche la non gran presenza dei delitti "di sangue" (gli omicidi sono quattro, i ferimenti dieci), si può concludere, anche se con una certa approssimazione, che la situazione criminale pisana non era complessivamente molto preoccupante, e che vi avevano essenziale rilievo soprattutto delle azioni sostanzialmente prive di carica criminale come le trasgressioni che, "senza essere contrarie al diritto naturale, ed ai principi dell’etica universale, e pur restando in sé stesse indifferenti, violano però le leggi che per maggior bene della società o le comandano o le vietano" (65)vai in testa  alle note bibliografiche.
 



 

2. Le caratteristiche del processo criminale


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Lo scenario urbano dei processi: finestre e palazzi sul lungarno pisano

 


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Il processo criminale, in virtù delle significative novità introdotte dalla Leopoldina in tema di modi d’introduzione del processo, non può più essere aperto d’ufficio dal giudice, ma deve essere introdotto necessariamente da una querela, pubblica — cioè presentata da esponenti della polizia — o privata — se presentata da cittadini —, o da referto medico. Il processo criminale rimane così pur sempre un processo inquisitorio, ma con questa rilevante mitigazione, costituita dal fatto che chi deve giudicare non può più essere anche colui che accusa e provoca l’apertura del processo.

La querela è contenuta in quell’atto, che deve essere presentato alla corte, e che si chiama comparsa, che contiene, in linea di massima, la descrizione degli estremi del fatto criminoso, la sua attribuzione ad un soggetto, anche non identificato, e la richiesta che si proceda criminalmente contro l’autore del fatto.

Basandosi sulle informazioni ricevute dal querelante e dal reo, il Tribunale comincia l’istruttoria, che è la fase più delicata del processo, condotta solitamente dal Notaro criminale, e caratterizzata dal principio di segretezza (66)vai in testa  alle note bibliografiche. Tale segretezza appare però temperata, a seguito della Leopoldina, da due istituti posti a garanzia dei diritti dell’imputato, in cui si realizza una parvenza di contraddittorio. Il primo temperamento è dato dalla operatività ex officio della ripetizione dei testimoni (§ XXVI Cod. Leop.), la quale consiste nel ripetere in presenza dell’imputato le deposizioni rese precedentemente dai testimoni; il secondo si sostanzia nel diritto dell’imputato sottoposto a carcerazione preventiva ad essere confrontato col testimone a carico (§ XXIII).

Proseguendo nell’analisi del processo, incontriamo i testimoni, ossia i protagonisti decisivi del processo criminale. I loro interrogatori sono sempre determinanti per la definizione del quadro fattuale-probatorio, in quanto non si limitano ad indagare gli estremi del fatto criminoso, e quindi la fondatezza della comparsa, ma contengono anche elementi valutativi della personalità o della reputazione del reo (e, eventualmente, del querelante privato, com’è di particolare evidenza nei processi di stupro), o circa quello che si è sentito dire dal pubblico sul fatto criminoso in questione. Dunque, come si è visto in maniera paradigmatica sempre per i processi di stupro, la publica fama conserva nondimeno un suo pur limitato spazio processuale.

L’escussione della prova testimoniale occupa gran parte delle carte criminali pisane: pagine e pagine di domande e risposte, che si aprono solitamente con la formula "Se sappia o si immagini la causa del suo presente esame" (la stessa che apre solitamente anche l’interrogatorio del reo).

Una volta terminata sia l’escussione delle testimonianze, sia l’inquisizione del reo, scatta la pubblicazione di tutti gli atti processuali compiuti fino a quel momento, che devono quindi essere copiati.

Successivamente, si ha l’assegnazione del termine per la difesa, in modo da consentire la redazione delle scritture difensive.

A questo punto il processo passa dalle mani dell’organo inquisitore a quelle del giudice, ossia del Vicario, il quale dovrà decidere, non prima però di avere "partecipato" la causa al Supremo Tribunale di Giustizia. Il giudice superiore dovrà formulare un parere, e inviarlo all’ufficio del giudice a quo. A questo punto il Vicario è in grado di emettere la decisione (67)vai in testa  alle note bibliografiche.

Il Vicario, in quanto giudice, è il soggetto in cui si forma il convincimento relativo alla causa. Egli ha davanti a sé un determinato quadro probatorio, ed in base a questo deve emettere una decisione. Ma è proprio il profilo probatorio quello che più lega ancora il processo criminale di questi anni a concezioni del passato. Il processo criminale toscano è, infatti, un processo sostanzialmente indiziario. E gli indizi, d’altra parte, non sono distinti dalle prove storiche (68)vai in testa  alle note bibliografiche, bensì sono ritenuti prove storiche a tutti gli effetti, sulla cui base quindi è ammessa l’emissione di una condanna nonostante l’insufficienza di prova. È questa, infatti, la base su cui si può irrogare una pena straordinaria, fondata su una prova cosiddetta semipiena. Dunque, l’assetto probatorio è aggravato dalla riconosciuta operatività delle prove legali, che contrasta in maniera stridente col principio del libero convincimento del giudice nella valutazione delle prove. La Leopoldina, nonostante il notevolissimo sforzo compiuto per razionalizzare gli istituti ed i meccanismi processuali, non aveva potuto ancora mutare radicalmente le fondamenta del sistema probatorio tradizionale.
 



 

C. Cenni sul sistema punitivo 


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Per chiudere questa breve sintesi analitica, si può accennare al sistema punitivo adottato in concreto dai giudici sul territorio, traendo spunto ed analizzando le condanne emesse davanti al tribunale del Commissariato di Pisa. L’analisi può partire dalla statistica relativa alle varie categorie di pene — pene pecuniarie, pene detentive, pene espulsive, pene corporali — rappresentata nella tabella 4.a, alla quale si rinvia.
Innanzitutto, si può notare l’assenza totale di pene corporali. I Vicari pisani, evidentemente, sono sensibili al mutato spirito dei tempi.
La seconda considerazione, ed è quella fondamentale, riguarda la netta prevalenza delle pene espulsive (esilio e confino) su tutte le altre: nel triennio 1786-1787-1788, le pene espulsive sono state in totale 29, contro le 17 pene detentive (carcere e pubblici lavori) e le 14 pene pecuniarie (considerando soltanto quelle irrogate come unica pena). Questo dato pisano sembrerebbe confermare l’impressione, che vede la pena espulsiva come quella "di gran lunga più utilizzata per la punizione dei delitti più disparati, ma sempre di una certa gravità" (70)vai in testa  alle note bibliografiche, ed avvalora anzi l’ipotesi conseguente che non sia la pena pecuniaria il metodo punitivo più usato nella Toscana leopoldina, come invece sembrerebbe essere stato appurato per altre zone (71)vai in testa  alle note bibliografiche.

Andando a guardare le varie categorie di pene più da vicino, si può notare che la pena pecuniaria poteva essere irrogata sia come unica pena, sia come aggravio accessorio di un’altra pena, detentiva o espulsiva. Secondo quanto emerge dalle sentenze dei processi pisani, di solito la pena pecuniaria è irrogata come unica pena nelle trasgressioni di sale o tabacco e nelle defraudate gabelle (72)vai in testa  alle note bibliografiche, mentre talvolta è irrogata come aggravio di pene espulsive contro forestieri (73)vai in testa  alle note bibliografiche.

Per quanto riguarda le pene detentive, si nota che il ricorso al carcere, sempre nei processi pisani, avviene prevalentemente nei delitti di furto e ferimento, e che il carcere, inoltre, talora si accompagna ad una pena espulsiva. Per quanto riguarda gli stabilimenti di pena, a Pisa i detenuti erano rinchiusi nelle carceri pubbliche e segrete, le quali, durante gli anni ‘80, erano state restaurate e rese più salubri, e se n’erano ingrandite le finestre e ripulite le celle (74)vai in testa  alle note bibliografiche.

Per quanto riguarda i pubblici lavori, si può osservare che questo tipo di pena veniva irrogato soprattutto contro coloro che si rendevano inosservanti della pena dell’esilio o del confino alla quale erano stati precedentemente condannati (75)vai in testa  alle note bibliografiche.

Passando poi a vedere il trttamento riservato alle pene espulsive, si può infine aggiungere che l’esilio veniva irrogato per la repressione di parecchi delitti, in particolare furti, ma anche per le accuse di "borsaiolo", e per quelle di abigeato e di "crassazione" e contro imputati forestieri che avessero commesso anche illeciti di poca gravità, come trasgressioni di sale o di tabacco. Il confino veniva irrogato, oltre che per furto, omicidio, "crassazione", soprattutto per l’inosservanza del confino già previsto. Esilio e confino, pur essendo entrambi manifestazione della volontà pubblica di allontanare coloro che delinquevano dalla comunità sociale, avevano una diversità: l’esiliato, pur perdendo evidentemente lavoro, casa e famiglia, poteva muoversi liberamente al di fuori dei confini vietati; il confinato invece, pur avendo in teoria libertà di movimento entro i limiti stabiliti, si trovava in realtà a dover vivere in luoghi alquanto inospitali, come nel caso del confino a Grosseto, vale a dire in una Maremma ancora paludosa e insana (76)vai in testa  alle note bibliografiche.

 
  Lucia GIANNELLI
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Note al testo


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    1. Cfr., sulla utilità scientifica delle fonti giudiziarie, M. Sbriccoli, Fonti giudiziarie e fonti giuridiche. Riflessioni sulla fase attuale degli studi di storia del crimine e della giustizia, in Quaderni storici, n. 2, 1988, 491 ss.
    2. Si preferisce parlare di "illeciti" anziché di "reati", che son concetto e nome troppo strettamente legati alle tecniche ed alla cultura dell’età codificatoria, successiva alle grandi compilazioni napoleoniche.
    3. Il furto è disciplinato dai §§ LXXIV-LXXVIII della Riforma criminale leopoldina (Legge 30 novembre 1786), che comprendono anche la rapina.

    4. Il § LXXIV fornisce il trattamento sanzionatorio del furto semplice, stabilendo che se questo non supera i cinquanta scudi, la pena è minore dei pubblici lavori, mentre se invece passa questa cifra, si irroga in ogni caso la pena dei pubblici lavori, la cui durata varia, a seconda dell’entità del furto, da un minimo di tre anni ad un massimo di venti.
      Il § LXXV, sulla stessa linea, stabilisce il trattamento sanzionatorio dei furti qualificati, che sono particolari furti aggravati. Stabilisce che, se si tratta di "furti qualificati da scasso, scalamento, o chiave falsa, furti domestici, in quelli commessi da borsaioli, negli abigeati, nel peculato, e nei furti ancora che si commettessero in occasione di qualche incendio, rovina, o naufragio", basta che l’entità del furto sia di scudi venticinque perché siano irrogati i pubblici lavori.
      Il § LXXVI disciplina invece i furti violenti: "se si tratterà di violenza, che non ecceda i termini di semplice rapina, o semplice concussione, avrà luogo la detta pena dei pubblici lavori, qualora il valore del tolto passi le lire cinquanta".
      Proseguendo, il § LXXVII disciplina l’ipotesi di "crassazione" (che è l’assalto commesso su vie pubbliche a scopo di rapina) e altre ipotesi di rapine commesse con armi o con altri strumenti offensivi: se la rapina è stata commessa in vie pubbliche "o con offesa della persona violentata", ma senza armi, basta che l’entità della sottrazione sia di lire dieci per poter irrogare i lavori pubblici; se invece c’è stato uso di armi o altri strumenti offensivi, non ci sarà limite di somma e i pubblici lavori potranno arrivare fino all’ultimo supplizio.
      Può essere utile ricordare l’opinione di Condorcet sulla disciplina del furto nella legislazione leopoldina: egli riconosce che gli articoli LXXIV-LXXVIII sono "rédigés d’après les vues les plus humaines et les plus sage", ma non può fare a meno di criticare due spazi lasciati all’arbitrio del giudice: il primo, per quanto riguarda la condanna ai lavori pubblici dai tre ai venti anni; il secondo, per l’indeterminatezza delle circostanze aggravanti che avrebbero potuto giustificare l’ultimo supplizio nell’ipotesi di assalto sulle vie pubbliche. Il furto è disciplinato dagli articoli LXXIV-LXXVIII, che comprendono anche la rapina.
      È solo il caso di dire che la bibliografia sulla Leopoldina è veramente sterminata : basti qui rinviare ai tredici volumi del congresso dedicato proprio alla Leopoldina in occasione del suo secondo centenario e pubblicato a Milano nel 1989 (La "Leopoldina".. Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, a cura di L Berlinguer e F. Colao)].
      Il testo della Leopoldina è stato visto nell’edizione critica, curata da Dario Zuliani, La riforma penale di Pietro Leopoldo, 2. Voll., Milano 1995 (La "Leopoldina".. Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, 2) ; ma se ne veda anche il testo in appendice a "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria, a cura di Franco Venturi, Torino 1965, 258-300.
      Della precedente bibliografia si possono qui ricordare in particolare: M. Da Passano, La giustizia penale e la riforma leopoldina in alcuni inediti di Condorcet, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", vol. V, Bologna 1975; V. Piano Mortari, Tentativi di codificazione nel Granducato di Toscana nel sec. XVIII, Napoli; S. Salmonowicz, Leopoldina: il codice penale toscano dell’anno 1786, in "Rivista italiana per le scienze giuridiche", vol. XCVI, 173 ss., 1969; G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, vol. I: Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna 1976; A. Wandruszka, Pietro Leopoldo. Un grande riformatore, Firenze 1968.
      Tra gli scritti d’autori ottocenteschi si ricordano qui in particolare: A. ZOBI, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLVIII, tomo II, Firenze 1850; T. Branchi, Elementi del diritto civile secondo l’ordine delle Istituzioni di Giustiniano, vol. I, Firenze, Bencini, 1852; F. Forti, Libri due delle istituzioni di diritto civile, Firenze, Cammelli, 1863; C. Calisse, Storia del diritto penale italiano dal secolo VI al XIX, Firenze 1895.

    5. È l’assalto compiuto sulle pubbliche vie a scopo di rapina.
    6. Lo stupro è disciplinato dai §§ XCVIII-XCIX, che ne configurano varie ipotesi, e prevedono per ognuna di esse un trattamento sanzionatorio differenziato. Il § XCVIII disciplina le prime tre specie di stupro: lo stupro semplice, punito con la pena di lire centocinquanta "da applicarsi nello Stato fiorentino allo Spedale di S. Maria Nuova", oltre al pagamento alla stuprata delle spese del parto e puerperio, e del giudizio; lo stupro qualificato, cioè caratterizzato da una "qualificata seduzione" da parte dello stupratore, in relazione al quale il giudice ha la possibilità, rimessa al suo arbitrio, di aggravare la pena prevista per lo stupro semplice fino alla cifra di duecentocinquanta lire e di condannare il reo a dotare o sposare la stuprata; lo stupro con precedente promessa di matrimonio (scritta o fatta oralmente davanti a due testimoni), punito, nel caso che lo stupratore si sia rifiutato di mantenere la promessa, con cinque anni di confino a Volterra e suo vicariato e con l’obbligo di dotare o sposare la stuprata, a meno che lo stupratore - entro un mese dalla notificazione della sentenza se presente, ovvero entro quarantacinque giorni se contumace - non sposi la stuprata ovvero non faccia "costare della legittima renunzia della stuprata agli sponsali (rimane però in questo caso l’obbligo di dotarla). Il § XCIX disciplina altri tre tipi di stupro: lo stupro commesso con violenza, la cui pena sono i pubblici lavori sia a tempo che a vita, a seconda delle circostanze; lo stupro commesso da un servitore o simili nei confronti della figliola, sorella o nipote del padrone, o altra fanciulla della stessa casa, punito con i lavori pubblici a tempo anche se non c’è violenza; lo stupro commesso contro "vergine non viripotente", punito, anche se senza violenza, con i pubblici lavori a tempo se consumato, con l’esilio o il confino (a seconda delle circostanze) se non consumato. Come si può notare dalla complessità del disposto sanzionatorio legislativo, la genesi di questi due articoli sullo stupro è stata particolarmente laboriosa (tant’è vero che ha portato anche alla formulazione di pareri supplementari sullo stupro da parte di vari consulenti magistrati : su tutta la vicenda, una dettagliatissima descrizione in Zuliani, 2, 505-69). Al riguardo, può essere interessante ricordare le osservazioni che Cercignani fece sul Progetto iniziale: egli propose il mantenimento della legge del 1754 relativa agli stupri semplici (con la pena pecuniaria e le spese del parto etc.); propose di obbligare anche con il carcere lo stupratore a sposare, in caso di stupro con precedente promessa di matrimonio, purché vi fosse la prova piena della promessa; propose i lavori pubblici a vita sempre per lo stupro violento; inoltre, propose di dare alle relazioni delle ostetriche la funzione di stabilire se c’è stato o non c’è stato stupro (Zuliani, 2, 512-5).
    7. Si vedano i dati percentuali comparativi esibiti al Grafico I.
    8. La legge si apre con le norme (§§ I-V) dedicate alla querela, vale a dire al meccanismo di apertura del processo penale. Il § I dispone che "tutte le cause criminali si principieranno o ad istanza del querelante pubblico, o ad istanza della parte offesa. L’uno e l’altro sarà obbligato a firmare la sua querela, sapendo scrivere, e presentata in tribunale a ratificarla con la viva voce davanti al ministro a ciò deputato, il quale, interrogatolo ancora sopra quel più che esigesse di schiarimento il tenore della stessa querela, ne registrerà l’atto nelle debite forme". Già ad una prima lettura, è subito evidente la portata innovativa di questa norma sulla natura del processo criminale: questo rimane sì un processo inquisitorio, ma con la decisiva mitigazione rappresentata dal principio che vieta al giudice di procedere ex officio. Per poter aprire il processo penale è necessaria un’accusa pubblica o privata o un referto medico (come si dice nel successivo § III), non ci sono modi alternativi [M. Montorzi, I giudici che applicarono la Leopoldina (Un tentativo di prosopografia e statistica giudiziaria), in La "Leopoldina".. Criminalità e giustizia criminale delle riforme del Settecento europeo. Ricerca diretta da Luigi Berlinguer, Milano 1989, vol.5, La Leopoldina" nel diritto e nella giustizia in Toscana, 189-354, 264 part. = Id., Giustizia in Contado. Studi sull’esercizio della giurisdizione nel territorio pontederese e pisano in età moderna, Pisa 1997, 203 ss. in particolare]. E la carte d’archivio sono in linea con un simile principio: su 138 processi, soltanto uno è stato introdotto "d’ordine", cioè per ordine superiore ricevuto dal Vicario (ASPi, Comm. to, 1470, pr. 3, c. 297, processo per calunnia). Non è facile dire, invece, se sia scomparsa del tutto la prassi delle denunce segrete, poiché queste possono facilmente nascondersi dietro lo schermo dell’accusa pubblica (Montorzi, I giudici, 264 in particolare). Una prima considerazione che si può fare circa il contenuto del § I riguarda la natura dell’atto iniziale del processo criminale leopoldino. Si può dire, in altre parole, che la querela, pubblica o privata che sia, è l’atto che provoca l’apertura del processo: da questo momento in poi il processo è in corso, il reo assume la qualità di imputato, scattano tutti i meccanismi procedurali. La presentazione della querela al tribunale, davanti al ministro celebrante (in linea di massima il notaio criminale), dà il via al processo automaticamente, senza bisogno cioè che siano compiuti ulteriori accertamenti da parte dell’autorità giudiziaria circa la fondatezza del contenuto della querela. Non c’è, in altre parole, un proseguimento di indagine da parte del tribunale volto ad accertare se effettivamente ci siano dei riscontri fattuali e legali tali da giustificare l’apertura di un giudizio. La querela, sia essa pubblica — cioè presentata da figure inserite negli apparati polizieschi (bargelli, tenenti, caporali, stradieri etc.) —, sia essa privata — cioè presentata da altri privati cittadini —, basta da sola a provocare l’apertura del processo. Il reo diventa subito imputato, non appena si solleva la querela. Si capisce, così, anche l’importanza rivestita nei processi pisani dalla comparsa, che è l’atto — in senso documentale — che formalizza la querela. La comparsa contiene una descrizione del fatto criminoso che in genere non viene modificata dal giudice. Quindi, non è forse eccessivo dire che tutto ciò che è cristallizzato nella comparsa pesa notevolmente e condiziona l’accertamento del fatto all’interno della fase processuale. Il § I, così come i successivi, non indica cosa la querela deve contenere. Tuttavia, si può dire con una certa sicurezza che essa — e se ne ha la verifica diretta esaminando le querele che introducono i processi pisani — contenesse quella che oggi chiameremmo la qualificazione del fatto come reato, ossia la verifica della sussistenza di tutti quei requisiti che trasformano un fatto storico in un fatto penalmente rilevante. Ed infatti la comparsa contiene di norma la descrizione del fatto, la sua qualificazione dal punto di vista giuridico-penale, l’individuazione della persona che lo ha commesso e l’attribuzione del fatto a quella determinata persona. In altre parole, la comparsa contiene quello che oggi è il contenuto minimo dell’imputazione, cioè dell’elemento che nell’attuale disciplina del processo caratterizza l’esercizio dell’azione penale, la quale a sua volta provoca l’apertura del processo vero e proprio. Infatti, la notitia criminis (denuncia, referto, querela etc. ricordando solo quelle qualificate) nel nostro ordinamento provoca soltanto l’apertura delle indagini preliminari, ossia di una fase procedimentale sì ma non processuale in senso stretto, in quanto l’azione penale non è ancóra stata promossa.

    9. Andando oltre l’esame del contenuto normativo del § I, un’altra opportuna considerazione concerne i due obblighi che esso sancisce espressamente: uno è l’obbligo, sia per il querelante pubblico sia per quello privato, di firmare la querela, l’altro è l’obbligo di registrare le querele, gravante sul ministro. Si può annotare come Cercignani avesse approvato la massima relativa a questo § (e che in gran parte vi è confluita) che gli era stata sottoposta. Egli, anzi, aveva proposto di utilizzare a questo proposito il sistema francese, che prevedeva l’obbligo del pubblico querelante di tenere un registro di tutte le querele, che devono essere firmate dal querelante stesso (Zuliani, 2, 33-4). Passando alla disposizione successiva, vediamo che il § II continua il contenuto del primo, stabilendo che "Quest’atto [la registrazione della querela ] servirà perché chi avrà presentato la querela sempre, e a tutti gli effetti, ne sia il debitore per tutti i casi che l’imputato ritrovato innocente si dovesse procedere contro l’accusatore per la calunnia, ben inteso però sempre che il querelante pubblico non sia tenuto che alla calunnia espressa ovvero a dire chi gli ha dato la notizia". Dunque, la querela impegna chi la compie non solo dal punto di vista morale, ma anche da quello giuridico penale, creando una vera e propria responsabilità. Per capire a fondo la portata della norma, possono essere utili le osservazioni, in parte divergenti, sia di Cercignani che di Tosi in proposito. Cercignani si richiama, e suggerisce di adottarlo anche per la Toscana, al sistema francese, nel quale, se non si riesce a provare il delitto, l’accusatore ha l’obbligo di manifestare la "spia", in modo che si possa agire per la calunnia. Il Tosi, invece, distingue una calunnia "vera" (si ha quando l’accusatore è perfettamente consapevole dell’innocenza dell’accusato oppure non sa assolutamente se egli è colpevole o no) da una calunnia "presunta" (quando semplicemente non si riesce a provare l’accusa): nel caso di calunnia "presunta" il querelante pubblico non subisce alcuna conseguenza, mentre il querelante privato non può essere condannato per calunnia, ma solo alla refezione dei danni. Leggendo il § II, si vede come Pietro Leopoldo avesse approvato le osservazioni dei suoi collaboratori. Nel testo di esso, infatti, si parla di "debitore", alludendo in questo modo ad una responsabilità per danni, si fa espressa menzione della calunnia, e si circoscrive la responsabilità del querelante pubblico imponendogli il solo obbligo di rivelare chi gli ha fornito le informazioni (Zuliani, 33-6). Proseguendo con il § III, vediamo che questo, oltre a prevedere un altro modo d’introduzione del processo (il referto del cerusico), disciplina la procedibilità per i delitti, sancendo una regola generale di procedibilità d’ufficio e delineando in maniera specifica le ipotesi — eccezionali — di procedibilità di parte. L’articolo, infatti, stabilisce che in tutti i delitti "si potrà e si dovrà procedere ex officio", ma che "da questa disposizione restano eccettuate però le ingiurie tanto verbali, che scritte, le leggiere percosse, o altre semplici offese della persona seguite in rissa […], e gli stupri, e adulterii senza violenza, nelle quali cause non sarà permesso l’accettar querela se non è della parte a cui compete l’azione di querela re". La norma prosegue con l’elencazione delle persone cui spetta quest’azione; in particolare, nello stupro spetta "alla stuprata, al padre, in mancanza del padre alla madre, fratello, tutore, o curatore, o altro più prossimo congiunto". Per questi delitti il § prevede, e così si chiude, la possibilità che la parte cui spetta la querela, dopo l’inizio del processo ma prima che sia stata emanata la sentenza, possa rinunciare ovvero possa fare quietanza al querela to, in modo che non si procede ulteriormente in causa. C’è qui, evidentemente, per quanto riguarda questo gruppo specifico di delitti, il riconoscimento di interessi disponibili delle parti, per cui, se esse non hanno interesse all’azione penale ovvero non ve ne hanno più, il processo può tranquillamente chiudersi. Al contrario, la regola generale della procedibilità ex officio di tutti i delitti sta a dimostrare la volontà pubblica di perseguire comunque e sempre i comportamenti che sono ritenuti particolarmente pericolosi dall’ordinamento giuridico. I delitti a procedibilità di parte, invece, o sono delitti meno gravi, che non recano offesa considerevole né alla persona (ingiurie, "leggiere percosse", "altre semplici offese della persona seguite in rissa"), né al patrimonio (turbative, danni dati in campagna escluso l’incendio, piccole truffe, stellionati non eccedenti le 70 lire); ovvero sono delitti gravi ma in cui l’interesse tutelato è un interesse che potremmo definire "personalissimo" e che comunque va a provocare una qualche suggestione di scandalo, ragion per cui è necessario agire con la massima cautela (ed è il caso dello stupro e degli adulteri senza violenza). Condorcet, commentando questo § alla nota 3, propone di aggiungere all’elenco dei delitti perseguibili a querela della parte offesa anche il furto semplice "sans effraction". Egli, inoltre, cerca di individuare i motivi che hanno ispirato questo articolo, e ne individua due fondamentali: il primo è quello di lasciare alla parte offesa la libertà di querela re sia quando il delitto non tocca che debolmente l’ordine pubblico, sia quando con un processo la parte offesa stessa si espone a "s’avilir" nell’opinione pubblica; c’è poi un altro possibile motivo, secondo Condorcet, che consiste nel non accordare la querela se non alla persona che può avere una reale conoscenza del delitto (Da Passano, La giustizia penale., 424). Gli articoli IV e V sono norme di chiusura, che riguardano la quietanza: la prima stabilisce che, se nonostante la quietanza, "costerà dell’imputazione", il tribunale dovrà darne notizia al Presidente del Buon Governo, all’Auditore fiscale di Siena e al Commissario di Grosseto (per i rispettivi territori), in modo che il querelato rimanga segnalato come persona sospetta. A quest’ultimo riguardo, è particolarmente significativa la nota di Condorcet relativa al controllo esercitato sulle persone sospette: egli depreca questa controllo e parla di delazione e di spionaggio, definendolo "moyen odieux, que toute législation sage et humaine doit proscrire" (cfr ancóra Da Passano, 424).

    10. Il § V stabilisce che "in tutti gli altri delitti, nei quali si deve procedere ex officio, e non eccettuati come sopra, la quietanza della parte offesa non dovrà attendersi, non solo per trattenere il corso al processo, ma neppure per diminuire al reo la pena dovutagli". Dunque, c’è un’esclusione completa del valore della quietanza nei delitti procedibili ex officio. Del resto, anche Cercignani era contrario al riconoscimento delle quietanze, salvo che per alcuni tipi di delitti (Zuliani, 2, 44-5).
    11. Si tratta di un processo per "ammenagioni" contro un certo Gaspero Antonelli, la moglie e il figlio: vedi ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 37, c. 1498.
    12. Una gran parte dei processi è introdotta dal "cap. no Giovanni Antonio Benetti Bargello di Pisa".
    13. Vedi Tabella 3, colonna relativa alla Decisione.
    14. Vedi, ad esempio, un processo per furto intentato contro n. n incognito, il quale si conclude con la decisione del S. T. G. di "tenersi sospesi gli atti fino alla verificazione della persona" (ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 28, c. 1366); ovvero un altro processo per furto, concluso con la decisione del S. T. G. di "lasciare sospesi gli atti fino a nuovi e migliori indizi" (ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 31, c. 1407).
    15. Infatti, non è infrequente l’ipotesi in cui la pena pecuniaria è elemento essenziale di un altro tipo di pena, costituendone appunto un aggravio. A questo riguardo, per quanto concerne i processi pisani, si può rimandare alla tabella 4. a e ai relativi grafici. In ogni caso, su tutto l’argomento della pena pecuniaria unica o come aggravio, cfr. B. M. Cecchini, Il reato e la condanna nel sistema della Leopoldina. Mutamenti e variazioni nella struttura della pena (1781-1790). Prime note, in AA. VV., Criminalità e società in età moderna, Milano, 1991 (La "Leopoldina". Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, 12), 282-284 in particolare.
    16. Cecchini, 293.
    17. Vedi le Tabella 5.
    18. Si tratta di un certo Giovanni Turini di Calci, significativamente accusato di stupro: vedi ASPi, Comm. to, f. 1470, pr. 10, c. 675.
    19. Cfr. C. Mangio, I patrioti toscani... cit., 271.
    20. L. Cremani, De iure criminali libri tres, volumen unicum, Florentiae, Casoni, 1848, lib. 2, cap. 6, 422.
    21. Cfr. su questo punto Montorzi, I giudici, 266, nota 225.
    22. Vedi S. Guazzini, Tractatus ad defensam inquisitorum carceratorum reorum et condemnatorum super quocumque crimine, Venezia, 1671, così come riportato da A. Coluccia, Indagine tecnico-scientifica e valenza etica nell’attività peritale sul reato di stupro nella trattatistica settecentesca in AA. VV., Criminalità e società in età moderna, Milano, 1991 (La "Leopoldina". Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, 12).
    23. Si tratta precisamente dei processi n. 14, n. 18 e n. 47 (vedi ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 14, c. 338; pr. 18, c. 1208; pr. 47, c. 1744).
    24. È interessante leggere, in particolare, le parole esatte usate dal curato della chiesa parrocchiale di S. Ermete per dimostrare l’onestà della sua parrocchiana Maria Domenica del Francia (che aveva querelato un certo Pietro Fantacci di Putignano): "fino al presente giorno è stata una fanciulla onesta e di buoni costumi e mai è venuto a mia notizia che abbia dato scandalo al Popolo, e mai nessuno ha fatta parola in discredito della medesima. Ha frequentato i S. S. Sacramenti ed è sempre intervenuta alla Dottrina Cristiana" (vedi ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 14, c. 338). Anche nelle lettere allegate agli altri due processi, comunque, il riferimento alla buona reputazione ed all’onestà della ragazza è esplicito ("per quanto a me costa, non ha dato da dire di sé, ed ha frequentato i S. S. Sacrati e la Dottrina Cristiana"; ovvero "è vissuta onestamente").
    25. Sempre il parroco di S. Ermete attesta che la fanciulla "è miserabile", ed "è costretta a guadagnarsi il vitto malamente colle sue braccia" (vedi ASPi, ibidem); anche nel processo n. 18, d’altra parte, il parroco attesta che la ragazza è povera e miserabile (vedi ASPi, Comm. to, pr. 18).
    26. Vedi, nello stesso senso, Montorzi, I giudici, 266-267.
    27. Cremani, lib. III, cap. XXII, 621; vedi su questo punto anche Montorzi, I giudici, 265-266.
    28. Montorzi, I giudici, 266, nota 225.
    29. Per un’analisi completa delle modalità e del valore sia tecnico-scientifico sia etico della perizia delle due ostetriche all’interno dei processi di stupro, si può vedere tutto il lavoro di A. Coluccia, op. cit.
    30. Vedi Tabella 3.
    31. Se non si considera un altro processo in cui c’è l’attestazione, fatta da un’ostetrica, dell’avvenuto aborto spontaneo: vedi ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 47, c. 1749).
    32. Dello stupro quasi come di una "tecnica di compromissione amorosa" ha parlato Montorzi, I giudici, nota 225, 267.
    33. Uno è il processo intentato da Maria Anna Cazzuola contro Ranieri Gori: la decisione fu di non dare all’inquisito ulteriore molestia proprio perché i due si erano sposati nella cappella del tribunale di Pisa (ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 35, c. 1451); l’altro processo è quello di Caterina Tognoni contro Agostino Becucci: c’è una lettera del 17 maggio 1789 del prete della parrocchia di S. Cecilia di Pisa che attesta l’avvenuto matrimonio fra il Becucci e la Tognoni (ASPi, Comm. to, f. 1471, pr. 36, c. 424).
    34. In questo senso, per quanto riguarda la giustizia criminale senese, vedi D. Peccianti, Gli inconvenienti della repressione dello stupro nella giustizia criminale senese: il dilagare delle querele nel Settecento, in AA. VV., Criminalità e società in età moderna, Milano 1991 (La "Leopoldina". Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, 12).
    35. G. Carmignani, Elementi di diritto criminale, traduz. ital., Milano, Sanvito, 1863, 377-395.
    36. Cremani, lib. 2. cap. 7, 458.
    37. Carmignani, Elementi, 380.
    38. Ivi, 384.
    39. Ivi, 380, dove inoltre il Carmignani, alla nota 6, richiama § III Cod. Leop. relativo al modo di introduzione del processo.
    40. L’unico caso di processo per furto introdotto con querela privata è quello del processo intentato da Ranieri Tabucchi (il derubato) contro Settimo Niccoli: quest’ultimo, che è garzone in casa del derubato, è accusato di avere rubato in casa del suo datore di lavoro un vestito (giubba e pantaloni), scarpe, un pastrano e 5 scudi, e di aver compiuto lo scasso della cassa in cui gli oggetti si trovavano; vedi ASPi, Comm. to, f. 1467. pr. 31, c. 1407.
    41. È il caso, per esempio, del processo contro "n. n. incognito" intentato dal Bargello di Pisa in data 11 marzo 1786 (vedi ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 28, c. 1366): nella comparsa il Bargello "rappresenta come le robbe furtive appartenenti al furto di Matteo Briglia, consistente in coperte, lenzuola etc. seguito nella sera del dì 22 gennaio 1786, furono, parte di esse, trovate nella mattina susseguente dentro alla cassetta di un calesse nella rimessa di questa posta, da un tale Lorenzo Nardi vetturino". Non si conosce l’identità del querela to.
    42. Ad esempio, nel caso di furto di sacchi di farina, l’ndagine è affidata a "periti mugnai": vedi ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 70, c. 2205.
    43. Vedi ad esempio il processo già visto contro "n. n. incognito" (ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 28, c. 1366), o quello contro Ferdinando Piccioli (ASPi, Comm. to, f. 1470, pr. 21, c. 1772), o quello contro Ranieri Cantini (ASPi, Comm. to, f. 1471, pr. 53, c. 960).
    44. Ad esempio, due lucernine (vedi ASPi, ivi, f. 1471, pr. 41, c. 511, processo contro Odoardo Gennari ossia degl’Innocenti), alcuni mastelli di rame e "libbre 40 di paioli" (vedi ASPi, ivi, f. 1471, pr. 44, c. 646, processo contro Niccolaio Martini), un catino di rame e una brocca (vedi ASPi, ivi, f. 1471, pr. 62, c. 1329, contro Michelangiolo Simonetti).
    45. Come ad esempio la farina (si può vedere ASPi, ivi, f. 1470, pr. 70, c. 2205 già visto, oppure ASPi, ivi, f. 1471, pr. 63, c. 1381, contro Domenico Guidi), o il grano (si può vedere ASPi, ivi, f. 1471, pr. 55, c. 1020, contro Giovanni Rossi), o qualche gallina (si può vedere ASPi, ivi, f. 1471, pr. 64, c. 1463, contro Giuseppe Martelli).
    46. Carmignani, Elementi, 387.
    47. Ivi. 388.
    48. Si tratta del processo intentato contro Giuseppe Ferrari ossia Pozzi per la sottrazione di una cavalla (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 28, c. 194).
    49. Si tratta del processo contro Sebastiano Longa (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 48, c. 1780) e di quello contro Santi Gori e altri (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 68, c. 1573).
    50. Si tratta dei processi contro: Francesco Garelli (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 17, c. 851); Carlo Antoni, Giovanni Francesco Ormanni, Antonio Romani (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 9, c. 1292); Ferdinando Settimelli (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 23, c. 1); Giuseppe Solano e altri (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 59, c. 1149).
    51. Vedi, ad esempio, il processo, già ricordato intentato da Ranieri Tabucchi contro Settimo Niccoli, garzone, abitante in casa del derubato (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 31, c. 1407), oppure il processo intentato contro Giovanni Bandini, cuoco, abitante in casa del derubato Benvenuti (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 6, c. 1222).
    52. Carmignani, Elementi, 391-392.
    53. Ivi, 392.
    54. Ivi, 459.
    55. Si tratta di Maria Iacopa Bernardi (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 26, c. 1322), Maria Eleonora Giusti (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 46, c. 1722), Giulia Gori (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 12, c. 731), Maria Anna Raffaelli (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 15, c. 817), Angiola Pacini (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 20, c. 1754), Maddalena Tabarracci (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 46, c. 784), e Agata Bernardi (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 65, c. 1495).
    56. Si tratta di Maria Domenica Di Papa (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 23, c. 1284), Maddalena Mazzanti ossia Marini (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 27, c. 1342), Rosa Ruberti (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 46, c. 1722), Maddalena Andreoni (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 43, c. 628).
    57. Vedi C. Mangio, La Polizia in Toscana... cit., 56.
    58. Vedi M. R. Weisser, Criminalità e repressione nell’Europa moderna, Bologna.
    59. Su tutto ciò, vedi D. Barsanti, Pisa in età leopoldina, Pisa 1995, 129-131.
    60. Si può ricordare, a titolo esemplificativo, il "cartoccio di tabacco in polvere in peso mezza libbra" trovato nascosto sul barroccio condotto dal reo, e presentato insieme alla comparsa "sigillato con cera rossa di Spagna" con sigillo "esprimente una testa umana" (vedi ASPi, ivi, f. 1467, pr. 29, c. 1384), oppure il cartoccio d’una libbra di tabacco in una pezzola sigillato con cera rossa di Spagna con sigillo esprimente la testa di un antico imperatore (vedi ASPi, ivi, f. 1467, pr. 39, c. 1568), oppure ancora il sacchetto di sale lucchese sigillato con cera rossa di Spagna con sigillo esprimente un uccello con fiore in bocca (vedi ASPi, ivi, f. 1467, pr. 75, c. 2238).
    61. Sono navicellai: Angiolo Renucci (ASPi, ivi, f. 1467, pr. 43, c. 1624), Pietro Maranghi (ASPI, ivi, f. 1470, pr. 16, c. 1634, e f. 1471, pr. 58, c. 1133), e Lorenzo Fallani (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 52, c. 934).
    62. Come Vittorio Biasci (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 7, c. 547) e Orazio Lippi (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 14, c. 787).
    63. Sono negozianti: Giovanni Peratoner, "chincagliere" (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 27, c. 172); Isach Supino (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 33, c. 374); Moisè Supino (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 34, c. 390): Grazia Dio Fano (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 35, c. 406); Santi Caverni (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 48, c. 820).
    64. Infatti la defraudata gabella di Orazio Lippi (vedi nota precedente) riguarda anche della "perpetuella"; quella di Pietro Maranghi (vedi nota 58) concerne in un caso "3 pezze frenella e 2 pezze cambraia", nell’altro "4 pezze frenelle e pezza perpetuella"; quella di giovanni Peratoner (vedi nota precedente) riguarda delle telerie; i due Supino e la Di Fano (vedi nota precedente) sono negozianti di "pannine".
    65. Carmignani, Elementi, 458.
    66. Ivi, 459.
    67. Ivi, 453.
    68. Cfr. Montorzi, I giudici, 267.
    69. E lo fa riferendosi alle "solite partecipazioni, resoluzioni e lettere del Supremo Tribunale di Giustizia del dì … ".
    70. Vedi Montorzi, I giudici, 268.
    71. Vedi § CX Cod. Leop.
    72. Vedi Cecchini, 293.
    73. Vedi Cecchini, ivi.
    74. Vedi, ad esempio, per trasgressione di tabacco, una condanna arbitraria in lire 25 e nella perdita del tabacco e suo continente (ASPi, Comm. to, f. 1467, pr. 39, c. 1568); per trasgressione di sale, una condanna arbitraria in scudi 12 e perdita del sale e suo continente (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 15, c. 817); per defraudata gabella, una condanna nella pena del sestuplo della gabella (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 7, c. 547).
    75. Vedi, ad esempio, una condanna arbitraria in scudi 25 e 2 anni di esilio da tutto il Granducato (ASPi, ivi, f. 1470, pr. 12. c. 1498), e una condanna arbitraria in scudi 30 e all’esilio dal Granducato per anni 2 (ASPi, ivi, f. 1471, pr. 46, c. 784).
    76. Su questo argomento vedi Barsanti, 87-8.
    77. Vedi, nello stesso senso, Cecchini, 292.
    78. Vedi ivi 294-295.

 
 

 Ponte di Mezzo a Pisa con combattimento del gioco del Ponte in età di Ancien Régime

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